Aprile 29th, 2013 Riccardo Fucile
TUTTI SI APPELLANO AL “SENSO DI RESPONSABILITA’ DEL MOMENTO DIFFICILE” E INNESTANO LA RETROMARCIA…TUTTO RINVIATO AL FUTURO CONGRESSO
Non sarà la fiducia il primo scoglio del governo Letta. 
Dai dissidenti del Pd arriva infatti disco verde.
Marcano la distanza e le contraddizioni di un governo che tiene insieme Pd e Pdl, però sia Rosy Bindi che Laura Puppato, Sandro Gozi, Sandra Zampa, Sergio Lo Giudice e la cinquantina di parlamentari ribelli voteranno “sì” alla fiducia.
D’altra parte, il «tragico start, il via brutale» del nuovo esecutivo con gli spari e il ferimento dei due carabinieri davanti a Palazzo Chigi, obbliga a una «ancora maggiore responsabilità ».
Bindi, l’ex presidente dei Democratici, apprezza la squadra di ministri, darà il via libera alla fiducia, ma teme che non ci saranno quelle misure radicali per affrontare l’emergenza italiana e la disperazione sociale.
Gli altri parlamentari critici preparano un documento in cui spiegano le ragioni della contrarietà , però concludono: «… accorderemo la fiducia a questo governo».
Solo Pippo Civati, outsider, ex consigliere regionale lombardo, aspetta di discutere stamani nell’assemblea dei deputati democratici: «Non so se votare con il Pd o uscire dall’aula».
Tuttavia le insidie che possono venire dal Pd sono dietro l’angolo.
E la partita del governo guidato dall’ex vice segretario democratico è strettamente intrecciata alla rifondazione del partito che è il maggiore azionista di riferimento dell’esecutivo.
Il Pd è oggi una sede vacante.
Tutta la segreteria, a cominciare da Pierluigi Bersani, è dimissionaria; Letta è al governo; la presidente Bindi si è dimessa.
Resta nelle sue funzioni solo il tesoriere Antonio Misiani.
La ricostruzione di un centrosinistra distrutto e in pieno marasma, ha un primo passo nell’Assemblea nazionale dei “mille” delegati in cui bisognerà eleggere il “reggente” del Pd.
L’Assemblea slitterà con ogni probabilità dal 4 all’11 maggio.
Al “reggente” si attribuisce una funzione importante, di garanzia dopo le faide tra correnti, la ferita dei 101 “franchi tiratori” che hanno impallinato Prodi nella corsa per il Colle e pugnalato al tempo stesso Bersani e il suo governo del cambiamento.
L’ex segretario ha sempre detto che non vuole rese dei conti interne, che quei siluri sono stati «missili a testata multipla», di cui non si sentiva lui il target principale.
Però sia il premier Letta che Matteo Renzi sono convinti che ci voglia un “reggente” che rimetta insieme il partito e lo traghetti al congresso in autunno.
Quella sarà la vera partita politica, la sfida forse tra Stefano Fassina, Fabrizio Barca, e Renzi che però più che il segretario vorrebbe candidarsi alla prossima premiership. «Se la gara sarà tra Renzi e Barca, io lavorerò a un terzo candidato», annuncia Bindi.
E per la reggenza spuntano intanto nuovi nomi e altri vengono stoppati.
Catiuscia Marini, la “governatrice” dell’Umbria è in pole position, come Guglielmo Epifani, l’ex segretario della Cgil e deputato, ma anche Filippo Bubbico, senatore, uno dei saggi scelti da Napolitano per il programma di governo.
«Per la reggenza ci vuole una figura fuori dalle logiche congressuali, non deve cioè avere ambizioni per il dopo», sostiene Gozi.
Insomma stop a Fassina, il bersaniano che viene dato tra i più sicuri concorrenti delle prossime primarie.
«Se si rafforza il Pd si rafforza il governo», ricorda Nico Stumpo.
Comunque, serve «una figura che dia garanzia a tutti, che non sia oggetto di polemiche, di conflitti».
Fassina si schermisce: «C’è una discussione ancora in corso su quale funzione debba svolgere il “reggente”», che sarà una figura di garanzia e «super partes».
