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ORA ARRIVERA’ LA VENDETTA DEL CAIMANO

Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile

NELLA LEGGE DI STABILITA’ CHE BISOGNERA’ APPROVARE PRIMA DELLA SUA DIPARTITA VERRANNO INSERITE NORME AD PERSONAM E MISURE

Avviso ai naviganti. Non è ancora finita.
Prima che Silvio Berlusconi se ne vada ne vedremo delle belle. Anzi delle brutte.
Il premier, raccontano i suoi, si sta preparando al colpo di coda.
Da assestare alla prima occasione.
Che, in questo caso, si chiama legge di stabilità . È in quella legge, destinata in teoria a soddisfare i mercati, che i suoi uomini tenteranno di inserire un pezzo della buonuscita del Cavaliere.
Il capo del governo, del resto, è stato chiaro.
Le dimissioni scatteranno solo dopo l’approvazione della nuova manovra, nella quale verrà  aggiunto al Senato un maxi-emendamento contenente parte delle misure riportate nella sua lettera d’intenti inviata la scorsa settimana in Europa.
Interventi che, proprio dopo il voto alla Camera, il commissario europeo agli affari economici Olli Rehn ha giudicato “insufficienti”.
Ora il punto è che nessuno conosce il contenuto del maxi-emendamento. Mentre si conoscono (e bene) alcune bozze dei lavori preparativi al Consiglio dei ministri del 24 ottobre che avrebbe dovuto licenziare il decreto sviluppo.
Qualcuno se le ricorderà : s’introduceva una legge ad personam post mortem per favorire i figli di primo letto del Cavaliere dopo la dipartita del loro illustre genitore, si parlava di condoni, di militarizzazione della Val Susa.
E quello era solo l’antipasto.
Perchè se si pensa ai conti dello Stato con un certo disagio viene in mente che con (inesistenti) ragioni economiche sono state in passato motivate dal Pdl pure le norme sulla prescrizione breve e quelle sulle intercettazioni.
Insomma il dibattito al Senato sarà  l’occasione giusta per provare a far passare molto di ciò che davvero interessa a Berlusconi, assieme a norme draconiane sul mercato del lavoro e, probabilmente, le pensioni.
Una medicina amarissima che il futuro ex presidente del Consiglio vuole fare trangugiare a tutti in un colpo solo.
Contando sulla spinta di uno spread sempre più alle stelle, sulle richieste dell’Unione Europea e sulle opposizioni costrette già  oggi, e a scatola chiusa, a promettere che la legge di stabilità  verrà  votata celermente.
Allora e solo allora, si potrà  capire se andremo a elezioni o se nascerà  un nuovo governo.
E Berlusconi, anche nella sconfitta, potrà  ancora una volta pensare di aver vinto.
Sarà  la vendetta del Caimano.
Gli italiani, c’è da giurarlo, la ricorderanno a lungo.

Peter Gomez blog

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BERLUSCONI SI ARRENDE AL QUIRINALE: “LEGGE DI STABILITA’ E POI MI DIMETTO”

Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile

IL PREMIER (FORSE) SI FARA’ DA PARTE DOPO IL VIA LIBERA DEL PARLAMENTO ALLE MISURE ANTICRISI… LE OPPOSIZIONI: “VIGILEREMO SUI CONTENUTI”

Silvio Berlusconi è un premier a scadenza: si dimetterà  dopo l’approvazione della legge di Stabilità , ma in realtà  si è dimesso oggi.
Lo ha promesso al capo dello Stato, ma sulle dimissioni pesa il dubbio legato alla bocciatura da parte della Ue della lettera anti-crisi portata al G20 di Cannes.
Il maxi-emendamento alla legge di Stabilità , infatti, è stato scritto prima del parere negativo espresso il 4 novembre dall’Europa: il Parlamento, a questo punto, cosa dovrà  votare?
Un documento nuovo (in cui magari inserire di tutto) o un provvedimento nato già  morto?
E quale sarà  la strategia dell’opposizione ?
Votare qualsiasi misura pur di ratificare l’uscita di scena promessa da Berlusconi o stoppare tutto, con gravi ripercussioni sui mercati?
Pier Luigi Bersani ha già  fiutato l’ipotetica trappola: “Ci riserviamo un esame rigoroso del contenuto dell’annunciato maxiemendamento alla legge di stabilità  — ha detto il segretario del Pd — per verificare le condizioni che ne permettano, anche in caso di una nostra contrarietà , una rapida approvazione”.
In attesa di comprendere ciò che sarà , il punto di partenza è il comunicato emesso dall’ufficio stampa di Giorgio Napolitano da cui si è andato in seguito al voto sul Rendiconto dello Stato alla Camera.
Qui, il Cavaliere ha dovuto incassare una verità  incontrovertibile: non ha più una maggioranza che lo sostiene.
Il passo indietro è stato certificato direttamente dal Quirinale, con un comunicato che non lascia spazio a ulteriori interpretazioni.
Dopo il voto sul maxi-emendamento — che dovrebbe rappresentare la risposta alle richieste dell’Europa (condizionale d’obbligo dopo le parole di Olli Rehn) — , “il Presidente del Consiglio rimetterà  il suo mandato al Capo dello Stato, che procederà  alle consultazioni di rito dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione”: dal Colle parole chiare, nette, che non ammettono interpretazioni e che tracciano l’uscita di scena di Silvio Berlusconi.
Non un addio definitivo, però.
Il premier, infatti, ha già  pronta la sua personale road map, che punta ad un obiettivo ben preciso: cercare di ricompattare ciò che resta della sua maggioranza per cercare di vincere le prossime elezioni, anticipate o meno.
Prima, tuttavia, c’è da rispondere all’Unione europea e per farlo il parlamento dovrà  approvare il maxi emendamento alla legge di Stabilità .
In tal senso, il programma sarebbe pronto: martedì 15 novembre il voto al Senato, entro fine mese alla Camera e poi la ratifica del passo indietro di Berlusconi.
L’iter, tuttavia, potrebbe subire un’accelerata decisiva, con un anticipo sulle date del voto.
Da non dimenticare, in tal senso, quanto detto oggi dal commissario europeo agli affari economici Olli Rehn, che dopo la riunione Ecofin di oggi ha certificato la pochezza della lettera del governo italiano all’Ue.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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GOVERNO BOCCIATO: SUL RENDICONTO I SI’ SONO 308, MA GLI ASTENUTI 321

Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile

LE OPPOSIZIONI: “BERLUSCONI ORA SI DIMETTA, LA MAGGIORANZA SI E’ DISSOLTA”

Il Rendiconto generale dello Stato è stato approvato con 308 voti a favore del centrodestra e un’astensione.
Alla votazione hanno preso parte infatti solo 309 deputati.
In 320, oltre al presidente della Camera, non hanno preso parte alla votazione.
Fra questi il deputato Pdl Alfonso Papa, agli arresti domiciliari.
Il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha chiesto in aula al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di prendere atto del voto e dimettersi subito, essendo ormai “certificata” la fine della maggioranza per il suo Governo alla Camera.
Il deputato Gennaro Malgeri ha preso la parola scusandosi per il ritardo che gli ha impedito il voto a favore del rendiconto.
Ad astenersi un altro deputato Pdl, Franco Stradella.-
Il presidente del Consiglio, subito dopo il voto, si è messo a controllare il tabulato dei voti che gli è stato consegnato dalla sottosegretaria Laura Ravetto.
Ora tutti i ministri sono intorno al premier per controllare chi ha votato a favore e chi non ha votato per il Rendiconto finanziario dello Stato.
Subito dopo il voto Berlusconi ha rivolto qualche parola al ministro dell’Interno Roberto Maroni.
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è riunito con il leader della Lega Umberto Bossi e con il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, nella sala del governo.
Sono undici i deputati di area centrodestra che oggi non hanno partecipato al voto sul Rendiconto generale dello Stato.
Si tratta dei deputati del Pdl Roberto Antonione, Fabio Fava, Gennaro Malgieri, Giustina Destro, più Alfonso Papa (agli arresti domiciliari).
Assenti al voto anche gli esponenti del Misto Calogero Mannino, Giancarlo Pittelli, Luciano Sardelli, Francesco Stagno D’Alcontres e Santo Versace.
Si è invece astenuto Franco Stradella, del Pdl.
‘Sicuramente il presidente Berlusconi parlera’ con il Presidente della Repubblica. Nessuno sottovaluta il voto di oggi”. Lo dice Ignazio La Russa dopo il voto sul rendiconto.
”Berlusconi ha perso la maggioranza parlamentare” . Questo il titolo di apertura del Wall Street Journal online, dove all’Italia e alla crisi del debito dell’Europa è dedicato ampio spazio.
“La coalizione di Silvio Berlusconi ha vinto solo 308 voti su 630 in un voto chiave, abbastanza per vincere ma troppo pochi per assicurare la sua capacità  di restare al governo”
Il primo commento di Silvio Berlusconi al voto sul rendiconto generale dello Stato è di stupore: “Mi hanno tradito, ma questi dove vogliono andare?”, ha chiesto a un gruppo di esponenti del Pdl riuniti attorno ai banchi del governo nell’emiciclo, leggendo i nomi degli undici che non hanno votato.
Il premier non si aspettava, riferisce chi gli ha parlato pochi secondi dopo l’esito delle votazioni, che la maggioranza sarebbe andata sotto i 310.
Bisogna capire cosa fare, ha sostenuto il Cavaliere, ma io non mi abbatto, voglio andare avanti.
Al presidente del Consiglio hanno spiegato che alcuni deputati erano assenti per motivi giustificati (Nucara) e altri non hanno potuto partecipare per altri impedimenti.
“Ero al bagno, non sono riuscito a votare”, dice Gennaro Malgieri.
Dobbiamo capire cosa fare, il problema dei numeri c’e’, ha sottolineato il premier prima di lasciare l’Aula.
Ad un altro deputato Berlusconi ha ripetuto di voler riflettere, ribadendo poi di avere l’intenzione di fino in fondo.
“In questa situazione che vede il Paese bloccato voglio che Berlusconi faccia un passo e prenda in mano la situazione allargando la maggioranza, con un coinvolgimento maggiore dei moderati del Paese”, afferma Franco Stradella, il deputato Pdl che si è astenuto sul rendiconto.
“Se no ci avvitiamo ancora sulla politica spicciola”.
Stradella puntualizza che si è astenuto formalmente partecipando alla votazione “per differenziarmi dalla sinistra”.
Secondo il deputato del Pdl, ”la questione è seria, i mercati sono in subbuglio e non possiamo ricorrere sempre alla pietà  di chi ci viene di volta in volta in soccorso”.
”Non credo proprio che possa decidere Bossi, sarà  il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano semmai a valutare”.
Così la deputata dissidente ex Pdl Giustina Destro risponde sull’ipotesi di una premiership di Angelino Alfano suggerita dal leader della Lega Umberto Bossi. “Al Paese — aggiunge — serve un progetto politico nuovo”.
“Se questo governo fosse un film, saremmo al ‘the end’. Berlusconi si faccia da parte e rimetta il Paese in condizioni di sperare. Il governo non esiste da tempo e non si capisce cosa stiano a fare ancora li’. Lo afferma il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi
”Per Berlusconi direi ‘sic transit gloria mundì”. Lo dice Roberto Menia (Fli), usando le stesse parole con cui il premier commentò la morte di Muammar Gheddafi.

