Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile
UN UOMO CHE HA SAPUTO IMPERSONIFICARE LA COERENZA, LA DIGNITA’, IL CORAGGIO, LA FEDE, LA SOFFERENZA, L’AMORE PER I GIOVANI, LA SPERANZA NEL FUTURO, LA VICINANZA AI PIU’ POVERI E AI PIU’ UMILI…UN ESEMPIO DA NON DIMENTICARE
Karol Wojtyla è beato.
Ad appena sei anni dalla morte è già sugli altari, per volontà del successore, che lo ha conosciuto da vicino, ha collaborato con lui e ha voluto prendere sul serio quel movimento popolare così evidente al momento delle morte, quella fama di santità diffusa che da sempre la Chiesa cattolica considera elemento fondamentale per l’avvio di una causa di beatificazione.
Quello di Giovanni Paolo II è stato un pontificato straordinario, sotto tutti i punti di vista, a partire dalla durata.
Nei ventisette anni di regno di Wojtyla — il primo Papa slavo, il Papa che veniva «da un Paese lontano» al di là della Cortina di ferro — il mondo è cambiato: il comunismo sovietico è imploso, il Muro di Berlino è caduto.
Ma l’umanità ha continuato a conoscere guerre, violazioni dei diritti umani, terrorismo.
Giovanni Paolo II ha difeso la libertà religiosa, la dignità dell’uomo, la pace. Ha tuonato contro i regimi totalitari dell’Est ma non ha fatto sconti al capitalismo selvaggio nell’era della globalizzazione.
Si è speso fino in fondo per far capire che non si può strumentalizzare il nome di Dio per giustificare l’odio.
Negli anni di pontificato wojtyliano è cambiata anche la Chiesa, che ha ricevuto dal Papa cresciuto nel granitico cattolicesimo polacco un’iniezione di speranza e la consapevolezza che i cristiani devono riscoprire il loro compito nella società secolarizzata.
Ma a essere beatificato oggi non è il pontificato di Giovanni Paolo II, non è il suo magistero, non sono le sue scelte di governo nè le sue strategie geopolitiche.
A essere beatificato oggi è il cristiano Karol Wojtyla, un uomo che viveva immerso in Dio e per questo sapeva essere pienamente immerso nel mondo.
Un uomo che ha saputo impersonificare la coerenza, la dignità , il coraggio, la fede, la sofferenza, l’amore per i giovani, la speranza nel futuro, la vicinanza ai più poveri e ai più umili.
Un esempio da non dimenticare.
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Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile
ALLA CERIMONIA DI BEATIFICAZIONE SI ALZA IL GRIDO “SANTO SUBITO”… RATZINGER: “NON ABBIATE PAURA, SPALANCATE LE PORTE AL SIGNORE”… VISSUTO UN INTENSO MOMENTO DI SPIRITUALITA’, COMUNQUE LA SI PENSI: MILIONI DI PERSONE RENDONO OMAGGIO A UN UOMO CHE HA INCISO SULLA STORIA “CON LA FORZA DI UN GIGANTE”
Il Beato della gente ha abbattuto il Muro di Berlino con la forza della fede. 
E il suo successore gliene rende merito in una cerimonia di grande suggestione che rende perfettamente la straordinaria ricchezza di significati dell’universo Wojtyla.
Giovanni Paolo II ha invertito «con la forza di un gigante» il corso della storia, dice il Papa in un passaggio dell’omelia pronunciata nella messa di beatificazione del suo predecessore.
Benedetto XVI ha ricordato il celebre invito rivolto dal Papa polacco nella sua prima messa solenne in Piazza San Pietro: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!».
Ratzinger, tra gli applausi della folla, ha poi proseguito: «Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società , la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile».
Benedetto XVI ha poi continuato in polacco: «Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare figlio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità , perchè la verità è garanzia di libertà “.
Piazza San Pietro è stracolma di fedeli mentre continuano gli afflussi nelle strade limitrofe per la beatificazione di papa Wojtyla.
I pellegrini vengono dirottati verso i maxischermi presenti in molte piazze romane davanti a chiese e basiliche: sono 14 in tutta la città .
Per la beatificazione, dice la Questura in una nota, si registra un “afflusso straordinario».
Oltre a Piazza San Pietro che ha già raggiunto il limite massimo di presenza si registra un imponente presenza di persone in via della Conciliazione, Piazza Pio XII, Piazza del Risorgimento, Largo Giovanni XXIII e in tutte le aree che si estendono lungo un raggio di circa 500 metri da piazza San Pietro.
Una vera e propria “marea umana” anche nei punti di raccolta dei fedeli dove sono stati installati 14 maxi schermi nei punti della città tra cui Circo Massimo, piazza Adriana, la stessa piazza del Risorgimento oltre che presso le Basiliche di San Giovanni, Santa Maria Maggiore e di San Paolo.