Una cosa però è certa: «Il Pd come l’abbiamo visto finora è morto — rincara Gozi — si è suicidato, qualcosa di nuovo deve nascere». I vecchi leader avranno poche carte da giocare, perchè il ricambio è irreversibile.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Aprile 29th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO LA NOMINA DEI MINISTRI CHE HA VISTO PREMIATI SOLO MAURO, MOAVERO E L’UDC D’ALIA, CRESCE L’INSOFFERENZA SIA DI ITALIA FUTURA CHE DEI CATTOLICI DI RICCARDI
Alla fine Governo d’intesa fu. Quello che Scelta civica sperava dal giorno dopo le elezioni, e a dire il vero anche da prima, dal momento in cui Monti ne ha battezzato la nascita come movimento per poi ‘salire’ in politica.
Ma è un’intesa che, per i civici, potrebbe essere divisiva, e che ad oggi allontana ancora di più l’ala montezemoliana dal resto del movimento.
Basta guardare ai nomi che, tra tutti quelli che i civici consideravano papabili per il Governo, alla fine sono in squadra.
C’è Mario Mauro: non vice premier come sperato – bisognava dare spazio pieno ad Alfano per bilanciare Letta Premier -, ma in un ministero di peso, e di spesa, la Difesa.
Rappresentanza indispensabile, per i civici, quella dell’ex capogruppo Pdl al Parlamento europeo, figura di cerniera, di dialogo con il partito del Cavaliere.
Mario Monti non entra, anche per scelta.
E’ bene che leader e senior diano il loro appoggio senza entrare, diceva ieri il Premier uscente.
E poi un conto sarebbe stato un Governo dal profilo più tecnico, altra cosa un profilo così marcatamente politico, come chiarito da Giorgio Napolitano.
Ma c’è un uomo montiano in squadra, Enzo Moavero, riconfermato alle Politiche comunitarie, garanzie per il fronte europeo.
Restano invece fuori le altre componenti della galassia civica: a partire da quella che fa capo ad Andrea Riccardi, che pure contava in una conferma se non all’Integrazione in un altro ministero: un epilogo che potrebbe accrescere il distacco del fondatore di Sant’Egidio dal movimento che pure ha contribuito a fondare solo qualche mese fa.
Soprattutto – come in realtà previsto – restano fuori i montezemoliani, che ora attendono la partita su vice ministri e sottosegretari (Carlo Calenda, braccio destro di Montezemolo, aspirava ad un incarico allo Sviluppo).
“Un buon governo, con nomi di qualità . Purtroppo Scelta civica esprime il grado più basso di innovazione: nessuna donna, nessuna vera novità “, twitta Andrea Romano.
Anche perchè entra invece in squadra Giampiero D’Alia, uomo di Pier Ferdinando Casini, che dunque – seppure non con l’ardita manovra per portare Vietti alla Giustizia – alla fine l’ha vinta, a dispetto del tracollo elettorale: proprio l’Udc, che i futuristi hanno sempre bollato come il ‘vecchio’ dentro Scelta civica.
Uno scontro latente che potrebbe riproporsi a stretto giro, sia sul fronte del Governo nella partita su vice e sottogretari, sia su quello interno, a partire dalla sostituzione di Mauro come capogruppo al Senato.
Incarico per il quale era in corsa Maria Paola Merloni, vicina a Montezemolo, ma che invece ora vedrebbe papabile anche Benedetto Della Vedova, unico finiano in Parlamento.
Partita dunque aperta.
Un epilogo positivo e a tratti non sperato, il Governo Letta “è un grande successo” di Scelta civica, afferma Linda Lanzillotta, e si muove “sulla nostra linea, della responsabilità “, osserva Lorenzo Dellai, capogruppo alla Camera.
Certo, allontana il voto, ovvero lo scenario peggiore per i civici.
Ma non esclude la scissione all’interno dello stesso movimento.
Martina Cecchi de Rossi
(da “L’Huffington Post”)
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Aprile 29th, 2013 Riccardo Fucile
TUTTI GLI ESPONENTI DEL PDL ENTRATI NEL GOVERNO LETTA ARRIVANO DALL’EX PARTITO DI BERLUSCONI
Un monocolore targato Forza Italia. Tutti gli esponenti del Pdl che sono entrati nel governo di Enrico
Letta arrivano dall’ex partito di Silvio Berlusconi.
Fuori, invece, gli ex di Alleanza Nazionale.
