SUSSIDI ALL’EDITORIA: CONTERANNO LE VENDITE E NON LA TIRATURA
LO SCOPO E’ ELIMINARE GLI AIUTI AI GIORNALI CHE NON ARRIVANO IN EDICOLA
C’è una buona notizia per i giornali che ricevono il finanziamento ubblico: il fondo per l’editoria sarà di 120 milioni di euro, potrà crescere ancora, ma sarà inferiore ai 150 milioni stanziati l’anno scorso.
à‰ l’ultima concessione del governo, dicono i tecnici che lavorano al disegno di legge, prima di riformare il sistema: “Non possiamo chiedere sacrifici ai cittadini e poi distribuire denaro a pioggia senza un criterio valido”. –
Durante un colloquio riservato assieme al sottosegretario Antonio Catricalà , il premier Mario Monti ha ricevuto il sottosegretario Paolo Peluffo (Editoria) per trovare nuove risorse per il fondo destinato ai quotidiani.
Ma anche per scrivere il decreto legge che sarà approvato in Consiglio dei ministri entro fine marzo: “Aumentiamo le risorse per dare un segnale ai giornali e garantire loro la possibilità di ottenere i prestiti necessari per andare avanti, contestualmente, però, dovremo dimostrare che in futuro sarà tutto diverso”.
Che vuol dire? “Mai più soldi a chi non li merita”.
E così il governo scriverà nel decreto legge di marzo che il finanziamento pubblico sarà calcolato (al 70 per cento) sulle vendite reali in edicola e sui costi di gestione (al 30 per cento): niente milioni sprecati ai più furbi che tirano migliaia di copie che morivano direttamente al macero senza farsi notare nemmeno dai lettori.
Esempio: un grande quotidiano potrà avere al massimo 3,5 milioni di euro per le vendite e al massimo 2 milioni di euro per i rimborsi dei costi sostenuti.
Non avrà un euro la testata che esiste soltanto virtualmente (ricordate l’Avanti! di Valter Lavitola?), che appare e scompare in edicola, ma che gonfia le voci di bilancio con migliaia di euro per telefonate, affitti, trasferte e consulenze.
Tra i costi saranno conteggiate le spese per la distribuzione, la carta, la stampa e per il personale: “Ci teniamo a ripetere che le vendite saranno determinanti”.
Saranno esclusi, inoltre, i quotidiani che avranno meno di cinque dipendenti in organico fra giornalisti e poligrafici, addio quotidiani di partiti sciolti e movimenti che vivevano di rendita.
Per conoscere davvero i numeri sull’acquisto dei quotidiani, e scoraggiare i più esperti che truccavano le autocertificazioni aziendali, il decreto legge avrà un capitolo edicole: i circa 30 mila punti vendita saranno informatizzati, collegati attraverso un cervellone che permette di rintracciare le copie distribuite e conoscere le rese quasi in tempo reale.
Non avranno il valore di una copia venduta quelle offerte in blocco e quelle appaltate agli strilloni ai semafori.
Il decreto legge fisserà i punti di partenza, poi un disegno di legge delega dovrà sviluppare le idee di Monti e Peluffo che, spiegano, “non vogliono limitarsi a fotografe il mercato attuale, ma vogliono cercare di aprire il settore a nuovi operatori”.
La riforma dovrà anche prevedere incentivi per il passaggio su Internet dei quotidiani che non riescono a raggiungere un numero adeguato di copie vendute in edicola e anche per le società che intendono investire nel settore.
Che sia utile e brillante oppure dannosa e vecchia, qualsiasi iniziativa del governo dovrà tenere conto che le risorse pubbliche non lieviteranno nei prossimi anni, semmai subiranno pesanti riduzioni.
Forse la proposta del sottosegretario Catricalà , che ai suoi interlocutori è sembrata piuttosto prematura, potrà avere spazio nel testo che dovrà riformarel’editoria.
L’ex presidente Antitrust ha suggerito di utilizzare un modello “a rotazione”: nessuno avrà i contribuiti sicuri per sempre, anzi, ogni due o tre anni, il Tesoro potrebbe smettere di finanziare una testata già sul mercato per aiutarne una nuova.
Prima di valutare le sue buone intenzioni, il governo deve, però, trovare i soldi per evitare il collasso dei giornali di partito e delle cooperative che non riescono nemmeno a pagare gli stipendi.
Per adesso il fondo per l’editoria è di 120 milioni di euro, potrebbe arrivare a 140, ma sarà comunque l’ennesimo passo indietro rispetto all’anno scorso.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)
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