Ottobre 26th, 2013 Riccardo Fucile
SPINTONATO DA UNA DONNA MISTERIOSA IN CENTRO A ROMA, POI LA FUGA IN AUTO
Location: piazza di Fontanella Borghese, pieno centro di Roma.
Ore 17: il vicepresidente del Senato e autorevole esponente de Pdl, Maurizio Gasparri, attualmente nè falco nè colomba , ma “pontiere” nel senso di coloro che stanno a metà del guado in attesa di vedere chi vince, si aggira con il telefonino all’orecchio.
La cronaca non ci dice con chi era al cellulare: se qualche rapace o qualche colombofilo.
All’improvvivo si profila l’attentatrice: si avvicina al senatore e lo spintona gridando “Mi fate schifo, ve ne dovete andare via tutti».
Gasparri riesce a evitare eroicamente la caduta, barcolla ma non molla.
I resoconti dicono che alla scena hanno assistito alcuni passanti e i militari di guardia alla sede della delegazione spagnola che sono intervenuti.
Non è specificato a difesa di chi dei due.
Sul posto arriva anche la polizia, ma dell’attentatrice nessuna traccia.
Si sarebbe allontanata e nessuno l’ha vista bene per poter sperare di portare a una ipotesi di identificazione.
Pare certo che parlasse italiano, quindi è da escludere l’ipotesi di un attentato internazionale ordito da Al Qaeda.
Gasparri a quel punto salta su un’auto e si dilegua: non sia mai che il gesto della donna diventi contagioso.
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Ottobre 26th, 2013 Riccardo Fucile
COLLEZIONE PRESENZE NEI TALK SHOW POLITICI CON UN RITMO INSOSTENIBILE PER CHIUNQUE ALTRO… ANCHE PERCHE’ IN PARLAMENTO NON CI VA MAI
Accendi la tv, qualsiasi canale, e lei c’è. 
Accendi la radio e lei parla.
Apri il giornale e c’è una sua intervista.
La sovraesposizione mediatica di Daniela Santanchè non è una novità delle ultime ore ma, con la diatriba tra falchi e colombe che sta lacerando il Pdl, la situazione ha raggiunto dei livelli difficilmente sostenibili.
Prendiamo un giorno qualunque della vita della pitonessa, giovedì 24 ottobre. L’onorevole Santanchè si deve alzare presto: prima delle otto deve presenziare al programma mattutino di La7, ‘Omnibus’.
Obiettivo del suo intervento: difendere Silvio Berlusconi dall’accusa di aver comprato il voto di De Gregorio.
Dall’altra parte dello schermo sono in 183mila ad ascoltarla, uno dei risultati peggiori dell’anno per la trasmissione.
Passano poche ore ed è il momento di un’intervista radiofonica alla Zanzara, su Radio24, in cui è il copione prevede di difendere come sempre Berlusconi, ma stavolta dall’ex moglie Veronica Lario: “Io preferisco pagare gli uomini e non essere pagata. Per me le donne devono lavorare e permettersi il lusso di essere come gli uomini e pagare gli alimenti”.
Che cosa questo abbia a che fare con il suo lavoro di parlamentare non è dato saperlo.
La giornata vola velocemente verso la fine ed è il momento di tornare su La7, stavolta ospite di Lilli Gruber e del programma Otto e Mezzo.
Il format vede la Santanchè all’attacco della legge di stabilità , del Pd e di Rosy Bindi per la nomina all’antimafia.
A guardarla sono oltre un milione e 700 mila persone: un bel numero, soprattutto se confrontato con la “colomba” Gaetano Quagliariello che il giorno prima, nella stessa trasmissione, si era fermato a poco più di un milione e 300mila ascoltatori.
I falchi vincono, almeno in televisione.
Arrivati a questo punto si potrebbe pensare che si tratta di un caso, di un giorno eccezionale per Daniela Santanchè, del “solito accanimento giornalistico”. Nient’affatto: la vita della Pitonessa prevede quasi esclusivamente interviste e comparsate, come testimoniano i numeri dell’osservatorio OccupyTv : dal 9 settembre ad oggi, Santanchè è stata ospite in dodici diverse occasioni, eguagliata solo dal collega Maurizio Gasparri.
Otto e mezzo, Omnibus, Porta a Porta, l’Arena, Virus, Quinta Colonna: non importa l’emittente o il conduttore, lei c’è sempre.
Ma fuori dal monitoraggio di OccupyTv ci sono anche le ospitate ai programmi notturni (Linea Notte su Rai 3) e le interviste a quotidiani e settimanali che non è possibile contare.
L’iper presenzialismo di Daniela non è purtroppo corrispondente al suo impegno in Parlamento, dove l’onorevole del centrodestra colleziona oltre l’85 percento di assenze durante le votazioni e non c’è praticamente mai durante i dibattiti che contano.
Intanto però imperversa in tv e da qui parte la nostra richiesta di aiuto: qualcuno salvi gli italiani dalla pitonessa.
Mauro Munafò
(da L’Espresso“)
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Ottobre 26th, 2013 Riccardo Fucile
“LA BANCA FINANZIO’ NUCERA DOPO CHE LA SUA GEO AVEVA RICEVUTO UNA SEGNALAZIONE DELLA DIA… IL MANAGER DELL’AZIENDA CHE OTTENEVA CREDITI FACILI ERA LEGATO ALL’NDRANGHETA”
Riportiamo qui di seguito l’articolo del Secolo XIX di oggi
I milioni che la Banca Carige ha generosamente concesso per anni alla “Geo” del faccendiere Andrea Nucera sono serviti a pagare un gruppo di affaristi legato alla ‘ndrangheta.
