UN ADDIO IMPROVVISO E TRAUMATICO: SERGIO MARCHIONNE MALATO, COSTRETTO A LASCIARE FCA
SI CHIUDE UN’ERA LUNGA 14 ANNI PER IL MANAGER DEI DUE MONDI
L’ha presa Fiat e la lascia Fca. L’ha presa sull’orlo del baratro e la lascia senza debiti. Non ha raggiunto tutti i target industriali che si era prefissato, ha però compiuto una marcia costante su quelli finanziari.
In questo, ma non solo, c’è il senso dell’era di Sergio Marchionne, 14 anni alla guida della casa torinese, oggi azienda italo-statunitense di diritto olandese, settimo gruppo automobilistico mondiale.
Anni di scelte impopolari, di rotture nelle tradizioni relazioni industriali e sindacali, di lavoro sul prodotto.
Sergio Marchionne lascia Fiat Chrysler Automobiles in modo improvviso, traumatico. Si sapeva da tempo che avrebbe lasciato il testimone.
Avrebbe però dovuto passare la guida nella primavera 2019, mantenendo la carica di consigliere di Exor e di presidente Ferrari fino al 2021.
E invece cause di forza maggiore lo portano all’addio da tutti gli incarichi della galassia Agnelli.
Ci sono gravi motivi di salute, “complicazioni inattese” di un intervento subito a fine giugno che gli impedirà di riprendere l’attività lavorativa. Il manager non compare in pubblico dal 26 giugno, quando consegnò una Jeep all’Arma dei Carabinieri ed era anche per questo molto atteso all’appuntamento con la trimestrale di mercoledì prossimo.
Sergio Marchionne è un manager dei due mondi. Nasce a Chieti nel 1952.
Il padre Concezio era maresciallo dei Carabinieri, a lungo in servizio in Istria a cavallo delle due guerre e oltre. Lì conosce la madre Maria, la cui famiglia fu tragicamente perseguitata nello scontro etnico fra italiani e slavi.
Per questo i due si rifugiano dalla famiglia di lui, in Abruzzo. Lì nasce Sergio, e lì resterà fino ai 14 anni. Poi il padre, raggiunta la pensione, decide di prendere armi e bagagli e ricominciare in Canada.
Marchionne prende due lauree (Filosofia all’università di Toronto, Legge alla Osgoode Hall Law School of York University) e un Mba (Università di Windsor). Lavora come commercialista e avvocato, si forma in diverse esperienze aziendali.
La prima svolta arriva nel 2002, quando diventa a.d. di Sgs a Ginevra e si fa notare da Umberto Agnelli, che lo coopta nel Cda di Fiat nel 2003.
Il primo giugno 2004 da perfetto sconosciuto veniva chiamato a gestire la Fiat. Al suo fianco c’erano il presidente Luca Cordero di Montezemolo e il vice John Elkann.
Le sue prime parole furono queste: “Fiat ce la farà . Il concetto di squadra è la base su cui creerò la nuova organizzazione; prometto che lavorerò duro, senza polemiche e interessi politici”.
Le polemiche in realtà non sono mancate, come il lavoro duro. Marchionne indossava giacca e cravatta, in seguito non accadrà quasi mai.
Al pullover blu ha rinunciato in pochissime occasioni: di recente ha sfoggiato la cravatta proprio per annunciare il traguardo del debito zero. “Erano 10 anni che non la indossavo, me l’anno regalata”.
Un traguardo importante, se si pensa da dove era partita la gestione Marchionne. Non arrivava in un momento qualsiasi, era una fase drammatica per l’azienda: era appena morto Umberto Agnelli, era stato allontanato Giuseppe Morchio.
Il bilancio 2003 si era chiuso con un rosso di 2 miliardi, il Lingotto era sull’orlo del baratro. Sul fronte finanziario i primi successi del manager italo-canadese furono la rottura dell’alleanza con Gm, che impediva l’acquisto di Fiat Auto da parte della casa americana, e l’accordo con le banche sul convertendo da 3 miliardi di euro, grazie al quale gli Agnelli mantenevano il controllo.
Marchionne il 17 febbraio 2005 diventava anche a.d. dell’auto (solo Cesare Romiti aveva tenuto le due cariche), lanciava a Torino la Grande Punto e varava un piano che prevede entro il 2008 investimenti per 10 miliardi.
Nei conti del 2005 il turning point: il gruppo registra, per la prima volta dopo 5 anni un utile di 1,4 miliardi e il risultato della gestione ordinaria è venti volte superiore a quello del 2004.