Il personale delle Forze dell’Ordine, i volontari e gli addetti al servizio di assistenza stanno lavorando per garantire le migliori condizioni alle persone radunatisi per seguire l’evento.
Tutte le operazioni vengono costantemente coordinate e monitorate attraverso il Centro per la gestione dell’evento attivato presso la Sala Operativa della Questura di Roma.
«Karol WojtyÅ‚a, prima come Vescovo Ausiliare e poi come Arcivescovo di Cracovia, ha partecipato al Concilio Vaticano II e sapeva bene che dedicare a Maria l’ultimo capitolo del Documento sulla Chiesa significava porre la Madre del Redentore quale immagine e modello di santità per ogni cristiano e per la Chiesa intera. Questa visione teologica è quella che il beato Giovanni Paolo II ha scoperto da giovane e ha poi conservato e approfondito per tutta la vita. Una visione che si riassume nell’icona biblica di Cristo sulla croce con accanto Maria, sua madre- evidenzia papa Ratzinger-. Un’icona che si trova nel Vangelo di Giovanni (19,25-27) ed è riassunta nello stemma episcopale e poi papale di Karol WojtyÅ‚a».
Una croce d’oro, una “emme” in basso a destra, e il motto “Totus tuus”, che corrisponde alla celebre espressione di san Luigi Maria Grignion de Montfort, nella quale Karol WojtyÅ‚a ha trovato un principio fondamentale per la sua vita: «Totus tutus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria — Sono tutto tuo e tutto ciò che è mio è tuo. Ti prendo per ogni mio bene. Dammi il tuo cuore, o Maria».
Aggiunge Benedetto XVI: «Nel suo Testamento il nuovo Beato scrisse: “Quando nel giorno 16 ottobre 1978 il conclave dei cardinali scelse Giovanni Paolo II, il Primate della Polonia card. Stefan WyszyÅ„ski mi disse: «Il compito del nuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio”».
E aggiungeva: «Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa — e soprattutto con l’intero episcopato — mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito».
E puntualizza il Pontefice: «Come vescovo che ha partecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno Pastore che mi ha permesso di servire questa grandissima causa nel corso di tutti gli anni del mio pontificato».
E qual è questa “causa”?
E’ la stessa che Giovanni Paolo II ha enunciato nella sua prima Messa solenne in Piazza San Pietro, con le memorabili parole: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!».
Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società , la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante — forza che gli veniva da Dio — una tendenza che poteva sembrare irreversibile»
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Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile
LA LETTERA AL “FATTO” DEI NIPOTI DELL’AVV.PERALE, TITOLARE DELLO STUDIO BELLUNESE IN CUI PANIZ SI ERA FATTO LE OSSA… QUANDO SI AMMALO’, PANIZ GLI PORTO’ VIA TUTTI I CLIENTI, SALVO POI CONTINUARE A CITARLO COME “MAESTRO”
Caro Direttore,
scriviamo in merito all’intervista all’onorevole Paniz pubblicata su queste vostre pagine il giorno 27 aprile a firma di Luca Telese.
Intervista in cui l’avvocato Paniz, riferendosi a un precedente articolo a lui riferito (21 aprile), sottolineava: “Avete scritto che ho raggirato il primo avvocato che mi ha dato lavoro e non è vero. Al punto che la famiglia mi ha chiesto di commemorarlo”.
Sicuramente l’avvocato Paniz ha imparato bene il mestiere nello studio dell’avvocato Agostino Perale, al tempo non anziano e non malato.
“Devo tutto all’avvocato Perale, tutto” ebbe infatti a dire in occasione di un ricordo pubblico — nessuna commemorazione — al quale partecipò per sua spontanea e rispettabile iniziativa, ma non certo chiamato dalla famiglia.
Quello che è sgradito a chi scrive è che la figura, la professionalità , ma ancor prima la persona dell’avvocato Perale, seppur lentamente, vengano accostate a uno scenario che reputiamo di infimo livello politico e sociale.
Per l’avvocato Perale l’indefettibilità dell’etica del fare sociale e della morale politica (amore per la polis, per la città di tutti) erano valori immobili, imprescindibili; sicuramente oggi l’avvocato Perale, se potesse farlo, si discosterebbe totalmente e condannerebbe piuttosto, senza sconti, le indifendibili — a parere di chi scrive — prese di posizione di chi, come l’onorevole Paniz ha fatto in questo giornale, si erge a sostenitore e difensore di un fare politico in cui l’avvocato Perale non si sarebbe mai, e sottolineiamo mai, riconosciuto.