Non solo.
L’istituto di credito ha continuato a sovvenzionare la società dopo che la stessa aveva ricevuto dalla prefettura di Savona una “informazione atipica antimafia” per le sospette collusioni del direttore generale di Geo con i clan della criminalità calabrese.
I dati incontrovertibili sono contenuti in uan serie di documenti di cui il Secolo XIX è entrato in possesso. E rappresentano uno degli aggiornamenti più importanti nell’inchiesta del crac Nucera che coinvolge manager dela Cassa di Risparmio.
Con l’accusa di aver concorso alla bancarotta della Geo, prestando soldi senza avere in cambio garanzie, e quando l’andamento del gruppo era palesemente compromesso, sono stati iscritti nel registro degli indagati l’ex presidente Carige Giovanni Berneschi, l’attuale direttore generale Ennio La Monica, l’ex responsabile crediti Mario Cavanna e l’amministratore delegato della Cassa di Risparmio di Savona Achille Tori.
L’indagine sui fidi facili chiama in causa pure il Banco di San Giorgio e banca d’Alba.
Il capitolo dei soldi, almeno 120 milioni di euro tra Carige e Carisa, finiti a un’azienda dove operavano persone collegate alle cosche, e’ senza dubbio il più delicato.
E’ un fatto che Carige abbia concesso crediti alla Geo quando già aveva ricevuto un provvedimento antimafia dalla prefettura di Savona, ed è un fatto che l’ex direttore generale della società Vincenzo Chiaro sia definito dalla Dia di Genova come inserito nella cosca Raso-Gullace-Albanese.
Occhio ai tempi, ora.
Il 15 novembre 2010 la prefettura di Savona interviene sulla Geo, impegnata nei lavori alla ferrovia Genova-Ventimiglia. dopo aver ricevuto una serie di informative inquietanti su Chiaro. Si spiega che Chiaro è legato alla ‘ndrangheta e che per il suo compagmo di affari Rebora “risultano precedenti e condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio, sequestro di persona a scopo di rapina, estorsione e altro”.
Ecco perchè nei confronti della Geo e del suo patron Nucera scatta la “informazione atipica antimafia”.
Il problema serio è che Carige non smette di finanziarla.
La prova è nelle contestazioni che le muoverà Bankitalia: “nel dicembre 2010 il signor Nucera è stato sovvenzionato per estinguere debiti verso il fisco”.
Indebitato con lo Stato, colpito da una misura antimafia e con un direttore generale secondo la Dia “organico alle famiglie”. Ma comunque sovvenzionato da Carige.
E ora i magistrati savonesi vogliono capirne il motivo.
Giovanni Ciolina e Matteo Indice
(da “il Secolo XIX“)
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Altro articolo del Secolo XIX di oggi
CONCORSO IN BANCAROTTA FRAUDOLENTA: ADESSO TREMANO DIECI PROFESSIONISTI
Si allarga a macchia d’olio l’inchiesta della magistratura savonese sul crac Nucera derivanti dal crollo di un impero immobiliare che aveva ottenuto finanziamenti dalle banche per centinaia di milioni di euro.
Andrea Nucera all’inizio degli anni Duemila era riuscito ad avere rapporti talmente solidi con il mondo politico-finanziario da poter ottenere prestiti sulla fiducia.
Quello appena aperto pare un pentolone capace di riservare molte sorprese e di allungare l’elenco degli indagati.
Sono già emerse responsabilità penali, riconducibili a professionisti, che avrebbero permesso a Nucera di ottenere prestiti con perizie gonfiate sui beni immobili concessi in garanzia.
Mercoledi i pezzi da novanta delle banche liguri saranno chiamati a chiarire le rispettive posizioni: la conta dei danni non è ancora finita.
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Articolo di oggi della Casa della Legalità
LIGURIA, STORIE CHE SI INTRECCIANO TRA NUCERA, CARIGE E ‘NDRANGHETA
L’esposizione per i prestiti al gruppo GEO risulta essere di CARIGE pari a circa 80 milioni di euro e da CARISA sui 40 milioni.
Solo per quanto concerne i prestiti – iscritti a Bilancio – ottenuti dalle società del NUCERA per l’operazione T1 di CERIALE risultavano 55 milioni (dalla CARIGE)… peccato che la lottizzazione in questione (e bastava vedere le carte del progetto e delle pseudo “autorizzazioni” per rendersene conto) fosse abusiva.
Da fonte confidenziale abbiamo anche appreso che la CARIGE avrebbe garantito fondi alle società del NUCERA ben superiori al valori dei beni e delle operazioni oggetto di finanziamento.
Una sorta di “fetta” aggiuntiva che risulterebbe non solo ingiustificata (e ingiustificabile), ma quanto mai elemento chiave per capire il “solido” legame di sostegno della banca guidata da BERNESCHI alle attività del NUCERA e dei suoi uomini.
Uomo chiave, nei rapporti NUCERA-CARIGE, oltre al grande capo (ora decaduto) della CARIGE, cioè BERNESCHI, è certamente l’ex onorevole di Forza Italia, poi passato a FLI, Enrico NAN.
NAN, avvocato e già socio dello stesso NUCERA, è stato infatti per anni Vice-Presidente della CARISA, l’emanazione savonese della CARIGE, e fu beneficiario di un mutuo immobiliare da cui partivano – come ricorda anche Il Secolo XIX – “assegni circolari per la GEO di NUCERA, poi fallita.