E così, tra coloro che sono confluiti in Futuro e Libertà e che poi sono scomparsi dalla carta geografica del nuovo Parlamento, e le ultime scelte fatte dal Pdl, la destra storica si ritrova a essere esclusa praticamente da tutti i posti chiave della politica.
Del partito che Gianfranco Fini aveva «emancipato» con la svolta di Fiuggi, portandolo poi, per la prima volta, nell’esecutivo del Cavaliere nel 2001, e che, nel 2009, aveva fatto confluire nella Casa della Libertà è rimasto poco o niente.
Almeno se si guarda a coloro che hanno in mano le leve del potere.
L’unico che, oggi, ha ancora un ruolo è Maurizio Gasparri, nominato vicepresidente del Senato. Un incarico che, alla fine, assomiglia molto a un premio di consolazione.
Anche la guida dei due gruppi parlamentari è andata a due esponenti di Forza Italia, Renato Schifani a palazzo Madama e Renato Brunetta alla Camera.
E tutti fuori gli ex di An sono finiti anche nella battaglia sui ministri.
Addirittura sono rimasti esclusi dal gioco dei nomi che in questi giorni sono stati fatti per il totoministri.
Tagliato fuori chi aveva già ricoperto incarichi nei precedenti esecutivi — come Maurizio Gasparri, Altero Matteoli o Mario Landolfi — ma anche chi poteva essere un volto nuovo come Barbara Saltamartini, Alberto Giorgetti o Andrea Augello.
Niente, scomparsi, eliminati, cancellati da qualsiasi trattativa.
E se nessuno di loro ha commentato ufficialmente la debacle, è stato Francesco Storace a dare voce al malcontento con una nota sul suo profilo Facebook: «Liquidata ogni traccia di destra dal nuovo Governo del Paese. Applausi a scena aperta agli strateghi».
Come se lui non appartenesse a questa categoria.
«Siamo rimasti schiacciati perchè non siamo riusciti a fare gruppo — spiega un parlamentare che vuole l’anonimato — ognuno di noi vale come singolo, non c’è coesione, non riusciamo a imporci. Hanno pensato di accontentarci con la vicepresidenza del Senato e tutto è finito lì».
Sembrano insomma lontanissimi i tempi, ed era invece solo un anno fa, in cui nel Popolo della Libertà si discuteva di come «pesare» i due partiti, dando il 70 per cento a Forza Italia e il 30 per cento ad Alleanza Nazionale.
Una quota che era stata addirittura messa in discussione perchè gli uomini di Gianfranco Fini volevano contare di più.
Oggi, complice anche la scissione con Fratelli d’Italia — il partito di Giorgia Meloni e Guido Crosetto nel quale sono finiti molti ex An — la destra nel Pdl non esiste più.
Pa. Zap.
(da “il Tempo“)
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Aprile 29th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX CANDIDATO SINDACO CINQUESTELLE DI TORINO: “IL VERO PROBLEMA NON E’ CHE QUALCUNO VADA A SPARARE A PALAZZO CHIGI”… IMBARAZZO NEL MOVIMENTO
‘Il vero problema non e’ che qualcuno vada davanti a Palazzo Chigi e spari durante il giuramento del governo. Il vero problema è che in questo momento, ne sono assolutamente certo, ci sono alcuni milioni di italiani che pensano ‘peccato che non abbia fatto secco almeno un ministro'”.
E’ il messaggio postato su Facebook da Vittorio Bertola, consigliere comunale di Torino del Movimento 5 Stelle.
“Ovviamente non auspico che questo accada – precisa Bertola all’Ansa – ma sono assolutamente convinto che siano tanti quelli che lo pensano, perchè purtroppo, in questo momento, ci sono tante persone disperate e la politica non sta facendo nulla per aiutarle”. Una sortita che finisce per rinfocolare le polemiche attorno al Movimento di Beppe Grillo dopo il comunicato pochi minuti dopo la sparatoria vicino a Palazzo Chigi.
Il leader di “Diritti e Libertà ” Stefano Pedica attacca: “Se parole su twitter del consigliere 5 stelle Bertola sono vere bisogna prendere provvedimenti. Un fatto gravissimo che deve vedere da parte del movimento di Grillo l’immediata espulsione”.
E Alessandra Moretti, del Pd, dice: “Se corrispondono al vero, sono parole vergognose”.
