Destra di Popolo.net

CULTURA, LO SCATTO DELLA DESTRA NON C’E’

Luglio 12th, 2025 Riccardo Fucile

EGEMONIA NON VUOL DIRE “LEVATI TU CHE MI CI METTO IO”

Nessuno si aspettava dal governo di destra qualcosa come la messa in cantiere dell’Enciclopedia Italiana. Non solo perché i tempi non sono più quelli, non solo perché lo sconsigliava un’ovvia prudenza, e non solo perché di Giovanni Gentile non mi pare che in giro ce ne siano molti. Ma soprattutto per una ragione: perché anche Giorgia Meloni sa che nei regimi democratici non spetta ai governi di occuparsi troppo e troppo da vicino di cose della cultura così grandi e ideologicamente connotate come quella.
Qualcosa dunque come l’Enciclopedia Italiana no, ma qualcosina forse sì. Che so: un’iniziativa museale nuova e di prestigio, o magari, viste le nostre tradizioni, qualcosa di peso e di generosamente finanziato nel campo della musica o del teatro musicale, o ancora: dar vita, ad esempio, in qualche settore scientifico d’avanguardia a un istituto internazionale di ricerca importante, oppure insieme a un gruppo di Paesi africani immaginare un grande centro studi sul fenomeno migratorio; ancora: costituire ex novo o a partire da quanto già esiste un grande polo bibliotecario specificamente dedicato a un importante settore disciplinare (arte, storia, per dire) o a qualcosa di totalmente nuovo (video e «graphic novel», sempre per dire). Insomma, chi stava al governo poteva, per rilanciare l’immagine culturale del Paese e intestarsi qualcosa d’importante, pensare a qualcuna delle iniziative ora dette. O pensarne mille altre invece di non fare nulla, come ha fatto, pur avendo davanti cinque anni di tempo prevedibilmente raddoppiati in altri cinque.
Perché tra l’altro è così, diciamolo pure, che si costruisce l’egemonia, se proprio bisogna metterla in questi termini. Cioè avendo delle idee, delle buone idee, sapendo poi trovare le persone e i modi giusti per trasformarle in iniziative, in istituzioni, in prodotti, libri, mostre, film. È così che si acquista credito, autorità e influenza nel campo della cultura: credito che alla lunga diviene prestigio, e che nel caso di un partito finisce poi per riverberarsi su di esso e per trasformarsi in un importante capitale politico. Egemonia non vuol dire, infatti, avere una lista di posti a disposizione e cominciare a riempirli sostituendo gli amichetti degli altri con i propri, all’insegna del fatidico «levati tu che mi ci metto io». Tutto comincia sempre dalle idee. Deve cominciare da qui. Specialmente se, come la destra è costretta a fare, si parte in svantaggio e dovendo, diciamo così, rimontare.
E invece, ad oggi, il suo bilancio in questo senso è assai deludente. In quanto maggioranza di governo la destra, ad esempio, è per legge la padrona della Rai, vale a dire, come sempre ci viene ricordato, della più grande industria culturale del Paese. Ebbene, mai come oggi la Rai appare un polveroso
deserto di idee, una cosa che con la cultura, tranne alcuni programmi di ultranicchia non ha nulla a che fare. Al suo posto, lotte continue e furibonde per la poltrona di megadirettore galattico, di vice caporedattore aggiunto, fino allo sgabello di cameriere in prova alla mensa di via Asiago.
La Rai — mi perdonerà Aldo Grasso se in qualche modo gli rubo il mestiere — avrebbe potuto essere uno strumento prezioso per insegnare agli italiani a essere meno faziosi quando ragionano di politica facendoli assistere, ad esempio, a dibattiti veri e non a scimmiottature delle vuotaggini parlamentari; avrebbe potuto servire per metterli un po’ al corrente delle molte cose del mondo di cui sono in genere digiunissimi, e dunque anche per far loro sapere che cosa sono davvero lo spettacolo, l’ironia, l’anticonformismo, la cultura, i libri, l’intelligenza. Non si poteva trasmettere a viale Mazzini una direttiva in questo senso invece di obbligarci a vedere ogni sera tristi ragazze rifatte, tristi comici spompati e fiction raccapriccianti? Non si poteva avere un po’ di coraggio, di ambizione?
E così un po’di coraggio e di ambizione è stato costretto a
mostrarlo il solo ministro Valditara, imbarcandosi nella perigliosa impresa di dar vita niente di meno che a nuove Indicazioni per la scuola italiana dell’obbligo. Lo ha fatto — come è sempre accaduto, sempre in tutte le circostanze analoghe — con l’aiuto di un certo numero di docenti universitari, tra cui chi scrive, avventurandosi insieme a loro in un territorio che la sinistra di tutte le tinte ha sempre considerato un suo elettivo monopolio politico-culturale. E dunque dovendo affrontare, lui e i docenti suddetti — molti dei quali, sarà bene precisarlo, di opinioni politiche affatto diverse dalle sue — un impressionante fuoco di sbarramento diciamo così a prescindere. A prescindere cioè da ogni considerazione su quello che è diventato oggi, con le vecchie Indicazioni, il reale livello di apprendimento degli studenti; a prescindere da ogni verosimile capacità di comprensione e assimilazione delle conoscenze da parte di ragazzini di 11-12 anni o giù di lì; a prescindere da ogni ragionevole possibilità che la scuola diventi una dispensatrice di rimedi per qualunque male o problema della società. E invece, siccome il ministro è di destra allora è ovvio che «si vogliono mettere le mani sulla scuola», si vuole «cancellare la scuola democratica», si cerca di educare i giovani italiani al «nazionalismo», e così via fantasticando e delegittimando.
Come si vede muoversi nel campo della cultura non è facile. Ma qualcosa si può fare: basta mettere da parte qualunque progetto egemonico, non far caso né alle poltrone né agli strapuntini e cercare di avere invece qualche idea. Che ci vuole?
Ernesto Galli della Loggia
(da corriere.it)

