Maggio 24th, 2013 Riccardo Fucile
LA CONDIZIONE POSTA DAL PROF. COPPI PER DIFENDERE IL CAVALIERE IN CASSAZIONE: BASTA ATTACCHI AI GIUDICI
«Perchè hanno usato quei toni così duri? Perchè infierire tanto? Tutto questo non lascia
presagire nulla di buono per il futuro ». Silvio Berlusconi rientra a Palazzo Grazioli in vista del comizio di oggi pomeriggio al Colosseo al fianco di Alemanno, incontra i suoi legali, poi Verdini e alcuni dirigenti Pdl e confessa tutta la sua preoccupazione, dopo la lettura in sequenza delle motivazioni della Cassazione (sul mancato spostamento a Brescia dei procedimenti di Milano) e quelle della Corte d’Appello (per la condanna Mediaset).
Pronunciamenti attesi, ma non in questi termini.
Una escalation che induce ancora una volta il Cavaliere a parlare in privato di «assedio giudiziario» ai suoi danni.
«Perchè la Cassazione ricorda la mia definizione di “giudicesse femministe e comuniste” riferita alle toghe che hanno deciso sull’assegno di separazione per Veronica? Quello era il Tribunale civile, cosa c’entra?»
Chiede con insistenza il leader Pdl agli avvocati Ghedini e Longo. È un’agitazione che si proietta sul futuro.
Perchè quella medesima Corte di Cassazione sarà chiamata a pronunciare il terzo, ultimo, decisivo giudizio nel processo Mediaset da qui a un anno.
Sentenza nella quale parecchio confida il Berlusconi condannato a quattro anni e cinque di interdizione dai pubblici uffici.
Ma se questi sono i chiari di luna, il quadro si fa fosco. Per non dire delle possibili ricadute politiche sul Pd alleato di governo, ma spaccato al suo interno, con le ali più antiberlusconiane pronte sempre a soffiare sul fuoco.
Così, in un primo momento la linea decisa coi legali è stata quella del silenzio.
Del «no comment» a caldo sulle motivazioni Mediaset, salvo lasciare partire la consueta contraerea di decine di parlamentari Pdl con le loro dichiarazioni anti giudici.
Poi, nel giro di poche ore, l’ha spuntata la voglia irrefrenabile del Cavaliere di intervenire in prima persona per bollare come «surreali» le ragioni della sentenza, non in un’intervista ma in un sobrio comunicato.
Detto questo, la strategia politica dei «toni bassi» sulle toghe non cambia di una virgola.
Zero attacchi alla magistratura nel suo complesso, in quella nota. E nessun riferimento al governo e alla sua stabilità a rischio.
Il portavoce Paolo Bonaiuti, ieri a lungo a colloquio con Berlusconi, conferma: «La linea dell’appoggio al governo non cambia di sicuro, resta confermata».
L’esecutivo Letta deve andare avanti, per il leader Pdl resta una «occasione storica», come detto nei giorni scorsi, e soprattutto «non cadrà certo per mano mia o per le provocazioni in cui certi magistrati cercano di farmi cadere».
La parola d’ordine, insomma, resta ancora pacificazione. Ecco perchè anche nel comizio di oggi al fianco del candidato sindaco di Roma non intende alzare il tiro sui giudici.
Ai piedi del Colosseo – unico strappo alla decisione di non affrontare per ora comizi, dopo le contestazioni di Brescia – si atterrà a temi assai concreti, «da comunali», dall’Imu a Equitalia.
Strategia politica ma anche – ed è quel che più interessa al leader – processuale. Non bruciare i pozzi, evitare di arroventare il clima con i supremi giudici di Cassazione.
A volerla dire tutta, sembra che il principe dei cassazionisti Franco Coppi scelto per affrontare la partita più importante, sembra lo abbia posto, anzi imposto come condizione.
Avrebbe accettato l’incarico solo a patto che cambiasse lo stile dell’imputato fuori dalle aule di giustizia. Niente più attacchi ai giudici.
Il modello Andreotti resta Napolitano, inarrivabile, ma quanto meno nei prossimi mesi l’imputato dovrà tenerlo in alta considerazione.
Ma a convincere il Cavaliere sull’opportunità di cambiare registro sarebbero state in ultimo le riflessioni che il presidente Napolitano ha affidato il 16 maggio scorso al Messaggero.
Laddove il capo dello Stato spiegava di capire «chi si trova impigliato» in vicende giudiziarie, ma suggeriva: «Meno reazioni scomposte arrivano, meglio è dal punto di vista processuale».
