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LA CASTA CI PRENDE IN GIRO: TUTTI I TAGLI MANCATI, UN CATALOGO SENZA FINE

Luglio 19th, 2011 Riccardo Fucile

I TAGLI AI COSTI DELLA POLITICA RESTANO SOLO SULLA CARTA… L’INUTILE SEQUENZA DI PROPOSTE MAI REALIZZATE DAL PARLAMENTO

È il 15 maggio 2008, la legislatura è cominciata da sedici giorni e in Parlamento approdano le “norme per il contenimento dei costi della politica, delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni”.
Alla Camera le ha presentate la Radicale Rita Bernardini, al Senato il suo collega Marco Perduca.
Con quelle proposte, spiegava la Bernardini agli onorevoli colleghi, si raccolgono “i dati-denuncia divulgati in più occasioni dai quotidiani nazionali e contenuti nei saggi Il costo della democrazia di Cesare Salvi e Massimo Villone (Mondadori, 2005) e La casta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (Rizzoli, 2007)”.
Che fine hanno fatto?
Sono in commissione Affari costituzionali da luglio di quell’anno.
È così che ancora ieri, sulla prima pagina del Corriere della Sera, quattro anni dopo l’uscita di quel libro, Rizzo e Stella hanno potuto lanciare il loro avvertimento: quando Fini annuncia al Fatto l’intenzione di tagliare i costi della politica “non può pretendere che gli italiani gli credano sulla parola. Sono stati già  scottati troppe volte”. Solo nel 2008, almeno altre quattro: due proposte dell’Idv, tutte e due a firma del deputato Antonio Borghesi, sono ferme nei cassetti della Camera una da giugno, l’altra da ottobre di tre anni fa.
La prima chiedeva la “diminuzione del numero dei parlamentari, dei membri del governo e dei componenti dei consigli e delle giunte regionali, nonchè soppressione del Cnel”, l’altra pure sognava una più generica “riduzione dei costi della politica”.
Chiuse nel cassetto anche le buone intenzioni della Pd Olga D’Antona: sia quelle “per la semplificazione istituzionale” (assegnate a giugno 2008), sia quelle contro gli “sprechi e i costi impropri della politica” (settembre 2008).
Il 2009 non è andato meglio : al Senato è ferma dal 26 maggio di quell’anno la proposta presentata dal capogruppo dell’Italia dei Valori, Felice Belisario: chiede la “diminuzione del numero dei parlamentari, dei componenti dei consigli e delle giunte regionali, nonchè la soppressione delle province” (video sotto).
Un disegno di legge costituzionale identico è depositato anche alla Camera, primo firmatario Antonio Di Pietro.
Identico anche il destino: assegnato alla commissione Affari costituzionali il 30 giugno di due anni fa, non è nemmeno cominciata la discussione.
Lo stesso giorno di primavera del 2009, Belisario e Di Pietro hanno presentato altri due progetti di legge, a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Si tratta di “disposizioni per la riduzione dei costi della politica e per il contenimento della spesa pubblica” che servivano ad “onorare — diceva Belisario due anni e due mesi fa — i programmi di tutti i partiti politici e di tutte le coalizioni, che (…) sono rimasti lettera morta”.
Quelle depositate al Senato non hanno mai cominciato la loro corsa, il progetto presentato alla Camera, invece, è finito “assorbito” dalla Carta delle Autonomie di iniziativa governativa che dal 6 aprile scorso è all’esame delle commissioni del Senato.
Tutto fermo come le altre decine di proposte presentate in passato da Diliberto, Giordano, La Malfa, Salvi, Valdo Spini, perfino dal tanto vituperato Turigliatto: 24 proposte di legge in cinque anni e nessuna che sia mai arrivata almeno a un voto in aula.
Qualcosa vorrà  dire…
Spesso si presentano e poi non si sollecitano, altre volte il governo le presenta solo per dare una illusione agli elettori.

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ARRESTO PAPA: IL PDL ORA SPERA NEL VOTO SEGRETO

Luglio 19th, 2011 Riccardo Fucile

VERRA’ CHIESTO DAI “RESPONSABILI”… SI TEMONO DEFEZIONI NEL PDL: OLTRE A VERSACE ANCHE GUZZANTI TENTATO DAL SI’ ALL’ARRESTO…E PARTE LA CONTROMOSSA DEL PREMIER: SI ACCELERA SUL CASO DEL PD TEDESCO PER CERCARE DI BARATTARE QUALCHE ASSENZA STRATEGICA

