TRUMP APPARECCHIA UNO SCENARIO HORROR PER L’EUROPA: VUOLE CONSEGNARE A PUTIN LO SCETTRO DEL MEDIATORE TRA IRAN E ISRAELE IN CAMBIO DI UNA TREGUA PURCHÉSSIA IN UCRAINA, SULLA PELLE DI ZELENSKY
I LEADER UE AL G7 IN CANADA SPIAZZATI DAL COMPORTAMENTO DEL TYCOON, CHE HA LASCIATO IL VERTICE IN ANTICIPO: L’UNICA LINEA ROSSA CHE MACRON, STARMER, MERZ E MELONI HANNO POTUTO METTERE (POCO CONVINTI) È CHE PUTIN NON VA RIABILITATO
Qualche minuto prima del G7, in un angolo del Pomeroy Kananaskis Mountain Lodge. Donald Trump si ferma per qualche minuto con Emmanuel Macron, Keir Starmer e Giorgia Meloni. Gli europei ci mettono un attimo a capire quello che già sentono di aver intuito: Israele non si fermerà, non subito. Non lo farà perché il presidente americano sostiene l’azzeramento del regime. Si tratta di uno scenario che i big continentali non possono – e neanche davvero vogliono – fermare. E dunque lo accettano, di fatto.
Cercheranno di non parlare troppo di de-escalation, limitandosi al più blando concetto di «negoziato». Proveranno però almeno a sollecitare un’eventuale transizione ordinata a Teheran. Vogliono evitare il caos politico e la guerriglia etnica, un vuoto di potere che infiammi la regione e sfoghi i suoi effetti sul vecchio continente.
Ma soprattutto, lavoreranno per disturbare un’opzione geopolitica che sentono approssimarsi: un patto tra il tycoon e Putin. Che includa non solo il Medio Oriente, ma anche Kiev. Sulla pelle degli ucraini. Scaricando l’Europa. Ne avevano discusso anche domenica sera, al bar del resort dei Sette.
Da alcune ore, l’intelligence e la diplomazia delle principali cancellerie Ue, Roma compresa, hanno ricevuto infatti un altro messaggio degli iraniani: siamo pronti a negoziare, se gli Usa
restano fuori dal conflitto.
Letto in controluce, è un segnale di debolezza, indizio di imminenti rivolgimenti. […Il tedesco Friedrich Merz è il più netto a sostegno della campagna d’Israele: l’Iran – si espone – non può avere l’atomica, e Tel Aviv ha diritto a difendersi, fermo restando la necessità di uno «spazio diplomatico» per il negoziato.
Sanno che l’indomani il tycoon traccerà la nuova mappa del mondo. E temono la sponda tra Washington e Mosca per scambiare il nuovo corso a Teheran con la sostanziale sottomissione degli ucraini alle condizioni del Cremlino.
La strategia europea, se davvero di strategia in questo caos di può parlare, è tentare di reagire fissando almeno una linea rossa che l’Europa «non può accettare»: nessuna riabilitazione di Putin. Prima ancora del principio, prevale una valutazione pratica: ne va della sicurezza del continente.
Chi l’ha detto in chiaro è Macron: «Non credo a una sua mediazione». Anche Merz non vede lo Zar in «quel ruolo». Lo lascia intendere Starmer, chiedendo nuove sanzioni alla Russia per fermare una «guerra illegale». Meloni si espone meno, fedele alla necessità di non strappare con Trump. Ma siede al tavolo europeo, condivide le stesse angosce. Su X le condensa in poche parole, un invito all’unità: «Costruire pace, stabilità e crescita. Per un Occidente più forte. Insieme».
Pubblicamente sceglie però di impegnarsi su un altro dossier, in queste ore meno centrale: Gaza. Studia una proposta per il cessate il fuoco, la sottopone ai big europei ricevendo – dice Palazzo Chigi – alcune «aperture». Certo è che l’italiana continua a coltivare anche il nuovo rapporto di necessità con
Macron. Le telecamere rubano un colloquio fitto, con il francese che siede al suo fianco. A un certo punto la leader si mostra stupita e fa segno di approvazione con il pollice.
(da La Repubblica)
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