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Aprile 28th, 2013 Riccardo Fucile
DAVANTI A PALAZZO CHIGI LO SFOGO DI DUE CARABINIERI
“E’ il gesto di un disperato. I politici non lo sanno che vuol dire prendere 800 euro al mese, entrare in un
negozio e non poter comprare nulla a tuo figlio… Ecco cosa succede se non lo sanno”
Parola di carabiniere. Accento napoletano, occhi quasi in lacrime, è in servizio con la pattuglia intorno ai Palazzi del potere, dove poco prima due suoi colleghi sono stati feriti a colpi di pistola.
Si sfoga davanti ai giornalisti appena arrivati qui dal Quirinale, dove il governo Letta ha appena giurato.
Si sfoga, di fianco un suo collega annuisce: “E’ una guerra tra poveri…”.
Lo sguardo dei cronisti si fa sempre più incredulo.
Il ricordo va a Genova 2001, altra storia, altra epoca.
Lì la piazza era nemica, qui la piazza non c’è, c’è il gesto folle di un singolo (a quanto se ne sa), ma il carabiniere non impreca contro di lui, anche se di lui non sa nulla.
“Era ferito sull’asfalto e urlava…”, continua il gendarme.
“Si capiva che era un gesto di rabbia, ma loro – e indica il Palazzo, Camera e Palazzo Chigi – non lo sanno, vivono in un mondo loro, non capiscono che poi la gente se la prende con noi che facciamo servizio in strada…”.
E prosegue il racconto: sembra un grillino ma, di fronte alle sue parole, una considerazione del genere si sgonfia come semplice sintesi giornalistica, quale è. Evidentemente è una persona vera che parla prendendosi il diritto a parlare, pur con la divisa addosso.
“Li vedo quando prestiamo servizio davanti al ministero… Escono i sindacalisti a braccetto e dicono: ‘L’accordo non si è fatto’. Per loro non cambia niente, per tante famiglie cambia molto…”.
E ora succede questo: uno spara contro i carabinieri e il carabiniere lo comprende.
Se potesse scegliere non in base allo stipendio, chissà .
Angela Mauro
(da “L’Huffington Post“)
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Aprile 28th, 2013 Riccardo Fucile
GIUSEPPE CASAGRANDE HA SUBITO UNA DELICATA OPERAZIONE ALLA COLONNA VERTEBRALE… DUE MESI FA E’ RIMASTO VEDOVO, HA UNA FIGLIA DI 23 ANNI
Un attentato ha scosso la capitale nel momento in cui al Quirinale stavano giurando il presidente Enrico Letta e i ministri del nuovo governo.
Davanti a Palazzo Chigi un uomo, Luigi Preiti, 49 anni, ha sparato contro due carabinieri, il brigadiere Giuseppe Giangrande, siciliano ma residente a Prato e del carabiniere scelto Francesco Negri, originario di Torre Annunziata.
Giuseppe Giangrande è stato ferito da un colpo di pistola e ha subito una lesione della colonna vertebrale cervicale: è ricoverato all’ospedale Umberto I di Roma dove ha subito un intervento chirurgico.
“Un danno midollare importante. La prognosi resta riservata “per 72 ore quoad vitam”, cioè per sapere se sopravviverà “, ha detto il direttore del Dea del Policlinico, Claudio Modini.
Giangrande, vedovo da due mesi, con una figlia di 23 anni che vive anche lei a Prato, è in forza al Sesto Battaglione carabinieri Toscana di Firenze.
Fa parte del gruppo antisommossa ed è la ragione per la quale, probabilmente, si trovava a Roma in questo periodo.
A Prato ha lavorato al radiomobile e spesso ha compiuto blitz nella chinatown assieme alla Compagnia.
Ha lavorato anche in Val di Susa (Tav) ed è stato impegnato in una missione nei Balcani.
La moglie di Giuseppe Giangrande si chiamava Letizia ed è morta improvvisamente due mesi fa a causa di una malattia.
La figlia, Martina, ha 23 anni e lavora in una società di catering di Prato, la “Baloon Bar”.
Appena saputa la notizia del ferimento del padre è partita per Roma.
“Siamo tutti choccati”
Le famiglie che ancora abitano nel bel condominio di via Macchiavelli 69, alla Pietà , la zona chic di Prato dove risiede anche Giuseppe Giangrande, sono di fronte alla televisione: seguono gli aggiornamenti sull’attentato.