Sempre l’Enrico NAN, nonostante l’Informativa Antimafia “atipica ed il dissesto del gruppo GEO, continuerà a ripetere, nonostante il progressivo e rapido crollo, che il Gruppo NUCERA “è solido”… così come continuava ad avere la sede del suo partito, FLI, nei locali concessi in comodato gratuito, a Fiumara, proprio dalla GEO di NUCERA, dove, tra l’altro, riceveva, come responsabile del Partito, i noti MAMONE.
(da “Casa della Legalità “)
Commento del nostro direttore
L’articolo del Secolo XIX riportato in foto è del 30 luglio 2011, sono passati più di due
anni, e tante cose sono cambiate.
Nucera è latitante a Dubai, Fli ha cambiato “gestione” ed è prossimo a confluire in altro soggetto politico, Fini non è più presidente della Camera.
Ma non possiamo dimenticare che per aver difeso Fli dal tentativo di infiltrazione di certi personaggi, non tanto noi, abituati a sostenere battaglie in ogni sede (uscendone vincitori), ma centinaia di iscritti furono costretti ad abbandonare il partito per protesta.
Non possiamo dimenticare da che parte si schierò Fini per non dispiacere a qualche giornalista in aspettativa.
Come non dimentichiamo la sua ira a Genova quando apostrofo’ gli ex iscritti con un “allora iscrivetevi al partito di Di Pietro, qua non ci sono giustizialisti”.
Come Fini ama ripetere, il tempo è galantuomo e tante verità (su chi fosse Nucera ad es) ora sono oggetto di procedimenti giudiziari.
Altre ancora ne verranno, a dimostrazione che non di giustizialismo si trattava, ma di rispetto della legalità e di coerenza politica con il manifesto di Bastia Umbra.
Ma forse sono argomenti che non meritano il paragrafo di un libro.
Fa nulla, se ne parlerà nel prossimo Ventennio…
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Ottobre 26th, 2013 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE LIGURE AVREBBE PRELEVATO IN DUE ANNI 189.000 EURO DAI FONDI PUBBLICI PER LE SPESE… TRADITO DAL FEDELISSIMO: “MONTELEONE PRESE QUEI SOLDI”
C’è una differenza netta che, a giudizio degli inquirenti, separa l’inchiesta sulle spese sospette dell’Udc da quella sugli altri partiti coinvolti finora: il problema in questo caso non sono i vini pregiati, le mutandine, la bigiotteria, le terme o il cibo per gatti acquistati con i soldi dei contribuenti.
Il punto è che i fondi sono proprio spariti, sono usciti dalle casse del partito senza pezze giustificative.
In particolare, nei due anni tra l’inizio del 2010 e la fine del 2011 il presidente del consiglio regionale Rosario Monteleone ha prelevato in contante, dai depositi del gruppo consiliare, 189mila euro, di cui ne ha giustificato circa la metà .
In media, spalmati su quell’arco temporale, una paghetta aggiuntiva allo stipendio niente male: 8mila euro al mese cash.
Ma nelle carte della Finanza c’è di più.
Nello stesso periodo in cui Monteleone incassa questi «rimborsi» assai poco spiegati, i suoi «principali conti personali», dove secondo le Fiamme Gialle finiscono gli emolumenti da consigliere regionale, hanno movimenti in uscita definiti «esigui», in ogni caso del tutto insufficienti a spiegare il tenore di vita del politico.
Ultimo elemento fondamentale: quando nel 2012 i partiti finiscono nella bufera, il numero uno dell’assemblea ligure da un lato riduce i prelievi dai conti del partito, dall’altro aumenta invece quelli dai depositi personali. Perchè, si chiedono i finanzieri?
Non c’è dubbio che nelle informative sulle “spese pazze” trasmesse dai militari al sostituto procuratore Francesco Pinto, quello della formazione centrista sia definito un caso «anomalo». Al centro degli accertamenti infatti non ci sono più acquisti stravaganti, per usare un eufemismo, scontrini che difficilmente possono essere considerati legate all’attività politica.
Qui la questione è un’altra: metà dei soldi fuoriusciti dai conti dell’Unione di Centro, e incassati in banconote sonanti da Monteleone, al momento paiono finiti un buco nero.
Un tassello importante s’è materializzato con le dichiarazioni del capogruppo in Regione Marco Limoncini, l’unico altro rappresentante che avesse accesso ai fondi alimentati con il finanziamento pubblico.
Limoncini è stato sentito mercoledì, il giorno prima dell’interrogatorio del collega di partito, e ha consegnato a chi indaga tutte le distinte dei prelievi in contanti eseguiti personalmente.
Al netto di quanto ritirato dal capogruppo, che sulle proprie spese ha presentato una vasta documentazione, rimangono 189mila euro.
Quelli che, atti alla mano, sono finiti nelle mani di Monteleone.
Prelevamenti elevati, anche di 11mila o 5mila euro a volta, ai quali vanno aggiunti altri 34mila euro “estratti” dai conti dell’ufficio di presidenza.
Marco Grasso e Matteo Indice
(da “il Secclo XIX”)
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Ottobre 26th, 2013 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI ANNALISA TERRANOVA SU “SEGNAVIA”…PIU’ CHE CHIUDERE I CONTI CON I COLONNELLI PARE RIAPRIRLI… L’ESPERIENZA INNOVATIVA DI FLI LIQUIDATA, ADDIO DESTRA MODERNA, SI VA DOVE SOFFIA IL VENTO
Visto il libro di Gianfranco Fini. Sfogliato, più che altro. Ma qualcosa già si intuisce, più di qualcosa anzi. 
