SILVIO, DA FORZA ITALIA AL MILAN, LA GRANDE LIQUIDAZIONE
“LE REGIONALI? IO LA FACCIA NON CE LA METTO”… E IN PUGLIA FORZA ITALIA RISCHIA DI NON ENTRARE IN CONSIGLIO REGIONALE
Rosso nel volto: “Fitto non me lo devi neanche nominare, io non lo voglio più vedere nè sentire. Che faccia quello che vuole”. Questa la risposta.
Davanti a Berlusconi c’è un attonito Denis Verdini.
Mercoledì pomeriggio a palazzo Grazioli. Per un’ora il mago dei numeri gli ha spiegato che, avanti così, si avvicina il big bang di Forza Italia: “Silvio, io dico solo questo. Per i sondaggi stiamo al 12, e la Puglia e la Campania sai quanto valgono? Il tre per cento: se non teniamo lì andiamo sotto al dieci”.
La fine appunto. Berlusconi, raccontano quelli che ci hanno parlato, non ne vuole sapere di Fitto.
Ma più in generale non ne vuole sapere delle regionali: “Andrà male e io la faccia non ce la metto. Poi dopo, rifonderemo…”.
Parole pronunciate senza neanche tanta convinzione. Sono tante le ragioni del disimpegno, la principale è che gli avvocati suggeriscono prudenza.
Perchè è vero che i servizi sociali a Cesano Boscone sono finiti, ma manca ancora l’attestato di fine pena da parte del tribunale di sorveglianza, che arriva entro tre mesi dalla fine dei servizi sociali.
Ecco, meglio evitare comizi e comparsate perchè, si sa, all’uomo quando è in vena parte la frizione se pronuncia la parola giudici.
Ci sono colloqui che spiegano tutto. Quello con Verdini, che quasi gli viene da bestemmiare a sentire le risposte di Berlusconi.
Perchè in Puglia sta succedendo di tutto.
Il candidato, tal Schittulli, ha detto con brutalità meridionale a Toti: “Voglio liste forti e una lista di appoggio di Fitto, con la società civile e nuovi candidati”.
Altrimenti, pure lui saluta la compagnia, lascia Forza Italia e corre sostenuto da Fitto che è ancora una macchina di voti.
Con un dettaglio, che i ras delle preferenze pugliesi spiegano: “Forza Italia senza Fitto, con una sua lista accanto, non prende l’otto per cento e rischia di non entrare in consiglio regionale”. Chissenefrega della Puglia, dice Berlusconi.
A costo di non entrare in consiglio regionale.
E c’è già chi parla di “grande liquidazione”. Quella di Forza Italia è in atto. Ma non è l’unica. L’altra faccia dell’Impero è il Milan.
I colloqui della dismissione, in questo caso si sono svolti ad Arcore. Più volte Berlusconi ha incontrato i cinesi per vendere il Milan: “Serve ancora un po’ di tempo per limare i dettagli” ha ripetuto l’ex premier, ma la direzione è segnata.
Sono in atto un paio di “due diligence” dei conti del Milan in questi giorni: la prima è quella di Bee Taechaubol mentre in questi giorni sarebbe spuntata anche una seconda cordata cinese. Entro fine mese, al termine delle due diligence, arriva l’offerta e si vedrà se sarà venduto il 75 per cento del Milan o il 35.
È chiaro però che la trattativa porta, anche in questo caso, al disimpegno.
Vent’anni di berlusconismo e di conflitto di interessi insegnano che l’indole profonda dell’uomo resta sempre quella del padrone che, per quanto abile e anche geniale, è incapace di concepire un progetto di paese, di politica, di centrodestra, scisso dal proprio profitto politico o imprenditoriale.
Ora, consapevole che non vincerà mai più, come tutti i padroni Berlusconi liquida Forza Italia.
E avvia le pratiche per i licenziamenti.
Nel Palazzo raccontano la solita storia del vecchio leader che non ci sta con la testa, circondato da “badanti” che lo avrebbero pressochè interdetto.
“Colpa del cerchio magico” dicono quelli che ormai si sentono fuori dalle liste.
“Colpa della Rossi”, il coro. La verità è che la povera Rossi, oggetto ormai quasi di macumbe collettive, è solo il commissario liquidatore di Forza Italia per nome e per conto di Berlusconi. Come qualunque imprenditore, ci deve essere qualcuno che ha l’ingrato compito di licenziare i dipendenti per conto del capo, prendendosi strali, pianti e insulti.
Ma, a ben vedere, proprio le uscite della Rossi sono significativamente le più politiche degli ultimi mesi. Dopo le sue parole, la direzione di Forza Italia è cambiata, come succede quando le parole sono pronunciate da un leader.
In un partito in cui ognuno dice quello che vuole, le sue hanno inciso e anticipato eventi e cambi di rotta.
Quando accusò il duo “tragico” di Verdini e Letta, si ruppe il Nazareno e Forza Italia non votò Mattarella. Ora ha diramato la circolare per stabilire il tetto dei tre mandati, che ha fatto infuriare la vecchia guardia.
Il licenziamento appunto. Uscite, pensate concordate e benedette dal Capo, che sarà pure ammaccato, non è certo inquadrabile nella categoria di “vecchio rimbambito”.
Ecco, c’è molto di consapevole in questo tramonto del berlusconismo gestito da imprenditore più che da eroe romantico, all’insegna della spending review di centralisti a San Lorenzo in Lucina, collaboratori e dipendenti, tra cui i parlamentari, più che della ricerca della bella morte sul campo, in un’ultima eroica battaglia.
A chi lo ha sentito in questi giorni l’ex premier ha detto: “Dopo le regionali faremo i ‘Repubblicani’. In tutto il mondo ci sono i Democratici da un lato, i Repubblicani dall’altro. Noi proviamo a riscostruire il centrodestra sulla base di questo schema”.
Una certezza, però, a costo zero. L’azienda dismette.
(da “Huffingtonpost”)
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