UDIENZA ILARIA SALIS, LA PRIMA VITTIMA: “NO, NON LA RICONOSCO”
CAOS IN AULA: IL GIUDICE RIVELA IL SUO DOMICILIO SEGRETO, INSORGE IL PADRE: L’ENNESIMA VERGOGNA DEL REGIME DI ORBAN
La prima sveglia ai domiciliari ungheresi con una telefonata del padre dopo 15 mesi poi la corsa in tribunale. Ilaria Salis è arrivata oggi in aula nel processo che la vede imputata per la prima volta senza catene, guinzagli e manette, in taxi con l’infaticabile padre, Roberto Salis.
Alle 8.30 in punto maglietta a righe bianche e rosa, rosa il maglioncino e il legacapelli al polso, jeans grigi strappati sopra il ginocchio, sneakers bianche, braccialetto elettronico fissato alla caviglia, è sfilata davanti ai giornalisti: “Ringrazio tutti per il supporto che mi hanno dato in questi mesi, ma ora non posso fermarmi. Devo andare al processo». Le prime parole non da donna libera ma fuori dal carcere di massima sicurezza.
In aula parla mezzora con il papà, gli avvocati italiani e ungheresi, il traduttore: “Stanotte non ho dormito, la cavigliera mi dà fastidio, vibra, fa cose strane”. Sotto quel braccialetto fissato sopra il piede i lividi. I parenti la rassicurano: «Quando vedi Balint (l’avvocato ungherese, ndr) diglielo».
Sorride, saluta la mamma e nelle ultime file i suoi amici, i compagni arrivati dall’Italia, il fumettista Zerocalcare.
A chi si avvicina, risponde: «Non posso parlare ora, scusatemi». Poi inizia l’udienza, la sua terza qui a Budapest (una preliminare e due dibattimentali): saranno ascoltati una vittima di una delle due aggressioni per cui l’antifascista italiana è imputata e due testimoni dell’accusa. I tre si trovano in una altra aula, video collegati con la sala in cui si trova la detenuta italiana.
Ilaria Salis, con il suo avvocato Gyrogy Magyar, ha chiesto che l’udienza venisse aggiornata a quando gli atti processuali saranno finalmente tradotti in italiano, non prima di novembre. Il giudice però ha rigettato la richiesta.
“Il provvedimento dei domiciliari – spiega il giudice – sarà valido solo per sei mesi”. Poi in aula scoppia il caso. Perché il giudice, nel parlare della misura cautelare, rivela l’indirizzo di attuale domicilio di Salis, un luogo che doveva rimanere segreto per ovvie ragioni di sicurezza. Il padre di Ilaria si alza in piedi, dai banchi si rumoreggia, l’avvocato della difesa chiede per due volte che non sia diffuso né dal verbale processuale, né dalla molta stampa presente, né tantomeno dal giudice.
Poi è la volta della vittima, collegata da una aula al primo piano del tribunale di Budapest: “Zoltan Toth riconosce il volto Ilaria Salis?”. “No, non la riconosco. So chi è perché il suo nome è legato a questo caso ma non riconosco il suo viso. Chi mi ha aggredito aveva il volto coperto da maschere e cappelli. Mi hanno picchiato con bastoni telescopici, mi hanno colpito alla testa, mi hanno spruzzato spray al peperoncino in faccia, non ho capito nulla, ho riportato 7 ferite, tre costole rotte”
(da agenzie)
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