Innanzitutto sono importanti le conclusioni, là dove Fini fa esplicito riferimento ai tentativi in atto di rifondare la destra e propone un orizzonte problematico a questo schieramento di “reduci” che si rimette in cammino per incollare i cocci.
Guardare al futuro, fare i conti con il berlusconismo, superare le rozze contrapposizioni del passato, ragionare sulla partecipazione. Cose non nuove, del resto.
Colpisce il tono sbrigativo con il quale si assolve l’ex classe dirigente della destra il cui unico peccato non è stato certo solo quello di lasciarsi sedurre dal Cavaliere.
Non si risponde alla domanda di fondo: possono essere ancora quelli gli uomini adatti per rifondare la “cosa” di destra?
E che fine ha fatto la messa in discussione dell’etichetta di destra che pure timidamente Fini con Fli aveva intrapreso?
Il fatto che abbia scelto di sorvolare su questo fa comprendere che in realtà l’ex leader di An guarda con grande interesse ai movimenti in atto in quella che fu l’area della destra e che il mio sospetto che il libro servisse non a chiudere i conti con i colonnelli ma in realtà a riaprirli era assolutamente fondato.
La seconda cosa che colpisce è infatti l’esiguo spazio dato a Fli, che finisce con il coincidere solo con l’avventura dei parlamentari che lo seguirono nella scelta scissionista antiberlusconiana dopo la cacciata dal Pdl.
Il fatto di aver fatto coincidere Fli con il destino dei parlamentari finiani è stato il vero grande limite di quel progetto politico. Fini lo sa benissimo ma evita un ragionamento su questo aspetto.
Butta a mare, dunque, le ambizioni di quel progetto, comprese quelle venature “eretiche” che lo avevano reso interessante anche agli occhi di chi, già nelle file del Msi, contestava il recinto — soprattutto culturale — della destra e auspicava sintesi nuove all’altezza dei tempi.
Penso che questa scelta di Fini sia voluta e consapevole: non a caso nel libro evita accuratamente di citare tutti i nomi di coloro che più si sono spesi per dare al progetto finiano caratteristiche di avanguardia oltre la destra, i nomi, per essere più chiari, compromessi con il percorso rautiano o con quello della nuova destra.
E’ una scelta funzionale alla “pace” futura che si siglerà tra i reduci di cui parlavo all’inizio, i rifondatori di una casa comune che loro stessi, con diverse responsabilità , hanno contribuito a demolire, una casa che al tempo stesso non corrispondeva più — a mio avviso già dieci anni fa — alle reali necessità di un elettorato maturo e consapevole della caduta delle contrapposizioni novecentesche.
Una scelta che ha accantonato la sfida più interessante che Fli poteva incarnare, e cioè di essere una destra oltre la destra.
Per questo, le conclusioni del libro di Fini mi sembrano in singolare sintonia con un certo “racconto” che si va facendo dell’avventura finiana, che sarebbe stata rovinata e deturpata da quelli che stavano con Fini da posizioni di sinistra e che intendevano guardare al di là della triade Dio-patria-famiglia.
Sarebbero stati loro, con le loro fughe in avanti, con le loro logiche incomprensibili per l’elettorato di destra, a rovinare tutto.
Insomma, come dice La Russa, tutta colpa di quelli che sembravano usciti da una sezione di Rifondazione.
Fini sa bene che non è così (e anche La Russa lo sa) ma, per convenienza, per pigrizia e perchè in fondo ognuno ha la sua storia, sposa con il suo silenzio questa “narrazione”.
Così tutto torna a posto: Fini, i colonnelli, l’elettorato di destra, i finiani non trasgressivi, i berlusconiani pentiti.
E quelli che rovinano sempre tutto andranno a fare guai altrove perchè, diciamolo chiaramente, la rifondazione della destra è un po’ noiosetta.
Futuro e libertà ha avuto almeno accenti di “eresia” – vedi l’esperimento di Latina – che rendevano l’avventura un po’ divertente.
Cancellati quelli, dell’avventura finiana resta ben poco da salvare.
Almeno per chi scrive.
Annalisa Terranova
(da “Segnavia”)
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Il commento del ns. direttore
Nessuno è immune da sbagli, ma sarebbe buona norma, quando hai trascinato le truppe in un dirupo, circondandoti, in occasioni distinte, di pretoriani senza nerbo (sulla presenza di “cervello politico” meglio non soffermarsi…) lasciar giudicare il proprio operato da terzi ( o, se qualcuno volesse usare una parola grossa, dalla Storia).
Se poi proprio non si può fare a meno di scrivere le memorie, sarebbe auspicabile iniziarle con una seria autocritica, magari chiedendo scusa a tanti militanti che hanno avuto il torto di credere in una destra “eretica”.
Quella destra nei confronti della quale peraltro, fino alla nascita di Fli, non si può dire che Fini abbia mai mostrato interesse e attenzione nel suo percorso politico.
Non eravamo tra coloro che si aspettavano chissà che rivelazioni dal “libro natalizio” di Fini, magari solo qualche verità .
Quelle che sono state alle origini del fallimento del progetto di Bastia Umbra, ad esempio.
Fini invece pare voler “imbalsamare” quella destra eretica della legalità , dei diritti civili, della trasversalità , della solidarietà che aveva suscitato l’interesse di milioni di italiani, nel suo personale museo delle cere.
Per ironia della sorte si potrebbe dire, ai suoi tardivi laudatori, che è andato “talmente oltre” da ritornare al punto di partenza.
