“THE GUARDIAN” BOCCIA L’EXPO: “UN FOLLE COLLAGE DI TENDE ONDULATE”
CHE LASCIA DEBITI E INFRASTRUTTURE ABBANDONATE
“Un folle collage di tende ondulate, di pareti verdi e di massi contorti”.
Non potrebbe essere più duro il commento del quotidiano inglese The Guardian sull’Esposizione Universale di Milano inaugurata il 1 maggio scorso.
Secondo Oliver Wainwright, critico di architettura e design, Expo 2015 non fa che confermare dubbi consolidati sul senso e sul destino di una manifestazione tanto mediatica quanto imperfetta.
Più di 100 ettari di terreno nell’interland milanese e 145 Paesi chiamati a interpretare il tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.
Eppure Expo divide più che unire.
Questo si sostiene, prima di tutto, nell’articolo del Guardian: mentre partecipanti e sponsor erano impegnati a farsi notare nel giorno dell’inaugurazione, “migliaia di manifestanti occupavano le strade e alcuni gruppi violenti distruggevano le vetrine e bruciavano macchine parcheggiate”.
Wainwright mostra, poi, forti perplessità sotto il profilo finanziario.
Expo 2015, scrive, “è afflitta, appestata dal problema dei budget in continuo aumento”.
Solo per i costi di costruzione delle nuove reti di trasporto (che collegano la città all’area dell’Esposizione, collocata a 10 chilometri di distanza), si tocca oggi quota 13 miliardi di euro.
E sui costi, afferma Wainwright, un ruolo determinante giocano i continui ritardi nei lavori: “Un milione di euro è stato speso per costruire strutture destinate a nascondere i padiglioni ancora incompleti”.
Qualche parola tagliente anche sulla corruzione e il malaffare, sugli scandali paralleli all’evento. “Anche se è stata sponsorizzata come il modello di un’Italia ripulita, post-berlusconiana, Expo è in realtà segnata dalle accuse di corruzione “.
La critica prosegue soffermandosi sugli spazi visitabili.
“È ben difficile non vedere il sito come una gestione errata delle risorse. I contenuti sono tanto insulsi quanto è stravagante l’architettura”.
Una stroncatura pesante, non c’è che dire: secondo Wainwright, “molti padiglioni appaiono un ibrido tra tipiche pubblicità di supermercato e certe fiere per agenti di viaggio”.
A sostegno della tesi viene portata una voce autorevole, quella di Stefano Boeri. L’architetto e urbanista, inizialmente incaricato per il coordinamento del piano, fu rimosso nel 2011 a seguito di ampie polemiche sul progetto.
Ora dichiara al quotidiano britannico di aver confidato a lungo nell’opportunità di “fare qualcosa di radicalmente diverso”, qualcosa di buono per la città . Ma di non aver potuto arrivare fino in fondo.
Eppure lo staff, racconta ancora l’architetto al Guardian, era stato selezionato accuratamente per non fallire.
Nomi eccellenti, dagli svizzeri Herzog & de Meuron all’inglese Ricky Burdett, dall’americano William McDonough fino allo spagnolo Joan Busquets.
“Sarebbe stato ben difficile immaginare un gruppo di esperti migliore di questo, così orientato all’eredità futura di Expo”.
L’eredità dell’Esposizione Universale è, in effetti, il punto decisivo, il nodo della questione cui Oliver Wainwright vuole arrivare.
Nelle intenzioni di Stefano Boeri e dello staff originariamente incaricato, Expo avrebbe dovuto puntare al contenuto, non perdersi nella seduzione delle forme.
“Fui molto colpito quando visitai l’Expo di Shangai (del 2010, ndr)”, spiega a questo proposito al Guardian Jacques Herzog, uno degli architetti al lavoro con Boeri.
“Lì, si veniva a tal punto accecati dall’enorme quantità di design che, una volta finita la visita, si dimenticava l’intera esibizione. A Milano, invece, volevamo focalizzarci sul contenuto, fare del sito un laboratorio utile alla città , che non lasciasse sulla strada il solito deserto di rovine”.
Un progetto ambizioso, quello del team di Stefano Boeri, ma anche innovativo.
Forse troppo. Questo sostiene Wainwright.
E non si riferisce soltanto alle idee alla base del progetto, ma anche alla scelta di ricostruire una Milano di epoca romana. Partire da un Cardo e un Decumano e da lì proiettare gli spazi verso l’esterno, con tante strade laterali ma nessuna gerarchia, significava, spiega il Guardian, assegnare la stessa importanza ai Paesi ricchi e a quelli poveri.
Significava anche offrire a Milano qualcosa da tenersi stretto al termine dell’Esposizione. “Le tende se ne sarebbero andate, ma le infrastrutture sottostanti sarebbero rimaste”, spiega ancora l’inglese Burdett.
Queste, per il Guardian, le intenzioni iniziali. Ma la realtà si sarebbe rivelata ben diversa.
Colpa, si afferma, anche del Bureau of International Expositions (Bie), l’agenzia che dal 1928 è responsabile del coordinamento delle Esposizioni Universali e che presterebbe da sempre scarsa attenzione al futuro delle città assegnatarie dell’evento.
Nessuno nega il fascino intrinseco di Expo che, tra il palazzo-fortezza del Qatar, il soffitto ricoperto di specchi dell’Iran e infiniti altri progetti accattivanti, lascia a bocca aperta.
Ma è davvero sufficiente, si chiede Wainwright, stupirsi di fronte alla stravaganza delle architetture?
La risposta del Guardian è negativa. “A un certo punto si viene bruscamente svegliati, si esce dal proprio sogno kitsch e ci si ricorda che cosa resterà e a che prezzo è stato realizzato”.
I terreni agricoli hanno lasciato il posto al progetto di una “garden city” permanente, ma quel progetto è fallito e a rimanere è solo una lastra di calcestruzzo.
Naufragato anche il piano di riapertura delle vie d’acqua di Milano.
A lavori avviati, spiega ancora Wainwright, ci si è resi conto che la pressione dell’acqua non sarebbe mai stata tanto intensa da poter raggiungere i campi coltivati.
E, come se non bastasse, secondo il Guardian sarà davvero complicato trovare un acquirente dell’area al termine dell’Esposizione.
Il tentativo tocca alla società proprietaria del terreno, Arexpo, partecipata, tra gli altri, dal Comune di Milano e dalla Regione Lombardia.
Ma c’è un dettaglio a complicare l’operazione: Arexpo sconta lo svantaggio di partenza di aver acquistato quei terreni a un prezzo fuori mercato. Precisamente a 160 euro per metro quadro, a fronte degli 8-12 euro di mercato.
Al netto delle anomalie tutte italiane, il problema di fondo delle Esposizioni è uno e uno solo, conclude il Guardian: i benefici, quando ci sono, non valgono gli sforzi. Perchè Expo, per come è concepita, non può che esaurirsi in uno spreco di risorse, in una fonte inesauribile di debiti e, spesso, in una fabbrica di rovine permanenti.
(da “Huffingtonpost”)
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