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GLI SCRITTORI E IL POPOLO

Luglio 12th, 2025 Riccardo Fucile

L’IMPORTANZA DI SAPER RINUNCIARE A PIACERE ALLA MASSA

Si potrà ricostruire “un corpo di idee di sinistra solo se si rinuncerà a piacere alla massa e si accetterà anzi di dispiacerla per lungo tempo”. Goffredo Fofi non era un radical-chic e anzi tutt’altro, semmai un frate laico con venature pauperiste. Dunque queste sue parole così forti e vere servono a capire che l’oltraggio della massificazione (dell’ignoranza sdoganata, della soggezione, della omologazione dei gusti e delle idee) non viene percepito e denunciato perché si è snob, e si disprezza il popolo. Esattamente al contrario: viene denunciato se lo si rispetta, il popolo, lo si considera, persona per persona, degno di cultura, di autonomia e di libertà, e dunque si patisce lo scandalo di vederlo ridotto a plebe asservita ai ricchi e ai potenti.
È chi non ha alcun rispetto del popolo che lo considera massa da pilotare, voti da conquistare, clienti da spremere.
Per questo il populismo (anche quello “di sinistra”) è di destra: perché il popolo gli sta bene e gli è utile così com’è e come è sempre stato.
Fofi rischiò, nel nome della sua severa anti-demagogia, di risultare elitario e minoritario. Trattò con durezza suoi ex pupilli per la “colpa” di avere avuto successo (il successo dei libri, ovvero la conquista di una minoranza…). Il difficile equilibrio tra la coerenza delle idee e la capacità di parlare a tanti è, da sempre, uno dei grandi problemi degli intellettuali e degli artisti. Ricorderemo con gratitudine Goffredo Fofi per la sua intransigenza sulla qualità del lavoro intellettuale e politico. La quantità (riuscire a parlare “al popolo”, dunque a tanti) rimane
un problema insoluto, ma anche un obiettivo decisivo.
(da repubblica.it)

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L’INFLUENCER MACHISTA E IL MEDICO IMPREPARATO CHE TRUMP VUOLE COME AMBASCIATORI IN MALESIA E A SINGAPORE