E chi torna indietro ha la disgrazia di ritrovare pure i “colonnelli di strada” e magari anche quelli che si perdono nei viali (non solo del tramonto).
Se il progetto di Fli è fallito non è certo per i suoi contenuti, ma per il fatto che se le idee camminano con le gambe degli uomini, affidarlo a degli azzoppati, incapaci di tradurlo di coerente prassi politica, non è stata la scelta migliore.
E ipotizzare di mandare alle prossime Olimpiadi una staffetta di rottamati dalla artrosi e dai compromessi, bombati da ri-costituenti e da plastiche facciali, fratelli “sole”e sorelle “lunatiche”, per poi magare allearsi con chi è la negazione quotidiana dei valori di riferimento della destra, non ci pare proprio la soluzione dei problemi .
Una speranza la conserviamo: che Fini non segua l’esempio di Bruno Vespa e non ci proponga un libro natalizio ogni anno.
Meglio un biglietto di auguri.
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Ottobre 26th, 2013 Riccardo Fucile
OLTRE TRENTA GOVERNISTI AL SENATO….E LE CORRENTI SI MOLTIPLICANO
Il Pdl, per la gioia di Grillo, stavolta sembra davvero essersi trasfigurato nel Pdmenolle.
Nel senso che ormai le correnti non si contano più, come nel Pd.
Troppo facile riassumere l’esplosione di ieri nella dicotomia ornitologica falchi/colombe. Ciascuna famiglia è gemmata al suo interno con capi, capetti, caporali e gregari: progetti all’apparenza simili ma ambizioni personali divergenti, un caos di posizionamenti tattici, in una bouillabaisse finale dove non si capisce più chi sia triglia e chi scorfano, dove inizi la cozza e dove finisca l’ostrica.
Tanto che lo stesso Cavaliere, al termine di una settimana di incontri con tutte le bestie del suo zoo, ieri sera ha confessato il suo scoramento: «Li ho misurati tutti. Di questi e di quelli a me non interessa nulla»
Il nocciolino duro della ipotetica scissione di Alfano sono comunque i ministri. Tra i magnifici cinque, ve ne sono due più determinati di tutti: Gaetano Quagliariello e Beatrice Lorenzin.
Li chiamano i “Corazzieri”, vista l’affinità elettiva con il capo dello Stato.
Ormai, quando si incrociano a palazzo Chigi, si sorridono, brandiscono in aria il pugno destro come se impugnassero una sciabola ed esclamano all’unisono: «Avanti Savoia!».
Alfano, Lupi e De Girolamo sono più prudenti. Lupi, ciellino di mondo, lo è di natura. Alfano e De Girolamo perchè soffrono umanamente la rottura con il padre. «Nonostante tutto gli voglio ancora bene – ha confidato in serata Alfano, con il pugnale di Berlusconi ancora conficcato tra le scapole –, ho solo cercato di proteggerlo anche da se stesso, contro la sua volontà . E questo è il risultato».
Intorno al plotone ministeriale si agita un’intendenza che ha il suo punto forte a palazzo Madama.
È qui che le colombe hanno lavorato sodo e sembra che i 24 senatori che il 2 ottobre firmarono il documento pro-fiducia siano già diventati dieci di più.
Alla Camera invece la situazione sarebbe appena sopra la soglia minima dei venti deputati necessari per fare un gruppo.
Tutti invece ignorano le proporzioni del Consiglio nazionale che dovrà ratificare (con i due terzi) il passaggio da Pdl a Forza Italia. Composto da 800 membri e riunito una sola volta, è un mistero anche per Berlusconi.
Alfaniani sono Schifani, Castiglione, Gioacchino Alfano, Enrico Costa, Gentile, Mariniello, D’Alì.
E a loro si aggiunge la sottocorrente di destra, con Augello, Piso, Angelilli, Scopelliti, Saltamartini.
C’è poi l’ala ratzingeriana, la più determinata a separarsi: Quagliariello, Lorenzin, Sacconi, Roccella, Calabrò.
I cattolici ciellini – Lupi e Vignali – e i cattolici in marcia verso il Ppe: Giovanardi e Formigoni.
Truppe di rinforzo, che potrebbero arrivare se Forza Italia decidesse di provocare la caduta dell’esecutivo, sono composte da quelli che si definiscono “berlusconiani governativi”: da Gasparri a Elio Vito, da Laura Ravetto ad Anna Grazia Calabria.
Chi più chi meno, chi per convenienza chi per convinzione, tutta questa galassia alfaniana sarebbe pronta a uscire da Forza Italia.
Ma attende che la prima mossa sia Berlusconi a farla, non vogliono provocare una scissione a freddo per il solo fatto che Alfano ha perso il posto da segretario. Aspettano quindi il voto sulla decadenza, certi che il Cavaliere abbia ormai deciso di uscire dalla maggioranza prima di quella data nel disperato tentativo di far saltare la sua uscita di scena.
Sarà quella l’ora “X”.
Se la coalizione dei volenterosi alfaniani è composta da mille stendardi, come quelli delle leghe lombarde che combatterono il Barbarossa, il campo dell’Imperatore è più semplificato.
Il quartier generale è composto dai generali Verdini, Santanchè, Bondi e Capezzone. Raffaele Fitto invece è alleato ma mantiene una sua alterità rispetto ai falchi, lui se ne tiene a distanza e loro non lo amano.
E mettono in giro che la voce che nemmeno il Cavaliere in fondo lo ami particolarmente: se ne serve piuttosto per bilanciare la forza di Alfano, lo usa come arma contundente per limitare le colombe.