“Con Giuseppe e la sua famiglia – racconta Grazia che abita assieme al marito nell’appartamento attiguo a quello dei Giangrande — i rapporti erano ottimi. Erano una famiglia molto unita, ma colpita da una sorte infame. Da due mesi a questa parte, da quando è morta la moglie, i rapporti tra padre e figlia — continua Grazia — sono diventati ancora più stretti”.
“Serio rigoroso, un carabiniere di una volta”
Così lo ricorda Tamara Malincone, proprietaria del chiosco in piazza Mercatale nel quale spesso si fermava a bere una bibita quando non lavorava
“Giusppe è’ passato di qua assieme al suo cane (uno Yorkshhire di nome Peggy ndr) non più di due giorn fa . Era sereno per quanto la situazione familiare glielo consentiva”.
Giuseppe conduceva una vita ritirata, niente amici del bar, solo una grande passione per sua figlia, e per il suo lavoro.
Sconcerto e preoccupazione anche nella sede del Sesto Battaglione carabinieri Toscana, sul Lungarno Pecori Giraldi a Firenze.
I colleghi dei due militari hanno poca voglia di parlare e molti stanno andando a Roma per star loro vicino.
“Questo – viene spiegato – è un lavoro che si fa solo con la passione, è un mestiere che chiede molto, che ti tiene lontano dalla famiglia e dagli affetti. Qua condividiamo tutto, esperienze di vita, tensioni, ansie e gioie”.
Il contingente toscano era arrivato a Roma da qualche giorno “siamo a disposizione del Comando generale – viene aggiunto – che ci impegna non solo in Toscana, ma laddove ci sia bisogno: dalle emergenze di Lampedusa a quelle per la Tav, al servizio pubblico durante le partite”.
Poche minuti prima dell’attentato, Giuseppe Giangrande, ha postato su Facebook la foto di una carrozza commentando: “Buona domenica a tutti. Oggi grande giornata di sole”.
(da “il Tirreno“)
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Aprile 28th, 2013 Riccardo Fucile
IMU, IVA E SPESE DA FINANZIARE.. NON CI SONO NEANCHE I SOLDI PER LE NUOVE SPESE TIPO CASSA INTEGRAZIONE, ALTRO CHE RESTITUIRE L’IMU
Tanto per cominciare le spese che non hanno più copertura in bilancio dovranno essere rifinanziate o
cancellate.
E sono i primi quattro-cinque miliardi da trovare.
Poi c’è il costo del compromesso politico con i partiti di governo sull’Imu, e le tasse pronte a scattare, come Iva e Tarsu, che potrebbe aggirarsi anche questo intorno ai quattro o cinque miliardi.
E quello del nuovo programma di governo, tra due e quattro miliardi.
Oltre all’incertezza politica c’è anche un bel mucchio di soldi, undici miliardi che potrebbero salire fino a trenta, che pesa sulle sorti del governo affidato a Enrico Letta.
Il bilancio viaggia sul filo del pareggio e non ci sono soldi per finanziare le nuove spese considerate indispensabili, scongiurare o limitare l’aumento delle tasse già deciso, rilanciare l’economia, il lavoro e la crescita, proteggere i più deboli.
Quello che serve dovrà essere trovato contando sulla benevolenza di Bruxelles, ma comunque tagliando le spese con una manovra correttiva che sarà uno dei primi atti del nuovo esecutivo.
Anche se recuperare risorse nel bilancio non sarà facile, perchè dopo due tornate di spending review la stessa Corte dei Conti sottolinea che i margini immediati di risparmio sono molto ridotti.
Il nodo principale sul tavolo del premier incaricato è quello dell’Imu sulla prima casa. Il Pdl chiede la restituzione per il 2012 e la cancellazione per il futuro.
Per soddisfare in pieno Berlusconi servirebbero, dunque, dodici miliardi sull’unghia. Più altri quattro l’anno dal 2015.
Eliminare l’Imu sulla prima casa per chi paga fino a 500 euro, come chiede il Pd, esenterebbe dalla tassa il 90% dei contribuenti, ma verrebbero a mancare almeno 2,5 miliardi, a meno di non caricarli sul restante 10% dei contribuenti, i più ricchi, che già pagano il 33% dell’Imu complessiva.
La restituzione dell’Imu pregressa, poi, è ancora più problematica.