Il pensiero e l’agire politico e professionale dell’avvocato Paniz non sono affar nostro e non spetta a noi giudicarli; così come non è nostra intenzione entrare in polemica con una persona con cui non desideriamo avere nullla a che fare.
Preghiamo solo l’onorevole Paniz, su queste stesse pagine in cui lui ha creduto opportuno farlo, di non avvalersi ancora dell’avvocato Perale, seppur non citandolo direttamente ma a lui evidentemente e palesemente riferendosi, a “difesa” della sua persona, politico o avvocato che sia.
Sicuramente conosciamo meglio noi il nonno, avvocato, amministratore, staffetta partigiana, esempio riconosciuto d’impegno civile per la città di Belluno, piuttosto che l’onorevole Paniz.
E su questo non è aperta discussione.
I nipoti dell’avvocato Agostino Perale
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Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile
DAVANTI A UNA PLATEA DI IMPRENDITORI BRIANZOLI, IL MINISTRO DELLO SVILUPPO INSULTA LA COLLEGA DELL’AMBIENTE SUL DECRETO INCENTIVI, IN NOME DELLA SUPERIORITA’ MORALE DELLA PADAGNA: “VORREBBE L’AUTOCERTIFICAZIONE, MA L’ITALIA NON E’ TUTTA COME LA LOMBARDIA”
Le agenzie di stampa, dando conto dell’ennesimo rinvio nell’approvazione del decreto sul quarto
conto energia, parlavano eufemisticamente di “contrasti” tra il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani e quello dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo.
La realtà , come testimonia il video in esclusiva su Repubblica.it dell’intervento svolto da Romani a un convegno sulle “prospettive di sviluppo per le aziende brianzole” organizzato a Giussano dal mobilifico Tissettanta, è che tra i due membri del governo è in atto una battaglia feroce.
Illustrando alla platea il motivo del contendere tra i due dicasteri, il titolare dello Sviluppo Economico non usa certo giri di parole per fotografare la situazione.
“Se quella matta della Prestigiacomo non mi fa incazzare ancora oggi…Lo dico perchè sono un po’ arrabbiato, veramente, non ci ho dormito la notte…”, afferma Romani alzando il tono della voce.
Il varo del quarto conto energia si è reso necessario nel marzo scorso, quando, a sorpresa, ad appena poche settimane dall’entrata in vigore del nuovo regime di incentivazione per il fotovoltaico, Romani ha fatto licenziare da Palazzo Chigi il decreto ” ammazza rinnovabili” che ha rimesso tutto in discussione.
Il vecchio sistema di aiuti all’energia solare cessa quindi di avere validità a fine maggio, mentre a stabilire le regole per il futuro dovrebbe essere appunto un nuovo provvedimento.
Romani, seguito a ruota dalla Prestigiacomo, dopo una clamorosa ondata di proteste e prese di posizione, aveva promesso quanto meno che i tempi sarebbero stati brevi per evitare di lasciare nell’incertezza un settore produttivo che calcolando anche l’indotto conta oggi su oltre 100 mila addetti. “Sarà pronto entro il 20 marzo”, aveva garantito.
In realtà , ad oggi, il quarto conto energia è ancora nel cassetto e le bozze discusse sin qui continuano a suscitare critiche e disappunto da parte sia delle Regioni che delle associazioni di categoria.
I motivi dei ritardi sono naturalmente molti e l’incentivazione delle energie rinnovabili non è certo una priorità di questo governo, ma ad un’ostilità di fondo si è aggiunta ora anche una profonda rottura tra i due ministri competenti.
A spiegare il motivo dello scontro è stato lo stesso Romani nel suo intervento al convegno di Tisettanta.
Davanti alla prospettiva di riduzioni graduali nell’incentivazione del fotovoltaico, il ministero dello Sviluppo Economico pretende che il calcolo per il tipo di tariffa a cui si ha diritto venga calcolata in base alla data di allaccio alla rete.
Di contro, spiega ancora Romani riferendosi alla Prestigiacomo, “qualche estremista vorrebbe che l’incentivo venisse fermato al momento in cui io mi autocertifico la conclusione dei lavori”.
“Mi stanno rompendo le palle”, aggiunge poco dopo.
Una posizione, quella del MSE, in teoria sensata, ma che non tiene conto del fatto che gli imprenditori onesti rischiano di vedere messo a repentaglio dai ritardi della burocrazia necessaria all’allaccio in rete anche un investimento fatto nei tempi giusti.
Un problema che evidentemente per Romani non esiste, mentre apparentemente la priorità è scongiurare le false dichiarazioni di fine lavori. “Dell’autocertificazione consentitemi di dubitarne, non in Lombardia per l’amor di Dio, ma in qualche altra parte d’Italia qualche dubbio sull’autocertificazione ce l’ho…”, dice il ministro alla platea brianzola senza nascondere un certo razzismo verso il Mezzogiorno.
