SCHIFO SARA’ LEI: QUANDO RENZI PARLA DI SE STESSO
MAFIA-CAPITALE-PD
Qualcuno, per favore, avverta Renzi che non è il capo dell’opposizione, ma del governo e della maggioranza.
E che il Pd beccato con le mani nel sacco di Roma lo dirige lui da un anno.
Quindi, quando dice “schifo”, parla di se stesso e del suo partito, non dei gufi che stanno fuori.
La responsabilità politica e morale è sua e dovrebbe scusarsi con gli italiani per non aver saputo bonificare per tempo il Pd, imbarcando tutto il vecchio establishment in barba alla rottamazione.
Che, com’è ormai noto, è una truffa: perchè non ha mandato a casa i pezzi più vecchi, più sporchi e più compromessi del partito, ma solo quelli che non si sono genuflessi al renzismo dominante.
Se “Roma è troppo grande e bella per lasciarla in mano a gentaccia”, quella gentaccia l’ha fatta entrare o l’ha lasciata lì lui, riciclando ex rutelliani, ex dalemiani, ex fioroniani, ex veltroniani, ex bettiniani in cambio di una semplice professione di fede renziana.
E ora non può cavarsela col commissario Orfini, l’ex dalemiano, ex bersaniano, ora ovviamente renziano, che nella federazione romana è nato e cresciuto accanto a quelli che dovrebbe cacciare, senza mai accorgersi di quanto accadeva.
Nel 1983, quando il Psi torinese fu spazzato via dallo scandalo Zampini, Craxi nominò commissario il ras torinese Giusi La Ganga, che fu subito indagato e sostituito con un altro dirigente eletto sotto la Mole, Amato. Che non bonificò un bel nulla, tant’è che dieci anni dopo il Psi torinese finì in Tangentopoli.
Se davvero Renzi vuole voltar pagina nella Capitale, il commissario deve prenderlo a Bolzano, non a Roma.
Invece opta per un commissariamento omeopatico, gattopardesco. Ma ci è o ci fa? Un po’ ci è (è superficiale quanto basta) e un po’ ci fa (è molto spregiudicato e si crede sempre più furbo di tutti).
Come se bastasse estrarre poche mele marce da un cestino di mele sane. Ma qui è marcio il cestino e qualunque mela, anche sana, anche acerba, ne viene immediatamente contagiata.
Marino non è un ladro, e neppure la Bonafè. Tra l’altro, nessuno dei due è romano e ha mai bazzicato la federazione capitolina.
Eppure, appena sbarcati a Roma — l’uno per candidarsi a sindaco, l’altra a eurodeputata — furono subito portati in processione a rendere omaggio all’omicida Salvatore Buzzi, padre padrone della Coop 29 giugno, asso pigliatutto delle opere pubbliche, sodale di Er Guercio e finanziatore delle campagne elettorali di chiunque s’avvicinasse al Campidoglio, nero o rosso non importa.
Nessuno poteva fare a meno di lui, prima del voto, per avere soldi, tessere e voti. Nessuno poteva negargli, dopo il voto, la ricompensa sotto forma di appalti: per gratitudine o per paura di finire incaprettato in qualche discarica.
Il tipico conflitto d’interessi che diventa voto di scambio e associazione mafiosa. Renzi dice che non c’è bisogno di cambiare le leggi: in teoria è vero, basterebbe non prender soldi da chi lavora per la Pubblica amministrazione.
Ma l’elenco dei finanziatori di Renzi di oggi e di ieri (do you remember Carrai?) ci dice che così non è.
Molto meglio di vietarlo per legge, per allontanare le tentazioni. Renzi aggiunge che, “se Grillo torna a fare i suoi tour, è grazie al nostro lavoro: con il 41% del Pd alle europee abbiamo messo la parola fine al rischio della demagogia e del populismo di Grillo”.
Ma forse sopravvaluta il suo lavoro (gli indicatori economici e sociali di nove mesi di cura Renzi sono catastrofici) e gli errori del M5S.
Per quante cazzate facciano, i 5Stelle sono fuori dagli scandali. I soldi pubblici non li rubano: anzi, restituiscono anche quelli che spettano loro per legge.
Nelle fogne Expo, Mose e Mafia Capitale, i grillini non ci sono mai, il Pd c’è sempre. E quando qualcuno viene pizzicato, come nel caso dei rimborsi regionali, viene espulso: non promosso sottosegretario o governatore o consigliere regionale.
Finchè il Pd non riuscirà a far politica senza inquisiti e senza soldi pubblici, qualche milione di italiani onesti continueranno a votare 5Stelle.
Schifati da tutti gli altri.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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