Considerazioni generiche dell’inquilino del Colle, alle quali tuttavia – racconta chi lo frequenta – il Berlusconi «impigliato » preferisce adesso attenersi.
Carmelo Lopapa
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Maggio 24th, 2013 Riccardo Fucile
“PRIMA LA INSULTAVANO I BOSS, ADESSO I FAN DEL CAVALIERE”
«Ci sarebbe quasi da fare un catalogo delle minacce arrivate alla dottoressa», dice uno dei detective che le ha lette e contate.
Aggiungendo, con qualche preoccupazione: «In effetti, si sono incrementate con il processo Ruby-Silvio. E negli ultimissimi giorni, dopo gli speciali giornalistici di Canale 5 e di La7, ancor di più».
La busta con i due proiettili di fucile approdata ieri all’ufficio poste del Palazzo di giustizia dice quello che si sa da moltissimo tempo: Ilda Boccassini è un magistrato nel mirino.
Da decenni è una donna nel mirino. E di minacce concrete e preoccupanti ne erano e ne sono arrivate «più d’una».
Alcune sue indagini hanno toccato il potere dei «mammasantissima », di gente che non dimentica.
La stessa gente che ha organizzato le stragi palermitane del 1992 e che sa benissimo quanto Falcone a Palermo e Boccassini a Milano avessero collaborato nella mappa aggiornata di Cosa Nostra e dintorni, nello studio dei prestanome e riciclatori al Nord e del loro dare e avere con «le famiglie » al Sud.
L’inchiesta «Duomo connection » (mafiosi che pagavano la tangente ai socialisti per costruire a Milano) portò a Ilda Boccassini, anno 1988, le prime lettere con la «bara» disegnata.
Poi, la tensione crebbe, erano periodi oscuri, in cui a Milano si scoprivano arsenali di bazooka, fatti arrivare dai mercanti d’armi per eliminare i magistrati.
È da allora che «la dottoressa», come tutti i suoi la chiamano, entrò nel programma di protezione.
Due auto blindate. Uomini e donne armate a proteggerla. Tragitti studiati e bonificati.
Una vita dura, forse più dura di altri colleghi.
E impregnata di allarmi costanti, con qualcuno di grado più elevato di recente, per le inchieste sull’asse Milano-Reggio Calabria: e per una strategia investigativa («il metodo Falcone») che per la prima volta nella storia dell’anticrimine italiano ha portato i carabinieri e la polizia a registrare assoluti inediti.
Come le votazioni del capo di tutta la ‘ndrangheta in Lombardia per alzata di mano. O come i sistemi di «conquista» di aziende pulite e di uomini politici da asservire
Ora il dato può fare o meno impressione, ma è e resta un dato: negli ultimi mesi non sono più i boss e i loro familiari a minacciare il procuratore aggiunto, ma «c’è una specie di tsunami di schifezze, parolacce, bastardate», per dirla con le parole dell’investigatore, e riguarda lo scandalo Ruby Rubacuori, nome d’arte di Karina El Mahroug, che da minorenne frequentava le «cene eleganti» dell’ex presidente del Consiglio ad Arcore.
Il processo, le polemiche che ne sono nate, i commenti su Internet che si dividono, a volte con violenza protetta dall’anonimato, tra innocentisti e colpevolisti, segnano una specie di linea di confine.
Tutte le lettere di minacce e di insulti citano il caso Ruby: tutte.
E anche «quei titoli delle tv, nello stile «Ilda contro Silvio», fanno sottintendere l’esistenza di uno scontro personale », aggiunge il detective.
E, in effetti, sono la sintesi precisa della «narrazione» che Berlusconi ha imposto sin dai primissimi tempi della prima campagna elettorale: lui è innocente, sono le «toghe rosse » che lo odiano e gli «fanno guerra » per sconfiggere «l’uomo della Provvidenza» per conto dei «comunisti ».
Uno slogan ripetuto per anni, senza possibilità di contraddittorio.
Da questo clima, sul quale ognuno può avere il suo parere, possono nascere le «illegittime» lettere di minacce: sia a Ilda Boccassini, sia allo stesso Silvio Berlusconi (anche a lui erano indirizzati dei proiettili, recentemente).
E quella manifestazione dei parlamentari Pdl, entrati nel Palazzo di giustizia a fine inverno, aveva riacceso i toni. Gridavano «contro la persecuzione».
Un’azione che, ha rivelato solo nella requisitoria del processo, aveva lasciato la Boccassini «smarrita». Perchè?