Parole poco edificanti per un ministro della Repubblica, che assumomo un valore ancor più grave perchè lasciano spazio a congetture sull’esistenza di qualche sospetto sulla posizione della Prestigiacomo visto che probabilmente tra le “altre parti d’Italia” accennate da Romani c’è proprio la Sicilia, terra d’origine e collegio elettorale della collega dell’Ambiente.
Dallo staff del ministro si fa sapere che quelle utilizzate da Romani sono “espressioni colorite”, visto che i rapporti fra i due colleghi “sono ottimi”.
Non si tratta quindi “assolutamente di un attacco personale”.
Quella di Romani e Prestigiacomo è una divisione che mette a rischio centomila lavoratori in un settore strategico per il futuro del Paese, che era cresciuto nonostante la crisi per poi essere paralizzato dal decreto Romani.
Senza contare la spocchia con cui Romani intende magnificare la padagna a danno del meridione in modo manicheo, ennesima dimostrazione di un latente razzismo di questo governo che non sa neanche garantire gli allacci in rete in tempi burocratici europei, nord compreso.
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Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile
SULLA STRADA ASPETTANDO IL CAPORALE CHE TI FA LAVORARE…. TRA ABUSI, INGIUSTIZIE E MORTI SENZA NOME… IL “LAVORO SPORCO” DI TANTI “INVISIBILI” SOLO A CHI NON LI VUOLE VEDERE, IN UNO STATO SOCIALE LATITANTE
Sono le 5 del mattino, sulla statale a ridosso della Magliana, periferia sud di Roma. Vicino a un viadotto, si distinguono delle sagome sul ciglio della strada: vanno avanti e indietro tra le auto che sfrecciano.
Saranno una cinquantina, da lontano sembrano prostitute.
In realtà sono uomini: lavoratori, operai.
Tutti in cerca di un lavoro. «In nero, ovviamente».
Moldavi, ucraini, rumeni, polacchi in attesa del caporale che di lì a poco li assolderà in qualche cantiere, «in nero ovviamente».
Costano la metà e lavorano quasi il doppio rispetto a un operaio regolare.
Un manovale in nero prende 40 euro per dieci ore di lavoro; si sale fino
a un massimo di 70 euro per quelli con più esperienza.
Vuol dire che devono saper fare di tutto: muratura, pittura, intonaco, massetti, pavimenti, idraulica etc.
Nessuno può discutere o contrattare il salario.
Se ti sta bene sali in macchina, altrimenti resti in strada ad aspettare la prossima opportunità , se ci sarà .
Perchè le strade della capitale sono sempre più piene di lavoratori che si offrono senza condizioni.
Con una telecamera nascosta abbiamo anche filmato quello che succede
quotidianamente sulle strade provando a fotografare la paura, la rassegnazione e l’indignazione di chi non ha altra scelta per vivere.
Ma anche la spudorata arroganza con la quale i caporali abusano di queste persone.
Per un giorno ci siamo trasformati in uno di loro: siamo diventati operai in nero. “Invisibili” ma parte integrante di quella terribile piaga del lavoro senza diritti che affligge l’Italia.
Dopo alcune ore in piedi e sotto al sole si ferma una macchina.
Il socio di un’impresa locale ci ingaggia per il rifacimento della retefognaria di una residenza sanitaria.
Il prezzo per la giornata è 50euro.
Appena arrivati prendiamo ordini a ripetizione e iniziamo a fare quello che qui chiamano il «lavoro sporco».
Inutile parlare di sicurezza sul lavoro.
Se chiedi un paio di guanti o un casco ti ridonoin faccia: «Qui si lavora così … lavora piano piano».
Un altro operaio spiega che se ci facciamo male o sbagliamo a fare qualcosa è meglio che ce ne andiamo subito perchè il capocantiere nemmeno ci pagherà . Ma l’infortunio è il minimo che può capitare.
In casi peggiori nessuno dovrà mai sapere come e cosa è successo.
Insomma, dei fantasmi.
Inesistenti anche per le statistiche che non li contemplano neppure alla voce «morti sul lavoro».
Tragica realtà quotidiana nell’Italia che produce e lavora senza regole e diritti.
Antonio Crispino
(da “Il Corriere della Sera“)
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Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile
LA SCUSA SAREBBE CHE ALMENO QUELLI SOPRAVVISSUTI GARANTIREBBERO UNA ADEGUATA ASSISTENZA. SIAMO ALLA FARSA: INVECE CHE DOTARE TUTTI GLI OSPEDALI DI STRUMENTI, ATTREZZATURE E PERSONALE QUALIFICATO, SAREBBE MEGLIO CHIUDERLI E COSTRINGERE UNA DONNA A MACINARE CENTO CHILOMETRI CON LE DOGLIE
Chiusura dei reparti di maternità che effettuano meno di 500 parti l’anno e
riorganizzazione di quelli che ne registrano meno di 1.000.