Ma in fondo diffida di un politico che, pur giovane, ha la sua forza sul territorio come i vecchi democristiani. A corte godono invece di stima e affetto alcune figure sui generis: adoratori che seguirebbero il Capo anche nelle fiamme, come Michaela Biancofiore, personaggi fuori dagli schemi come Gianfranco Rotondi o Francesco Giro.
O collaboratori da una vita, come Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, che scuotono la testa ogni volta che il Cavaliere usa il linguaggio della Santanchè.
Ma poi, in fondo, non lo abbandoneranno mai.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 26th, 2013 Riccardo Fucile
DUE PARTITI DISTINTI, MAGARI FEDERATI…ED ESCE FUORI L’ACCORDO E IL FILO DIRETTO CON GRILLO
Scoglie il partito, ma in assenza del segretario, dei ministri e dei dissidenti. 
Riecco Forza Italia, un solo leader al comando: lui.
Azzerati tutti gli incarichi, ad Alfano «stima confermata», ma «come ministro ».
Il delfino di un tempo diserta l’ufficio di presidenza decisivo assieme ai suoi fedelissimi, Schifani compreso.
Eccolo il Dday di Silvio Berlusconi per riprendere in mano la sua “creatura”, nel momento di maggiore debolezza politica.
Il partito si spacca e il leader minimizza con un paradosso: «I cinque membri che hanno deciso di non partecipare hanno convenuto che fosse meglio avere una deliberazione unanime e con il mio consenso non hanno perciò partecipato»
Il vicepremier incassa il colpo, dopo aver lavorato tutto il giorno per scongiurare l’azzeramento che sa di vendetta post fiducia del 2 ottobre. A poco sono valse le tre ore di pranzo assieme ai quattro ministri a Palazzo Grazioli. Alla fine è lo stesso Alfano a parlare al capo di «separazione consensuale» possibile, forse imminente se l’unità sarà impossibile.
Due partiti distinti, magari federati. Partita rinviata all’8 dicembre, quando in concomitanza con le primarie Pd si terrà il Consiglio nazionale che coi suoi 800 membri dovrà confermare quanto ormai deciso da Berlusconi.
Ma tutto si giocherà molto prima, già nei prossimi giorni, a cavallo del voto di decadenza al Senato
Anche perchè il leader garantisce sulla carta sostegno al governo, come sta scritto nel documento approvato all’unanimità dall’ufficio di presidenza. Salvo poi uscire da Palazzo Grazioli e preannunciare di fatto la crisi davanti a telecamere e microfoni: «Come possiamo collaborare con chi viola la legge votando la mia decadenza?»
È il segnale del rompete le righe.
I falchi alla Verdini e Santanchè, i lealisti alla Fitto, Gelmini, Carfagna, esultano.
Ma alla riunione dell’organismo che sancisce la morte per eutanasia del Popolo della libertà si presentano i soli 18 berlusconiani sui 24 aventi diritto.
C’è Scajola, per dire, non ne fanno parte i ministri in carica, non si presentano per marcare ormai le distanze Renato Schifani, Roberto Formigoni, Maurizio Sacconi e Carlo Giovanardi, oltre allo stesso Alfano.
È il gesto estremo di sfida. Prelude a una scissione ancora assai dibattuta tra i governativi, tra vertici e controvertici che a Palazzo Chigi sono iniziati al mattino e terminati la sera. Il vicepremier è ancora assai contrariato, per nulla convinto. Ma già prima dell’ora di pranzo Formigoni, Giovanardi e Sacconi avevano preannunciato la diserzione loro e quella dell’ormai ex segretario
È la linea dura decisa coi ministri Quagliariello e Lupi. Loro il pressing su Alfano. Sanno ormai di non avere alternative di fronte alla prospettiva di una nuova crisi.
Il Cavaliere è ancora sul piede di guerra: «Se facciamo cadere il governo, non sarà votata la mia decadenza » dice loro durante il pranzo organizzato a sorpresa, complice la mediazione dell’unica berlusconiana della compagine governativa, Nunzia De Girolamo.
«E poi – insiste il capo davanti ai loro sguardi perplessi – ho avuto garanzie da Beppe Grillo che se apriamo la crisi lui si schiera con noi per le elezioni anticipate, scendendo pure in piazza, a costo di prendere a calci nel sedere i suoi parlamentari ». L’8 dicembre, nei suoi piani, segna l’apertura della campagna elettorale.
Per Alfano il giro di boa è già avvenuto. E a poco è valso l’invito in extremis del padrone di casa ai ministri a partecipare all’ufficio di presidenza dal quale erano stati esclusi e che si sarebbe riunito da lì a un paio d’ore.
«Non verrò e non verremo per non esprimere la nostra posizione in dissenso, mineremmo l’unità del partito – dice a nome dei suoi – Consideralo un atto di buona volontà . Se l’unità non sarà più possibile, si può anche pensare a una separazione consensuale» affonda. «Il futuro per noi è il centrodestra, ma non possiamo andare avanti con questo bombardamento quotidiano contro il governo, non possiamo subire gli attacchi dalla Santanchè e dagli altri».
Berlusconi lo stoppa. Garantisce che non aprirà ora la crisi. E che nel nuovo partito sarà in serbo per lui un ruolo chiave, la vicepresidenza.
«E poi sai Angelino che penso a te per il futuro del partito, ma in questo momento ho l’esigenza di riprendere le redini di Forza Italia». Quasi una beffa.