Basta pensare a come il magistrato milanese sotto scorta ha risolto l’incredibile sequestro del ragionier Giuseppe Spinelli: e cioè l’uomo dei conti personali di Berlusconi, quello che paga anche le tante ragazze, spesso testimoni ai processi per prostituzione, stipendiate mensilmente.
Il suo sequestro, come si ricorderà , venne denunciato in ritardo.
La procura arrestò comunque l’intero commando e il capo dei banditi, in un interrogatorio, aveva provato a dare una versione-truffa. Per esempio aveva raccontato che conosceva personalmente Spinelli.
Un altro magistrato, diciamo un «nemico» di Berlusconi, che cosa avrebbe potuto fare?
Con il pretesto di «indagare a tutto tondo» quanto avrebbe potuto tenere sulla corda Berlusconi e l’avvocato Niccolò Ghedini, prima di archiviare?
Invece gli autori di un sequestro avvenuto a metà ottobre sono stati condannati e l’immagine di Berlusconi neppure scalfita.
Per Ilda Boccassini — così dicono di lei nei Tribunali — contano solo i reati. Come nel passato, quando era stata lei a ottenere la condanna dell’avvocato Cesare Previti per aver comprato i giudici e favorire la direzione pro-Berlusconi della sentenza Mondadori.
Sentenza passata in giudicato. Ma come aveva taciuto allora sui processi, così Boccassini tace adesso. Non può reagire agli attacchi.
Nella sua vita blindata, sono blindate anche le sue reazioni.
Può soltanto «parlare con gli atti giudiziari ».
È un po’ poco? Siamo in un clima dove chi le apre le buste, qualche lettera da delirio, così confida, «per fortuna» gliela risparmia.
Piero Colaprico
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
LA BASE CONTRO TRE ONOREVOLI PER ASSUNZIONE RACCOMANDATI E SCARSA TRASPARENZA…E SPUNTA UNA LETTERA IMBARAZZANTE
Avevano promesso di scegliere i collaboratori parlamentari con i curricula e di rendere
pubblici tutti i nomi, ma invece dai loro stessi attivisti sono arrivate accuse di mancata trasparenza, richieste di spiegazioni, sospetti sulle assunzioni e la più classica delle lettere di raccomandazione.
Dodici pagine di interventi: il dibattito sul forum romano del Movimento 5 Stelle è aperto da cinque giorni.
Un attivista lancia un appello per avere chiarezza sulle assunzioni e chiede la lista di tutti i collaboratori parlamentari dei gruppi M5s.
Come risposta, Roberto Motta, cita una serie di nomi collegati a tre onorevoli del Movimento: «I due candidati al Comune Roberto Salviani accreditato al Deputato Max Ciccio Baroni e Francesco Silvestri con la Senatrice Paola Taverna» e «la non eletta, candidata portavoce alla Regione Lazio, Selena Caputo con il deputato Alessandro Di Battista».
Alfonso Tinari si dice certo che dopo le amministrative «tutti i parlamentari M5s renderanno pubblico un elenco con tutti i nominativi degli assistenti parlamentari, la loro retribuzione e le modalità di selezione, in ogni caso verrà richiesto l’elenco perchè è un elemento di trasparenza».
A lui risponde duro Maurizio Gaibisso: «Qui è tutto così nebuloso alla faccia della trasparenza! Perchè non farlo prima delle amministrative? Io la trasparenza la voglio subito, adesso».
Spuntano l’incubo del “troll” così viene indicato l’infiltrato – e una classica lettera di raccomandazione indirizzata anche ai capigruppo di Senato e Camera firmata Gli attivisti del CM5S.it e del M5SRoma MuniX: “Vi scriviamo queste poche righe perchè ci nasce spontanea la voglia di tessere le lodi di una cittadina che conosciamo da tempo e della quale apprezziamo la grandissima preparazione, l’umiltà e la dedizione al proprio lavoro e impegno sociale. Parliamo di Lidia Undiemi, studiosa d’economia e diritto del lavoro… In questi giorni state ricevendo decine, forse centinaia, di curricula. Sappiamo anche che Lidia vi ha sottoposto il suo. Con questo messaggio non intendiamo creare una corsia preferenziale per nessuno ma semplicemente riconoscere il talento e le capacità di Lidia nella speranza di vedere realizzata al più presto una squadra di esperti a supporto dei nostri parlamentari, all’insegna della trasparenza e degli interessi del Paese”.
Nella discussione online interviene la parlamentare Federica Daga: «La lista completa dei legislativi, segreterie varie eccetera, nomi cognomi ruoli, del gruppo parlamentare sarà pubblicata non appena sarà definitiva».
Roberto Motta – che aveva fatto i primi nomi – critica Daga, ma il suo intervento è oscurato con un richiamo alla moderazione.
Quattro attivisti vengono bannati, impossibilitati a scrivere: alla fine interviene anche Luca Marsico, vittima a fine gennaio di un contestatissimo sondaggio tra gli attivisti per escluderlo dalla corsa al Campidoglio. E la polemica è destinata a continuare.
Gabriele Isman
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
CHE UN PARTITO RAGGIUNGA IL 40% E’ ALTAMENTE IMPROBABILE, QUINDI NON CAMBIA NULLA
«Mai più alle elezioni con questa legge elettorale»: per ora è uno dei due punti sui quali Pdl e il Pd si sono messi d’accordo.
L’altro è quello di fare in fretta, anche se la fretta costringesse a fare una legge elettorale provvisoria, da ridiscutere quando saranno messe in agenda le riforme costituzionali.
E la fretta è giustificata dal prossimo giudizio della Consulta, che potrebbe muovere obiezioni forti alla legge in vigore.
Soprattutto l’obiezione che, in presenza di tre o più liste che ottengono un consenso elettorale simile, verrebbe comunque concesso un numero di seggi sufficiente a dare la maggioranza in Parlamento a quella che avesse ottenuto un solo voto in più delle altre, anche se i voti ottenuti fossero una netta minoranza di quelli espressi.
Il Porcellum non ha soglie, mentre persino la «fascistissima» legge Acerbo prevedeva una soglia (il 25%) al di sotto della quale il premio di maggioranza non scattava.
Il Porcellum è sempre stato una cattiva legge elettorale, per tanti motivi, ma fino alle ultime politiche il problema non si poneva perchè i due poli principali raccoglievano insieme tra il 70 o l’80 per cento dei voti e chi prevaleva ne otteneva almeno più di 40: una correzione maggioritaria che lo portasse alla maggioranza dei seggi non appariva scandalosa e di fatto era inferiore a quella che il partito vincente ottiene in molti altri sistemi maggioritari.
Si pone adesso dopo lo straordinario successo del Movimento 5 Stelle.
A quanto sembra il Pdl, sempre per la fretta e in via provvisoria, come affermano i suoi esponenti, insiste per una sola e semplice modifica della legge in vigore, inserendo una soglia elevata per far scattare il premio: si parla del 40% (ma perchè non il 35 o il 45?).
Ammesso che tale soglia sia superata, e che i risultati del Senato non contraddicano quelli della Camera – la riforma del Senato che impedirebbe questo esito deve attendere il momento delle riforme costituzionali – ci troveremmo in un sistema elettorale maggioritario.
Se la soglia non è superata saremmo in un sistema proporzionale.
Come al solito, nel Pd ci sono voci discordanti, anche se molti insistono per un ritorno al Mattarellum, il sistema con il quale si è votato dal 1994 al 2001: il Pdl sembra però fortemente contrario e vedremo che cosa succederà .
Nella situazione in cui siamo, l’eventualità che un partito (o una lista di partiti: altro oggetto di scontro) superi il 40% è piuttosto improbabile e quindi la prospettiva di fronte alla quale si trovano i politici è quella di un sistema proporzionale.
Questa ha una conseguenza importante, la stabilizzazione dell’attuale governo: in assenza di una prospettiva realistica di ottenere un premio elettorale che assicuri loro la maggioranza nei due rami del Parlamento, nessuno dei partiti che sostengono il governo ha la convenienza a ritirare il proprio sostegno, se la distribuzione dei consensi elettorali rimane quella rivelata dalle ultime elezioni.
Berlusconi vanta una consistente ripresa di consensi, ma è il primo a sapere che è improbabile possa ottenere un risultato superiore al 40% – se questa sarà la soglia – nelle prossime consultazioni.
Che faccia bene o che faccia male, che faccia le riforme necessarie al Paese o non le faccia, con una riforma elettorale di questo genere, se passerà , il governo Letta firma una conveniente polizza di assicurazione.
Se poi questa polizza sia conveniente anche per il Paese, è un altro problema.
Le attuali preferenze degli elettori ci hanno lasciato in una situazione nella quale il governo è sostenuto da due grandi partiti che si guardano in cagnesco, e da un terzo, più piccolo, che non è in grado di cambiare la natura del gioco.
Un quarto grande partito – o movimento, come preferisce chiamarsi – sta all’opposizione, insieme a partiti minori, ma non sembra in grado, o abbia l’intenzione, di presentare una proposta politica credibile o voglia allearsi con altri partiti.