La grande novita’ contenuta nel Piano del ministero della Salute per il riordino dei punti nascita, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni lo scorso dicembre e dunque operativo, fa gia’ registrare le ”prime resistenze”,
Il Piano portera’ alla chiusura, come stimato dallo stesso ministro della Salute Ferruccio Fazio, di circa il 30% dei reparti maternita’ italiani non rispondenti ai requisiti.
Ad essere coinvolte in maniera piu’ drastica sarebbero le Regioni del sud: in Calabria, ad esempio, si avrebbe la chiusura di 15 punti nascita su 29.
Il piano prevede 10 punti chiave per ridisegnare la ‘mappa’ del percorso nascita, tra i quali: riconvertire i centri in modo che siano tutti attrezzati e sicuri, favorire il parto naturale riducendo il ricorso al parto cesareo, garantire a tutte l’accesso all’analgesia epidurale, migliorare la formazione degli operatori, monitorare e verificare costantemente le attività , promuovere la Carta dei Servizi per il percorso nascita.
I veri problemi si presenteranno ora, sul territorio, in fase di applicazione delle nuove disposizioni, che prevedono la razionalizzazione/riduzione progressiva dei centri con un numero di parti inferiore a 1000 l’anno.
I piccoli ospedali a volte non hanno strumenti e attrezzature necessari, e non possono dunque offrire sufficiente sicurezza, dicono i sostenitori della riforma. La chiusura riguarderebbe 158 punti nascita su 559 nel Paese.
Coinvolte in maniera piu’ rilevante risulterebbero le regioni del Sud.
Sono infatti a rischio chiusura 38 punti su 75 in Sicilia, 22 su 72 in Campania, 15 su 29 in Calabria.
Minore l’impatto sulle regioni del Nord, con 8 punti nascita su 75 sotto i 500 parti l’anno in Lombardia e addirittura nessuno in Piemonte e Veneto.
E sono proprio i parti e le nascite ad essere piu’ frequentemente al centro degli episodi di presunti errori o malasanita’ commessi da medici e strutture ospedaliere in Italia, secondo la casistica raccolta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari.
Tra le segnalazioni raccolte infatti, solo tra giugno e settembre 2010, risultano pari a 19 su 47 i casi di neonati o puerpere morti in seguito al parto, per un cesareo mancato o ritardato o per il pellegrinaggio tra diverse strutture. Episodi piu’ spesso verificatisi negli ospedali di Calabria e Sicilia.
Ma la motivazione della presunta “razionalizzazione” è davvero ridicola: se i piccoli ospedali a volte non hanno strumenti e attrezzature necessari, e non possono dunque offrire sufficiente sicurezza’, basterebbe garantiglieli,come in tutti i Paesi civili.
Invece cosa si fa?
Si chiudono, anzichè dotarli di strumenti, attrezzature e personale specializzato.
Da notare che 500 parti all’anno significano 42-45 parti al mese, quasi uno e mezzo al giorno.
Non si tratta quindi di piccoli ospedali sperduti sui monti.
E poi vogliono pure spacciare dei miserevoli tagli per grande opera di “razionalizzazione”…
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Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile
CROLLO DOPO I TAGLI DELLA GELMINI: IN DUE ANNI LA SCUOLA MEDIA HA PERSO 14.000 CATTEDRE, MA CI SONO 33.000 ALUNNI IN PIU’….I GENITORI PROTESTANO: LAZIO, MARCHE ED EMILIA LE REGIONI PIU’ COLPITE
Crolla il tempo prolungato alla scuola media.
In meno di cinque anni, le classi che offrono mensa e lezioni pomeridiane ai ragazzini della secondaria di primo grado sono diminuite drasticamente.
E addirittura quelle che offrono 37/40 ore settimanali si sono più che dimezzate. Del resto, il calo del tempo-scuola alla media era nell’aria.
E adesso i dati lo confermano.
“Il ministro Gelmini non ha abolito ufficialmente il tempo prolungato – spiega Angela Nava, del Coordinamento genitori – ma con una serie di provvedimenti l’ha reso nei fatti sempre più faticoso. Dal 2008, non è possibile ampliare il numero totale delle classi a tempo prolungato e per attivarlo occorre formare un corso completo: prima, seconda e terza. La scuola, inoltre, deve essere in possesso di tutte le strutture adeguate: come la mensa. Quest’ultima condizione, con le pecche degli edifici scolastici italiani è quella più condizionante”.
E le famiglie?