La tensione sembra sciogliersi, quel che dovevano dirsi se lo sono detto. Finisce con pacche sulle spalle e saluti cordiali con Quagliariello e Lupi.
Ma i ministri si chiudono a Palazzo Chigi a decidere se procedere subito alla rottura con creazione del gruppo autonomo o attendere il prossimo attacco serio al governo. Passa la seconda linea.
Stavolta dalla loro parte c’è anche Renato Schifani, capogruppo al Senato, col sottosegretario Simona Vicari. Non più Renato Brunetta, capogruppo alla Camera protagonista dell’ennesima giravolta e tornato all’ombra del capo
Il Cavaliere dà inizio poco dopo le 17 all’ufficio di presidenza che approva un documento già scritto con cui si «delibera la sospensione delle attività del Popolo della Libertà , per convergere verso il rilancio di Forza Italia».
Viene assegnato a Giancarlo Galan il compito di fare scouting, scegliere le nuove leve del partito, come agli albori, nel ’94, stavolta non tra i manager Publitalia.
Poi Berlusconi convoca alle 20 una conferenza stampa a sorpresa. «Alfano gode del mio affetto, della mia amicizia e della mia stima. L’ho proposto io come segretario due anni fa e penso che possa mantenere il suo ruolo» spiega.
Salvo aggiungere che tutti i ruoli sono azzerati e sarà lui in futuro a delegare funzioni e responsabilità . Ai ministri conferma «la fiducia», ma «se si mantengono nelle decisioni prese a maggioranza nel partito».
Se stanno dentro il perimetro di Forza Italia, insomma.
I contrasti? «Per incomprensioni personali».
La grazia? «Spetta decidere al capo dello Stato». Il governo però ha le ore contate: se il Pd voterà la decadenza sarà «molto difficile continuare a collaborare».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 26th, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI SI RIPRENDE IL PARTITO… LE “COLOMBE” SONO PRONTE PER LA SCISSIONE
Tra i due, politicamente, il nano è Alfano, non solo per la rima.
Forza Italia risorge di venerdì e il Cavaliere Condannato umilia le colombe di governo, costrette a disertare l’ufficio di presidenza che liquida il Pdl, il partito nato sul predellino.
Il dizionario della giornata è ricco di suggestioni, etichette e ostacoli: i lealisti, i governisti, la scissione, la legge di Stabilità , le poltrone della nuova formazione.
Ma tutto ruota attorno ai guai giudiziari del Leader tornato padrone assoluto.
La sostanza si riassume nell’interrogativo che per la prima volta B. ammette pubblicamente, dopo tanti sfoghi riportati dai suoi fedelissimi.
Si presenta in conferenza stampa, da solo, per far capire meglio chi comanda, e proclama: “Se decado sarà difficile continuare a collaborare con il Pd”.
È la variante appena più morbida della domanda ripetuta ossessivamente nelle settimane scorse: “Posso stare con i miei carnefici?”.
Qui è Rodi e qui bisogna saltare o scindere. Il resto è teatrino, sceneggiata, caos.
Un lealista presente alla riunione di ieri sintetizza così la mossa berlusconiana: “Ha azzerato, si è ripreso il partito, se loro si adeguano li ricandida, sennò buon viaggio”. Loro, sono i governisti, quelli che non hanno dormito per tutta la notte tra giovedì e venerdì, attaccati al telefono per capire cosa fare.
A partire da Alfano. Il vicepremier, ormai ex segretario del Pdl, ha tentato in tutti di modi di far rinviare l’ufficio di presidenza convocato nella casa romana di B., palazzo Grazioli.
Ha cercato anche la prova di forza. Un documento con tanto di firme per “sconvocare” la riunione. Non c’è riuscito.
La mattinata se n’è andata così fino a quando, poi, i cinque ministri del Pdl (oltre ad Alfano: Quagliariello, Lupi, Lorenzin e De Girolamo) sono andati a pranzo a palazzo Grazioli. Berlusconi è stato per quattro ore con loro.
Subito dopo, la versione delle colombe è stata quella di accreditare un pareggio: “Tutto rinviato all’8 dicembre nel consiglio nazionale. Il pranzo è andato molto bene. Berlusconi ha detto che il governo va avanti. Con l’ufficio politico restituisce ad Angelino lo schiaffo della fiducia, ma l’8 dicembre è pronto a riconfermarlo”. L’ultima frase contiene una trappola.
L’umiliazione massima e definitiva per l’ex delfino senza quid: rinunciare alla scissione, almeno lui, e ritornare come il figliol prodigo.
Ma senza il vitello grasso da ammazzare. Senza, cioè, un incarico operativo da numero uno.
Una medaglia di latta da vicepresidente e basta. La finzione, meglio la sceneggiata, è che forse non si arriverà mai al consiglio nazionale dell’8 dicembre, chiamato a ratificare la morte del Pdl e la rinascita di Forza Italia.
La scissione, infatti, dovrebbe consumarsi prima. Sul voto per la decadenza di B. da senatore, nel mese di novembre.
Se poi, in un modo o nell’altro, si dovesse arrivare al consiglio nazionale, il piano delle colombe prevede di tenersi il simbolo del Pdl.
Nel senso che lo statuto stabilisce una maggioranza dei due terzi per una decisione del genere. Nè falchi, nè colombe ce l’hanno e a quel punto i governisti diranno al Cavaliere: “Sei tu che fai lo strappo e te ne vai”.
