Maggio 4th, 2014 Riccardo Fucile
DOPO AVER SOTTRATTO 150 MILIONI AL SERVIZIO PUBBLICO PER FINANZIARE LA SUA MARCHETTA ELETTORALE, ORA PUNTA A RECUPERARE I SOLDI DI CHI NON PAGA SENZA RIDURRE IL CANONE
Qualcuno ci ha provato, fallendo miseramente. Qualcun altro ha promesso di farlo, poi ha
desistito per non perdere voti.
Ora il governo Renzi annuncia la nuova parola d’ordine: ridurre e azzerare.
Cosa, il canone? No, l’evasione del canone Rai già nel 2015.
“Non lo paga il 27% delle famiglie – ricorda Antonello Giacomelli, nuovo sottosegretario alle Comunicazioni, uomo del Pd – con un danno che la tv di Stato stima in 1,7 miliardi tra il 2010 e il 2015. Una cosa imbarazzante, che noi fermeremo”.
Insomma interessano solo i quattrini del contribuente.
Il nuovo canone non si pagherà con la bolletta elettrica e neanche si tramuterà in una gabella legata alla casa. “Al di là della modalità di versamento, che troveremo d’intesa con il ministero dell’Economia, quel che conta sarà la logica, del tutto nuova: pagheremo tutti, pagheremo con più equità “.
Il governo cancellerà il canone unico di 113 euro e mezzo che ogni famiglia dovrebbe versare oggi (unica eccezione gli anziani sotto i 6.714 euro di reddito; nuclei in povertà che sono esentati).
Al posto del canone unico arriverà , sentite il concetto astruso, “un’imposta flessibile ad importo variabile legata ad un nuovo indicatore che fotograferà i consumi, cioè la capacita di spesa delle persone”. Tutto chiaro?
“L’effetto è che avremo un canone più basso che in passato, almeno per le famiglie in difficoltà “. Quindi le altre pagheranno o la stessa cifra o di più?.
“Lavoriamo per rinsaldare un patto di fiducia tra la Rai e il suo pubblico”, aggiunge Giacomelli.
Parole molto belle, che potrebbero suonare beffarde a Viale Mazzini.
La Rai – ricordiamolo – ha appena perso 150 milioni del canone 2014 per mano del Documento di economia e finanza del governo Renzi. Una botta mai vista.
Aldo Fontanarosa
(da “La Repubblica“)
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Maggio 4th, 2014 Riccardo Fucile
MA NON ERA QUELLO PER CUI LA LA TV ERA IL DIAVOLO?…ORA VUOLE A TUTTI I COSTI LA PUNTATA DI VESPA IN PRIMA SERATA, VIOLANDO LA PAR CONDICIO
L’ultima volta insieme è stata nel 1983. Bruno Vespa e Beppe Grillo padroni di casa nella serata elettorale di Rai Uno.
Analisi politica affidata al giornalista, le battute al comico.
Trentuno anni dopo ripetono, ma con ruoli diversi. Vespa padrone di casa di Porta a Porta, Beppe Grillo intervistato come leader del M5S.
Allora, nel 1983, la notte portò la notizia del tracollo della Dc con Grillo che chiedeva a Vespa se poteva togliere dal muro la foto di Ciriaco De Mita.
Battute non mancheranno neanche questa volta, c’è da giurarci, e i ritratti di leader politici che Grillo vorrebbe staccare dai muri oggi sono parecchi.
Sempre che la serata di Porta a Porta si faccia.
Si sta ancora trattando. Casaleggio e Grillo hanno detto «ni», capiscono che, vista l’indecisione degli italiani, passare dal salotto di Vespa sia necessario, ma chiedono garanzie e condizioni.
Prima fra tutte che l’intervista si faccia in prima serata. E qui scatta il primo problema, una questione di par condicio che l’Agcom, autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sta cercando di risolvere.
«Il mio sogno» diceva il responsabile della comunicazione del M5S alla Camera Nicola Biondo, «è quello di far sedere Beppe nel salotto di Bruno Vespa».