“Le famiglie continuano a chiedere il servizio scolastico pomeridiano che le scuole spesso possono offrire soltanto a pagamento. Negli ultimi anni si è registrato un fiorire di cooperative che all’interno delle stesse mura scolastiche offrono servizi scolastici pomeridiani a pagamento per le famiglie”.
Bastava leggere attentamente il regolamento di riforma della scuola media per intuire come sarebbero andate le cose.
“Le classi a tempo prolungato – recita infatti il decreto – sono autorizzate nei limiti della dotazione organica assegnata a ciascuna provincia per un orario settimanale di 36 ore. In via eccezionale, può essere autorizzato un orario settimanale fino a 40 ore solo in presenza di una richiesta maggioritaria delle famiglie”.
E qualche passo dopo, precisa: “Le classi funzionanti a tempo prolungato sono ricondotte all’orario normale in mancanza di servizi e strutture idonei a consentire lo svolgimento obbligatorio di attività in fasce orarie pomeridiane e nella impossibilità di garantire il funzionamenti di un corso intero a tempo prolungato”.
Un mix di vincoli quasi insormontabile per i presidi.
Anche perchè, in appena due anni scolastici (dal 2008/2009 al 2010/2011), nonostante il numero di alunni si sia incrementato di 33 mila unità , la scuola media è stata colpita da un taglio di quasi 14 mila cattedre.
Operazione possibile soltanto alleggerendo i curricula e la permanenza a scuola degli studenti.
Nel 2006/2007, quando a viale Trastevere sedeva Giuseppe Fioroni, le classi con orario pomeridiano sfioravano il 29 per cento.
Ma già due anni dopo, con in sella Mariastella Gelmini, la percentuale scendeva di tre punti abbondanti per attestarsi ad un 21 per cento scarso quest’anno.
A fare il pieno, tre regioni meridionali: Basilicata, Sardegna e Calabria (le più colpite sono invece Lazio, Marche ed Emilia).
Ma in appena due bienni, la consistenza del Tempo prolungato si è contratta di 8 punti percentuali e 6.227 classi: oltre un quarto del totale.
A chiarire come andavano le cose qualche anno fa alla media ci pensa una pubblicazione del ministero.
Nel 2006/2007, oltre metà delle classi (il 51 e mezzo per cento) rimaneva a scuola per un numero di ore variabile tra 31 e 33.
Il 13 per cento delle classi fruiva di 34/36 ore di lezione a settimana e 6 classi su 100 rimanevano a scuola da 37 a 40 ore settimanali.
Senza troppe ristrettezze agli organici, l’autonomia scolastica consentiva infatti alle scuole di declinare il tempo-scuola in relazione alle esigenze di studenti e famiglie.
Nell’era Gelmini non è possibile spaziare troppo: due soli moduli-orario di 30 o 36 ore settimanali. E solo eccezionalmente 40.
Salvo Intravaia
(da “La Repubblica“)
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Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile
MARONI-MOURINHO SE LA PRENDE CON L’ARBITRO INVECE CHE FARSI UN ESAME DI COSCIENZA: SAREBBE BASTATO SEGUIRE LE DIRETTIVE COMUNITARIE NEI TEMPI PREVISTI…NON E’ VERO CHE L’EUROPA SE LA PRENDE SOLO CON L’ITALIA: GLI ALTRI VENTI STATI CHE NON AVEVANO APPLICATO LA DIRETTIVA HANNO RISPOSTO, NON HANNO FATTO FINTA DI NULLA
Ennesima tegola europea sulla politica d’immigrazione dell’Italia, che non regge
proprio l’esame dell’Ue.
Con procedura d’urgenza, la Corte di Giustizia europea boccia la norma che prevede il reato di clandestinità e lo punisce con il carcere, perchè contrasta con la direttiva dell’Ue sui rimpatri.
La norma non aveva già convinto del tutto la Corte costituzionale, che ne aveva trovato alcuni aspetti discriminatori.
La Commissione europea “accoglie con favore” la sentenza “veloce e chiara” ed è convinta che essa contribuirà a “ridurre l’incertezza giuridica causata in Italia dalla mancata attuazione nei termini previsti della direttiva sui rimpatri”.
Il governo di Roma, invece, reagisce male: “L’Europa non ci dà una mano neanche oggi e ci complica la vita”, dice il ministro dell’interno Roberto Maroni, quello del “meglio soli che male accompagnati”.
Maroni-Mourinho se la prende con l’arbitro, invece di farsi l’esame di coscienza. Chè, se l’Italia rispettasse le norme dell’Ue e applicasse le direttive nei tempi previsti, nessuno a Bruxelles le complicherebbe la vita.
Ma il ministro preferisce raccontare balle, invece che fare pulizia sull’uscio di casa, e si lamenta che l’Europa se la prenda solo con l’Italia.
