“BERLUSCONI DISSE A LULA: MEGLIO SE BATTISTI RESTA IN BRASILEâ€: PARLA MINO CARTA, IL GIORNALISTA ITALIANO AMICO DEL PRESIDENTE
“LULA NON HA CAPITO LE CONSEGUENZE DI UNA DECISIONE CHE NESSUNO PERALTRO GLI HA SPIEGATO”…”A BERLUSCONI DI BATTISTI NON GLI IMPORTAVA UN FICO SECCO”…IN BRASILE NON CONOSCONO LA VERA STORIA DI BATTISTI
Mino Carta ascolta e sorride amaro: è arrabbiato per Battisti che resta in Brasile. “Quando ha incontrato Lula, Berlusconi gli ha fatto capire che di Battisti “non gli importava un fico secco“, più o meno una cosa così.
Era presente Gilberto Carvalho, capo della segreteria del presidente. “Se Battisti resta qui, un problema in meno per noi”.
Il Cavaliere guidava un gruppo di imprenditori italiani.
Contratti importanti; importantissime le commesse Finmeccanica.
Nel governo di Dilma Rousseff, il Carvalho dal bisnonno mantovano è diventato ministro. Intellettuale interessante: filosofo che ha studiato Teologia e animato negli anni ’80 la Pastorale Operaia del cardinale Arns mentre condivideva con Lula la fondazione del Pt.
“Non ero li, avverte Carta, ma conosco bene la persona che ha riferito: ne ho piena fiducia”.
Ed è la fiducia di un giornalista protagonista della stampa brasiliana.
Ha fondato e diretto due quotidiani, un mensile, tre settimanali. È arrivato da Genova nel 1946: aveva 13 anni.
È rimasto italiano di passaporto, ma brasiliano fino all’ultima abitudine. La prima direzione nel 1966: Jornal da Tarde, edizione della sera dell’Estado de Sà£o Paulo che il padre (redattore capo del Secolo XIX di Genova) aveva trasformato in grande giornale.
Mino attraversa gli anni della dittatura con difficoltà ; finisce in prigione…
Per imparare il mestiere frequenta le redazioni di Time, Spiegel e il Panorama di Lamberto Sechi.
Civita (ebreo fuggito dalla Milano delle leggi razziali) gli chiede di inventare un settimanale e Carta inventa Veja, il più venduto nel paese.
Poi dirige Istoà‰ che ricorda L’espresso.
Un giorno ascolta il discorso di un sindacalista dalla barba lunga e nera “in apparenza rude ma con la sottigliezza di un Bertoldo metalmeccanico”.
Gli dedica la copertina e il Brasile scopre Lula.
L’ultima creatura, CartaCapital.
Tre mesi fa Lula va in redazione a festeggiare il compleanno del giornale. Perchè un presidente così grazia Battisti…?
“Ignoranza. Non ha capito le conseguenze di una decisione che nessuno, del resto, gli ha spiegato. I suoi uomini se ne sono disinteressati. La posizione di CartaCapital è chiara: il piccolo delinquente romano, che ha imparato in galera una politica sciagurata deve scontare l’ergastolo. È vero che l’ergastolo non esiste in Brasile, di qui i cavilli sulla “persecuzione”, ma è anche vero che i terroristi rossi e neri, pentiti e non pentiti, in Italia sono tutti in libertà . Ho invitato Dirceu a un faccia a faccia: il mio giornale è conosciuto per il rispetto e l’indipendenza. Sacre le domande, sacre le risposte. Ma all’ultimo momento Dirceu telefona: “Non so niente di Battisti. Cosa vengo a dire…?”. Senza tenerezza abbiano raccontato la defezione”.
Josè Dirceu è allenato al silenzio. Teorico che ha disegnato il Pt assieme a Lula, ricorda certi fantasmi di Le Carrè.
Arrestato dai militari della dittatura mentre organizzava la protesta degli studenti, passa da un carcere all’altro e viene liberato (assieme ad altri 14 politici) in cambio del rilascio del console generale Usa, Elbrik, sequestrato da chi lottava nella clandestinità . Esilio a Cuba, scuola di guerriglia…
Un chirurgo gli cambia la faccia e con largo viaggio torna a casa, passaporto falso. Va in giro a vendere mobili, copertura per organizzare il malcontento; si sposa e battezza il figlio col finto nome.
Appena i militari smobilitano, progetta il Partito dei Lavoratori.
Diventa l’ombra potentissima del Lula presidente: uno scandalo lo costringe alle dimissioni.
Il racconto di Carta è un viaggio nei gironi del Pt. “Battisti resta perchè Lula alle prese con gli equilibri del partito vuol calmare l’inquietudine della sinistra radicale, non sempre intellettuali con amici in Francia. A parte il disinteresse di Berlusconi, la piramide brasiliana è complessa. In Brasile nessun magnate o politico di peso va in galera. A differenza dei privilegi italiani, si presenta in tribunale e ascolta la condanna, ma tutto continua come prima”.
La rete che avvolge il caso Battisti comincia dal suo avvocato: Luis Eduardo Greenhalg, ex deputato Pt, “predatore che si dice di sinistra ma ha difeso Daniel Dantas”, Sindona della finanza brasiliana. Traffico di intercettazioni, finanziamenti occulti e la matassa nera del caso Telecom Italia. Finisce in galera, ma il presidente del Tribunale supremo lo libera due giorni dopo e per i due poliziotti che lo hanno incastrato carriera finita. Dantas querela CartaCapital: Mino Carta trionfa. Disegnato l’impianto della difesa di Battisti, Greenhalg passa la mano ma lo stratega è sempre lui…
“Tutto il mondo è paese, in Brasile e in Italia. Guai toccare certi tabernacoli. Mi spiace per Lula: si fida male e non sa di dare una mano alla destra di Roma”. Disinformazione che continua nei giornali: Dalmo Dallari scrive sulla Folha de Sà£o Paulo che Battisti era stato perseguitato in Italia da un governo fascista.
Era l’Italia di Moro e Berlinguer.
Errore di chi non è informato…?
Forse, ma la figlia di Dallari è l’amica del cuore del senatore Eduardo Matarazzo, discendente dei miliardari e senatore Pt.
“Peccato”, sospira Carta…
Maurizio Chierici
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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