Se l’offerta da parte di uno o più di questi soggetti politici non cambia o se non cambiano molto le loro dimensioni relative, non c’è legge elettorale che possa cavarci d’impaccio, a meno di pensare a un mostro che sfidi i più elementari criteri della rappresentanza democratica. Ovviamente auguriamo a Letta di durare quanto basta per fare riforme importanti sia in materia economica sia costituzionale.
Ma il rischio che ci si ritrovi dopo le prossime elezioni in una situazione simile a quella in cui ci siamo trovati dopo le ultime, e con esso il rischio di una nuova grande coalizione, è sempre incombente.
Michele Salvati
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
ERA ORA: ALMENO DIECI TURNI PER GIOCATORI E DIRIGENTI… PENE PIU’ SEVERE ANCHE PER INSULTI E AGGRESSIONI AGLI ARBITRI
Via libera da parte dell’Esecutivo dell’Uefa, riunito a Londra, all’inasprimento delle sanzioni
nei casi di razzismo.
I nuovi regolamenti disciplinari, che entreranno in vigore a partire dal 1° giugno, includono le seguenti sanzioni da adottare in caso di comportamenti discriminatori. Per gli spettatori: chiusura parziale dello stadio alla prima offesa e chiusura totale alla seconda oltre a un’ammenda da 50.000 euro.
Per i giocatori e i dirigenti: una squalifica minima di dieci turni.
Una risoluzione separata dedicata alla lotta al razzismo verrà emanata domani in occasione del Congresso Ordinario Uefa.
Pene più severe anche nei casi di aggressioni fisiche o verbali agli arbitri: la squalifica minima per ingiurie ai direttori di gara è passata da due a tre turni e quella per l’aggressione agli stessi è passata da 10 a 15 turni.
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
NELL’INCHIESTA DELLA PROCURA DI CATANZARO I NOMI DEGLI EX D’AMBROSIO E MARUCCIO
È un groviglio di interessi che coinvolge ‘ndrangheta e massoneria l’inchiesta denominata Lybra, coordinata dalla procura distrettuale di Catanzaro.
Ventiquattro le persone finite in carcere giovedì con l’accusa di associazione a delinquere.
Uomini delle cosche come i Tripodi, un clan molto influente nel Vibonese, legato ai Mancuso di Limbadi, faccendieri e massoni come Francesco Comerci, amministratore di alcune imprese edili prestanome dei Tripodi e, titolari di ditte edili.
VOTI IN CAMBIO DI APPALTI
Nell’inchiesta che porta la firma del procuratore aggiunto Francesco Borrelli e del sostituto Pierpaolo Bruni emerge un quadro di collusioni tra la ‘ndrangheta e personaggi politici cui le cosche avrebbero chiesto, in cambio di voti, di entrare nel settore degli appalti pubblici.
Gli interessi del clan Tripodi, infatti, partono dalla Calabria per raggiungere la Lombardia, e si diramano in Veneto e nella Capitale dove trovano l’appoggio di politici influenti come Vincenzo Maruccio, ex assessore dell’Idv nella giunta Marrazzo ed ex consigliere di minoranza con la giunta Polverini, e dell’ex vice presidente del consiglio regionale del Lazio Raffaele D’Ambrosio (Udc), pronti a trattare con i clan che in cambio di appalti s’impegnavano a raccogliere voti.
In questa inchiesta i due ex consiglieri non sono indagati, ma in altre sì: Maruccio per lo scandalo dei fondi ai gruppi della Pisana insieme a Franco Fiortio, il «Batman di Anagni»; D’Ambrosio per la nomina a segretario del consiglio regionale di Nazzareno Cecinelli.
IL CLAN PUNTA A UNA SOCIETA’ DI BRESCIA
Tutto parte quindi con gli interessi dei Tripodi in Lombardia.
Il clan del Vibonese mira ad espandersi.
A Milano Massimo Murano, legato ai Tripodi, entra in contatto con Guido Della Giacoma, legale rappresentante della Medialink Italia, la società di Brescia che si occupa di sviluppare soluzioni di telecomunicazioni.
Il manager capisce subito le intenzioni dell’uomo. Murano è vicino a Carmelo Novella, il boss di Guardavalle ucciso perchè coltivava l’idea di costituire in Lombardia un progetto autonomista della ‘ndrangheta.
L’assunzione in Medialink di Massimo Murano era una sorta di «garanzia» quindi per Della Giacoma.