Falso, perchè sono ben 20 su 27 gli Stati dell’Ue finiti sotto torchio per non avere applicato la direttiva sui rimpatri entro il 24 dicembre 2010, come previsto.
Solo che molti dei 20 hanno poi risposto alle richieste di chiarimenti, mentre l’Italia non l’ha mai fatto.
E, inoltre, la sentenza di ieri non è stata innescata dalla procedura d’infrazione avviata dalla Commissione, bensi’ dal ricorso di un giudice italiano, che ha chiesto alla Corte di Lussemburgo di vagliare se la norma italiana fosse compatibile con le comunitarie.
Il caso portato ai giudici europei è quello di Hassen El Dridi, un algerino condannato a fine 2010 a un anno di reclusione dal tribunale di Trento per non avere rispettato l’ordine di espulsione.
Secondo la Corte, “una sanzione penale come quella prevista dalla legislazione italiana può compromettere l’obiettivo di instaurare una politica d’allontanamento e di rimpatrio efficace, nel rispetto dei diritti fondamentali”.
La sentenza è destinata a fare giurisprudenza a livelloeuropeo: potrà essere applicata pure negli altri 11 casi italiani analoghi pendenti a Lussemburgo e, se necessario, anche dai tribunali di altri Paesi Ue.
Gli Stati membri – si legge nella sentenza – “non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo, una pena detentiva, come quella prevista dalla normativa italiana in discussione, solo perchè un cittadino di un Paese terzo, dopo che gli è stato notificato l’ordine di lasciare il territorio nazionale e dopo che il termine stabilito è scaduto3, non se ne va e “permane in maniera irregolare”.
Il reato di clandestinità per gli immigrati irregolari è stato introdotto nell’ordinamento italiano nel 2009, nell’ambito del cosiddetto ‘pacchetto sicurezza’.
D’ora in poi, dunque, i giudici italiani, responsabili del rispetto del diritto dell’Unione, “dovranno disapplicare ogni disposizione nazionale contraria alla direttiva – segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni – e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, che fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”.
Maroni-Mourinho, in realtà , non accetta il verdetto e già pensa a complicarci la vita: “Mi riservo di valutare le conseguenze di questa sentenza e di vedere come porvi rimedio”; quando lui e il suo collega della Giustizia Angelino Alfano dovrebbero piuttosto preoccuparsi che sia rispettata.
Il ministro leghista teme un colpo di freno alle espulsioni, cui tiene molto: il giudizio europeo —afferma- “trasforma le espulsioni in una semplice intimidazione ad abbandonare l’Italia entro sette giorni e rende assolutamente inefficace il contrasto all’immigrazione clandestina”.
Invece, l’Italia “vuole continuare con le espulsioni, che, con la Tunisia, funzionano bene: sono già oltre 600 i tunisini rimpatriati dal 5 aprile e questo fa anche da deterrente”.
Quel che Maroni non dice è che le espulsioni verso la Tunisia, stile ‘prendi e porta subito a casa”, sono un’altra cosa.
Ma i leghisti, alle mistificazioni sull’Europa, ci sono abituati: il governatore del Veneto Luca Zaia s’indigna perchè la sentenza cancella “una legge votata da un Parlamento sovrano” —come se le direttive europee non le avessero approvate Governi sovrani e l’Assemblea di Strasburgo-.
E non conta che il verdetto di Lussemburgo fosse dato per scontato dagli uomini di legge italiani e dalle organizzazioni internazionali che si occupano di rifugiati e immigrati.
Monsignor Marchetto, l’ex responsabile del Vaticano per i migranti, vuole il ritiro della legge.
E l’opposizione parla di sconfitta, dèbacle, Waterloo.
Mentre la stampa internazionale ancora s’interroga sulle conclusioni del vertice italo-francese di lunedi’ scorso, quando Berlusconi ha messo la sua firma accanto a quella di Sarkozy su una lettera alle istituzioni comunitarie che tutela solo gli interessi francesi.
Le Monde ci ha pensato su bene e poi ha concluso che “le speranza italiane sono andate deluse” e le “esigenze italiane sono state disattese”.
Giampiero Gramaglia
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, denuncia, Giustizia, governo, Immigrazione, LegaNord, PdL, Politica | Commenta »
Maggio 1st, 2011 Riccardo Fucile
GIOVEDàŒ MAGGIORANZA SALVATA DA PD E IDV E SULLE MOZIONI PER I TORNADO È CAOS TOTALE…TRA ASSENZE STRANE E SMS SBAGLIATI UNA OPPOSIZIONE TROPPO SPESSO STAMPELLA
Allarme sottovalutato.
Il Pd, con il voto di giovedì sul Documento di economia e finanza, ha fatto come a Fukushima.