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RENDICONTO, L’OPPOSIZIONE SI ASTERRA’, 5 DISSIDENTI SI SFILANO, NUCERA MALATO NON VOTERA’

Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile

BOSSI SPINGE PER DIMISSIONI DEL PREMIER E INCARICO AD ALFANO PER NON RIMANERE TAGLIATO FUORI

E’ il giorno della conta, quello in cui la votazione alla Camera certificherà  se la maggioranza esiste ancora.
Tornato a Roma dopo un viaggio lampo ad Arcore, Silvio Berlusconi ha convocato ieri sera a Palazzo Grazioli un vertice del Pdl.
Tre ore di riunione sono servite a valutare la situazione politica venutasi a creare con alcune defezioni di parlamentari nelle file del Pdl e con la richiesta di un «passo laterale» venuto anche dalla Lega che ha chiesto a Berlusconi di aprire il cammino a un nuovo governo e soprattutto a una nuova premiership.
«Ho chiesto a Silvio di fare un passo a lato, Alfano premier» dice Bossi.
La conclusione del vertice conferma la linea del presidente del Consiglio: per ora niente dimissioni.
Berlusconi attenderà  il voto di oggi pomeriggio alla Camera sul rendiconto dello Stato, poi è previsto un nuovo vertice questa sera a Palazzo Grazioli con lo stato maggiore di Pdl e Lega.
Si valuterà  in quella sede il numero delle eventuali astensioni sul provvedimento che verranno dalle fila del centrodestra e i voti favorevoli ottenuti dal provvedimento. «Oggi facciamo passare il Rendiconto e l’assestamento, a quel punto valuteremo» dice Cicchitto.
Di sicuro si sono sfilati i cosiddetti dissidenti.
I deputati Roberto Antonione, Giustina Destro, Fabio Gava, Giancarlo Pittelli e Antonio Buonfiglio non parteciperanno al voto: «Ribadiamo – scrivono – la necessità  che il Presidente del Consiglio favorisca la nascita di un nuovo Governo con la più ampia base parlamentare, per affrontare la drammatica emergenza economica e finanziaria dell’Italia».
Le opposizioni, dopo una mattinata di confronti, hanno annunciato che saranno in aula ma si asterranno.
«Berlusconi governa sulla base di un ribaltone, perchè Scilipoti e compagnia non erano con lui alle elezioni» attacca Bersani.