E quel giorno è vicino, a metà maggio.
Nei primi giorni della prossima settimana si saprà anche il giorno preciso e le garanzie per gli altri leader.
Vespa ancora non si sbilancia: «Stiamo studiando dei meccanismi che consentano a tutti i partiti di essere presenti in campagna elettorale nelle misure più adeguate. Compreso Grillo».
Ed è ovvio che se Grillo otterrà la prima serata, gli altri seguiranno a ruota.
Il team dei Cinque stelle e quello di Vespa stanno trattando l’incontro, come fosse quello di Teano.
Anche se non è chiaro chi è Garibaldi e cosa stia consegnando a chi.
Sarà un’intervista chiusa, one to one? O invece la forma classica del salotto aperto ad altri giornalisti?
E in questo caso ci sarà solo un collegamento o invece Grillo si accomoderà sulle poltroncine del salotto tv più famoso d’Italia?
Quel che è certo è che il comico-politico si è arreso al potere della tv.
Vuole vincere e non può saltare il passaggio nelle case degli italiani. Già aveva ceduto con Mentana, ma adesso con Vespa la resa è totale visto che solo un anno fa Grillo premiò Vespa con il microfono di legno, riconoscimento per il conduttore televisivo più fazioso e amico della casta.
Ma era un anno fa. E le simpatie giornalistiche di Grillo cambiano rapidamente. Venerdì il leader del M5S ha inserito nella sua rubrica «Il giornalista del giorno» Michele Santoro, con cui aveva un certo feeling, reo di aver fatto parlare nella puntata di Servizio Pubblico Mirko Lami, operaio della Lucchini nonchè uomo del Pd.
E adesso l’Agcom dirà cosa è possibile per l’intervento di Grillo su Rai Uno.
Prima o seconda serata?
A decidere proprio l’authority che secondo il leader e fondatore del Movimento Cinque Stelle è uno spreco di soldi pubblici, una copertura per il controllo dei media da parte dei partiti.
(da “La Stampa”)
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Maggio 4th, 2014 Riccardo Fucile
E LA QUESTURA NEGA L’EVIDENZA: “NESSUNA TRATTATIVA CON GENNY ‘A CAROGNA
Trattativa sì, trattativa no. 
Il giorno dopo la notte degli scontri all’Olimpico in occasione di Napoli-Fiorentina divampa la polemica sulla mediazione del Viminale e dei vertici della polizia con il capoultras napoletano Genny a’ carogna, con quest’ultimo che di fatto ha dato il via libera alla partita con addosso una maglietta inneggiante all’assassino del poliziotto siciliano Raciti.
Dopo le dure proteste dei sindacati di polizia Sap e Consap nei confronti di Alfano, Renzi e Grasso, è il turno della vedova Raciti.
“Ieri sera ho visto la debolezza dei vertici dello stato”, va giù dura Marisa Grasso. “Lo stato ha perso”.
Dalla parte sua, la Questura si difende sostenendo che non c’è stata alcuna trattativa ma solo un’informativa ai tifosi partenopei sulle condizioni del tifoso sparato.
“E’ una vergogna”: lo stadio “in mano a dei violenti” e lo “Stato che non reagisce, impotente e quindi ha perso”.
E’ ancora “sconvolta” e stanca per “non avere potuto dormire” Marisa Grasso, la vedova dell’ispettore capo Filippo Raciti, morto il 2 febbraio del 2007 nello stadio di Catania, che ieri sera ha visto il maglietta del capo ultras Genny detto ‘a Carogna’, con la scritta ‘Speziale libero’.
Antonino Speziale sta scontando una condanna definitiva a 8 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale.
“Ieri sera – aggiunge Marisa Grasso – mi sono sentita umiliata perchè è stata offesa la memoria di mio marito: è stata indossata una maglietta che inneggia all’assassino di un poliziotto. Tutti hanno visto la prepotenza di questa persona, ma poi che è successo? Io ho pieno diritto, adesso, di avere risposte dalle Istituzioni”.