Gli interessi del clan calabrese andarono però ben oltre la semplice assunzioni di elementi della cosca.
La prima pretesa di Murano fu quella di costringere l’amministratore della società bresciana a stringere rapporti d’affari con la ditta Edil Sud di Francesco Comerci, prestanome dei Tripodi. Comerci è un faccendiere con amicizie anche influenti nel mondo della politica romana.
GLI AMICI ROMANI DEL FACCENDIERE
Nell’interrogatorio del 6 novembre del 2012 Comerci ha ammesso di aver partecipato a una cena elettorale con il candidato al Consiglio regionale del Lazio Raffaele D’ambrosio, al quale promise un appoggio elettorale.
Ma non erano le uniche amicizie romane importanti di Comerci.
Il faccendiere aveva un ottimo rapporto con Giulio Violati, marito di Maria Grazia Cucinotta. Violati è un importante imprenditore con interessi nel mondo del cinema e delle assicurazioni.
Le conoscenze di Comerci erano un buon biglietto da visita per i Tripodi. Che intanto attraverso velate minacce avrebbero cercato di estorcere soldi a Della Giacoma.
Il rappresentante della Medialink per frenare le pretese dei Tripodi, manifestate attraverso Murano e lo stesso Comerci, indicò ai due l’esistenza di un bando di appalto da parte dell’Associazione Industriali di Roma per un importo di alcune centinaia di milioni di euro.
Si trattava di eseguire un progetto per la realizzazione di fibre ottiche nella Capitale.
A CACCIA DI APPALTI
«Mi recai a Roma dove mi raggiunse il Comerci che mi disse che c’era l’opportunità di parlare con un esponente politico di primissimo piano affinchè potessimo inserirci come Medialink nell’esecuzione dei lavori», ha spiegato ai pm Della Giacoma.
Il manager, Comerci, il suo commercialista Nunziato Grasso e un certo professor Festa s’incontrano, infatti, in un ufficio che sarebbe stato un’articolazione della camera dei Deputati.
A quell’incontro era presente anche Giulio Violati.
Il professor Festa avrebbe chiesto a Violati la possibilità di cercare un contatto con Aurelio Regina, presidente degli industriali di Roma, proprio per ottenere una «spinta» per l’aggiudicazione dell’appalto.
Cosa che Violati fece – secondo il racconto di Della Giacoma -.
TANGENTI PER LA RICOSTRUZIONE DELL’ABRUZZO
Comerci, Festa e Della Giacoma si sarebbero poi recati in un ufficio a piazza Rondanini. In quella mansarda — racconta il manager della Medialink — «ebbi modo di sentire che si parlava di appalti per la ricostruzione dell’Abruzzo».
Nel corso della conversazione, a cui non partecipò il presidente degli industriali di Roma, a Della Giacoma fu fatto questo ragionamento: per far entrare nel mercato romano degli appalti la Medialink occorreva far parte di un club e stipulare un contratto di consulenza per un importo iniziale di 50.000 euro a favore di una non meglio specificata società .
Per il manager bresciano era una evidente richiesta di tangente. «Devo sottoporre questa richiesta al consiglio d’amministrazione della società » – disse Della Giacoma – e si defilò.
Carlo Macri
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
STRADA ULTIMATA A PONTICELLI, NESSUNO SI E’ POSTO IL PROBLEMA: E’ L’EMBLEMA DEL MENEFREGHISMO CHE REGNA IN ITALIA
Caso surreale: una strada con un palo al centro. 
No, non è una barzelletta, ma è un «incubo» infrastrutturale: «Sembra tutto pronto – racconta il capogruppo M5S al comune di San Giorgio a Cremano, Danilo Roberto Cascone – per l’apertura dell’uscita autostradale su via della villa Romana a Ponticelli, utilissimo per chi proviene da Salerno, se non fosse per un piccolo particolare… C’è un palo in mezzo alla carreggiata. Da diverso tempo i lavori sono terminati, ma l’uscita, non è ancora operativa»
LA PROTESTA
Eppure il nuovo svincolo potrebbe alleviare gli annosi problemi di traffico agli automobilisti diretti alla zona alta di San Giorgio e ai paesi limitrofi.
Sono stati chiesti chiarimenti in merito, ma per il momento il palo resta dove è.
Ci si domanda come sia stata possibile una cosa del genere.