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IL FORTINO DEL BISCIONE E L’INCUBO DELLA MANNAIA SUGLI SPOT

Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile

IL TITOLO BALLA IN BORSA, MARINA E PIER SILVIO IN TRINCEA PER EVITARE L’EMORRAGIA DI MILIONI IN CASO DI FINE DEL DUOPOLIO RAISET

Arcore chiama Cologno Monzese: il vertice della famiglia (allargata) telecomanda figli e fedeli alla corte del premier agonizzante.
L’arrivo di Pier Silvio, dopo Confalonieri e Marina, a Villa San Martino ieri in mattinata è, letteralmente, la “prova televisiva”.
Un summit che spiega come l’impero finanziario sia la prima preoccupazione del premier.
E la consueta confusione del conflitto d’interessi, in un giorno in cui la Borsa racconta l’altalena (anche) dei titoli di casa B., sballottati da annunci e smentite sulla fine dell’esecutivo.
Le azioni Mediaset ieri mattina perdevano circa il 2,6% per risalire poco dopo le 12 alla notizia sulle dimissioni ad horas, lanciata come una bomba da Giuliano Ferrara.
Ma Piazza Affari non dice tutta la verità , perchè la presenza a capo del governo dell’imprenditore Berlusconi ha fatto comodo, eccome, alle imprese domestiche.
Non solo per le leggi ad aziendam, come quella che l’estate dell’anno scorso consentì a Mondadori di ‘chiudere’ in via definitiva una vertenza con il Fisco, su un mancato pagamento di 173 milioni pretesi dall’Agenzia delle Entrate, con un esborso di soli 8,6 milioni.
Grazie papi, come al solito.
Anche se resta lo scotto del Lodo Mondadori, costato a B. un assegno da 560 milioni di euro e l’aggravarsi della sindrome dell’assedio.
Altri numeri fanno paura a Marina e Pier Silvio.
Quelli degli ascolti delle reti di casa, per esempio: domenica in prima serata, Canale 5, Rete4 e Italia1 hanno racimolato in tutto il 28,6% di audience.
La Rai il 44%: solo Report oltre il 14%.
Perde la tv generalista, in assoluto, ma Mediaset perde molto.
Soprattutto in termini di gradimento: in un giorno medio dell’ottobre 2005, le tre emittenti private raccoglievano in prima serata il 41% del pubblico; la tv pubblica il 46%.
Lo stesso dato oggi vale per Mediaset il 31%, per la Rai il 36.
Ormai il mercato tv si è aperto: lo dimostrano il Servizio Pubblico di Santoro e il telecomando libero di spettatori sfiancati dai Grandi Fratelli vari (che infatti registrano tracolli).
Con un paradosso in termini pubblicitari: la Rai ha una media share del 41% e incassa solo il 24% del capitale pubblicitario in circolazione, il Biscione con il 36% di share attrae il 56%, cioè 2 miliardi e 413 milioni.
Senza contare il business della pubblicità  istituzionale che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi indirizza sulle reti televisive di Silvio Berlusconi: 4,659 milioni di euro su 21,466 milioni stanziati nel 2010 per radio, giornali e tv, cioè il 21,70% del totale.
Sky e La7 raccolgono le briciole, e la Rai? La concessionaria Sipra ha portato pubblicità  di ministeri vari per un valore di 890 mila euro, ma di fatto non ha incassato un euro: viale Mazzini è obbligata a concedere spazi gratuiti al governo.
La grande paura dei pargoli di B. oggi si chiama legge Gentiloni: una cosa che un nuovo esecutivo (più disinteressato del precedente) potrebbe rispolverare, riportando al 45% il tetto massimo di pubblicità .
A Cologno Monzese una cosa è certa: se cambia il governo, cambieranno anche le cose in Rai.
Saranno più difficili le larghe intese, la concorrenza troppo leale in casa Raiset, insomma il sostanziale controllo di un solo potere sul mercato della tv. Forse il premier teme la vendetta nel luogo che più gli sta a cuore: il portafoglio.
E in giro — almeno così sembra — ci sono meno amici pronti a dichiarare che “Mediaset è patrimonio culturale del Paese” (Massimo D’Alema).

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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FIDUCIA O MUERTE: ANCHE SILVIO “TIENE FAMIGLIA”

Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile

VERTICE CON I FIGLI AD ARCORE, ALLA FINE BERLUSCONI NON MOLLA… OGGI VOTO SUL BILANCIO, LA LEGA AVVERTE: FATTI DA PARTE

La Famiglia, innanzitutto. Il partito e la maggioranza solo un zerbino per resistere e non mollare, andando allo scontro finale oggi alla Camera sul rendiconto di bilancio.
L’ultima parola, quella che conta, Silvio Berlusconi l’ha pronunciata davanti al vero gabinetto di guerra riunito ad Arcore: i figli Marina e Pier Silvio e l’amico di sempre Fedele Confalonieri.
Perchè la tutela di Fininvest e Mediaset vale più di un Paese in crisi. L’eterno conflitto d’interessi. Il Cavaliere ha visto i suoi all’ora di pranzo e ha “sputtanato” il pressing amico di Giuliano Ferrara (Il Foglio) e Franco Bechis (Libero) che davano per “imminenti” le dimissioni del capo del governo.
Invece, no.
In una telefonata allo stesso quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, Libero, il Cavaliere si fa falco di se stesso e proclama: “Domani (oggi per chi legge, ndr) si vota il rendiconto alla Camera, quindi porrò la fiducia sulla lettera presentata a Ue e Bce. Voglio vedere in faccia chi prova a tradirmi. Non capisco come siano circolate le voci delle mie dimissioni, sono destituite di ogni fondamento”.
In pratica, è la liquidazione di un governo guidato dal suo braccio destro Gianni Letta (magari con Maroni e Alfano vicepremier), almeno per il momento.
Ipotesi che aveva come condizione indispensabile il fatidico “passo indietro” o “laterale”, e che ieri gli avrebbe chiesto pure la Lega di Bossi.
Piuttosto, B., preferisce andare in aula e guardare in faccia i “i traditori”.
L’ha ripetuto ai figli, a Confalonieri e anche all’avvocato-deputato Niccolò Ghedini che li raggiunti a Villa San Martino, la tenuta familiare di Arcore.
Un summit aziendale di Famiglia, senza dimenticare i guai giudiziari di Berlusconi.
A loro, il premier ha affidato la sua decisione dopo l’ennesimo vertice notturno del Pdl: “Io non cambio linea proprio ora, preferisco andare a sbattere piuttosto che darla vinta a quelli là ”.
Marina, la primogenita che siede nel cda di Mediobanca ed è a capo di Fininvest e Mondadori, sarebbe stata la più entusiasta: “Papà , fai benissimo, non devi assolutamente mollare”. Detto fatto.
Il momento della verità  sarà  oggi sul rendiconto già  bocciato una volta e che ha portato alla verifica della maggioranza con la fiducia del 14 ottobre scorso. In quell’occasione il centrodestra toccò quota 316.
Un risultato impensabile per oggi.
Secondo le previsioni più ottimistiche che circolano tra i falchi del Pdl arrivare a 314 sarà  già  un miracolo. La forbice però è abbastanza larga, da 314 si potrebbe anche scendere sotto i 310.
Tutto dipenderà  dai “frondisti” dichiarati o ancora in sonno del Pdl e dalle assenze strategiche in aula (tipo il segretario del Pri Nucara).
Il loro numero è la vera scommessa del voto di oggi.
Perchè se non si verificherà  la tanto annunciata slavina del Pdl e la partita si giocherà  sul filo di un voto, a favore o contro Berlusconi, allora il premier avrà  altre ragioni per resistere un giorno o una settimana in più.
Ieri in un Transatlantico praticamente deserto, nonostante la seduta pomeridiana, alcuni calcoli dei peones finivano con un pareggio 313 sì e 313 astensioni.
Scenari teorici, che dovranno fare i conti con la notte di trattative che si è aperta ieri sera quando B. è ritornato a Palazzo Grazioli, la sua residenza privata nella Capitale.
L’agenda prevede incontri e telefonate con tutti i ribelli, da quelli della lettera dell’Hassler (in particolare Bertolini, Stracquadanio e Antonione) a quelli già  usciti e passati con l’Udc (la Carlucci e la D’Ippolito).
In ogni caso, secondo la prima cerchia del premier , stasera dopo il voto B. andrà  al Quirinale per annunciare la sua road map: presentarsi in Parlamento per chiedere la fiducia sui provvedimenti chiesti dalla Ue.
In ballo c’è il maxiemendamento alla legge di stabilità .
Ma la frase riferita a Libero, “porrò la fiducia sulla lettera a Ue e Bce”, ha fatto nascere un nuovo mistero che aumenta il caos di queste ore.
Berlusconi potrebbe andare in Parlamento con “la lettera” e non con il maxiemendamento e puntare sulle divisioni dell’opposizioni in nome dell’emergenza nazionale. Non solo.
Dove andrà  prima? Al Senato o alla Camera?
A Palazzo Madama, dove il vantaggio del centrodestra non è in discussione, l’attività  riprenderà  la prossima settimana e immaginare altri sette giorni in balia dei mercati e dello spread è da folli.
Soprattutto se la maggioranza dovesse diventare minoranza nel voto di oggi sul rendiconto: cosa farebbe in questo caso il capo dello Stato?
La tesi di andare prima al Senato è propugnata da chi vorrebbe un B. dimissionario dopo la fiducia incassata a Palazzo Madama.
Una prova difficile da reggere. Più probabile, allora, che il governo vada al giudizio di Dio a Montecitorio già  questa settimana: domani le comunicazioni del Cavaliere, giovedì la fiducia.
Il “non mollo” di B. non ha affatto diminuito la varietà  di scenari alternativi. Liquidato il governo Letta, prende corpo la candidatura del presidente del Senato Schifani, in caso di “altra personalità  del Pdl”.
Ma il vero obiettivo da contrastare, per il premier, è l’esecutivo tecnico di Mario Monti, economista della Bocconi ed ex eurocommissario.
Soltanto che il varo del governo Monti avverrebbe solo con un certo margine di vantaggio, grazie alla presunta fuga del Pdl.
Ma se questo non accade, a partire da oggi, Berlusconi dirà  a Napolitano che nemmeno l’opposizione ha i numeri.
Un gioco allo sfascio per arrivare alle elezioni anticipate nel 2012.

Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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STAMPA ESTERA: “ULTIME ORE PER BERLUSCONI?”

Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile

DAL FINANCIAL TIMES A LE MONDE, DA BILD A EL PAIS, DA EL MUNDO AL NEW YORK TIMES AL WALL STREET JOURNAL: TUTTI I GIORNALI SCANDISCONO UNA FINE VICINA

Le voci sulle possibili dimissioni di Silvio Berlusconi travalicano i confini nazionali e arrivano ben presto all’estero: in Gran Bretagna la BBC apre con la foto del Cavaliere corredata dal titolo “record per i tassi di prestito dell’Italia” e osserva che “la preoccupazione” dei mercati verte “non tanto sull’economia italiana ma sulla sua situazione politica”, oltre a sancire che “potrebbe essere l’inizio della fine per Berlusconi”, riportando le affermazioni di un esperto della City.
“Le speculazioni su Berlusconi irritano i mercati” è invece il titolo, in prima pagina, del Financial Times.
In Francia, la stampa non è più clemente: “Silvio, è finita, inutile accanirsi”, titola Le Monde, citando le parole del ministro dell’interno Roberto Maroni pronunciate ieri a “Che tempo che fa?”.
In Germania il popolare tabloid Bild scrive: “Berlusconi, ultime ore al potere?” ed evidenzia che “il governo è senza maggioranza”.
Per lo Spiegel Online: “Berlusconi nega i rumors sulle sue dimissioni” anche se “i mercati sperano in un suo ritiro”.
In Spagna El Pais titola “Berlusconi accelera i tempi per salvare il governo” benchè, secondo il quotidiano iberico, il premier “stia crollando”.
El Mundo punta l’attenzione sulla volontà  di Berlusconi di non dimettersi:“L’Italia annega nel mercato del debito mentre Berlusconi si aggrappa al posto”.
Oltreoceano, il New York Times in prima pagina titola “Berlusconi nega i rumors sulle dimissioni” e sottolinea come la crisi del debito europeo oggi “ha minacciato il secondo governo dell’Ue (dopo la Grecia, ndr) visto che il sostegno al premier è sembrato erodersi rapidamente”.
Il Wall Street Journal, infine, apre con il titolo “Il futuro di Berlusconi è appeso a un filo” ed evidenzia come il premier stia mettendo in campo “gli ultimi disperati sforzi per salvare la coalizione”.

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ANCHE LA DEMOCRAZIA E’ COLPITA DALLA CRISI: CHI NON HA PIU’ FIDUCIA A LIVELLO RECORD

Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile

IL 23% LA EQUIPARA AI REGIMI AUTORITARI, CAUSA GOVERNO IN TILT… TRE ANNI FA IL DATO ERA INFERIORE DI 7 PUNTI…TRA GIOVANI, ELETTORI DI PDL E LEGA LO SCETTICISNO E’ MAGGIORE