“Lo Stato”, sottolinea la vedova dell’ispettore capo Raciti, “ieri era presente allo stadio nelle massime espressioni, e che ha fatto?”.
“Lo Stato deve essere forte e non debole – osserva – e ieri c’è stata l’espressione evidente della sua impotenza”.
“Non c’è stato un altro caso Raciti – continua Marisa Grasso – ma c’erano i presupposti affinchè questo accadesse, perchè la violenza c’è stata e io, dopo avere seppellito mio marito, che ha lasciato una moglie e due figli, non voglio vedere altri servitori dello Stato cadere vittima della violenza. E’ ora che qualcuno ponga fine a tutto questo, ma non a parole…”.
La Questura di Roma però si difende dalle polemiche, negando ogni volontà di mediazione con gli ultras. “Non c’è stata alcuna trattativa con i supporter del Napoli. Mai pensato di non far giocare la partita”. Lo ha detto il questore di Roma Massimo Mazza, spiegando che è stato solo accordato al capitano del Napoli di informare i tifosi, su richiesta di questi, sulle condizioni di salute del ferito.
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Maggio 4th, 2014 Riccardo Fucile
“IN SENATO HANNO PEGGIORATO UN TESTO NATO GIA’ MALE”
La capacità di reazione non è quella dei tempi migliori.
Il sindacato italiano — in ordine sparso — ci mette 24 ore giuste a rendersi conto che il decreto Lavoro è stato abbastanza peggiorato, se si guarda agli interessi che loro dovrebbero tutelare, dagli interventi concordati in Senato tra il ministro Giuliano Poletti e la maggioranza.
Ha iniziato la Cgil: “Abbiamo visto delle indiscrezioni, non abbiamo testi finali e ci riserviamo di vederli — sostiene il segretario Susanna Camusso —. Se però gli annunci corrispondono alla realtà , mi pare che si sia ulteriormente peggiorato un decreto che già non andava bene e soprattutto si continuano a costruire modalità per cui l’unica strada è la precarizzazione”
La cosa che più ha attratto la fantasia del sindacato di Corso d’Italia c’è l’emendamento per cui le aziende che sforano il tetto del 20 per cento di contratti a termine non saranno più obbligate ad assumere a tempo indeterminato: se la caveranno con una multa.
“Se si toglie l’obbligo di assunzione — spiega Camusso — ci sarà un uso illimitato e anche illegittimo di forme di lavoro a termine: è il via libera all’illegittimità dei rapporti di lavoro”.
Sulla stessa linea ci sono l’Ugl e, soprattutto, la Cisl: “Non ci sono dubbi. Le modifiche introdotte ai contratti a termine sono una cosa incomprensibile — dice il segretario Raffaele Bonanni — oltre a essere più a favore delle aziende che dei lavoratori. È proprio palese il menefreghismo che c’è nei confronti del mondo del lavoro e in particolare dei lavoratori”.
Poi, su Twitter, la versione breve: “Chi non rispetta le regole del tempo determinato deve assumere a tempo indeterminato. Altro è ingiusto”
Di diverso parere, invece, il leader della Uil Luigi Angeletti, che si schiera decisamente col governo: “Sono perchè approvino subito il decreto. La multa al posto dell’assunzione se si sfora il tetto del 20 per cento non è un problema, perchè tanto le aziende non sono disposte a pagare. Hanno già cominciato a dire che la multa è troppo elevata. La multa elevata è un sufficiente deterrente”.
Esattamente la posizione dell’esecutivo: “Quella della Camusso è una valutazione personale, che non trova giustificazione negli atti del governo che vanno in una direzione del tutto contraria”, dice il sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba.
Il testo, a questo punto, pare chiuso e non ci sarà spazio per ulteriori modifiche, magari nel terzo passaggio alla Camera: gli emendamenti, infatti, sono stati chiesti a gran voce dal Nuovo Centrodestra, che ne ha fatto una sua bandierina elettorale contro Forza Italia (la quale, contro ogni evidenza, continua a sostenere che gli emendamenti sono stati dettati al governo dalla Cgil).
