SE LE PAROLE VALGONO ZERO
NON C’E’ POLIS SENZA LOGOS, NON CI PUO’ ESSERE VERA POLITICA SENZA IL RISPETTO DI QUELLO CHE SI DICE
Il valore delle parole è un concetto molto relativo. Chi le usa per mestiere (un docente, uno scrittore, un intellettuale, un giornalista) in genere ne ha rispetto: se si accorge di avere detto una cosa sbagliata, o falsa, ci rimane male, proprio come il falegname il cui tavolo traballa.
La parola, in politica, evidentemente non è considerata uno strumento del mestiere, perché non ha lo stesso valore. È deprezzata, svuotata. La sciatta routine delle dichiarazioni da tigì, partito per partito, impressiona per la modestia delle intenzioni: è come se nessuno di quei mini oratori pretendesse di dire davvero qualcosa, ovvero di usare le parole come una materia prima preziosa, un’occasione da non sprecare.
Se le parole non hanno importanza e non hanno peso, non sorprende la sostanziale impunità della menzogna, che non è più uno scandalo, né per gli eletti né per gli elettori.
Mettete in fila le dichiarazioni di Trump sulla guerra russo-ucraina (a partire dalla frase d’esordio, «avremo la pace in 24 ore») e avrete una sfilza di panzane, di cose dette tanto per dirle, di ciance improvvisate senza alcun rapporto con la realtà delle cose e con l’alta responsabilità di chi apre bocca.
Forse è perfino sbagliato definirle menzogne: lo sarebbero se chi le pronuncia
desse importanza alle parole, le considerasse un impegno, una fatica, un lavoro, non un rumore di fondo, un riempitivo, al massimo una didascalia sotto la sua effigie.
Non c’è Polis senza Logos, secondo il pensiero classico, e dunque non ci può essere vera politica senza rispetto per quello che si dice. La svalutazione del Logos, in questo senso, è strategica per la svalutazione della politica e la sua sostituzione con la forza, che non ha alcun bisogno di parlare.
(da La Repubblica)
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