TRATTATIVA TRA COLLE E SILVIO: GRAZIA CONTRO DIMISSIONI?
NAPOLITANO HA APERTO ALLA CANCELLAZIONE ANCHE DELLE PENE ACCESSORIE MA BERLUSCONI MENTRE ASPETTA VUOLE RESTARE SENATORE
Serve senso di responsabilità da parte di tutti i giocatori ossia i partiti di maggioranza. E giocatore e arbitro è Napolitano”.
Renato Brunetta, da Cernobbio, riassume così i termini della questione nel giorno in cui sembrano di nuovo prevalere i toni calmi dell’appeasement istituzionale.
Fedele Confalonieri, infatti, dopo la sua visita al Quirinale di giovedì, ieri s’è presentato a pranzo a Villa San Martino, Arcore.
Come per incanto, in attesa di capire come andrà a finire, i canti di guerra del centrodestra si sono placati.
Nelle stesse ore Giorgio Napolitano sbarcava a Venezia per la Mostra del Cinema: “Ritiene che il clima politico si sia rasserenato?”, gli chiede un cronista.
Lui, serafico: “Mi fa piacere che lei lo veda rasserenato”.
Tanta gentilezza ha una sua ragione, spiegano fonti di maggioranza (tanto di area Pd che Pdl): il capo dello Stato avrebbe “aperto” alle richieste di Silvio Berlusconi su una grazia “esaustiva” (copyright di Sandro Bondi) ed escluso il suo appoggio a “governicchi” tipo il Letta bis con “responsabili” annessi.
E qui il terreno si fa più scivoloso.
Per un motivo piuttosto semplice: non è chiaro se le due parti si siano capite davvero. Napolitano non si è mosso dalla linea illustrata nella sua nota di agosto: è disposto a lavorare sulla “agibilità personale” del Cavaliere, cioè sulle condanne, su quella politica se questo significa riconoscerne anche pubblicamente la leadership sul centrodestra, ma la carriera da parlamentare e uomo di governo del tycoon di Mediaset è finita.
Un riflesso di questa posizione del capo dello Stato si coglie nelle parole di ieri di Massimo D’Alema: “Uscire di scena? Berlusconi può uscire dal Parlamento, ma fino a quando lui mantiene un consenso e una presa sul suo partito continuerà ad esercitare un ruolo politico. Certo la sua stagione volge al declino”.
Non a caso, il Colle — a quanto pare — starebbe consigliando al capo del centrodestra di non andare nemmeno allo scontro sulla decadenza: cominci a pensare alle dimissioni, piuttosto, che sono la strada meno traumatica per dare a questa partita un finale che accontenti tutti.
La trattativa, insomma, gira attorno alla rinuncia di Berlusconi ad un ruolo attivo da un lato e dall’altro a una concessione piena della grazia da parte di Napolitano, cioè anche sulla pena accessoria dell’interdizione ai pubblici uffici che arriverà peròsolo quando la Corte d’appello di Milano l’avrà ricalcolata: metà ottobre, se fa in fretta. È a questo incrocio di decisioni e desideri che la faccenda rischia di finire in un incidente mortale.
La trattativa, infatti, è un fiore delicato e rischia di appassire al primo scroscio d’acqua o giornata di sole. “Confalonieri non ha portato a casa nulla”, dicono infatti quelli che vogliono andare al voto subito e lo stesso Berlusconi sarebbe molto scettico sui risultati della missione sul Colle del suo amico più fidato e massimo manager di Mediaset. “Napolitano fa bene a fidarsi di noi”, si fa coraggio Alfano.
Il fatto è che il Cavaliere vuole restare in Senato almeno fino a un minuto prima che il capo dello Stato gli abbuoni i quattro anni di galera e quelli di interdizione.
Niente fretta sulla decadenza: “Se lunedì la Giunta accelera non ci sarà altra discussione”, scolpisce ancora Brunetta. “Un mese se ne va anche solo a termini di regolamento”, aprono fonti del Pd.
Si potrebbe arrivare, in sostanza, a quella metà ottobre in cui tutti i destini dovrebbero compiersi: la Corte d’Appello quantificare l’interdizione, Silvio Berlusconi cominciare a scontare la pena, il Colle a preparare la grazia “esaustiva” di cui sopra, l’interessato gentilmente a dimettersi da senatore.
Ma a cosa serve tutto questo marchingegno al Cavaliere?
Gli serve perchè è convinto di poter fregare tutti ancora una volta, di potersi permettere comunque un ultimo rodeo elettorale, quando sarà , nonostante la legge Severino lo renda incandidabile per i prossimi sei anni.
Il meccanismo è semplice quanto, per così dire, berlusconiano: si tratta semplicemente di forzare le regole del gioco.
Berlusconi si candida, l’Ufficio elettorale lo cancella dalle liste, lui fa ricorso al Tar con annessa cagnara mediatica sui giudici antidemocratici e se gli riesce di rimanere in lista anche in via cautelare il gioco è fatto: riparte la grancassa sui milioni di voti espropriati, negati, stracciati. “Stavolta però non ce la fa — prevede uno dei suoi, specie ‘falco’ — Tra Renzi e la sua incandidabilità rischiamo di uscirne completamente devastati”.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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