Se non altro perchè parte dei soldi (600 milioni per il 2012) dovrebbe tornare indietro dai Comuni.
Se il Pdl non dovesse rinunciarvi, resta l’ipotesi di compensare la tassa con nuovi titoli di Stato.
I 4 miliardi peserebbero sul debito e non sul deficit, e il conto sarebbe digeribile molto più facilmente.
Ancor più difficile scongiurare gli aumenti dell’Iva e della Tares, la nuova Tarsu, per le quali servono 3 miliardi sul 2013 e 5 dal 2014.
Risolta la dirimente dell’Imu, e ancora prima di addentrarsi nelle esigenze finanziare del programma politico, Letta dovrà ragionare con Pd, Pdl e Scelta Civica sulle spese che non hanno più copertura in bilancio.
Servono tra 800 milioni e un miliardo e mezzo per rifinanziare gli ammortizzatori sociali, che sono scoperti da maggio; e un miliardo per le missioni di pace, necessario da ottobre.
Entro giugno si presenteranno anche i nodi della scadenza delle proroghe per i contratti dei precari dello Stato e degli sfratti.
Per il 2014 servono infine 2 miliardi per evitare l’aumento dei ticket sanitari a carico dei cittadini.
Poi c’è il programma di governo, da finanziare.
Lo stesso Letta ha prefigurato un allentamento della stretta, e tutti i partiti chiedono misure di rilancio per l’economia.
Le detrazioni sollecitate dal Pdl o il credito d’imposta suggerito dai Saggi di Napolitano non costano molto, ma tra 2 e 4 miliardi per un pacchetto di rilancio dell’economia e di sostegno alle imprese e ai ceti più deboli serviranno.
Come servirebbero altri soldi per stabilizzare al 55%, come chiede il Pd, le detrazioni sulle ristrutturazioni edilizie (che da metà 2013 scendono tutte al 36%).
In tutto le «esigenze» oscillerebbero tra gli 11 e i 29-30 miliardi di euro.
Da trovare con tagli alle spese: 4 con un nuovo giro di spending review, minimo altri 2 da una manovra che appare scontata sulla spesa sanitaria.
Altrettanti potrebbero derivare da una nuova stretta sull’evasione con altre limitazioni all’uso del contante (se Berlusconi accetterà ).
E a disposizione c’è il pacchetto del Pdl per l’inasprimento su giochi, lotterie, alcolici e tabacchi: varrebbe 4 miliardi l’anno.
In ogni caso la filosofia è sempre la stessa: concedi con una mano e togli con l’altra, ma il prodotto non cambia.
Mario Sensini
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Aprile 28th, 2013 Riccardo Fucile
BERSANI, D’ALEMA, FRANCESCHINI. FINOCCHIARO, LETTA: TUTTI AVEVANO GIURATO CHE NON SAREBBE MAI NATO UN GOVERNISSIMO
Sarà anche stata «un’altra stagione», come dice la bersaniana Alessandra Moretti.
Ma il cambiamento di linea politica che ha portato il Pd a passare da una strategia che avrebbe escluso ogni dialogo con Silvio Berlusconi all’accettare le ‘larghe intese è stato evidentissimo. Così se il 26 febbraio, appena dopo le elezioni, Pippo Civati poteva scrivere su Twitter che nel partito «sono tutti d’accordo» contro l’ipotesi di un esecutivo ottenuto tramite il placet dei democratici ai piani del Cavaliere, oggi l’incarico a Enrico Letta sembra fatto apposta per realizzare proprio ciò che, secondo la dirigenza Pd, non avrebbe mai potuto verificarsi: il «governissimo» con il Pdl, o qualcosa che molto ci somiglia.
Perchè certo, se «il governo non nascerà a tutti i costi», come dice Letta, Angelino Alfano fa già sapere che «se si tratta di un governicchio qualsiasi, semibalneare, lo faccia chi vuole, ma noi non ci stiamo».
Ecco una rassegna di saldissimi propositi a non dialogare con i berluscones da parte dei democratici.
Prontamente disattesa, dopo la rielezione di Giorgio Napolitano.
«Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile» (Enrico Letta, 8 aprile 2013).
«I contrasti aspri tra le forze politiche rendono non idoneo un governissimo con forze politiche tradizionali» (Enrico Letta, 29 marzo 2013).