E siamo ai freddi calcoli d’aula.
Quelli di quando mancano ormai meno di 24 ore al voto.
Stime su cui balla il destino di Alfonso Papa, ormai ex toga, ormai ex magistrato del ministero della Giustizia, ormai pure ex iscritto al Pdl.
Resta deputato berlusconiano, sulla cui testa pende una richiesta d’arresto per estorsione e concussione dei magistrati di Napoli.
Alle 16 parte il dibattito, tre ore dopo si saprà  se la sua sorte sarà  quella di passare la notte in cella.
Il Pdl, dicono i vertici a Montecitorio, è «fiducioso». «Lo salveremo» assicurano i Cicchitto, i Napoli, i Corsaro.
Le opposizioni, Pd, Udc, Idv, Fli, all’opposto: «Papa ha già  un piede in carcere. Troppe divisioni nella maggioranza. Stavolta non ce la fanno a salvarlo. Dopo di lui cadrà  anche Milanese».
Di cui la giunta per le autorizzazioni comincia a occuparsi di buon ora.
I numeri. È da quelli che bisogna partire.
Quelli che in queste ore, freneticamente, si stanno facendo negli uffici del capogruppo Fabrizio Cicchitto per capire se la strada dev’essere il voto palese, oppure il voto segreto, o ancora la libertà  di voto, in cui affogare comodamente un’eventuale sconfitta del cavaliere.
Ma sin d’ora, quasi al cento per cento, si può già  dire che il voto sarà  segreto.
Che ad assumersene la responsabilità  non sarà  uno del Pdl ma uno dei Responsabili.
Non è un calembour, un gioco di parole.
È quello che rivela il deputato Mario Pepe, berlusconiano nell’animo, ma animatore dei Responsabili. «Sì, potrei anche essere io a chiedere il voto segreto e a promuovere una raccolta di firme».
Ne bastano venti, alla fin fine una manciata. Si raccolgono prima del dibattito.
Si esibiscono all’ultimo momento, giusto quando il presidente indice la votazione.
Lui, Pepe, ci sta lavorando.
Il perchè è semplice. Svela il grande caos politico del momento.
I dubbi della Lega, Le sue divisioni. Ma anche il fermento nel Pdl.
Gli uomini di Cicchitto minimizzano: «Macchè dissidenti. Parliamo di due, tre, al massimo quattro deputati che voteranno per l’arresto. Non uno di più. Gli altri stanno tutti con Berlusconi».
Sul fronte dell’opposizione la stima è ben diversa: «Potrebbero essere oltre 15 i dissidenti del Pdl. Oltre a tutti quelli della Lega, 35, anche 40 deputati. Papa non può farcela» preconizza il finiano Nino Lo Presti.
Ufficialmente, solo Santo Versace ha detto che voterà  contro Papa.
Un no, ieri, lo ha pronunciato anche il Responsabile Paolo Guzzanti («Sono tentato di votare per il suo arresto, anche se sono preoccupato perchè significa consegnare il Parlamento alla magistratura»).
Un fan di Berlusconi come Francesco Nucara dice che voterà  per Papa libero, e pure per Milanese libero (ma vuole sfiduciare il ministro Romano per via del reato di mafia).
Sull’arresto esce netto il leader dell’Udc Casini: «Noi voteremo così, ma l’importante è che tutto avvenga alla luce del sole, senza l’escamotage del voto segreto».
Qui spunta di nuovo Mario Pepe.
«Certo – chiosa ridacchiando – perchè Casini lo sa bene che tra i suoi c’è chi voterà  contro l’arresto. Io, in questi giorni, ho parlato con 50, forse 60 colleghi tra centristi e democratici che sono contro le manette. Certo, se il voto è palese, sono tutti per l’arresto, ma con quello segreto sono contrari. Per questo noi chiederemo il voto segreto».
Ma anche, lo sa bene Pepe, ma lo sa bene tutto il Pdl, perchè nonostante gli sms di Cicchitto sulla «presenza obbligatoria e le missioni sospese», non tutti, a cominciare dai componenti del governo, saranno a Montecitorio.
Quindi, chiosa lo stesso Pepe, «il voto palese è impossibile».
Il Pdl riunisce il gruppo stasera.
Con il segretario Angelino Alfano, si dice. Una minaccia i berlusconiani l’hanno già  messa in circolo.
Il rischio che, al Senato, scatti l’arresto anche per il dalemiano Alberto Tedesco.
Richiesta del gip di Bari vecchia di cinque mesi, reati gravi nell’inchiesta sulla sanità  (corruzione, concussione, turbativa d’asta, falso), potrebbe arrivare in aula, guarda caso, giusto la prossima settimana.
Nel Pdl lo dicono tutti: «Se fanno arrestare Papa, noi facciamo arrestare Tedesco».

Liana Milella
(da “La Repubblica”)

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SPRECHI E PRIVILEGI, RIDURLI SI PUÃ’: LA CASTA PAGHI, ECCO QUALCHE IDEA

Luglio 19th, 2011 Riccardo Fucile

NEGLI STATI UNITI IL SENATO LAVORA IL 54% IN PIU’ CHE IL NOSTRO PARLAMENTO E L’ASSENTEISMO E’ DIECI VOLTE PIU’ BASSO…OGNI AMERICANO SPENDE 5,10 EURO PER MANTENERLO, OGNI ITALIANO 27,4 EURO…I RIMBORSI ELETTORALI AI PARTITI IN NOVE ANNI SONO AUMENTATI IN ITALIA 27 VOLTE IN PIU’ DEL NORMALE STIPENDIO DI UN IMPIEGATO

No, non possono chiedere ai cittadini di fidarsi ancora.
Se Gianfranco Fini si dice «certo», in una lettera a il Fatto quotidiano, che «entrambe le Camere faranno la loro parte» e che i tagli ai costi della politica saranno «votati in Aula prima della pausa estiva» non può pretendere che gli italiani gli credano sulla parola.
Sono stati già  scottati troppe volte. Carta canta.
Le promesse, le rassicurazioni e gli impegni non bastano più.
Il presidente della Camera, nella sua prima intervista dopo l’insediamento, convenne che «il primo dei buoni esempi che devono dare i parlamentari è quello della presenza» perchè «il vero costo che produce la “casta” è quello della improduttività ».
E ammonì: «I parlamentari devono essere presenti e lavorare da lunedì a venerdì, non tre giorni a settimana».
Risultato? Prendiamo quest’anno: dal 1° gennaio a oggi, su 28 venerdì in calendario, quelli con sedute in Aula sono stati 2.
Non sarà  certo colpa sua, ma è così.
Quanto a palazzo Madama, Renato Schifani si prese mesi fa lo sfizio, nel corso della seduta imposta per varare la riforma universitaria voluta dal governo, di bacchettare i soliti criticoni: «Oggi, 23 dicembre, antivigilia di Natale, siamo qui a lavorare».
Ciò detto, diede appuntamento a tutti al 12 gennaio 2011: 20 giorni dopo.
Da allora, l’Aula è stata convocata 68 giorni su 198 e mai (mai!) di venerdì.
Come del resto era successo in tutto il 2010: mai.
C’è il lavoro in commissione? Anche a Washington. Eppure lì, dice uno studio di Antonio Merlo della Pennsylvania University, il Senato lavora in media 180 giorni l’anno: il 54% in più.
Con un assenteismo 10 volte più basso.
Quanto ai costi, la Camera e il Senato Usa nel 2011 pesano insieme sulle pubbliche casse circa cento milioni meno dei nostri.
Ma in rapporto alla popolazione, ogni americano spende per il suo Parlamento 5,10 euro l’anno, ogni italiano 27,40: cinque volte e mezzo di più.
Diranno: ma poi lì ci sono i parlamenti statali.
Vero: ma in California c’è un parlamentare locale ogni 299mila abitanti, in Lombardia ogni 124mila. Nel Molise ogni 10.659.
Questo è il quadro.
C’è poi da stupirsi se una pagina di Facebook aperta domenica mattina da un anonimo ex dipendente della Camera deciso a vuotare il sacco sotto il titolo «I segreti della casta di Montecitorio», alle otto di sera aveva 135 mila «amici»?
L’impressione netta è che, mentre chiedono ai cittadini di mettersi «una mano sul cuore e una sul portafoglio», per usare un antico appello di Giuliano Amato riproposto da chi aveva seminato l’illusione di non mettere mai le mani nelle tasche degli italiani, quelli che Giulio Einaudi chiamava «i Padreterni», non si rendano conto che il rifiuto di associarsi a questi sacrifici rischia di dar fuoco a una polveriera.
Come possono imporre «subito» i ticket sanitari fino a 45,5 euro a operai e impiegati rinviando a «domani» (quando?) l’inasprimento del costo a carico dei parlamentari dell’assistenza sanitaria integrativa?
Come possono imporre «subito» un taglio alla rivalutazione delle pensioni oltre i 1.400 euro rinviando a «domani» (quando?) quello dei vitalizi loro, che nel 2009 hanno pesato per 198 milioni di euro e pochi mesi fa sono stati salvati con voto plebiscitario dalla proposta che voleva trasformarli in pensioni «normali» soggette alle regole comuni?
Come possono imporre «subito» il raddoppio della tassa sul deposito titoli che colpirà  i piccoli risparmiatori rinviando a «domani» (quando?) l’abolizione di quell’infame leggina che consente a chi regala denaro ai partiti di avere sconti fiscali 51 volte più alti di quelli concessi a chi dona soldi alla ricerca sulle leucemie infantili?
Nessuno contesta la necessità  di provvedimenti anche duri.
È irritante subirli dopo aver sentito e risentito che «la crisi è già  alle spalle» (Renato Brunetta, agosto 2008), che occorreva «finirla con i corvi del malaugurio» (Claudio Scajola, febbraio 2009) e che chi diffidava dell’ottimismo era un «catastrofista» che alimentava, come tuonò Silvio Berlusconi nel maggio di due anni fa, «una crisi che ha origini soprattutto psicologiche».
Ma è così: quando la casa brucia, va spento l’incendio.
Costi quel che costi.
Ma il golpe notturno che, con un paio di emendamenti pidiellini, ha stravolto all’ultimo istante la manovra di Tremonti che prevedeva l’adeguamento delle indennità  dei parlamentari italiani a quelle dei colleghi europei, non è solo un insulto ai cittadini chiamati a farsi carico della crisi.
È una scelta che rischia di delegittimare la stessa manovra delegittimando insieme la classe dirigente che la propone al Paese.
Non è più una questione solo economica: è una questione che riguarda il decoro delle istituzioni. La rappresentanza. La democrazia stessa.
Il governo, la maggioranza e la stessa opposizione sono certi di essere nel giusto e che quanto prima metteranno mano sul serio ai costi della politica?
Mettano da subito tutti i costi in piazza, su Internet.
Tutto pubblico: stipendi, prebende, assunzioni, distribuzione delle cariche, consulenze, curriculum dei prescelti, voli blu, passeggeri a bordo, tutto.
Barack Obama, pochi giorni fa, ha rivelato che i suoi più stretti collaboratori alla Casa Bianca prendono al massimo 172.200 dollari lordi: 118.500 euro.
Cioè 15 mila in meno di quanto poteva guadagnare quattro anni fa un barbiere del Senato.
Hanno o non hanno diritto, anche i cittadini italiani, a essere informati?
È stupefacente, oltre che offensivo, che in un momento di difficoltà  qual è questo, una classe politica obbligata a farsi «capire» da un Paese scosso, impoverito, spaventato, non capisca la drammatica urgenza di una svolta.
Ed è sconcertante che ancora una volta, a chi chiede conto dell’arroccamento in difesa delle Province o dei rimborsi elettorali cresciuti fra il 1999 e 2008 addirittura 26 volte di più del parallelo aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici (per non dire di quelli privati…) risponda rinviando tutto a una riforma complessiva ormai entrata nel mito come l’«Isola che non c’è» di Peter Pan.
Una riforma che, in un futuro rosa pastello, vedrà  finalmente ricomporsi in un magico e perfetto equilibrio la Camera e il Senato, il Quirinale e le città  metropolitane, le province e le circoscrizioni e i bacini imbriferi montani.
Un mondo meraviglioso dove tutti vivremo finalmente felici e contenti.
Con Biancaneve, Pocahontas, Cip e Ciop.

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)

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I FANTASMI DELL’AQUILA: DOPO DUE ANNI LA CITTA’ E’ ANCORA CONDANNATA AL SILENZIO TRA ERRORI, BUROCRAZIE E SPECULAZIONI

Luglio 19th, 2011 Riccardo Fucile

UN LABIRINTO DI NORME E RIMBORSI: COSI’ LO STATO CONGELA LE ROVINE… ECCO LE CIFRE DI UN INTERVENTO MOLTO PROPAGANDATO MA NELLA SOSTANZA INEFFICACE, CON I LAVORI DI RICOSTRUZIONE PARALIZZATI

Trentasettemila assistiti, centro storico inaccessibile, macerie ancora ferme dal 6 aprile 2009, economia al collasso.
Due anni dopo il sisma che provocò 309 vittime, oltre 1.600 feriti, la devastazione della città  e di altri 56 comuni del cratere sismico, i numeri e le immagini disegnano ancora uno stato di emergenza.
Non sono ancora terminati i lavori di messa in sicurezza degli edifici pericolanti.
La ricostruzione del centro storico è una chimera. Nelle periferie la ripresa consiste in uno sviluppo disordinato, quasi fai-da-te.
La ricostruzione bloccata.
La ricostruzione pesante, classificata E (16mila appartamenti) è ferma al palo, in centro come in periferia.
Sono appena 721 i contributi definitivi già  assegnati. Il resto è fermo.
Due anni dopo il sisma, si sta ancora discutendo sulla definizione delle regole.
“Non c’è chiarezza su una serie di punti fondamentali”, spiegano all’ordine degli ingegneri: dalla delocalizzazione degli interventi, fino alla spinosa questione delle seconde case. Tra i principali elementi d’incertezza c’è il costo dei restauri. Un’ordinanza ministeriale molto discussa fissa un rimborso pari a 800 euro al metro quadro. Troppo poco, secondo proprietari e professionisti. Poi c’è la questione dei criteri: in quali casi demolire, in quali riparare l’esistente. Poi, in quali aree può andare a costruire chi ha perso la casa”.
I progetti finanziati.
I progetti E finora finanziati, 721 a fronte di 2.761 domande presentate, secondo i tecnici sono più che altro riconducibili alle super B, cioè ai casi più semplici.
Tuttavia, questi interventi servono a realizzare il rinforzo degli edifici e non la sostituzione edilizia.
Numeri decisamente più consistenti, invece, per le ristrutturazioni delle abitazioni categoria B e C, che non presentano danni strutturali.
Per la prima categoria sono state ammesse a contributo 7.850 domande, mentre 1.020 sono quelle vistate positivamente per la seconda.
Complessivamente, la somma totale ammessa a contributo per le case con tipologia B, C ed E risulta pari a 571 milioni di euro, per un totale di 9.591 domande.
Per le case A (danni lievi) sono stati concessi 7.160 contributi pari a 65 milioni.
Le richieste di indennizzo sono finora 12mila.
Per 4.600 edifici è stata presentata la dichiarazione di fine lavori, quindi i residenti sono potuti rientrare in casa.
La città  al collasso. La questione economica è una delle partite ancora aperte.
Ormai da un anno gli aquilani sono tornati a pagare le tasse dopo la sospensione di 14 mesi (aprile 2009-giugno 2010).
La restituzione delle tasse sospese scatterà , al cento per cento, a fine anno.
Si è tornati a pagare le bollette di telefono, gas, energia elettrica e acqua, oltre ai pagamenti di Ici e Tarsu, del canone Rai e dei bolli auto.
Gli aquilani sono alle prese con le rate di mutuo, in molti casi anche su abitazioni danneggiate, interessi compresi.
Ricomparse anche le cartelle esattoriali di Equitalia per il recupero di vari tributi (Ici, Tarsu, Irpef, multe).
L’annuncio della zona franca urbana, una misura di sostegno alle imprese per favorire il rilancio del sistema economico piegato dagli effetti del sisma, è rimasto tale.
L’iter burocratico per ottenere la concessione, particolarmente lungo e complesso, è ora nelle mani dell’Europa.
A due anni dal sisma la disoccupazione è salita dal 7,5 all’11 per cento, senza tener conto di chi usufruisce degli ammortizzatori sociali. Un vero esercito.
Le macerie arenate.
Per capire il dramma delle rovine dell’Aquila basta leggere un rapporto di Legambiente.
Il contenuto è durissimo: L’Aquila e gli altri 56 comuni terremotati saranno liberi dalle macerie solo nel 2079.
In un contesto di indecisioni, ritardi, rimpalli di responsabilità , dal dossier emerge la macchina pubblica in tutta la sua inadeguatezza, a cominciare dall’azione più semplice, cioè la valutazione delle macerie prodotte dai crolli nella notte del 6 aprile 2009 e dalle demolizioni controllate degli edifici pericolanti.
Sulla base di calcoli fatti dalla Protezione civile e dai Vigili del fuoco, risultano 4,5 milioni di tonnellate di macerie, pari circa a 3 milioni di metri cubi.
Di questi solo un milione di metri cubi si troverebbe sulle strade, impedendo di fatto l’accesso e quindi la possibilità  di procedere alla ristrutturazione degli edifici.
La stima massima complessiva raggiungerebbe i 2.650.000 metri cubi di calcinacci, di cui circa 1.480.000 solo nel capoluogo (56%).
Il nodo dello stoccaggio.
L’altro problema messo in luce nel dossier è quello dello stoccaggio dei detriti.
Dallo studio emerge che: “Le macerie spostate finora sono state portate sempre ed esclusivamente alla cava ex Teges, il sito di Paganica individuato un anno fa dalla Protezione civile, affidato al Comune dell’Aquila e gestito dalla Asm, la municipalizzata incaricata del servizio rifiuti nel capoluogo abruzzese.
Secondo le informazioni fornite dall’assessorato all’Ambiente, qui vengono conferiti i detriti tal quali, così come previsto dal decreto terremoto dell’aprile 2009, per un quantitativo che oscilla tra le 500 e le 600 tonnellate al giorno.
Dopo le proteste degli aquilani, con le incursioni del popolo delle carriole nella zona rossa, viene definito, a valle di un incontro al ministero dell’Ambiente, un nuovo piano di rimozione.
Da quella data, lo smistamento dei materiali come il ferro, il legno, la plastica, avviene direttamente sulle strade con l’impiego di grossi container, mentre gli inerti e il sovvallo rimanenti prendono la strada della ex Teges, in cui attualmente arrivano a una media di 150 tonnellate al giorno.
Quello che dovrebbe essere un sito di stoccaggio temporaneo, però, rischia di diventare a tutti gli effetti una discarica. Fino a oggi, infatti, la ex Teges si è riempita e quasi mai svuotata, tanto che ormai è vicina alla saturazione.
Dal sito, grazie a due bandi del Comune dell’Aquila, sono uscite in totale 23.000 tonnellate di inerti a fronte, sempre secondo le stime dell’amministrazione comunale, di circa 90.000 tonnellate di macerie rimosse.
Nell’ipotesi volutamente più pessimista, procedendo cioè al ritmo attuale, per eliminare tutte le macerie del terremoto ci vorrebbero altri 69 anni.
Per scongiurare questa prospettiva occorre un cambio di marcia deciso, con l’immediata individuazione e attivazione di tutti i siti necessari”.
Il riciclo che conviene.
Inoltre, passaggio fondamentale del dossier è quello sulla green economy e sul riciclo delle macerie della ricostruzione.
La produzione e l’utilizzo di materiale edile da riciclo è un’attività  prevista dalla legge 203/2003, che obbliga all’impiego negli appalti pubblici del 30% di materiali riciclati (che la circolare n.5205 del 15 luglio 2005 ha esteso al settore edile).
Una legge dello Stato in vigore da sette anni che risulta totalmente disapplicata, e non solo in Abruzzo.
A tal proposito si legge nello studio di Legambiente: “Secondo l’Anpar (l’associazione che riunisce i produttori di aggregati riciclati, ndr), un impianto di riciclaggio di taglia medio-grande può trattare fino a 250mila tonnellate di inerti all’anno. Il che significa che, potenzialmente, una decina di impianti dislocati nel territorio della provincia dell’Aquila potrebbero lavorare in circa due anni tutti gli inerti derivanti dalle macerie del terremoto e produrre oltre 4 milioni di tonnellate di aggregato riciclato (la quantità  di aggregato riciclato prodotto coincide in genere con la quantità  di materiale lavorato)”.

Giuseppe Caporale
(da “La Repubblica“)

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QUANTO COSTA LA CASTA: PER OGNI NUOVO GRUPPO PARLAMENTARE “BALLANO” TRE MILIONI DI EURO

Luglio 19th, 2011 Riccardo Fucile

TRA CAMERA E SENATO CI SONO TREDICI FORMAZIONI, OGNUNA CON PERSONALE PROPRIO E SPESE DI SEGRETERIA CHE INCIDONO PER IL 69,5% SUI COSTI DI FUNZIONAMENTO….MONTECITORIO SPENDE 35,3 MILIONI DI EURO L’ANNO

Casta, stipendi parlamentari e privilegi a non finire.
Dopo la manovra che non taglia niente ai parlamentari ma impone pesanti sacrifici ai cittadini scatta una nuova ondata anti-casta con l’Italia intera che attraverso la rete invoca a gran voce una rivoluzione totale.
Ma attenzione perchè forse è meglio che nulla cambi, che tutto continui all’insegna della “l’immobilità  parlamentare”.
Perchè ogni lite, ogni discussione o distinguo rischia solo di generare nuovi costi sulle spalle dei contribuenti.
Lo rivela Il Sole24Ore che ha messo sotto la lente il costo dei Gruppi parlamentari e delle singole formazioni che ne fanno parte.
Il conto è salatissimo.
I gruppi pesano sulle tasche degli italiani 35,7 milioni di euro e ogni volta che ne nasce uno nuovo arriva a costare da solo tre milioni di euro.
Ogni gruppo, infatti, ha un suo personale, sue spese di segreteria che incidono complessivamente per il 69,5% sui costi per il funzionamento.
Per ospitare un nuovo gruppo bisogna trovare nuovi uffici o adibire i vecchi a nuovi “ospiti”: sposta di qua, trova nuovi spazi di là , non è stupefacente il fatto che solo per l’affitto di uffici al centro di Roma Montecitorio spenda 35,3 milioni di euro all’anno. Alla fine dei conti la sola Camera spende ogni anno 57mila euro a deputato, aggiuntivi rispetto alle indennità  e ai rimborsi vari.
La loro conflittualità , infatti, costa cara ai cittadini.
Resta una domanda di fondo: ma la legge elettorale non doveva mettere un freno alla proliferazione di partiti, sigle e partitini? Doveva, in teoria.
Alle ultime politiche, infatti, i gruppi a Montecitorio erano solo cinque ma neanche due anni dopo sono diventati tredici.
Con un costo aggiuntivo di 24 milioni di euro per i cittadini.
Il perchè è presto detto.
La legge elettorale ribattezzata “Porcellum” che porta la firma di Roberto Calderoli ha imposto sbarramenti al 4% dei voti a livello nazionale alla Camera e all’8% su base regionale al Senato.
La legge ha quindi bloccato la “mobilità  in entrata”, lasciando sulla soglia del Parlamento le minoranze e con esse buona parte della rappresentanza del Paese (ad esempio tutta la sinistra e la destra radicale).
Ma non quella interna all’aula che si traduce in una proliferazione senza freni di nuove formazioni da parte degli eletti.
Deputati e senatori, una volta occupato il loro legittimo scranno su mandato degli elettori, decidono di sedere su un altro.
Così, complici i cambi di maggioranza, le scissioni si assiste al walzer dei gruppi e alla nascita di nuove sigle e siglette.
Ogni gruppo ha un suo personale, sue spese di segreteria che incidono complessivamente per il 69,5% sui costi per il funzionamento.
In pratica la Camera spende ogni anno 35,7 milioni di euro per il funzionamento dei gruppi: si tratta di 57mila euro a deputato, aggiuntivi rispetto alle indennità  e ai rimborsi vari.
Ma questo pare interessare poco gli eletti, che non si lasciano imbrigliare dai costi e perseguono (ad ogni costo) i loro principi.
Infatti i casi di scissione e nuova formazione sotto altre spoglie sono numerosi e stanno a destra e manca.
Prima l’esodo di singoli nel Gruppo Misto, poi la diaspora dei finiani in Futuro e libertà  e la nascita dei Responsabili, rispettivamente causa ed effetto del voto pro Berlusconi del 14 dicembre.
A questi però vanno aggiunti i sottogruppi del misto (all’interno ci sono, per esempio, i Repubblicani azionisti e Liberaldemocratici) che comprendono anche l’Api di Francesco Rutelli fuoriusciti dal Pd.
Se il quadro nazionale è questo bisogna poi verificare gli effetti a valle delle scissioni a monte.
Perchè se a Roma nasce un nuovo gruppo, facilmente questo si ritroverà  a sedere su altre poltrone anche in regioni e province.
Con effetti “moltiplicatori” dei costi che spesso sono stupefacenti.
Sempre il quotidiano di Confindustria stigmatizza la situazione della Basilicata dove la popolazione conta circa 600mila abitanti (metà  di quella milanese) e in consiglio regionale siedono in 30, divisi però in ben 11 gruppi.
Uno, in particolare, segna il massimo della coesione interna: Popolari Uniti, infatti, sono uniti davvero perchè il loro gruppo è composto da un solo consigliere che è ovviamente capogruppo e lo stesso accade a Io amo la Lucania, a Per la Basilicata, oltre a Sel, Idv, Psi, Api ed Mpa.
Così gli 11 capigruppo ai 6.529,49 euro al mese che compongono l’indennità  e i rimborsi del consigliere senza stellette possono aggiungere 667 euro al mese per il grado di capogruppo.
Più generoso l’extra dei capigruppo nel Lazio (813 euro), e in Piemonte e Veneto (mille euro).
La riprova che a trainare le scissioni e i nuovi gruppi sia il vil denaro arriva dal Molise dove non sono ammessi per statuto extra per i capigruppo.
Qui il tempo si è fermato: la geografia dei gruppi è rimasta la stessa del 1994 con i gruppi di Forza Italia, Alleanza Nazionale, i Ds, la Margherita, lo Sdi e l’Udeur.
Nel consiglio regionale molisano ci sono ancora tutti, e convivono serenamente con le ultime novità  in fatto di partiti (c’è il Fli, oltre all’Mpa) e con le sigle locali (Per il Molise, Progetto Molise e Molise Civile).