Convocato per le cinque del pomeriggio, l’ufficio di presidenza è iniziato con 25 minuti di ritardo. B. è stato il mattatore assoluto, piegando a suo uso e consumo le assenze polemiche degli innovatori (Alfano, Formigoni, Sacconi, Giovanardi, Schifani): “I 5 membri che non hanno partecipato hanno tutti convenuto con noi sul fatto che volevamo una deliberazione unanime e che dunque fosse meglio, avendo ancora cose da chiarire fra di noi, non partecipare e l’hanno fatto con il mio consenso”.
È il concetto particolare di democrazia nella destra berlusconiana.
A palazzo Grazioli si sono visti in meno di venti. In ordine sparso: Rotondi, Carfagna, Gelmini, Scajola (sì anche lui), Verdini, Fitto.
Tutti attori non protagonisti nel giorno che in cui il Condannato si riprende tutto. A parole il sostegno al governo non manca. Ma nel documento finale della riunione un punto è chiarissimo: “I ministri dovranno rispondere a Forza Italia”.
Che tradotto vuol dire: “Caro Letta, l’interlocutore sono io non Alfano e il mio ventennio non è chiuso”.
Altro discorso in caso di scissione. A quel punto, si aprirà la crisi e Berlusconi dovrà decidere cosa fare, se partecipare o no al nuovo esecutivo.
Lo strappo di ieri è propedeutico, nella testa dei falchi, alle elezioni anticipate.
Che poi le ottengano, questo è da vedere. Il treno della guerriglia è comunque partito. Come dimostra lo show berlusconiano in conferenza stampa.
Dopo aver parlato solo lui nell’ufficio di presidenza, ha concesso ai giornalisti un altro monologo. Comprensivo di grazia per la condanna Mediaset: “Spetta al capo dello Stato”. Alfano? “Gode della mia stima, della mia fiducia e della mia amicizia”. Intanto lo ha messo spalle al muro.
Ritorna anche sulla ferita del 2 ottobre: “I ministri e alcuni parlamentari timorosi di non essere rieletti mi hanno costretto alla marcia indietro”.
Adesso è arrivata la vendetta. In Forza Italia ci saranno tante “facce nuove”. Ma la sostanza è tutta in quella domanda: “Se il Pd mi fa decadere come faccio a stare con loro?”.
Da ieri, è cambiato molto nelle larghe intese.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 26th, 2013 Riccardo Fucile
OBIETTIVO UNICO: NON PERDERE LO SCUDO PARLAMENTARE CHE LO ESPORREBBE AL RISCHIO DI ARRESTO
A cosa serve tutta questa manovra di B. per “riprendersi” il Pdl, perchè l’ha fatta ieri, dove va a
parare?
A costo di sembrare didascalici, se non banali, è forse necessario mettere qualche puntino sulle i.
Tutto il disegno infatti parte dalla necessità dell’ex premier di salvarsi dalla decadenza, cioè dalla perdita dello scudo parlamentare che lo metterebbe a rischio di arresto: non per la sentenza Mediaset, ma per gli altri procedimenti in corso a Napoli, a Bari e pure a Milano.
A questo pensa ininterrottamente Berlusconi da quando è stato condannato in Cassazione, quindi da quando è partito l’iter di applicazione della legge Severino: fondata o meno che sia questa sua paura.
Tutte le sue mosse sono quindi finalizzate a queso scopo: non perdere lo scudo parlamentare che lo mette al riparo dagli arresti.
Per evitare la decadenza, l’unica possibilità al momento è che questa venga bocciata con voto segreto al Senato.
Perchè questo accada, c’è bisogno che un certo numero di senatori di gruppi diversi da Pdl e Lega nel segreto dell’urna abbiano interesse a votare contro la decadenza.
L’unico modo perchè abbiano interesse a votare contro la decadenza è minacciare — con robuste carte in mano — di far cadere la legislatura se la decadenza fosse approvata.
Molti senatori non hanno ancora finito di pagare i debiti della campagna 2013, altri hanno ottenuto posti di rilievo che soffrirebbero a lasciare, altri ancora sono semplicemente tutt’altro che sicuri di essere rieletti, specie dopo l’implosione di Scelta Civica e il prossimo congresso del Pd.
Quindi la paura che la legislatura finisca in anticipo, nell’aula di Palazzo Madama, è tanta.
Bene: solo riprendendosi il partito e ‘militarizzandolo’ (cosa che è avvenuta con l’azzeramento delle cariche) Berlusconi può arrivare al giorno della votazione sulla decadenza con quest’arma di ricatto in mano.
Certo, le ‘colombe’ governiste al Senato allo stato sarebbero abbastanza per tenere in piedi il governo Letta, come si è visto poche settimane fa: ma nella nuova situazione (Pdl sciolto) un comportamento del genere significherebbe per loro non far parte della nuova Forza Italia, quindi essere esclusi da una ricandidatura nel partito di B. al prossimo giro e rischiare molto seriamente il destino di Fini.
È il ‘bivio’ che ha di fronte Alfano di cui tutti parlano: restare con il Caimano appoggiandolo in quest’ultimo ricatto e sperando di ereditare tutto il partito tra qualche anno oppure mollarlo e giocare in proprio (ma senza le fideiussioni milionarie di B., senza i suoi media, senza il consenso di quelli che ancora amano il Cavaliere).
Quindi, vedremo.
È ovvio che tutto questo ricattone sulla decadenza si sgonfierebbe come un soufflè se fosse il Pd a rovesciare il gioco: dicendo cioè che farebbe cadere governo e legislatura se — al contrario — la decadenza fosse bocciata.
Ma ce lo vedete questo Pd ad avere così tante palle?
Gilioli
(da “L’Espresso“)
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