«Non sono praticabili nè credibili in nessuna forma accordi di governo fra noi e la destra berlusconiana» (Pier Luigi Bersani, 6 marzo 2013)
«Il governissimo non è la risposta ai problemi» (Pier Luigi Bersani, 13 aprile 2013).
«Il governissimo predisporrebbe il calendario di giorni peggiori» (Pierluigi Bersani, 8 aprile 2013).
«Se si pensa di ovviare con maggioranze dove io dovrei stare con Berlusconi, si sbagliano. Nel caso io, e penso anche il Pd, ci riposiamo» ( Advertisement Pierluigi Bersani, 2 ottobre 2012).
«In Italia non è possibile che, neppure in una situazione d’emergenza, le maggiori forze politiche del centrosinistra e del centrodestra formino un governo insieme» (Massimo D’Alema, 8 marzo 2013).
«Il Pd è unito su una proposta chiara. Noi diciamo no a ipotesi di governissimi con la destra» (Anna Finocchiaro, 5 marzo 2013).
«Fare cose non comprensibili dagli elettori non sono utili nè per l’Italia nè per gli italiani. Non mi pare questa la strada». (Beppe Fioroni, 25 marzo 2013).
«Non si può riproporre qui una grande coalizione come in Germania. Non ci sono le condizioni per avere in uno stesso governo Bersani, Letta, Berlusconi e Alfano» (Dario Franceschini, 23 aprile 2013).
«Sono contrario a un governo Pd-Pdl» (Andrea Orlando, 22 aprile 2013).
«Abbiamo sempre escluso le larghe intese e le ipotesi di governissimo» (Rosy Bindi, 21 aprile 2013).
«Serve un governo del cambiamento che possa dare risposta ai grandi problemi dell’Italia. Nessun governissimo Pd-Pdl» (Roberto Speranza, 8 aprile 2013).
«Non dobbiamo avere paura di confrontarci con gli altri, ma non significa fare un governo con ministri del Pd e del Pdl. La prospettiva non è una formula politicista come il governissimo, è quel governo di cambiamento di cui l’Italia ha bisogno» (Roberto Speranza, 7 aprile 2013).
«L’alternativa non può essere o voto anticipato o alleanza stretta tra Pd e Pdl» (Roberto Speranza, 7 aprile 2013).
«Lo dico con anticipo, io un’alleanza con Berlusconi non la voto» (Emanuele Fiano, 28 febbraio 2013).
«I nostri elettori non capirebbero un accordo con Berlusconi» (Ivan Scalfarotto, 28 febbraio).
«Non c’è nessun inciucio: se questa elezione fosse il preludio per un governissimo io non ci sto e non ci starebbe neanche il Pd» (Cesare Damiano, 18 aprile 2013).
«Serve un governo di cambiamento vero ed è impensabile farlo con chi in questi anni ha sempre dimostrato di avere idee opposte alle nostre» (Fausto Raciti, 14 aprile 2013).
«Un governo Pd-Pdl è inimmaginabile» (Matteo Orfini, 27 marzo 2013).
Fabio Chiusi
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Aprile 28th, 2013 Riccardo Fucile
LETTA GIA’ SI LAMENTA: “IL CAVALIERE PARLAVA SOLO DEI SUOI GUAI GIUDIZIARI”
Piove, governo Letta. 
Una nuvolaglia grigissima si addensa sul Quirinale alle cinque del pomeriggio.
I giornalisti aspettano in fila, sotto la pioggia. Enrico Letta è al Colle già da due ore.
Il premier incaricato arriva direttamente da Montecitorio e ha con sè la bozza della lista dei ministri.
Gli incontri con Monti e Bersani sono andati bene, quello con Berlusconi no.
Al telefono, dopo aver visto il Cavaliere, lo sfogo di Letta junior non è stato moderato, com’è nel suo stile: “Ho parlato tre ore con lui ed è stato molto faticoso, tornava sempre sui suoi problemi personali, si è sfogato per le sue aggressioni giudiziarie. Io tentavo di riportare il discorso sulla squadra di governo e lui riparlava dei suoi problemi”.
Nasce così, sulla pietra angolare dei guai giudiziari di B., l’inciucio democristiano che mescola “pulcini”, seconde file e qualche big di Pd, Pdl e Scelta Civica.