Luglio 12th, 2025 Riccardo Fucile

LA CORTE DEI MIRACOLI: UNO PARLA DELLA “MONOSFERA”, L’ALTRO FA UNA BRUTTA FIGURA DURANTE L‘AUDIZIONE

Le recenti nomine diplomatiche proposte da Donald Trump, nel caso di una sua rielezione alla Casa Bianca, stanno attirando forti critiche e sollevando dubbi sulla competenza e l’idoneità dei candidati. Due i nomi finiti al centro delle polemiche, quello
di Nick Adams, influencer conservatore che sarebbe stato scelto dal tycoon come ambasciatore in Malesia, e Anjani Sinha, chirurgo ortopedico designato invece per rappresentare gli Stati Uniti a Singapore.
Chi è Nick Adams, islamofobo e machista
La scelta di Trump per la Malesia, nel caso di una sua rielezione alla Casa Bianca, è ricaduta su Nick Adams, personaggio molto noto nei circoli di destra radicale americana. Naturalizzato cittadino statunitense nel 2021, Adams è originario dell’Australia, dove militava nel Partito Liberale, dal quale fu espulso per condotta considerata dannosa per l’immagine dell’organizzazione politica. Negli Stati Uniti ha costruito poi una carriera da opinionista provocatore, accumulando un seguito nella cosiddetta «manosfera», un’area del web frequentata soprattutto da giovani uomini conservatori. Si è fatto notare per
una narrazione esasperata della mascolinità, tra riferimenti continui a bistecche, palestre e alle cameriere di Hooters, una catena di ristoranti americana nota anche per la divisa succinta delle proprie dipendenti.
I post provocatori e i commenti volgari
È diventato uno dei primi sostenitori di Trump, che ha anche firmato la prefazione del suo libro Alpha Kings: «Come me, so che Nick apprezza il potere dell’umorismo, quando si tratta di esprimere un concetto», scrive il presidente. In rete, Adams è noto per post provocatori e commenti volgari. Quando Hooters ha dichiarato bancarotta, chiudendo più di 30 ristoranti, ha accusato «l’inflazione di Biden, combinata con l’antiamericanismo woke dei Democratici». In passato ha anche pubblicato commenti islamofobi, accusando i rivali politici di Trump di voler «insegnare l’Islam nelle scuole» e lanciando
invettive contro l’Islam. Un curriculum che ora crea imbarazzo, considerato che il suo ruolo da ambasciatore lo porterebbe in un Paese a maggioranza musulmana come la Malesia.
Anjani Sinha, l’imbarazzo in audizione per la nomina a Singapore
L’altra nomina finita nel mirino riguarda Anjani Sinha, chirurgo ortopedico e imprenditore, selezionato per il ruolo di ambasciatore a Singapore. Durante l’audizione di conferma al Senato, Sinha è apparso impreparato, incapace di rispondere a domande di base sul Paese. La senatrice democratica Tammy Duckworth, visibilmente esasperata, ha commentato: «Io sto facendo di tutto per aiutarla, ma sembra proprio che lei non abbia fatto i compiti a casa». Dopo averlo definito «non qualificato», ha sottolineato l’importanza strategica dell’incarico: «Essere ambasciatore a Singapore, uno degli amici
più importanti che abbiamo nell’Indo-Pacifico, un luogo chiave contro cui dovremo combattere contro il nostro più grande avversario nella regione, la Repubblica Popolare Cinese, non è un lavoro glamour». Sinha ha anche fornito stime errate sul surplus commerciale con Singapore, rispondendo «80 miliardi, 18 miliardi», mentre il dato corretto è 2,8 miliardi.
Un «eminente chirurgo della costa orientale»
Sul sito del Dipartimento di Stato, Sinha è descritto come «un eminente chirurgo della costa orientale specializzato in ortopedia e medicina sportiva» e «un imprenditore affermato». Ma per i critici, a partire dai senatori democratici, non sarebbe «la persona giusta nel posto giusto», soprattutto in un contesto geopolitico così delicato.
(da agenzie)

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DA UN LATO CI SONO I PROCLAMI DEL GOVERNO, DALL’ALTRA I NUMERI REALI: DOPO IL MISERO RIMBALZO DI APRILE, LA PRODUZIONE INDUSTRIALE È TORNATA A SCENDERE: -0,7% SUL MESE PRECEDENTE E -0,9% RISPETTO A UN ANNO PRIMA

Luglio 12th, 2025 Riccardo Fucile

IN ROSSO TUTTI I SETTORI, TRANNE L’ENERGIA, IN CALO EXPORT E CONSUMI. E IL FUTURO È ANCORA PIÙ NERO: PESA L’INCERTEZZA PER LA GUERRA COMMERCIALE

La produzione industriale torna a scendere. A maggio l’indice Istat segna un -0,7% su aprile e un -0,9% rispetto allo stesso mese del 2024. Il piccolo rimbalzo di aprile (+0,5%) si conferm effimero. La ripresa promessa, dopo oltre due anni di cali, almeno per ora, resta sospesa.
Quel rimbalzo era legato a fattori temporanei. Primo: la Pasqua, caduta quest’anno il 20 aprile, ha spinto la produzione di settori legati ai consumi della festa, come alimentare, tessile e abbigliamento, anche se il dato Istat è depurato dagli effetti stagionali. Nel 2024 la festività era invece a fine marzo.
Secondo: alcuni comparti industriali potrebbero aver accelerato gli ordini in vista dell’introduzione di dazi. Terzo: la componentistica auto, in ripresa ad aprile, ha anticipato la domanda proveniente dall’industria automobilistica tedesca, che non a caso a maggio ha registrato un rimbalzo.
A maggio, l’unico comparto in crescita è l’energia (+0,7%). I beni strumentali si fermano, mentre calano nettamente i beni di consumo (-1,3%) e quelli intermedi (-1%). Tornano in negati anche legno, plastica, elettronica e macchinari. Anche su base annua crescono solo l’energia (+5,3%) e i prodotti petroliferi raffinati. Male la farmaceutica, la chimica e i mezzi di trasporto.
Il contesto globale non aiuta.
L’incertezza cresce: pesa l’escalation delle tensioni in Medio Oriente, la situazione nello Stretto di Hormuz e la linea commerciale ondivaga degli Stati Uniti sui dazi. Lo racconta bene sempre l’Istat nella sua nota trimestrale sull’economia italiana.
La fiducia delle famiglie – dopo due mesi di crescita – torna a diminuire. Quella delle imprese, invece, cresce per il secondo mese consecutivo. Ma non basta. La domanda, soprattutto interna, resta debole. L’export traballa. E l’industria ne risente. Molte imprese rivedono i piani di produzione al ribasso.
(da agenzie)

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BIBBIANO LE VERE VITTIME, ANDREA CARLETTI, L’EX SINDACO DI BIBBIANO FINITO AI DOMICILIARI E POI ASSOLTO: “PROVO SODDISFAZIONE DOPO UNA GRANDE SOFFERENZA”.

Luglio 11th, 2025 Riccardo Fucile

LA PSICOTERAPEUTA NADIA BOLOGNINI, DOPO IL PROCESSO, TUONA: “È STATO UN TERREMOTO CHE HA ANNIENTATO LA MIA VITA”

«Altro che demoni!». Stefano Davoli in realtà lo dice in dialetto reggiano stretto, davanti all’unico bar aperto sulla strada principale del paese, ma il senso è inequivocabile. Nel tardo
pomeriggio sonnolento di Bibbiano, Davoli dà corpo al suo pensiero: «Guardi, qui nessuno ha mai dubitato del sindaco di allora (Andrea Carletti, messo agli arresti domiciliari per poi trovarsi a rispondere solo d’abuso d’ufficio e venire assolto, ndr), noi qui non ci credevamo a quelle accuse, lui è stato sempre onestissimo. Poi è cominciato l’assedio delle telecamere e poi sono arrivati i politici, Salvini, la Meloni…».
C’erano le elezioni regionali vicine e «Parlateci di Bibbiano» con P e D maiuscole a indicare il partitone diventò il ritornello preferito di chi sognava di strappare l’Emilia-Romagna ai rossi. L’ex sindaco, nella sua casa di Albinea, ha vissuto la sentenza dell’altro giorno come un momento di rinascita: «È un passaggio rivelatorio che arriva dopo una grande sofferenza per la condizione di indagato e processato, ora per me è una grande soddisfazione», così ha detto al suo legale, Giovanni Tarquini
Autosospeso dal partito, la tessera gli è stata restituita lo scorso aprile e qui, davanti al bar, c’è chi giura che se si fosse ripresentato a ipotetiche elezioni subito dopo lo scoppio dello scandalo – in realtà è rimasto al suo posto – avrebbe raggiunto di nuovo la percentuale bulgara con cui era stato eletto al secondo mandato: quasi l’80%. «Le teorie sono crollate davanti alla sentenza», sottolinea l’avvocato.
L’assistente sociale Francesco Monopoli, condannato a un anno e otto mesi con pena sospesa rispetto agli undici anni richiesti dall’accusa, continua ad avere «fiducia nella giustizia, l’opinione sulla sentenza è del tutto positiva».
Nicola Canestrini, il suo legale, dice di non aver capito «quale sia la condotta che gli è stata addebitata. Aspettiamo le motivazioni e ci prepariamo certamente all’Appello».
Un’altra protagonista del processo, la psicoterapeuta Nadia
Bolognini della cooperativa Hansel e Gretel di Moncalieri, ex moglie di Claudio Foti, ci racconta come ha passato questi ultimi anni e gli sconquassi emotivi e familiari provocati dall’indagine: «Un’accusa così feroce non lascia armi per difendersi, si è in balia dell’odio. Sono stata rappresentata come colei che rubava e manipolava i bambini, un’accusa atroce e insopportabile per chiunque. Io invece li curavo». In famiglia?
«È stato uno tsunami, quando si viene esposti alla gogna poi chi paga il prezzo più alto sono i figli: mi sono dovuta dedicare a proteggere loro».
Il bilancio finale è grave: «È stato un terremoto che ha annientato la mia vita, si è fermato tutto, il lavoro, la vita di relazione, tutto». E poi la strumentalizzazione politica: «È stata la rovina di questa vicenda e per noi. Ci siamo trovati mezza Italia contro, per il solo fatto di essere stati scelti come bersaglio».
(da agenzie)

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VOLETE CAPIRE QUALCOSA IN PIU’ DEL CAOS IN LIBIA? IL GOVERNO DI TRIPOLI, GUIDATO DA DBEIBEH, E’ DEBOLE E TENUTO IN PIEDI DAI TURCHI; IL GENERALE KHALIFA HAFTAR È UNA MARIONETTA NELLE MANI DI PUTIN E DI AL SISI. E NOI STIAMO A GUARDARE

Luglio 11th, 2025 Riccardo Fucile

A TOBRUK I FIGLI DEL MILITARE GOLPISTA STANNO TRATTANDO CON ERDOGAN PER PERMETTERE AD ANKARA DI SFRUTTARE I GIACIMENTI PETROLIFERI. E PER RITORSIONE ALLE PROTESTE DELLA GRECIA, LASCIANO PARTIRE PESCHERECCI COLMI DI MIGRANTI VERSO CRETA …LE MIRE EGEMONICHE DEI RUSSI, IL RISCHIO DI UN’INVASIONE DI DISPERATI SULLE COSTE EUROPEE

Che si tratti di Bengasi, dove il ministro Piantedosi viene respinto alla frontiera, o di Tripoli, dove incriminano il trafficante che l’Italia ha rilasciato con tanti ossequi, il panorama della Libia diventa sempre più problematico per il governo Meloni.
E non si tratta di una questione secondaria. Sull’altra sponda del Mediterraneo esiste una grande risorsa, il petrolio, e una minaccia altrettanto rilevante, l’uso dei migranti come arma, che condizionano la vita del nostro Paese.
Dalla morte di Gheddafi il potere in Libia è a dir poco
frammentato ma in questo momento l’Europa, e in particolare l’Italia, sono in difficoltà su tutti i fronti. Il nuovo scenario viene ricondotto alla politica dell’amministrazione Trump che porta avanti un suo piano di unificazione e taglia fuori le cancellerie del Vecchio Continente.
È un argomento toccato un mese fa nei colloqui tra Macron e Meloni : sotto la spinta della Casa Bianca si sta delineando un’intesa globale sul futuro del Paese e delle sue ricchezze.
La mediazione statunitense sta lentamente livellando i contrasti tra la Turchia, referente principale di Tripoli, e l’Egitto, protettore di Bengasi, in un processo che non sembra dispiacere neppure alla Russia.
La pedina più debole è il premier tripolino Dbeibeh, l’unico con una forma di riconoscimento internazionale, che a metà maggio ha tentato di liberarsi del condizionamento delle milizie ma ne è
uscito con le ossa rotte.
Il blitz fallito gli ha alienato i consensi di Ankara e da allora punta sull’appoggio dell’Ue, promettendo in cambio di arginare le partenze dei migranti. Anche martedì però nella capitale ci sono stati combattimenti tra i suoi pretoriani e l’agguerrita Forza Rada, quella a cui è legato il generale Najeem Osama Almasri.
La sua incriminazione non nasce da una tardiva attenzione dei magistrati tripolini per i diritti umani, ma dalla volontà di colpire un rivale del premier e assecondare le richieste di Bruxelles. Allo stesso tempo però il provvedimento potrebbe portare i trafficanti in lotta con Dbeibeh a scatenare un’ondata di scafisti verso la Sicilia: gli imbarchi chiave della costa sono nelle loro mani.
L’ottantenne maresciallo Kalifha Haftar, autoproclamato signore della Cirenaica, invece sente di avere l’ultima occasione per impadronirsi dell’intero Paese e garantire la successione ai figli. C’è chi ritiene che sia proprio la competizione tra gli eredi a imprimere una linea più dura verso gli europei, da cui è scaturito il respingimento di Piantedosi e degli altri ministri Ue.
Con scaltrezza levantina, sono diventati alleati della Turchia: il nemico che nel 2020 li ha sconfitti nell’assedio di Tripoli. Adesso Erdogan e Haftar stanno per ratificare il trattato sullo sfruttamento dei giacimenti petroliferi sottomarini che ignora le prerogative greche e cipriote.
Alle proteste di Atene, il clan di Bengasi ha risposto lasciando salpare grandi pescherecci colmi di migranti verso Creta. Il primo ministro Kyriakos Mitsotakis due settimane fa ha schierato la flotta davanti alla Cirenaica e intensificato il dialogo con Dbeibeh.
Il clan Haftar non si è lasciato intimidire: lunedì e martedì altre
1400 persone sono approdate a Creta. Per disincentivare gli arrivi, la Grecia ha sospeso per tre mesi le domande di asilo: una mossa che però potrebbe dirottare il flusso verso l’Italia.
Non si tratterebbe del solito braccio di ferro per strappare finanziamenti: i padroni della Cirenaica ambiscono a una legittimazione europea o quantomeno a spezzare il rapporto tra l’Ue e Dbeibeh, rendendo concreta la prospettiva di una nuova marcia su Tripoli.
Gli Haftar continuano a ricevere armamenti e mercenari da Mosca che usano già per estendere il controllo del Fezzan, la regione meridionale strategica per l’espansione africana del Cremlino.
(da agenzie)

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INCREDIBILE: L’ITALIA HA LIBERATO IL TORTURATORE ALMARSI E LA LIBIA POTREBBE ARRESTARLO

Luglio 11th, 2025 Riccardo Fucile

LA PROCURA GENERALE DI TRIPOLI HA PROMULGATO UN ORDINE DI COMPARIZIONE PER NAJEEM OSAMA ALMASRI: E’ LA CONSEGUENZA DI UNA GUERRA TRA LE MILIZIE LOCALI… IL POTENTE GRUPPO PARAMILITARE “RADA” POTREBBE SACRIFICARE ALMASRI PUR DI RIMANERE LEGATA AL CARRO DEL PRIMO MINISTRO ABDUL HAMID DBEIBAH E NON VENIRE MARGINALIZZATA DA ALTRE MILIZIE MINORI

La mossa l’altro ieri della Procura generale di Tripoli di promulgare un ordine di comparizione per Najeem Osama Almasri — l’influente capo della polizia locale ricercato dal tribunale dell’Aia per le violenze da lui commesse contro i migranti nel carcere di Mitiga di cui è stato direttore — è conseguenza delle faide tra milizie che si spartiscono il potere nella capitale e in larga parte della Tripolitania.
«Almasri oggi è vittima della scelta della potente milizia Rada di sacrificarlo pur di rimanere legata al carro del primo ministro
Abdul Hamid Dbeibah e non venire marginalizzata da altre milizie minori, ma più fedeli al premier», ci spiegano fonti giornalistiche locali […] Per Dbeibah la situazione è peggiorata da metà aprile, quando l’Onu, gli Stati Uniti e i partner europei hanno intensificato le pressioni affinché indicasse le elezioni nazionali e soprattutto si liberi delle milizie
«Dbeibah si è valso del suo viceministro della Difesa, Abdulsalam al Zoubi, e del capo della fedelissima milizia 444, Mahmud Hamza, per trattare specie con gli americani e cercare di eliminare la Rada. Ma le cose sono andate male a partire dal 12 maggio, quando Hamza ha assassinato a sangue freddo il capo della milizia Ghnewa, Abdul Ghani al-Kikli, assieme a 11 guardie del corpo», ci raccontano.
Doveva essere un lavoro «pulito», un omicidio mirato durante una riunione ristretta, ma si è trasformato in una carneficina, che ha rilanciato la guerra civile armata nel cuore della capitale. Il 14 maggio la città è diventata terreno di battaglia, si è sparato per molte ore, alla fine sul selciato si sono contati almeno 77 cadaveri […] Una situazione difficile: il progetto di annullare la rilevanza delle milizie ha visto al contrario il loro ritorno
A quel punto la Ghnewa si è ritirata priva del suo capo nel suo quartiere di Abu Salim.
Ma la Rada e le altre milizie sono riapparse in forze. Lo stesso Dbeibah è comparso sui canali televisivi locali per chiedere scusa alla popolazione. Sperava di riprendere il controllo dell’aeroporto, del porto e di larga parte delle tasse municipali, ma è rimasto con un pugno di mosche. «A quel punto sono ripresi i negoziati sottobanco tra la Rada, le milizie di Misurata, quelle di Tripoli e lo stesso Dbeibah.
Il premier ha promesso allora alla Rada che avrebbe cessato di
attaccare se gli fosse stato consegnato Almasri. Se avesse avuto nelle sue mani il cittadino libico più ricercato dalla comunità internazionale magari anche le pressioni nei suoi confronti per rinnovare il sistema di potere interno sarebbero diminuite», osservano.
In quel contesto, Dbeibah spiegò anche che il rilascio da parte delle autorità italiane di Almasri in gennaio non aveva nulla a che fare con lui. In conclusione, la stretta su Almasri rafforza il premier e gli permette di esercitare un controllo più stretto sulla Rada, che comunque resta la milizia più importante. Non è però certo quale sarà il destino di Almasri. L’estradizione all’Aia, oppure il processo a Tripoli e magari la liberazione? Tutto resta aperto.
(da Corriere della Sera)

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“NORDIO È INDIFENDIBILE, DOVREBBE DIMETTERSI MA LA MELONI CONTINUERÀ A COPRIRE TUTTI” : MATTEO RENZI USA IL LANCIAFIAMME CONTRO IL GOVERNO SUL CASO ALMASRI

Luglio 11th, 2025 Riccardo Fucile

“CHI HA DECISO DI SCARCERARE UN VIOLENTATORE DI BAMBINI COME ALMASRI? PERCHÉ È STATO SCELTO IL VOLO DI STATO? MELONI COSA SAPEVA? MANTOVANO COSA HA DECISO? ALTRO CHE SEPARAZIONE DELLE CARRIERE, SIAMO NELLE MANI DI EX MAGISTRATI (DA MANTOVANO A BARTOLOZZI A NORDIO), CHE GUIDANO UN GOVERNO ALLA DERIVA”

Matteo Renzi, leader di Italia viva, il ministro Nordio dice che il vostro è solo «chiacchiericcio» e che sul caso Almasri ha già
chiarito tutto.
«L’unica cosa chiara è che qualcuno ha mentito. E devono dirci in Aula chi è stato. Il Parlamento va rispettato: l’opposizione deve fare domande, il governo deve dare risposte. Da qui passa la civiltà democratica di un Paese. Meloni viene in aula e non risponde, Tajani idem, Nordio vedremo. Il Parlamento non è il luogo del chiacchiericcio, ma la casa della democrazia: questi non l’hanno ancora capito».
A prescindere da se e quando verrà in Aula, a questo punto Nordio è ancora credibile?
«Nordio disse in Aula che la prima comunicazione su Almasri non era chiara. Scopriamo ora che invece la sua capo di gabinetto Bartolozzi era così preoccupata da chiedere di non lasciar traccia nei documenti ufficiali e di parlarsi solo su Signal. Delle due l’una: o Nordio ha mentito o Bartolozzi gli ha
nascosto le informazioni».
Secondo lei?
«Per la stima che nutro verso Nordio paradossalmente mi auguro che stia mentendo. Se, infatti, ha detto la verità, significa che la sua capo di gabinetto lo eterodirige. Preferisco un Nordio che mente a un Nordio fantoccio. Se Nordio mente è grave. Se Nordio dice la verità, il ministero della giustizia è guidato dalla capo di gabinetto, non da Nordio. Ed è ancora più grave» .
In un caso o nell’altro Nordio dovrebbe dimettersi?
«Sì, è indifendibile. Potrebbe salvarsi solo cacciando chi gli sta intorno. Ma Bartolozzi è difesa dalla fiamma magica, a cominciare da Mantovano e Delmastro. Perché è evidente che quando la Bartolozzi scrive di essere già informata – e Nordio dice di non sapere nulla – significa che qualcuno da Palazzo Chigi l’ha informata. Chi? Che uno dei due debba lasciare è
ovvio. Se lo facessero entrambi, sarebbe buon gusto. Se non lo farà nessuno dei due, sarà uno scandalo».
Nordio non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro: «Hic manebimus optime», ha detto ieri in Senato.
«Gli rispondo con il suo amato Cicerone: “Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?”. Fino a quando abuserai della nostra pazienza? ».
Quali sono i punti principali della vicenda Almasri che devono essere chiariti?
«Chi ha deciso di scarcerare un violentatore di bambini? Perché? Perché è stato scelto il volo di Stato? Meloni cosa sapeva? Mantovano cosa ha deciso? Alla fine, in questa storia l’unico che ha tenuto la schiena dritta è stato Piantedosi. Almeno al Viminale dimostrano di sapere come si gestiscono vicende del genere, vecchia scuola prefettizia».
Gli altri?
«Da Mantovano a Bartolozzi a Nordio, siamo nelle mani di ex magistrati che guidano un governo alla deriva. Altro che separazione delle carriere: con questa destra i magistrati contano più dei politici. Ma io, che ho combattuto a viso aperto contro le toghe rosse e il loro eccesso di protagonismo politico, non consentirò mai che queste toghe brune si sostituiscano al Parlamento».
Quindi, non finirà con Bartolozzi che fa il capro espiatorio?
«Non credo, la conosco dai tempi in cui guidava Azione in Sicilia, non è una che si fa da parte in silenzio. L’altra mattina, alle 6.50, mi ha mandato un sms dal vago sapore minatorio: “Buon vento”. E lo ha fatto perché io avevo annunciato un’interrogazione parlamentare su di lei. Questi non conoscono le istituzioni. Ma non conoscono nemmeno me: pensano di
farmi paura e invece mi invitano a nozze».
L’ha attaccata anche Pier Silvio Berlusconi, se l’aspettava?
«No. Berlusconi junior è entrato a piedi uniti nel dibattito politico per puntellare il governo Meloni, richiamare all’ordine il maggiordomo Tajani e dare una stoccata, preparata, a un membro dell’opposizione. Pier Silvio Berlusconi, che purtroppo per tutti non è Silvio ma solo Pier Silvio, trasforma la sua azienda in partito senza fare come il padre, che almeno prendeva i voti. No, Pier Silvio tratta Tajani come Ilary Blasi. E se Mediaset diventa il braccio armato di Giorgia Meloni ne prendo atto. La Mondadori andrà avanti tranquillamente anche senza di me, ma io non faccio il dipendente di un Ceo che pensa di possedere un partito e di dettare la linea al mondo».
Torniamo a Nordio e soci: Giorgia Meloni continuerà a coprire tutti?
«Sì. È una donna che ha meno coraggio di quello che vuol far credere. Lei è fragile, vede fantasmi ovunque, ha la sindrome del complotto. Ed è per questo che ha una squadra ridotta all’osso di parenti, ex parenti e fedelissimi. Ma così non si governa un consiglio comunale di terza fascia, figuriamoci l’Italia».
Da Almasri al caso Paragon, la premier è convinta che su queste vicende non perderà consensi. Sbaglia?
«No. Meloni non perde consensi su Paragon e Almasri. Lo farà a breve sugli stipendi e sulle tasse. Ma io continuo a porre il tema istituzionale, anche se dovessi essere l’unico a farlo. Anche se dovessi rimetterci economicamente, politicamente, elettoralmente. Continueremo la battaglia in Parlamento, anche se sembra che non produca frutti».
(da La Stampa)

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ANCHE SUL CASO ALMASRI, L’UNICA STRATEGIA DEL GOVERNO È DISTOGLIERE L’ATTENZIONE: INVECE CHE RISPONDERE NEL MERITO, IL MINISTRO CARLO NORDIO E IL GOVERNO S’ATTACCANO ALLA RIVELAZIONE DI ATTI COPERTI DA SEGRETO

Luglio 11th, 2025 Riccardo Fucile

LA “ZARINA” DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, GIUSI BARTOLOZZI, IL 12 FEBBRAIO AVREBBE CHIESTO CONTO, CON UNA NOTA AGLI UFFICI MINISTERIALI, DI ALCUNE INTERLOCUZIONI INTERCORSE CON IL TRIBUNALE DEI MINISTRI, CHE STA INDAGANDO SU NORDIO STESSO

Le opposizioni ne chiedono le dimissioni. Carlo Nordio però resiste. E passa all’attacco. Sul caso Almasri, e cioè sulla vicenda del torturatore libico rimpatriato su un volo di Stato, la strategia adottata sembra quella di sempre: confondere, smentire, mischiare le carte in tavola.
«Gli atti che abbiamo smentiscono totalmente quanto è stato riportato, non so come e perché, dai giornali», ha dichiarato il Guardasigilli dopo le rivelazioni di Domani sul ruolo della sua capo di gabinetto, Giusi Bartolozzi, nel pasticcio sulla scarcerazione del generale ricercato dalla Corte penale internazionale.
La “zarina” di via Arenula, ex giudice in Sicilia e berlusconiana doc, in base a quanto risulta a questo giornale, intorno al 12 febbraio scorso avrebbe chiesto conto con una nota agli uffici ministeriali di alcune interlocuzioni intercorse col tribunale dei
ministri, titolare del fascicolo d’indagine contro Nordio stesso, la premier Giorgia Meloni, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Un fatto che porrebbe la super dirigente in una posizione scomoda: con quella nota avrebbe potuto interferire nell’indagine?, è la domanda alla quale non è ancora stata data una risposta. Bartolozzi, contattata da Domani, non ha voluto rispondere. Fonti a lei vicine, tuttavia, hanno minimizzato: «Rientrava tra le sue prerogative farlo».
Ma oltre che giudiziario, il fronte è ormai tutto politico. L’opposizione all’unisono accusa Nordio di aver mentito al Parlamento quando dichiarò di «essere venuto a conoscenza del caso Almasri il 20 gennaio». Dagli atti del tribunale dei ministri «è emerso invece – continuano i parlamentari – che Nordio
sapeva da diversi giorni prima».
«Lo sa cosa disse il generale McAuliffe durante l’assedio di Bastonia? Nuts!», ha detto inoltre Nordio nel corso del questione time in Senato, citando un’esclamazione passata alla storia e riferita a un episodio clou della Seconda guerra mondiale, quando le forze tedesche, sicure della loro posizione, inviarono una delegazione per consegnare un ultimatum di resa al comandante americano a Bastogne, il generale di brigata Anthony McAuliffe, che rispose ufficialmente con un laconico “nuts”. Tradotto: sciocchezze.
La strategia governativa, dunque, parrebbe quella di spostare l’attenzione su una presunta «violazione di atti riservati» arrivati alla stampa in attesa della decisione del collegio composta dalle tre giudici.
A questo proposito la legale dei quattro indagati eccellenti, Giulia Bongiorno, sta anche valutando la presentazione di una denuncia contro ignoti per divulgazione di atti coperti dal segreto
Domani ha raccontato della nota nella quale Bartolozzi chiedeva conto delle interlocuzioni avute dagli uffici con gli inquirenti, così come erano emerse richieste di comunicare su canali riservati, via Signal, nelle prime ore dopo l’arresto di Almasri.
Informazioni in mano a chi indaga e che agitano l’esecutivo. Ecco allora il tentativo di sviare l’attenzione: Bongiorno ha intenzione di presentare una denuncia contro ignoti per divulgazione di atti coperti dal segreto. Ora non si comprende a quali atti faccia riferimento. Ma di certo in questa storia c’è chi ha tentato di acquisire informazioni utili alla difesa: torniamo così alla nota di Bartolozzi con cui chiedeva agli uffici del ministero di riferire che richieste avesse fatto il tribunale dei
ministri durante l’indagine in corso.
Ma parlare di violazione di segreto in via Arenula fa sorridere molti: proprio in quel dicastero siede ancora indisturbato un condannato in primo grado per quel reato, il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. Il tribunale di Roma lo ha riconosciuto colpevole di rivelazione di segreto d’ufficio per aver spifferato atti riservati al fido amico e deputato, Giovanni Donzelli, che li ha diffusi in parlamento inguaiandolo.
(da “Domani”)

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