Non a caso ieri Angelino Alfano si vantava con zoppicante ricostruzione storico-culturale: “Abbiamo dovuto vincere alcune resistenze della sinistra post comunista, e devo dire che la collaborazione con la sinistra che non è comunista guidata da Matteo Renzi sta dando davvero ottimi frutti”.
A poco serve la resipiscenza tardiva di pezzi della sinistra del Pd: “Rimettere in discussione l’equilibrio del testo sancito con il voto di fiducia alla Camera implica riaprire di nuovo la discussione a Montecitorio prima del varo definitivo del decreto”, ha sostenuto ad esempio Stefano Fassina.
L’uomo che – anche per conto dell’ex viceministro – ha gestito la trattativa sul decreto, vale a dire il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, la pensa però assai diversamente: “Le correzioni fondamentali al decreto Lavoro votate da Montecitorio restano tutte confermate. Per noi e per il nostro lavoro è un motivo di grande soddisfazione. I cambiamenti introdotti dal Senato, anche se presentano alcune criticità , non stravolgono i miglioramenti voluti dal Pd e in alcune parti migliorano il testo, come nel caso della formazione per gli apprendisti”.
Al di là delle scaramucce – ormai destinate a spegnersi – su un decreto che non serve quasi a niente (di sicuro non a creare nuova occupazione, forse a precarizzare ulteriormente quella che sarebbe esistita lo stesso), resta lo stato comatoso se non peggio dei rapporti tra il presidente del Consiglio e le organizzazioni sindacali.
La cosa, peraltro, non mancherà di avere ripercussioni su provvedimenti più seri di questo, dalla legge delega sul lavoro (il cosiddetto Jobs Act col suo contratto unico a tutele crescenti) e, soprattutto, sulla riforma della Pubblica amministrazione, di gran lunga il dossier più scottante su cui dovra lavorare a breve il governo.
Marco Palombi
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Maggio 4th, 2014 Riccardo Fucile
“E’ UNA DECADENZA AUTODISTRUTTIVA: AL DECLINO ECONOMICO SI ACCOMPAGNA QUELLO DI UNA CULTURA”
È una decadenza autodistruttiva e al declino economico si accompagna quello di una
cultura».
«Gli ultras che mettono a ferro e fuoco le città sono figli degeneri di una società senza punti fermi. Ormai le tifoserie calcistiche inscenano senza sosta una guerra civile simulata».
Il sociologo Domenico De Masi analizza le «tensioni impellenti che trasformano le partite di calcio in un campo di battaglia».
E lancia una proposta-choc: «Fermiamo il pallone per un po’ di anni e intanto risaniamo il tessuto dell’Italia»
Professore, da cosa nasce la follia ultras?
«L’assenza di positivi modelli di vita fa prosperare la forma scadente di identificazione dei tifosi mentre i mass media ne diventano la cassa di risonanza. I gesti più sconsiderati finiscono sotto i riflettori. I nuovi barbari diventano come i protagonisti del Grande Fratello o dei quiz televisivi. Così il tifo prende il posto dei valori elevati e la fauna dei disadattati da “curva sud” trovano nell’agonismo un fenomenale meccanismo moltiplicatore dei peggiori istinti»
Quale dinamica scatta?
«Negli stadi il calcio innesca un malessere di massa. Dilagano movimenti collettivi che non si esprimono più in chiave costruttiva nelle idealità collettive bensì nel marasma avvelenato delle opposte barricate e del tutti contro tutti. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità Da napoletano, poi, mi addolora un altro fattore in questa dinamica»
A cosa si riferisce?
«Purtroppo, in un momento di fortissima crisi, nella tifoseria partenopea si riversano le tensioni di una metropoli, di una nazione e del Mediterraneo. Di fronte a questa società , siamo tutti poveri. È una decadenza autodistruttiva e al declino economico si accompagna quello di una cultura».