Ha mandato ai suoi deputati un sms di “livello 1” e così, per venti voti, si è persa l’occasione di mandare sotto il governo su una materia seria come i conti pubblici.
I messaggini che i parlamentari democratici ricevono alla vigilia di ogni voto sono tarati su una scala che va da 1 a 3.
Uno, “presenza obbligatoria”: se manchi non è una tragedia.
Due, “presenza obbligatoria senza eccezioni”: solo i leader possono mantenere gli impegni presi.
Tre, “presenza senza eccezione alcuna”: nemmeno Bersani, per intenderci, può sgarrare.
Quell’sms è l’evoluzione tecnologica di un avviso che un tempo finiva a pagina 2  de l’Unità .
Ma anche tra i partiti dell’opposizione che non hanno certificato l’allarme basso, le assenze sono state equamente distribuite.
Diciassette democratici su 206, nove Udc su 39, due Idv — compreso Di Pietro — su 22, cinque finiani — Bocchino incluso — su 29.
Benedetto Della Vedova, capogruppo di Fli, ammette senza troppe remore: “Fesso che sono, dovevo pensare che sono peggio di quanto uno pensi”.
Ce l’ha con quelli della maggioranza, “blindati su processo breve e testamento biologico” e assenti sull’economia .
Ma anche con se stesso, che ha “dato per scontato” che si sarebbero presentati “in modo tetragono” come il giorno prima.
E sì che al Parlamento — schiacciato sui decreti e sui temi cari al premier — non capita poi così spesso di poter lavorare.
“È vero — dice Della Vedova — Ma c’è la campagna elettorale, è un momento particolare”.
Lo sostiene anche il Pd, che tra gli assenti ha tre candidati (Fassino a Torino, Ceccuzzi a Livorno, Bobba a Vercelli) ma che, con l’sms di livello 1, ha sottovalutato il livello di guardia della maggioranza.
Colpa delle prossime amministrative anche secondo l’Udc: “Ma è stato un errore — ammette Roberto Rao — e non lo ripeteremo. Comunque anche Di Pietro non c’era e nessuno lo ha accusato di fare la stampella”.
Il leader dell’Italia dei Valori era assente al voto sul Def: “Era un voto come tanti altri, l’occasione sulla quale far cadere il governo è un’altra: sarà mercoledì quando si dovrà votare la mozione della pace proposta dall’Idv per la Libia”.
Chi non la appoggerà , ecco il riferimento dell’Udc, farà “da stampella” al governo, da “ciambella di salvataggio” alla maggioranza.
Se la rottura tra Lega e Pdl dovesse consumarsi definitivamente martedì, infatti, sarebbero le mozioni di Pd e Terzo Polo a tenere in piedi la linea dei bombardamenti sostenuta anche dal governo.
“Noi facciamo da stampella al Paese in un momento di difficoltà ”, dice ancora il centrista Rao.
“Altro che stampella — gli fa eco il capogruppo Fli Della Vedova — il nostro è impegno serio”.
E ricorda che la stampella, se vogliono chiamarla così, l’opposizione l’ha già fatta: in commissione, quando la Lega disertò, per poi far pace con il Pdl qualche giorno più tardi.
Anche stavolta, è convinto Della Vedova, “passato il fine settimana di campagna elettorale troveranno modo un po’ patetico di rimettersi insieme”. Eppure, due sere fa, è stato proprio il leghista Matteo Salvini a disegnare lo scenario descritto da Di Pietro: “Sarebbe paradossale che il partito democratico con un voto favorevole accorra in soccorso del governo”.
“Ma la stampella sono loro! – dice il veltroniano Walter Verini — Noi dovremmo avere la forza di spiegare la nostra posizione al Paese, che è quella dell’Onu, di Obama, di Napolitano. Qui si gioca l’immagine del partito: su questioni straordinariamente rilevanti come queste, il fatto che sia anche la posizione del governo, è solo un effetto collaterale”.
La scelta di chiedere un voto parlamentare sulla Libia, nel Pd, è arrivata dopo lunghi tentennamenti.
E ha creato malumori all’interno del partito.
Proprio oggi, in un’intervista al Foglio, l’ex segretario Walter Veltroni ha detto che dopo le amministrative sarebbe “opportuno aprire una discussione” sulla linea Bersani.
Molto meno polemici, ma comunque amareggiati, anche il gruppo di parlamentari pacifisti.
Vincenzo Vita ha chiesto “un chiarimento: non può certo essere il Pd a rischiare di sorreggere il governo”.
Anche Enrico Gasbarra dice che “dentro il Pd il tema della pace dovrebbe avere un po’ più di spazio”.
“Pagheremo un prezzo – osserva Andrea Sarubbi — anche perchè il nostro elettorato è contrario alla guerra”. Veltroni un po’ meno, direbbe Bersani.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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