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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“DER SPIEGEL” MASSACRA ANCORA IL CAVALIERE : BERLUSCONI GONDOLIERE TRA ESCORT E SIRENE, L’ITALIA SPUTTANATA

Luglio 18th, 2011 Riccardo Fucile

IL SETTIMANALE TEDESCO DEDICA LA COPERTINA AL NOSTRO PREMIER E AL “DECLINO DEL PAESE PIU’ BELLO DEL MONDO”…NEL LUNGO SERVIZIO “CIAO BELLA” SI SPAZIA DAL BUNGA   BUNGA ALLA CRISI ECONOMICA

Silvio Berlusconi gondoliere tra due sirenette escort a seno nudo, con un piatto di spaghetti e una pistola al centro dell’Italia.
Questa la copertina del settimanale tedesco Der Spiegel. ‘Ciao bella!’ è il titolo, in italiano, dedicato al presidente del Consiglio e al “declino del paese più bello del mondo”.
Nel sommario si legge: “I mercati finanziari internazionali hanno perso la fiducia nell’Italia. Dopo 17 anni di Berlusconi, il Paese è pesantemente indebitato e maturo per un cambio di governo. Uno dei paesi fondatori dell’Unione europea appare paralizzato dall’incapacità  del suo premier, che è occupato innanzitutto dai suoi affari personali”.
All’interno, lo speciale si intitola “Basta.” (in italiano), e copre 11 pagine del settimanale, incluso un grafico con le differenze in termini di pil pro capite e tassi di disoccupazione nelle varie zone d’Italia (il Sud e le isole al di sotto della media nazionale, il centro nord al di sopra).
Il piatto di spaghetti con revolver ai piedi del Berlusconi-gondoliere, che nel disegno del pittore americano Dan Adel è adagiato proprio sulla Campania, in realtà  richiama la storica copertina dello Spiegel del 1977, accompagnata allora dal sottotitolo “Rapimenti, estorsioni, furti in strada. Il paese delle Vacanze, Italia”, che tanto scalpore fece nell’Italia di quegli anni.
Del servizio di questo numero si sono occupati tre giornalisti del settimanale di Amburgo: la neo-corrispondente da Roma, Fiona Ehlers, che ha girato il paese, assieme agli ex corrispondenti dalla Capitale, Alexander Smotczyck e Hans Juergen Schlamp.
Il lungo articolo comincia proprio con l’apertura del processo contro Silvio Berlusconi, il 16° contro il premier italiano dall’inizio degli Anni Novanta e “finora il più spettacolare”.
Il Cavaliere peccatore beccato con le mani nel sacco: non solo il tribunale milanese, l’intera l’Italia di nuovo deve occuparsi delle “buffonerie” del suo capo di governo e “in un momento in cui il paese va a fuoco, in cui è in gioco la sopravvivenza dell’economia italiana e da cui dipende anche il futuro del progetto europeo, se la terza economia dell’Eurozona viene governata con scrupolo e capacità “.
“Nel 150° anniversario la Repubblica italiana – scrive lo Spiegel – è profondamente spaccata a metà , la sua Costituzione denigrata e logorata dai suoi stessi organi”.
E ancora: “Il capo di governo all’estero viene deriso e coperto di disprezzo a causa del Bunga-Bunga, della duratura crisi di governo e dell’indebitamento. Parole pesanti, che solo i media stranieri sembrano in grado di pronunciare.
“Ciao Bella” (in italiano), un paese non più modello, ma sempre apprezzato, si allontana dalla prima fila: la crescita economica nel 2009 è crollata del 5%, nel 2010 è aumentata di pochissimo”.
Citando i rimproveri dell’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, il quale – secondo il celebre settimanale tedesco – si è rivolto a tutti coloro che vogliono dire “Basta” alle “orge nell’harem del presidente del Consiglio, alla crisi economica sempre più drammatica, alla cronica debolezza dell’opposizione, al disprezzo per i giudici”.
“Basta soprattutto con gli onnipresenti ghigni, il make up-cerone e i vistosi trapianti di capelli di colui che da 17 anni sta cercando di plasmare il paese a sua immagine. Basta (in italiano) Silvio Berlusconi”.
“Rimane sempre di meno dell’Italia degli Anni Settanta e Ottanta, che guardava all’Europa con speranza, simpatia e alle volte invidia – bacchetta lo Spiegel – Il paese è spaccato in ulteriori pezzi. In tv le donne continuano a essere ridotte a chiappe sculettanti, molti comuni orgogliosi del nord si sono trasformati in roccaforti della Lega nord. Il mito di Cinecittà  è diventato l’impero del cattivo gusto, il conglomerato dei media di Berlusconi Mediaset”.
Il Belpaese lascia il posto al “Malpaese” (in italiano): “Non può essere la colpa di un unico uomo. Ma Berlusconi ha promosso tutto questo”.
Nel lungo servizio i tre corrispondenti passano dall’abolizione dell’Ici lanciata da Berlusconi per vincere le elezioni del 2008, che ha svuotato le casse dei comuni italiani, alla caduta del ministro Tremonti e allo scandalo del suo consigliere Marco Milanese.
La stagnazione, i tagli e via di seguito.
La politica economica di Berlusconi, scrive lo Spiegel, è un “mix di interventismo e laissez-faire”, “tutto è possibile, se nell’ultimo sondaggio si parla di una sua possibile debacle”.
“Questa non è politica, è democrazia dell’intrattenimento”, sentenzia il settimanale, che cita numerosi opinionisti e giornalisti di casa nostra, da Francesco Sisci a Giuliano Ferrara, da Flores d’Arcais al professore esperto di “autocrati” alla Columbia University Mark Lilla, nonchè Ruth Stirati, una romana che ha fatto la sua fortuna fondando un’agenzia per trovare casa agli italiani “in esilio” a Berlino”.
Dalle “papi girls” – tra Ruby Rubacuori incinta, Nicole Minetti e Lele Mora – alla criminalità  organizzata e la Salerno-Reggio Calabria, l’articolo dà  molto spazio anche alla Lega nord che regna nelle zone ricche dell’Italia settentrionale, dove in occasione del 150esimo anniversario della Repubblica italiana è “impossibile comprare un tricolore”…
“Diciassette anni Berlusconi ha dominato l’Italia.
Il Berlusconismo è stata un dolce veleno, prima piacere poi vizio.
“Ci vorranno molti anni – conclude il settimanale – prima di disabituare questo meraviglioso paese”.