Di chi è la colpa?
«Nessuno fa niente. Intanto sui disvalori degli ultras si fonda uno stile di vita fallimentare. Ho una proposta per il governo. Basta con i campionati di calcio. Sospendiamo il circo affaristico-sportivo per un paio d’anni e risolviamo innanzitutto il problema culturale. Anche nel passato ci sono state situazioni disastrose ma almeno c’erano punti fermi: fino all’illuminismo, quasi tutti di carattere religiosi. Poi i riferimenti divennero prevalentemente laici: si sapeva cosa si poteva fare e cosa no»
Adesso cosa accade?
«La nostra società è la prima della storia umana che è nata prima di avere un modello. Per cambiare il presente prima dobbiamo conoscerlo. Ho ricostruito 15 modelli del passato. E il risultato è sconfortante, impietoso. Quella dell’antica Roma è una civiltà terminata da millenni eppure ha lasciato dietro di sè lingua, usi, consumi. E invece per l’Italia contemporanea dei tifosi che devastano le città abbiamo una certezza: è lo zero assoluto. Le tifoserie calcistiche (in guerra permanente tra loro e col mondo esterno) producono solo macerie e vuoto totale. Non rimarrà nulla».
Giacomo Galeazzi
(da “La Stampa”)
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Maggio 4th, 2014 Riccardo Fucile
LE TRATTATIVE SE GIOCARE O NO IN MANO AL CAPO ULTRà€ CHE PARLA SOLO CON IL CAPITANO HAMSIK IN UNA PIOGGIA DI BOMBE CARTA… RENZI A BOCCA APERTA IN TRIBUNA, POSIZIONE PERALTRO A LUI CONGENIALE
In una ubriacatura collettiva, dove il ministro dell’Interno viene sostituito da un nerboruto capo ultrà , Gennaro De Tommaso, detto “Genny ‘a carogna”, dei Mastiffs, i mastini napoletani, e il ruolo del prefetto affidato a Marek Hamsik, capitano del Napoli, viene deciso che la partita, “sì, si gioca”.
Nessuna prova d’appello. Lo fanno capire le bombe carta che lasciano ferito anche un vigile del fuoco a bordo campo.
Una pioggia di fumogeni e ordigni, quasi a dire “parliamo con Hamsik, e nessun altro. Decidiamo noi”.
Il risultato è quasi marginale: finisce 3 a 1 per il Napoli. L’epilogo sono fuochi d’artificio, come se non fosse accaduto niente.
Ma è la legge delle curve, ancora una volta, a prevalere.
Lì dove la violenza e la massa si sostituiscono alla legalità . La decisione, tutto sommato, è prudente. Il metodo rasenta la pazzia collettiva.
Il presidente del Consiglio, quello vero, Matteo Renzi, è in tribuna Monte Mario, ignaro di quello che gli accade attorno.
Quello che è successo glielo spiega Giovanni Malagò, presidente del Coni, incravattato, enorme Rolex al polso.
Con Renzi ci sono anche la moglie Agnese e i figli, spaventati quando esplodono le bombe carta. Algebrico e perplesso il presidente del Senato, Pietro Grasso, che volta lo sguardo verso le curve e guarda l’orologio, prima di partorire, a tarda sera, un comunicato tutto suo: “La violenza resti fuori dal mondo dello sport”.
Per aggiungere: “Ho pensato più volte di lasciare la tribuna”. Non l’ha fatto.
Tifosa da campagna elettorale anche Rosy Bindi, che poi sarebbe presidente della commissione Antimafia, mai vista con sciarpa viola al collo.
Tutti appesi alla parola di un ultrà che deciderà se lo spettacolo può andare in scena o se devono tornarsene tutti a casa.
Questo è quello che la Rai, attraverso le telecamere, ha trasmesso .
Attraverso parole inutili e incomprensibili dei poveri telecronisti, impreparati nel raccontare una cosa che non appartiene al loro mestiere di commentatori.