Un perfido tweet di quel vecchio marpione di Paolo Cirino Pomicino, eternamente andreottiano, rende l’idea della creatura partorita da Napolitano, Berlusconi e infine Enrico Letta: “Un giovane e ottimo governo a larga partecipazione democristiana”.
Anche e soprattutto nel Pd: su nove ministri, senza contare Letta, la sinistra fu Ds è rappresentata dal ministero dell’Ambiente, il giovane turco Andrea Orlando, e da quello dello Sviluppo economico, il sindaco di Padova Flavio Zanonato, che è stato anche nel Pci.
Ma i numeri del Pd non devono ingannare soprattutto per un altro motivo: al partito del premier, infatti, non è andato alcun ministero di peso, di prima fascia.
Ben cinque sono senza portafogli: il big centrista Dario Franceschini a Rapporti con il Parlamento e coordinamento dell’attività di governo; la congolese bersaniana Cecile Kyenge all’Integrazione; la teutonica sempre bersaniana Josefa Idem a Pari opportunità , sport e politiche giovanili; Carlo Trigilia, proveniente da ItalianiEuropei, la fondazione di D’Alema e Amato, alla Coesione territoriale; il renziano annunciatissimo Graziano Delrio agli Affari regionali.
Il resto: la lettiana Maria Chiara Carrozza all’Istruzione e il dalemiano Massimo Bray ai Beni culturali
La sostanza vera di questo monocolore dc che rischia la definizione di governo balneare, da qui all’autunno, è spartita tra Napolitano, Berlusconi e gli ex tecnici di Monti.
Il gioco dei veti incrociati sui big ha pesato eccome sulla composizione della lista che Letta junior ha iniziato a leggere alle 17 e un quarto nella sala alla Vetrata del Quirinale.
Prima un ringraziamento al capo dello Stato, poi quattro fogli con la dicitura “Elenco Ministri Governo Letta”, dove due nomi sono persino sbagliati: Del Rio anzichè Delrio e Di Girolamo al posto di De Girolamo.
Quest’ultima è donna e berlusconiana, con un marito lettiano, Francesco Boccia.
Nunzia De Girolamo alle Politiche agricole compone il quintetto base del Pdl insieme con Angelino Alfano, vicepremier e ministro dell’Interno; Gaetano Quagliariello, già “saggio”, alle Riforme costituzionali; il ciellino Maurizio Lupi alle Infrastrutture e trasporti; Beatrice Lorenzin alla Salute.
C’è poi Mario Mauro, alla Difesa, che è stato berlusconiano fino all’estate scorsa.
Diventato montiano di Scelta Civica è rimasto però ciellino.
Mario Monti, da oggi ex premier, oltre a Mauro si è intestato solo un altro ministro, peraltro il confermato Enzo Moavero Milanesi agli Affari europei.
Per il resto Gianpiero D’Alia alla Pubblica amminitrazione è l’obolo all’Udc e il trasloco di Anna Maria Cancellieri dal Viminale alla Giustizia è frutto di una lunga mediazione
Al Quirinale, infatti, Letta junior è arrivato con due caselle vuote: Giustizia ed Economia, da riempire con la supervisione di “Re Giorgio”.
Il prescelto Michele Vietti non andava bene a B. e così la trattativa con il Cavaliere, facilitata da Monti, si è risolta sul nome del prefetto.
Anche l’Economia, al centro di un altro scontro con il Pdl, è andata a Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia, con il sì decisivo di Berlusconi.
Un “saggio” promosso come Quagliariello è il presidente dell’Istat Enrico Giovannini, destinato a Lavoro e politiche sociali.
Altro tecnico uscente è invece Filippo Patroni Griffi, da oggi sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio.
L’unica vera sorpresa è stata la radicale Emma Bonino agli Esteri.
Da segnalare che il capolavoro di mescolanza demo-cristiana vede al governo sia la Bonino sia Quagliariello, ex radicale poi teocon che gridò “assassini” al Senato nel giorno della morte di Eluana Englaro.
Letta junior ha letto la lista in uno, massimo due minuti.
È sembrato molto più lungo, e inusuale per il protocollo, l’abbraccio tra lui e Napolitano alla fine dell’incontro con la stampa, un abbraccio che suggella la nascita di un altro governo del presidente dopo Monti.
Non più tecnico ma politico, con una guida bicefala (Letta e Alfano) e un corpo giovane e forse troppo esile per resistere quando sarà tempo di bufera, in autunno.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »