“IL ROS DI MORI ERA DEVIATOâ€
MANCATA CATTURA DI PROVENZANO, SCARPINATO: “SENTIRE PENTITI E 007… LA DIFESA: SI RISCRIVE LA STORIA
Licio Gelli e la P2, Mino Pecorelli e le trame dei servizi, fino alle stragi del ’92-’94. Non solo flop investigativi.
Il generale Mario Mori conosceva “alcuni aspetti” della strategia della tensione ma si guardò bene dal comunicarli, “anche riservatamente”, alle istituzioni.
Il Ros, insomma, aveva compiti di polizia giudiziaria, ma Mori lo avrebbe gestito come un servizio segreto: dal ruolo ambiguo nella fuga di Benedetto Santapaola nell’aprile del ’93 ai rapporti con Licio Gelli e la P2; dalle intercettazioni abusive al suo superiore Gianadelio Maletti ai tempi del Sid, alla disinformazione sul fallito attentato dell’Addaura; fino alle notizie, raccolte in carcere e mai comunicate all’autorità giudiziaria, in base all’accordo segreto tra Dap e Sisde conosciuto come “Protocollo Farfalla”.
Le prove che Roberto Scarpinato ha chiesto di acquisire nel processo di appello per la mancata cattura di Bernardo Provenzano (imputati Mori e il suo collaboratore Mauro Obinu, assolti in primo grado) proiettano il ruolo del generale al centro della trama occulta che ha accompagnato la stagione stragista ’92-’94 e riscrivono la storia del Ros, il Raggruppamento operativo speciale, fiore all’occhiello antimafia dell’Arma, i cui segmenti hanno avuto un “modus operandi da appartenenti a strutture segrete”, come ha detto il pg citando la sentenza di condanna del generale Giampaolo Ganzer e Obinu per lo stesso reato di Michele Riccio (traffico di droga), con l’obiettivo di demolire l’argomento della difesa secondo cui il principale teste d’accusa sarebbe stato inattendibile perchè condannato.
Una condotta complessiva degli imputati, secondo Scarpinato, segnata da “una concatenazione seriale di omissioni e di violazioni dei doveri imposti alla polizia giudiziaria” che riscrive da capo il ruolo di Mori: sentito dai pm, il suo ex collega al Sid, Mauro Venturi lo accusa di avere scritto anonimi nella redazione di Op in combutta con Pecorelli.
Ma riscrive anche il ruolo di Obinu, che le nuove indagini indicherebbero come uno 007 dell’Aisi (ex Sisde), seppure non con compiti operativi.
Alla prima apparizione pubblica, dopo le minacce di cui è stato bersaglio nei giorni scorsi, Scarpinato, accompagnato dai colleghi Luigi Patronaggio e Ettore Costanzo, ha letto in aula la sua memoria di 25 pagine che introduce nel processo l’intreccio tra mafia, massoneria, destra eversiva e servizi deviati, terreno di coltura della strategia della tensione stragista tra il ’92 e il ’93, secondo un’ipotesi investigativa da sempre coltivata dalla Procura di Palermo.
E oggi rilanciata nel processo Mori, con una prospettazione molto più ampia di quella trattata in primo grado, al punto che il professor Enzo Musco, difensore di Mori e Obinu, commenta: “La strategia politico-giudiziaria dell’accusa è cambiata: il pg ha presentato un elenco infinito di richieste, una rassegna così vasta che temo si voglia rileggere la storia d’Italia degli ultimi 40 anni”.
Scarpinato ha chiesto l’audizione di 12 collaboratori (tra cui il pentito Rosario Flamia, che sostiene di essere stato a libro-paga dei servizi), la citazione di ex agenti del Sid (Mauro Venturi, che racconta che Mori lo pressava per entrare nella P2 e incontrare Gelli) e di magistrati che hanno indagato sulle trame golpiste degli anni 70 (l’ex pm, poi direttore del Dap, Giovanni Tamburino), l’assunzione di documenti sinora inediti come il “Protocollo Farfalla”, e la deposizione del direttore dell’Aise Arturo Esposito per verificare il ruolo di Obinu nel servizio segreto civile.
Ma non solo. Nella memoria, il pg rilegge episodi mai chiariti dell’attività del Ros in Sicilia segnalando che l’assoluzione di Mori e Obinu in primo grado (“perchè il fatto non costituisce reato”) deriva dal fatto che “il collegio giudicante in parte ignorava alcuni fatti che sono stati accertati successivamente”.
È l’esito della nuova attività investigativa della Procura nell’indagine-stralcio sulla trattativa, che ha evidenziato come “Mori, pur essendo venuto a conoscenza da fonti quali Paolo Bellini e Angelo Siino, di alcuni aspetti di tale complessa strategia della tensione, non solo non abbia svolto alcuna attività investigativa, ma neppure — tenuto conto della sua esperienza di uomo dei servizi e delle sue amicizie con esponenti della destra eversiva e della massoneria — si sia attivato per allertare le istituzioni”.
Mario Mori nasce in Slovenia, nel 1939. Il primo incarico importante all’interno dell’Arma dei Carabinieri è quello per il Servizio informazioni difesa del ’72.
Sei anni più tardi viene trasferito all’Anticrimine di Roma. In seguito al sequestro Moro, il suo reparto viene coordinato da Dalla Chiesa.
Durante la permanenza nella Capitale arresta Barbara Balzerani.
Nell’86 passa a Palermo, dove si occupa dei rapporti tra mafia e imprenditoria. Quattro anni più tardi è tra i fondatori dei Ros, di cui assumerà la guida nel ’92.
A causa della mancata perquisizione del covo di Riina, Mori e il capitano De Caprio vengono rinviati a giudizio per favoreggiamento, accusa da cui saranno assolti.
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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