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IL PROCESSO RUBY RESTA A MILANO: NO AL TRIBUNALE DEI MINISTRI

Luglio 18th, 2011 Riccardo Fucile

RESPINTE DAI GIUDICI LE ECCEZIONI DI GHEDINI E LONGO ANCHE IN MERITO AL TRASFERIMENTO AL TRIBUNALE DI MONZA…”A DECIDERE E’ IL REATO PIU’ GRAVE”, QUELLO DI CONCUSSIONE…”NON E’ CONSENTITO IL PROSCIOGLIMENTO NEL MERITO”

Nè il Tribunale dei ministri nè quello di Monza.
Il processo sul caso Ruby, che vede Silvio Berlusconi imputato per prostituzione minorile e concussione, resta a Milano.
I giudici della quarta sezione penale del capoluogo lombardo hanno infatti rigettato le eccezioni di competenza funzionale e territoriale sollevate dai difensori del premier.
Secondo il collegio presieduto dal giudice Giulia Turri, il tribunale di Milano è competente nel giudizio e «non è consentito il proscioglimento nel merito dell’imputato», come chiesto dalla difesa.
L’ordinanza letta in aula spiega che «sulla scorta del capo di imputazione il tribunale ritiene la propria competenza funzionale», in quanto la contestata a concussione non ricade sotto la competenza del Tribunale dei ministri.
Di fatto, dunque, il collegio ha rigettato la tesi prospettata dai legali del premier secondo la quale non si possono scindere le funzioni di presidente del Consiglio dalla qualità  di premier nella commissione del reato.
Per quanto riguarda la competenza territoriale, i giudici hanno ribadito che per il codice di procedura penale «si radica nel luogo di consumazione del reato più grave». In questo caso la concussione, visto che «è un reato colpito con pene più pesanti» rispetto a quello di prostituzione minorile, che la stessa procura ritiene consumatosi ad Arcore, quindi nel distretto giudiziario sotto la competenza del tribunale di Monza.
E per i giudici, contrariamente a quanto sostenuto dai difensori, la concussione è stata commessa a Milano perchè l’«utilità  perseguita» da Berlusconi telefonando al capo di gabinetto della questura per ottenere il rilascio di Ruby la notte tra il 27 e 28 maggio 2010 si è di fatto consumata negli uffici della questura in via Fatebenefratelli.

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UN MILIONE DI PERSONE A LIBRO PAGA DELLA POLITICA

Luglio 18th, 2011 Riccardo Fucile

UN MOSTRO CHE CI COSTA 646 EURO A TESTA L’ANNO… IN GRAN BRETAGNA I PARLAMENTARI DEVONO SPIEGARE ON LINE AI CITTADINI TUTTE LE LORO SPESE… ACCORPARE I COMUNI MINORI PORTEREBBE A FORTI RISPARMI

Più che una casta è una grande città , popolata da oltre un milione e 300mila abitanti. Tanti sono oggi gli italiani che vivono, direttamente o indirettamente, di politica: ministri, parlamentari, assessori, consulenti, membri delle municipalizzate.
Un esercito che costa circa 24 miliardi di euro l’anno.
Dove tagliare? Un esempio: se si accorpassero gli oltre 7.400 comuni al di sotto dei 15mila abitanti, si risparmierebbero 3,2 miliardi di euro l’anno.
E l’abolizione delle Province? Porterebbe nelle casse dello Stato altri 7 miliardi.
Facile a dirsi, meno a farsi.
Fa testo il caso di Ischia. Un’isola, sei Comuni: Barano, Casamicciola Terme, Forio, Ischia, Lacco Ameno e Serrara Fontana.
Poco meno di 63mila abitanti, sei sindaci, sei giunte, sei consigli comunali.
Ma guai a parlare di fondersi.
Al referendum del 6 giugno si è presentato neanche un elettore su tre.
Perchè in Italia a “campare di politica” sono in tanti.
Partiamo da chi è chiamato ogni anno ad approvare la legge finanziaria: i parlamentari.
Quanto guadagnano? Oltre 11mila euro al mese.
Più di tedeschi (7mila) e francesi (6.800), molto più degli spagnoli (2.921 euro).
Non solo. Il parlamentare italiano gode di una serie di rimborsi per trasferte in Italia e all’estero, taxi, bollette telefoniche, spese mediche.
“Sono tante le voci da sommare e il calcolo non è facile – conferma l’ex vicedirettore dell’Istituto Cattaneo, Gianfranco Baldini, che insegna “Partiti e gruppi di pressione nella Ue” all’Università  di Bologna – altrove hanno optato per una maggiore trasparenza”.
Un caso per tutti: “In Gran Bretagna dopo lo scandalo dei rimborsi gonfiati, hanno messo tutto per iscritto sul sito della Camera dei comuni. Un parlamentare inglese guadagna 65mila sterline l’anno e oggi deve rendere conto on line delle spese effettivamente sostenute per il soggiorno a Londra e per le eventuali trasferte. Noi invece in Europa ci distinguiamo per il trattamento dei nostri europarlamentari: i più pagati e i più assenti, almeno fino alla scorsa legislatura. Ma gli sprechi non vengono solo dal parlamento, la vera giungla è il mondo delle municipalizzate”.
I parlamentari sono infatti la punta dell’iceberg.
Oggi, stando a una recente analisi Uil, sono oltre 1,3 milioni le persone che campano, in un modo o nell’altro, di politica.
A partire dai 145mila parlamentari, ministri e amministratori locali, di cui: 1.032 parlamentari nazionali ed europei, ministri e sottosegretari; 1.366 presidenti, assessori e consiglieri regionali; 4.258 presidenti, assessori e consiglieri provinciali; 138.619 sindaci, assessori e consiglieri comunali.
A questi vanno aggiunti gli oltre 12mila consiglieri circoscrizionali (8.845 nelle sole città  capoluogo); 24mila membri dei consigli d’amministrazione delle 7mila società , enti e consorzi a partecipazione pubblica; quasi 318mila persone che hanno un incarico o una consulenza presso una qualche amministrazione.
E ancora: la massa del personale di supporto politico addetto agli uffici di gabinetto dei ministri, sottosegretari, presidenti di regione e provincia, sindaci, assessori; i direttori delle Asl; i componenti dei consigli di amministrazione degli Ater.
E le spese?
Ogni anno i costi della politica, diretti e indiretti, ammontano a circa 18,3 miliardi di euro, a cui occorre aggiungere i costi derivanti da un “sovrabbondante sistema istituzionale”, quantificabili in circa 6,4 miliardi.
In totale fa 24,7 miliardi.
Una somma che equivale al 12,6% del gettito Irpef, pari a 646 euro medi annui per contribuente.
Qualche voce: per il funzionamento degli organi dello Stato centrale, secondo il bilancio preventivo dello Stato, quest’anno i costi saranno di oltre 3,2 miliardi di euro. Per le società  pubbliche o partecipate nel 2010 si sono spesi 2,5 miliardi di euro.
E per le consulenze?
Il costo nel 2009 è stata di ben 3 miliardi di euro.

Vladimiro Polchi
(da “La Repubblica“)

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TRA MANOVRA E GOVERNO TECNICO, BERLUSCONI ALLA VERIFICA DEL COLLE: “HO 34 VOTI DI SCARTO, VADO AVANTI”

Luglio 18th, 2011 Riccardo Fucile

PER LA GIUSTIZIA RIPRENDE QUOTA BRUNETTA, RESTA IL PROBLEMA DEL DECRETO RIFIUTI CHE LA LEGA NON VUOLE VOTARE…”IN ATTO IL TENTATIVO DI COMMISSARIARE IL MIO RUOLO”

“Confronto e condivisione”, è la rotta dalla quale non ci si potrà  più allontanare e sulla quale il capo dello Stato Napolitano tornerà  a insistere nel faccia a faccia convocato per questa mattina con il presidente del Consiglio Berlusconi.
Il momento è dei più delicati, la manovra passa proprio in queste ore alla prova dei mercati, attraverso le forche caudine delle borse.
Una manovra che comunque il premier presenterà  al Colle come un successo politico del suo governo al quale, ribadirà , “numeri alla mano, non c’è alternativa”.
Il Cavaliere fa riferimento ai “34 voti di scarto” incassati venerdì alla Camera, anche per allontanare implicitamente ogni ipotesi di governo tecnico sulla quale in tanti in queste ore sono tornati alla carica, dai leader dell’opposizione Casini, Bersani, Veltroni, all’economista Nouriel Roubini.
Il Colle tiene nella massima considerazione intanto la salvaguardia dei conti.
Dunque, la priorità  è evitare ogni contraccolpo politico, ogni segnale di instabilità , polemiche, scontri istituzionali.
Il vertice matura nell’arco del pomeriggio, Berlusconi è in beato relax a Villa Certosa quando gli viene comunicato da Gianni Letta l’invito.
Niente processo Mills a Milano, che pure era in agenda per questa mattina, potenziale scenario di nuovi affondi contro la magistratura dopo la sentenza sul lodo Mondadori. La convocazione al Quirinale – racconta chi ha avuto modo di sentirlo – non è stata accolta nel modo migliore dal premier.
Proprio dalla ripresa di oggi dopo la parentesi dell’emergenza-manovra, si era riproposto di tornare “in partita”, superando quello che in privato ha bollato nè più nè meno che come un “commissariamento” nei suoi confronti.
Ma la presidenza della Repubblica non ha alcuna intenzione di travalicare i confini della moral suasion, nè di entrare nel dibattito politico, come ha sottolineato Napolitano.
L’invito sarà  piuttosto quello di continuare a lavorare per quanto possibile sul filo della “coesione”, che ha funzionato nei giorni neri della scorsa settimana.
C’è da ragionare anche in vista dei leader dei paesi Euro per giovedì. E poi del decreto rifiuti sull’emergenza Napoli, che da oggi torna in discussione alla Camera e che ha visto la maggioranza spaccarsi e la Lega di traverso.
Anche su questo l’attenzione del capo dello Stato è massima.
Berlusconi sa bene che alla Vetrata non si parlerà  solo di manovra e crisi finanziaria, che il presidente si attende una parola chiara sul successore di Angelino Alfano al ministero della Giustizia, dicastero tra i più delicati, per mille ragioni.
“Fino a poche ore fa il premier ci spiegava che è intenzionato a sponsorizzare a spada tratta la candidatura di Brunetta, ritiene Renato la scelta migliore per via Arenula” riferisce un uomo di governo.
Il Cavaliere pensa al ministro della Pubblica amministrazione – già  protagonista di campagne che hanno fatto insorgere le toghe, come quella sui tornelli nei tribunali – quale ideale testa d’ariete per portare avanti le battaglie sperate su intercettazioni e riforma della giustizia.
Ma non sarà  facile ottenere il disco verde dalla più alta carica dello Stato, al contempo presidente del Consiglio superiore della magistratura.
Congelata l’opzione Frattini, archiviate per diverse ragioni quelle di Lupi e Donato Bruno, nelle ultime ore si è tornato a parlare dell’outsider Anna Maria Bernini, che non dispiacerebbe a La Russa, oltre che di Enrico La Loggia, le cui chances però sarebbero calate.
Quel che è certo è che da domani Angelino Alfano dovrebbe – come chiede da giorni al premier – prendere in mano il partito, con tanto di vertice già  convocato a Palazzo Grazioli coi coordinatori regionali. Il neosegretario dovrà  affrontare il nodo spinoso del voto di mercoledì in aula sull’arresto di Alfonso Papa e sarà  preferibile per lui evitare di farlo da Guardasigilli ancora in carica.
Il rientro a Roma stamattina del premier lasciava presagire un rinvio del vertice di stasera ad Arcore con Bossi.
Tanto più che, con il Senatur, Berlusconi era convinto di aver chiarito già  al telefono, due giorni fa, la questione che più gli premeva: scongiurare il voto favorevole della Lega sull’arresto di Papa, pur caldeggiato dall’ala maroniana del partito.
Ma è bastata la retromarcia di ieri sera del leader del Carroccio, tornato a dirsi favorevole all’arresto, per convincere l’entourage del premier che forse oggi sarà  il caso di rientrare a Milano e confermare il vertice con Umberto.
Ecco, il caso Papa, appunto.
Da Palazzo Chigi danno per scontato che nel faccia a faccia di oggi al Quirinale sarà  chiesto quale sarà  l’indirizzo del governo e della maggioranza sulle richieste di arresto di Papa e Milanese.
Berlusconi proverà  a tenere il punto.
Come pure si attendono che il presidente Napolitano chieda conto di come il governo intenda affrontare la richiesta di rinvio a giudizio per mafia del ministro Saverio Romano.
Il Colle aveva messo perfino per iscritto tutte le sue riserve.
Adesso il nodo viene al pettine e su Romano incombono tre mozioni di sfiducia individuale.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)

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