Nel Paese si percepisce un diffuso disincanto politico.
Investe non solo i partiti e i loro leader, ma anche le istituzioni dello Stato. Ad eccezione del Presidente Napolitano, com’è noto, la sfiducia dei cittadini non risparmia nessun soggetto e nessun attore pubblico.
Non sorprende che questo sentimento stia erodendo il consenso nei confronti delle istituzioni rappresentative. Verso la stessa “democrazia”.
È ciò che sta capitando, secondo un sondaggio di Demos di alcuni giorni fa.
Certo, la gran parte degli intervistati (oltre due terzi) resta convinta che “la democrazia è preferibile a qualsiasi altra forma di governo”.
Se ne desume, però, che circa un italiano su tre la pensa diversamente.
In particolare, il 23% del campione accetta l’idea che: “autoritario o democratico non c’è differenza”.
Si tratta del dato più alto registrato negli ultimi dieci anni.
Nel 2001 questa posizione era, infatti, condivisa dal 16% degli intervistati. La stessa percentuale rilevata nel 2008.
Il disincanto democratico sembra, dunque, essere cresciuto sensibilmente negli ultimi anni. In particolare, si è diffuso fra i più giovani (18-29 anni). Ma risulta condiviso, soprattutto, nell’elettorato di centrodestra: il 31% tra gli elettori del Pdl, addirittura il 34% tra i leghisti.
Difficile sorprendersi.
La democrazia rappresentativa non sta offrendo grande prova di sè, in questa fase. In Italia, ma non solo.
Basti pensare a come è stata affrontata la crisi economica e finanziaria.
L’agenda: dettata dalla Ue, in particolare dalla Bce e dal Fmi. Cioè: da istituzioni finanziarie e monetarie, non elettive.
Nell’ambito della Ue, peraltro, le scelte comunitarie – in particolare, le nostre – sono state imposte da due Paesi su tutti: Francia e Germania.
Da due leader su tutti: Sarkozy e Merkel. Eletti dai cittadini dei loro Paesi, non dagli europei, nel loro insieme. Tanto meno dagli italiani.
Peraltro, mentre i mercati dettano le regole e i vincoli ai governi, il rapporto tra mercato e democrazia non appare più stretto e automatico come un tempo.
Leonardo Morlino, sull’ultimo numero dell’Espresso, mostra come il tasso di crescita del Pil nei regimi autoritari (4,9%) sia decisamente superiore a quello dei Paesi democratici e liberi (2,3%).
Questa tendenza si spiega, in parte, con il basso punto di partenza dei regimi autoritari. Tuttavia, non sorprende troppo, vista l’influenza esercitata sulle economie occidentali da Cina e Russia (sistemi peraltro molto diversi).
Visto il peso della Libia (e della famiglia) di Gheddafi nell’economia italiana fino a un anno fa.
Prima dell’intervento armato, deciso e guidato da Usa, Gb e, anzitutto, dalla Francia (di nuovo). A nome e per conto della Comunità  Internazionale (Italia compresa).
Il disincanto democratico degli italiani, però, è condizionato, in misura rilevante, dalle vicende interne.
La sfiducia nel governo eletto nel 2008, in un’altra epoca: oggi solo il 20% degli elettori lo considera adeguato al compito.
Stesso giudizio nei confronti dell’opposizione. Ma il consenso verso il governo è crollato in breve tempo.
Il Presidente del Consiglio ottiene, a sua volta, una valutazione sufficiente da due soli elettori su dieci.
D’altra parte, un governo e un Presidente del Consiglio che, per sopravvivere, ricorrono alla fiducia una volta alla settimana, non possono che riprodurre la sfiducia. Tanto più se si assiste a passaggi continui di parlamentari, tra uno schieramento e l’altro. In queste ore, ad esempio, Berlusconi sta contattando, ad uno ad uno, i “dissidenti” del Pdl.–
Per ricomporre, una volta di più, la maggioranza, in vista del voto. Allargando ancora, se necessario, il numero dei sottosegretari e dei vice-ministri (se ne è perso il conto, oramai).
Difficile riconoscere il marchio della “volontà  popolare” a una maggioranza sempre in bilico, tenuta insieme e rattoppata mediante incentivi personali continui.
Anche perchè non è per “sanare” i problemi giudiziari nè i conflitti di interesse di Berlusconi che gli elettori, nel 2008, avevano garantito al Centrodestra una maggioranza parlamentare larga come mai prima, nella Seconda Repubblica.
Le preoccupazioni degli italiani, ormai segnate dalla crisi economica, hanno reso insopportabili i costi della politica.
I privilegi di cui godono i parlamentari e gli amministratori pubblici.
E hanno alimentato un clima “antipolitico”, sostanzialmente diverso da quello dei primi anni Novanta.
Perchè allora rifletteva la rottura con il “vecchio” sistema politico. Evocava una domanda di cambiamento, proiettata nel futuro.
Mentre oggi l’antipolitica riflette la frustrazione suscitata da un sistema politico esausto, prigioniero del presente – e del passato.
Anche per questo la “fiducia” nella democrazia, in Italia, appare in declino.
Tanto più fra coloro che diffidano dei partiti.
D’altra parte, a fidarsi dei partiti, ormai, è una quota residua: il 5% degli italiani.
Non a caso i soggetti che raccolgono maggiore consenso fra i cittadini sono “esterni” ai partiti.
Non solo il Presidente, Napolitano. Ma anche imprenditori, finanzieri, leader di organizzazioni economiche, tecnici.
Gli stessi ai quali fanno riferimento quanti vedono in un governo di unità  nazionale l’unica soluzione a questa crisi – politica ed economica.
Ma Berlusconi e gli altri leader della maggioranza, in caso di sfiducia parlamentare, invocano il ritorno alle urne.
Ogni diversa soluzione sarebbe “un golpe”, ha denunciato, sabato scorso, il ministro Calderoli.
Responsabile della legge elettorale attualmente in vigore, in base alla quale è stato eletto questo Parlamento.
Secondo lo stesso Calderoli: una “porcata”, che impedisce ogni controllo sugli eletti da parte degli elettori. Contro questa legge elettorale sono state raccolte, in un mese e mezzo, oltre 1 milione e 200 mila firme.
Per promuovere un referendum abrogativo, che riscuote il consenso di gran parte degli elettori (come ha mostrato la “Mappa” della scorsa settimana).
Questa legge elettorale – ogni legge elettorale – è, per definizione, principio e fondamento della nostra democrazia rappresentativa.
Visto che la “rappresentanza” democratica è realizzata mediante le elezioni. Per questo occorre prendere sul serio il disincanto della società  italiana.
Perchè mina la “legittimità ” della nostra democrazia.
Alla radice.

Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)

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I TAGLI AL MINISTERO HANNO DATO IL COLPO DI GRAZIA ALLA TUTELA AMBIENTALE

Novembre 8th, 2011 Riccardo Fucile

UN MINISTERO “CHIUSO PER LIQUIDAZIONE”: CON I TAGLI OPERATI DA TREMONTI A MALAPENA SI RIESCONO A PAGARE GLI STIPENDI AL PERSONALE…NESSUN INTERVENTO A TUTELA DEL PATRIMONIO NATURALE, TUTTO VIENE LASCIATO NEL DEGRADO

Con quelle che si possono considerare le dimissioni virtuali del ministro Stefania Prestigiacomo, tra un’ondata di maltempo e l’altra che minaccia di nuovo Liguria e Toscana, l’emergenza ambientale del Malpaese esplode in tutta la sua gravità .
“«il Piano straordinario per il dissesto è ancora fermo al palo», ammette la stessa Prestigiacomo in commissione al Senato, aggiungendo che a tutt’oggi «non è stata assegnata alcuna risorsa» al suo ministero e che il decreto legge di agosto «ha cancellato tutti i fondi statali».
A questo punto, non resterebbe che appendere sulla porta dell’Ambiente un cartello con la scritta «Chiuso per liquidazione»: nè possono bastare gli stanziamenti d’emergenza annunciati ora per «mitigare l’elevatissimo rischio» che incombe sulla città  di Genova, a salvare la coscienza del ministro e del governo a cui appartiene.
Sono proprio “lacrime di coccodrillo” — come dice il nuovo capo della Protezione civile, Franco Gabrielli – quelle che stiamo versando per le dieci vittime della recente alluvione in Lunigiana e nelle Cinque Terre, come le altre che abbiamo già  versato o purtroppo dovremo ancora versare in futuro per analoghi disastri ambientali.
Morti e danni provocati non tanto dalla fatalità , ma innanzitutto dalla nostra incuria e irresponsabilità .
E cioè, dall’abbandono delle campagne e delle montagne; dalla cementificazione selvaggia e dagli abusi edilizi; dal dissesto idrogeologico; dalla “politica del condono” e così via.
A questo scempio sistematico, favorito nel tempo dai vari governi della Repubblica, il governo terminale di Silvio Berlusconi ha deciso di dare il colpo di grazia con i cosiddetti “tagli lineari” che hanno ridotto drasticamente i fondi per il prossimo triennio.
Oltre 228 milioni di euro in meno: più di 124 nel 2012, 45 e quasi 59 rispettivamente nei due anni successivi.
E ciò limita la dotazione del ministero a 421 milioni complessivi per l’anno prossimo, rispetto ai 545 previsti dalla stessa Legge di Stabilità .
Basti pensare che nel 2008 il bilancio del ministero era di un miliardo e 649 milioni.
Escluse le spese di funzionamento, il taglio di 124 milioni inciderà  nel 2012 sui circa 180 milioni destinati ogni anno agli interventi sul territorio: ne restano disponibili, quindi, una sessantina scarsi.
Un obolo, una miseria.
«In sostanza — denuncia Gaetano Benedetto, responsabile delle Politiche ambientali per il Wwf — abbiamo un dicastero che sopravvive a se stesso, con i soldi a malapena sufficienti per pagare gli stipendi del personale, ma con una capacità  operativa praticamente azzerata».
Ecco perchè l’associazione presieduta da Stefano Leoni ha predisposto un documento con le sue osservazioni e proposte di emendamento alla cosiddetta Legge di Stabilità  che rischia di decretare la definitiva instabilità  del territorio nazionale.
Al primo punto, si chiede al governo ancora in carica o a quello che verrà  di mantenere per i prossimi due anni — come per il ministero dei Beni culturali — almeno gli stanziamenti originariamente previsti.
Secondo il Wwf, è necessario confermare inoltre l’accantonamento di 210 milioni di euro per interventi a favore della difesa del suolo che nel frattempo sono stati cancellati.
Poi, c’è il capitolo degli incentivi fiscali per il settore edile, in funzione del risparmio e dell’efficienza energetica: qui si tratta di ripristinare le agevolazioni del 55%(riqualificazioni) e del 36% (ristrutturazioni), recuperando i fondi dai 400 milioni previsti per l’autotrasporto. E infine, il Wwf sollecita la “stabilizzazione” del 5 per mille dell’Irpef, a sostegno delle associazioni senza scopo di lucro che svolgono funzioni di utilità  e promozione sociale, insieme agli enti di ricerca scientifica o sanitaria e alle università .
Era un volontario Sandro Usai, l’eroe quarantenne travolto dall’acqua a Monterosso, dopo aver salvato la vita a due persone.
Il presidente della Repubblica ha già  annunciato l’intenzione di conferirgli alla memoria la medaglia d’oro al valor civile.
Ma sono in tanti a lavorare in silenzio, e a rischiare la pelle ogni giorno, per difendere il nostro ambiente e la nostra salute.

Giovanni Valentini
(da “La Repubblica“)

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