Questo svincolo – denunciano il responsabile regionale dei Verdi Ecologisti Francesco Emilio Borrelli – è atteso da anni ed è inconcepibile che sia stato realizzato un palo della luce proprio al centro della carreggiata. E’ inspiegabile un errore così grossolano che non solo sta ritardando l’ apertura dello svincolo ma aumenterà i costi della realizzazione del tratto autostradale»
REPLICA AUTOSTRADE MERIDIONALI
«Il palo – spiega Autostrade Meridionali – non c’entra nulla con l’apertura dello svincolo perchè è un’opera cosiddetta “provvisionale”, cioè temporanea. La rampa, tuttavia – aggiunge Autostrade Meridionali -, non si apre ancora perchè su questi lavori manca ancora il via libera comunale, dopo che è stata, da tempo, effettuata la conferenza dei servizi».
Dato che il palo è stato ben piantato al centro della carreggiata, ci chiediamo chi (e senza il controllo di chi) abbia potuto piantare tale palo proprio al centro della corsia appena sistemata.
Cose che possono accadere solo in Italia…
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
“ANDATE A FARE DOMANDE DEL CAZZO DA UN’ALTRA PARTE”: E IL CRONISTA DEL “FATTO” VIENE SPINTONATO… MA CHE BELLA LA DEMOCRAZIA DIRETTA
“Andate a fare i giornalisti da un’altra parte”.
È l’invito rivolto ieri a Brescia da alcuni militanti del Movimento 5 stelle ai cronisti presenti al comizio di Beppe Grillo.
Nel corso della serata alcuni attivisti si erano detti contrari all’ipotesi di non presentarsi alle elezioni in caso di approvazione del discusso ddl del Pd sulla disciplina dei partiti politici.
Una posizione che però il leader non intende discutere: “Chi non è d’accordo fondi un partito con Berlusconi”, risponde. (Lui lo appoggia già in altro modo…n.d.r.)
E a chi fa domande sulla democrazia interna arriva il rimprovero degli attivisti: “Sono domande del cazzo”.
Uno di loro alza le mani sull’inviato del Fatto.
“Il MoVimento 5 Stelle non è un partito politico nè si intende che lo diventi in futuro”. È scritto nell’art. 4 del ‘non-statuto’ del Movimento 5 stelle, e non si discute. Beppe Grillo, di fronte a una legge che costringerebbe il Movimento alla personalità giuridica e alla pubblicazione di un vero e proprio statuto nella Gazzetta Ufficiale, pena l’esclusione dalle competizioni elettorali, è categorico: “Se passa il ddl di Zanda e Finocchiaro non ci presenteremo, e si prenderanno la responsabilità delle conseguenze sociali”.
Ma non tutti sono pronti a rinunciare alla rivoluzione a cinque stelle.
Tra gli attivisti presenti alla tappa bresciana del ‘tutti a casa tour’ per le amministrative, alcuni la vedono diversamente. “Non si possono abbandonare le persone, gli elettori”, sostiene una giovane attivista di Brescia, “non possiamo mollare l’osso e dargliela vinta”.
Ritirare il Movimento dalle prossime politiche perchè “non vogliamo mettere in discussione uno statuto”, però, a una minoranza sembra esagerato.
E allora? E allora niente. “Chi non è d’accordo vada a fondare un partito con Berlusconi”, risponde il leader quando i giornalisti fanno notare che il tema è dibattuto, e che qualcuno non la pensa come lui.
“È questa la democrazia interna al Movimento?”, gli viene chiesto, mentre le domande cominciano a scaldare gli animi di chi sta scortando il leader verso il suo camper.
“Non ce n’è, sono quattro regole che hai accettato”, risponde Grillo, “la democrazia è con le regole”.
“Domande del cazzo”, rilancia uno degli attivisti che presidiano il corpo del leader. Lui si dissocia: “Non l’ho detto io”.
Ma ormai è tardi, e il clima si è scaldato.
“Andate a fare i giornalisti da un’altra parte”, invita un altro grillino.
Poi, di fronte alle lamentele per le spinte che tengono la stampa lontana da Grillo, un ragazzone con la pettorina della “security” a cinque stelle decide di andare oltre. Prima spinge il cronista del Fatto, e poi gli strappa gli occhiali
Franz Baraggino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IL CONTROLLO DELLO STAFF SUGLI ELETTI OTTIENE IL VIA LIBERA DALL’ASSEMBLEA
Nessuno di noi cronisti può sapere se è già stato inserito nella black list, la lista nera del
Movimento 5 Stelle.
La lista dei cronisti sgraditi, per adesso, è chiusa in un cassetto, o galleggia ancora solo nella mente di qualcuno. Però c’è, esiste.
