SOGNI E CANESTRI, IL VIAGGIO DI OMAR DAL GAMBIA E LA FELICITA’ A 17 ANNI
PARTITO QUANDO AVEVA 13 ANNI, DA SOLO E A PIEDI, SENZA DOCUMENTI NE’ SOLDI… 4.000 KM ATTRAVERSO MALI E ALGERIA FINO ALLA LIBIA… POI IL BASKET, GLI OCCHIALI E LA SCUOLA
Giorgio Maggi ha 63 anni, quaranta dei quali spesi sul parquet a insegnare pallacanestro. Ma un ragazzino come Omar, assicura, non l’ha mai visto: «Ogni volta che si presenta in palestra per l’allenamento saluta uno a uno tutti i compagni, l’allenatore, che sarei io, più tutti i componenti dello staff. Con la mano, proprio. Ci fosse anche il pubblico, saluterebbe pure quello. Ecco, in tutta la mia carriera non avevo mai visto uno così felice di allenarsi. Contento e riconoscente. Ma con la storia che ha alle spalle, forse non è poi così strano».
Omar ha 17 anni e gioca con l’Asd Arzaga Under 18: tre giorni alla settimana, più la partita nel weekend, che è come una festa.
Si presenta alla palestra al quartiere Primaticcio con l’immancabile sorriso e i suoi due metri di altezza sorretti da quelle due gambine secche secche da mezzofondista che l’hanno portato fin qui a Milano dal Gambia dopo un’odissea lunga due anni.
Ne aveva 13 quando, abbandonato a se stesso da una famiglia assente, ha raccolto la propria vita in uno zainetto – un ricambio di vestiti, molti sogni di normalità e poco altro – e ha percorso quattro mila chilometri a piedi attraverso Mali e Algeria, fino alla Libia.
Un viaggio di mesi che lui, nel suo italiano incerto ma chiaro, si limita a ricordare come «lungo», senza altre spiegazioni, perchè in fondo oggi è solo un ricordo, una cosa passata.
Ha dormito dove capitava, fatto piccoli lavori per mettere insieme il pranzo con la cena e soprattutto per pagarsi un viaggio attraverso il mar Mediterraneo.
Il resto è, purtroppo, la solita storia di disperati, il barcone malandato, i banditi, i sogni che spesso s’infrangono contro una realtà diversa.
Per sua fortuna, a lui è andata bene. Anche grazie allo sport, grazie al basket.
Era l’estate scorsa quando, sbarcato in Sicilia, Omar decide di risalire l’Italia a piedi e raggiungere Milano dove a luglio il Comune lo accoglie e lo affida a un centro Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
Non ha documenti, gli danno un alloggio dalle parti di Baggio, lo mandano a scuola e a fare sport. Basket.
Prima non ci aveva mai giocato sul serio, solo qualche canestro al campetto. Poi arriva il provino con l’Arzaga. Ed è qui che la storia s’arricchisce di un altro capitolo da romanzo dell’Ottocento, alla Dickens.
Solo che è tutto vero, come il resto. Durante la visita per l’idoneità scoprono che Omar è miope. Non lo sapeva neanche lui.
Per 17 anni ha visto poco o niente, ombre. Gli danno degli occhiali, non ne aveva mai indossati. La prima volta che glieli hanno messi sul naso ha detto solo una parola, «awesome». Eccezionale.
«Quell’emozione, come quando gli abbiamo dato le prime scarpe pagate con una colletta fra compagni, ce la porteremo dentro per sempre – racconta Maggi –. Ci è voluto un po’ per farlo tesserare ma ce l’abbiamo fatta».
«Awesome» continua a ripetere Omar.
Ma eccezionali, giura il suo coach, sono i passi da gigante che sta facendo: sul parquet dove migliora ogni giorno e a scuola dove è stato subito promosso in terza media. A giugno l’esame, passaggio fondamentale per il futuro, un canestro da non sbagliare.
Già , perchè l’odissea di Omar non è ancora finita del tutto.
Il peggio è passato, sì, non ci sono più deserti nè criminali, ma a dicembre farà 18 anni e la legge dice che per restare in Italia gli servirà un permesso di soggiorno.
Ha uno schema di gioco preciso: la licenza, poi una scuola professionale, quindi un lavoro. Che forse non sarà il basket.
Ma in fondo che importa?
Carlos Passerini
(da “il Corriere della Sera”)
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