Alla presentazione dei conti 2006, Marchionne parlava di una Fiat finalmente uscita dall’emergenza e a suggellare la rinascita arrivava il 4 luglio 2007 la nuova 500 presentata con una grande festa a Torino
La crisi del 2008 costringeva il Lingotto a modificare i piani e richiedeva un massiccio ricorso alla cassa integrazione.
“Il 2009 – ha ammesso Marchionne – sarà l’anno più difficile della mia vita perchè sono state spazzate via le condizioni sulle quali avevamo definito i nostri programmi”. Nel 2009 però Sergio Marchionne assestava il colpo da novanta, con l’acquisizione della statunitense Chrysler, fallita l’anno prima, e il cambio del nome, da Fiat a Fca. Domicilio fiscale passava a Londra, la sede legale trasferita dopo 115 anni da Torino ad Amsterdam, a proposito di scelte impopolari.
In piena crisi economico-finanziaria, Marchionne aveva ben chiaro che il piano stand-alone non poteva bastare per Fiat. “Solo quei gruppi che riusciranno a fabbricare 6 milioni di automobili l’anno saranno in grado di resistere nel futuro”.
Ad aprile l’avvio di lunghe e travagliate trattative per Chrysler con i sindacati e l’amministrazione Obama, fino all’accordo, annunciato dal presidente americano, che prevedeva l’acquisizione da parte del Lingotto del 20% delle azioni Chrysler, in cambio del know how e delle tecnologie torinesi. Poi diversi step con l’aumento della quota nella casa americana.
Dal 2014 Marchionne diventava anche presidente di Ferrari al posto di Luca Cordero di Montezemolo e dava il via al processo di spin-off del Cavallino da Fca completato a inizio 2016 con la quotazione a Wall Street, dove il manager aveva portato già Fiat Chrysler a ottobre 2014. Una scommessa vinta.
Gli analisti, al momento della quotazione, assegnavano un valore al Cavallino tra i 5 e gli 8 miliardi di euro, mentre oggi Ferrari capitalizza oltre 22 miliardi di euro e continua a macinare utili.
Non è un caso che l’ultima operazione straordinaria annunciata da Marchionne, che fa parte del piano 2018-2022, sia un altro scorporo, quello di Magneti Marelli, previsto entro l’inizio del 2019.
L’era Marchionne ha inoltre segnato profondamente le relazioni industriali in Italia. Capace di portare avanti scelte impopolari, il manager ha aperto uno scontro frontale con la Fiom, negli stabilimenti e nelle aule dei tribunali, sul nodo della governabilità delle fabbriche contro assenteismo e microconflittualità diffuse.
Voleva applicare il sistema di organizzazione del lavoro americano e chiede ai sindacati di abolire gli accordi integrativi e adottare un nuovo contratto specifico. Vengono indetti referendum a Pomigliano e Mirafiori, i lavoratori approvano la linea Marchionne. Un altro fronte, Marchionne lo apre con Confindustria annunciando a fine 2011 l’uscita dall’associazione. Una decisione clamorosa perchè all’inizio del ‘900 la Fiat era stata uno dei suoi soci fondatori.
Lo scontro con il sindacato viene accentuato dal piano Fabbrica Italia, che non dà il successo sperato. Doveva portare a produrre 1,4 milioni di vetture nel 2014, un target lontano anni luce per l’Italia.
Nel 2014 il manager presenta un nuovo piano, più vago sui target, centrato sulla produzione dei modelli premium, che hanno un maggiore margine di guadagno. Porta la Jeep a Melfi, rilancia l’Alfa Romeo.
In 14 anni Sergio Marchionne ha staccato poche cedole, ma chi ha creduto in lui, investendo in Borsa sul titolo, può ben dirsi soddisfatto.
Chi avesse investito 1.000 euro su Fiat all’inizio del 2011, con le azioni a 7,02 euro dopo lo spin-off con Fiat Industrial – ora Cnh Industrial -, adesso, con le azioni a 16,42 euro, avrebbe 2.300 euro in tasca.
Prese il timone di una Fiat con ricavi pari a 47 miliardi di euro, un indebitamento di 500 milioni. L’ultimo bilancio, quello 2017, vede ricavi per 110,9 miliardi di euro, profitti per 3,51 miliardi e un indebitamento netto che a metà 2018 è azzerato.
I numeri sono dalla sua parte. “Il mio successore sarà interno. Oggi era qui” ha detto in occasione della presentazione del piano 2018-2022. Tocca a Mike Manley, numero uno di Jeep. La successione avviene in modo brusco, traumatico, improvviso, ma Marchionne lascia una Fiat in carreggiata.
Non sarà una passeggiata e non sarà scontato che Fca, senza Marchionne, continuerà a mantenere il suo legame con l’Italia come oggi.
(da “Huffingtonpost”)
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