Montecitorio, ieri mattina
Le indiscrezioni di qualche ora fa diventano certezza. Ricapitolando: il gruppo comunicazione del Movimento ha davvero predisposto un piano per controllare meglio il flusso di dichiarazioni dei propri deputati.
Il piano, dettagliato in una email inviata agli onorevoli cittadini, ha tre punti.
Primo: declinare le richieste di colloqui o interviste da parte di giornalisti che si sono dimostrati «inaffidabili».
Secondo: intensificare la presenza degli addetti stampa in Transatlantico e alla buvette (se le ronde vedono che un giornalista si avvicina a un deputato, devono essere pronte ad affiancare il deputato).
Terzo: se il deputato decide di rilasciare l’intervista, allora è meglio andare in via Uffici del Vicario, nel palazzo che ospita i gruppi parlamentari, chiudersi in una stanza e parlare davanti a una telecamera che registra immagini e voci, risposte e domande (per ora, ai cronisti non verrebbero comunque chieste le impronte digitali).
Gli uffici del M5S sono al quarto piano.
Andrea Cottone è uno degli addetti stampa (il coordinatore è Nicola Biondo).
Cottone scriveva sul Fatto, si è a lungo occupato di cronaca giudiziaria in Sicilia, è molto gentile al telefono
«Ah ah ah!…».
Ti viene da ridere?
«Ma sì, dai… State pompando questa cosa delle liste nere, come sempre volete farla passare per una cosa dittatoriale…».
Veramente, io vorrei solo capire meglio.
«Okay, va bene, te lo spiego meglio… Allora: tanto per cominciare, noi siamo liberi di scrivere ai nostri deputati tutto quello che ci pare, fornendogli tutti i suggerimenti che ci paiono opportuni…».
Prosegui.
«Poi, se vogliamo entrare nel dettaglio, beh, crediamo sia ora di farla finita con il gossip, perchè è chiaro che anche la storia della diaria l’avete trasformata in gossip…».
No, scusa: quello non era gossip, era politica. Ci avete vinto le elezioni sostenendo che non vi sareste messi in tasca un euro in più del necessario. Ma poi, come sappiamo, visto lo stipendio accreditato sul conto corrente, qualche onorevole cittadino ha vacillato. Comunque non è questo il punto. Voi del gruppo comunicazione…
«Noi riteniamo sia arrivato il momento di parlare dei contenuti. Tu vuoi parlare di un certo argomento? E noi ti indichiamo il deputato più giusto…».
Avete immaginato la reazione di uno come l’onorevole cittadino Di Battista, sempre molto propenso a dichiarare su qualsiasi argomento?
«Eh… Di Battista… lo sappiamo lo sappiamo… Comunque non è che ti spariamo se ti avvicini a Di Battista… Solo che…».
Solo che?
«Tutti i deputati sanno perfettamente che alcuni giornalisti sono corretti, e altri meno, molto meno».
L’onorevole cittadino Roberto Fico da Napoli è uno di quelli che, quasi ogni giorno, finisce sui giornali o alla tivù con qualche dichiarazione. Rispetterà i consigli del gruppo comunicazione? Sentite cosa dice in questa sua dichiarazione che subito gira sul web.
«Quello che è arrivato in mano ai giornalisti, prima di essere al solito stravolto, è un report che il gruppo comunicazione ci fa periodicamente. Fanno il loro lavoro, ci danno consigli. Nessun obbligo».
Punti di vista.
Luigi Di Maio, 26 anni, vicepresidente della Camera, è invece assai soddisfatto delle indicazioni ricevute.
«Detto che io sto parlando tranquillamente con lei…».
Detto questo?
«È innegabile che abbiamo avuto alcuni problemi di comunicazione. Qualche giornalista ci ha strumentalizzato e… beh, forse se qualcuno ci indicasse anche quali sono i giornalisti di cui ci si può fidare, sarebbe cosa buona e utile».
Giornalisti buoni, cattivi, attenti e disattenti.
A metà pomeriggio c’è una conferenza stampa.
E che fanno i deputati del M5S? Decidono di fare – loro – le domande.
«Mhmmm… adesso, cari giornalisti, vediamo se avete seguito bene quello che abbiamo detto… Forza, rispondete!» (giornalisti muti e increduli).
Segue assemblea del gruppo dei deputati piuttosto tesa.
Ribadita fiducia allo staff della comunicazione (73 sì, 1 contrario, 5 astenuti).
Però molti malumori, rancori, voglia di libertà d’azione (proprio così: voglia di poter parlare liberamente).
Qualcuno telefoni a Beppe Grillo.
Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera“)
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