LA VITA BLINDATA DI ILDA LA ROSSA
“PRIMA LA INSULTAVANO I BOSS, ADESSO I FAN DEL CAVALIERE”
«Ci sarebbe quasi da fare un catalogo delle minacce arrivate alla dottoressa», dice uno dei detective che le ha lette e contate.
Aggiungendo, con qualche preoccupazione: «In effetti, si sono incrementate con il processo Ruby-Silvio. E negli ultimissimi giorni, dopo gli speciali giornalistici di Canale 5 e di La7, ancor di più».
La busta con i due proiettili di fucile approdata ieri all’ufficio poste del Palazzo di giustizia dice quello che si sa da moltissimo tempo: Ilda Boccassini è un magistrato nel mirino.
Da decenni è una donna nel mirino. E di minacce concrete e preoccupanti ne erano e ne sono arrivate «più d’una».
Alcune sue indagini hanno toccato il potere dei «mammasantissima », di gente che non dimentica.
La stessa gente che ha organizzato le stragi palermitane del 1992 e che sa benissimo quanto Falcone a Palermo e Boccassini a Milano avessero collaborato nella mappa aggiornata di Cosa Nostra e dintorni, nello studio dei prestanome e riciclatori al Nord e del loro dare e avere con «le famiglie » al Sud.
L’inchiesta «Duomo connection » (mafiosi che pagavano la tangente ai socialisti per costruire a Milano) portò a Ilda Boccassini, anno 1988, le prime lettere con la «bara» disegnata.
Poi, la tensione crebbe, erano periodi oscuri, in cui a Milano si scoprivano arsenali di bazooka, fatti arrivare dai mercanti d’armi per eliminare i magistrati.
È da allora che «la dottoressa», come tutti i suoi la chiamano, entrò nel programma di protezione.
Due auto blindate. Uomini e donne armate a proteggerla. Tragitti studiati e bonificati.
Una vita dura, forse più dura di altri colleghi.
E impregnata di allarmi costanti, con qualcuno di grado più elevato di recente, per le inchieste sull’asse Milano-Reggio Calabria: e per una strategia investigativa («il metodo Falcone») che per la prima volta nella storia dell’anticrimine italiano ha portato i carabinieri e la polizia a registrare assoluti inediti.
Come le votazioni del capo di tutta la ‘ndrangheta in Lombardia per alzata di mano. O come i sistemi di «conquista» di aziende pulite e di uomini politici da asservire
Ora il dato può fare o meno impressione, ma è e resta un dato: negli ultimi mesi non sono più i boss e i loro familiari a minacciare il procuratore aggiunto, ma «c’è una specie di tsunami di schifezze, parolacce, bastardate», per dirla con le parole dell’investigatore, e riguarda lo scandalo Ruby Rubacuori, nome d’arte di Karina El Mahroug, che da minorenne frequentava le «cene eleganti» dell’ex presidente del Consiglio ad Arcore.
Il processo, le polemiche che ne sono nate, i commenti su Internet che si dividono, a volte con violenza protetta dall’anonimato, tra innocentisti e colpevolisti, segnano una specie di linea di confine.
Tutte le lettere di minacce e di insulti citano il caso Ruby: tutte.
E anche «quei titoli delle tv, nello stile «Ilda contro Silvio», fanno sottintendere l’esistenza di uno scontro personale », aggiunge il detective.
E, in effetti, sono la sintesi precisa della «narrazione» che Berlusconi ha imposto sin dai primissimi tempi della prima campagna elettorale: lui è innocente, sono le «toghe rosse » che lo odiano e gli «fanno guerra » per sconfiggere «l’uomo della Provvidenza» per conto dei «comunisti ».
Uno slogan ripetuto per anni, senza possibilità di contraddittorio.
Da questo clima, sul quale ognuno può avere il suo parere, possono nascere le «illegittime» lettere di minacce: sia a Ilda Boccassini, sia allo stesso Silvio Berlusconi (anche a lui erano indirizzati dei proiettili, recentemente).
E quella manifestazione dei parlamentari Pdl, entrati nel Palazzo di giustizia a fine inverno, aveva riacceso i toni. Gridavano «contro la persecuzione».
Un’azione che, ha rivelato solo nella requisitoria del processo, aveva lasciato la Boccassini «smarrita». Perchè?
Basta pensare a come il magistrato milanese sotto scorta ha risolto l’incredibile sequestro del ragionier Giuseppe Spinelli: e cioè l’uomo dei conti personali di Berlusconi, quello che paga anche le tante ragazze, spesso testimoni ai processi per prostituzione, stipendiate mensilmente.
Il suo sequestro, come si ricorderà , venne denunciato in ritardo.
La procura arrestò comunque l’intero commando e il capo dei banditi, in un interrogatorio, aveva provato a dare una versione-truffa. Per esempio aveva raccontato che conosceva personalmente Spinelli.
Un altro magistrato, diciamo un «nemico» di Berlusconi, che cosa avrebbe potuto fare?
Con il pretesto di «indagare a tutto tondo» quanto avrebbe potuto tenere sulla corda Berlusconi e l’avvocato Niccolò Ghedini, prima di archiviare?
Invece gli autori di un sequestro avvenuto a metà ottobre sono stati condannati e l’immagine di Berlusconi neppure scalfita.
Per Ilda Boccassini — così dicono di lei nei Tribunali — contano solo i reati. Come nel passato, quando era stata lei a ottenere la condanna dell’avvocato Cesare Previti per aver comprato i giudici e favorire la direzione pro-Berlusconi della sentenza Mondadori.
Sentenza passata in giudicato. Ma come aveva taciuto allora sui processi, così Boccassini tace adesso. Non può reagire agli attacchi.
Nella sua vita blindata, sono blindate anche le sue reazioni.
Può soltanto «parlare con gli atti giudiziari ».
È un po’ poco? Siamo in un clima dove chi le apre le buste, qualche lettera da delirio, così confida, «per fortuna» gliela risparmia.
Piero Colaprico
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