Si concentrano su particolari e perdono di vista la violenza. Parlano, quasi fosse un respiro di sollievo, di un episodio, quello accaduto fuori dallo stadio, legato alla criminalità comune.
Quando cadono a pioggia le bombe carta per allontanare polizia, steward, forze dell’ordine, tacciono. Non sanno o fanno finta di non sapere che, oltre ai colpi di pistola, fuori dall’Olimpico ci sono stati degli scontri, più o meno gravi, documentati dalle fotografie.
I telecronisti parlano di criminalità comune, di un regolamento di conti messo in scena tra la gente che avrebbe raggiunto lo stadio per sviare le indagini.
Forse nelle prossime ore sarà tutto più chiaro, ma anche se così fosse nessuno può permettersi che gli ultrà decidano o meno se una partita si gioca.
Il precedente, sempre all’Olimpico, in quel caso un derby tra Lazio e Roma, non dovrebbe fare giurisprudenza. Invece, ieri sera, pare sia stato così.
Impreparati, impreparati tutti.
I fratelli Della Valle, Andrea, nelle vesti di presidente della Fiorentina, e Diego, il proprietario; il padre padrone del Napoli Aurelio De Laurentiis, triade senza voce in capitolo. Sfilano tra le poltroncine personaggi minori, come Dario Nardella, Luigi Abete, l’ex Mario Pescante, Paolo Sorrentino, l’attore Silvio Orlando. E Francesca Pascale.
Nessuno sa, fino a quando non arriva la comunicazione attraverso il passaparola del verbo di Genny ‘a carogna: si giocherà .
Non si tratta tanto di uno spettacolo che deve andare avanti per forza, quanto della decisione di un manipolo di violenti.
Di un improbabile ministro degli Interni con la maglietta nera e la scritta gialla: libertà per gli ultras.
Benvenuti allo stadio.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 4th, 2014 Riccardo Fucile
DA OSTELLINO A MERLI, E’ UNA CORSA DELLE “GRANDI FIRME” PER DENIGRARE CHI SI PERMETTE DI CRITICARE IL MONARCA RENZI
Li stiamo perdendo. Tra i signorini grandi firme dei giornaloni c’è grossa crisi. Soprattutto
di identità .
Il mondo cambia rapidamente intorno a loro e non riescono più a intercettarlo. Così, smarriti e atterriti, menano fendenti alla cieca, ‘ndo cojo cojo, con effetti ora esilaranti ora preoccupanti. Quelli esilaranti colpiscono Piero Ostellino che, da quando ha scoperto l’esistenza della posta (devono avergli piazzato una buca delle lettere sotto casa), non si dà pace per alcuni lettori comprensibilmente disgustati dalle cose che scrive.
E lancia strazianti gridi di dolore contro la “tirannia della maggioranza” (non si sa quale, essendo lui sempre dalla parte di chi comanda, da Craxi a Berlusconi).
“Una certa minoranza di lettori socialmente attiva e politicamente aggressiva — scrive sul Corriere, noto foglio della resistenza clandestina — non nasconde di detestarmi. Temo sia la stessa situazione in cui si erano venuti a trovare, alla vigilia del fascismo, Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Giacomo Matteotti”.
Par di vederlo, il Solgenitsin de noantri, barricato nel suo nascondiglio sotterraneo dietro robusti chiavistelli, inferriate, lucchettoni e catenacci, scrutare l’orizzonte da uno spioncino o da una feritoia, pronto a offrire il petto alle pallottole delle squadracce (renziane? grilline? tsiprine?) che assediano casa sua per silenziare il nuovo Amendola, anzi Gobetti, anzi Matteotti, l’ultima voce scomoda d’Italia.
Effetti più preoccupanti si riscontrano in Francesco Merlo, un tempo fustigatore di potenti, ora ridotto da un bel pezzo a bastonatore di oppositori.
Ieri il prefetto di disciplina di Repubblica ha messo in riga il cantante Piero Pelù, che si è permesso uno sberleffo contro Renzi (“boy scout di Licio Gelli”) al concerto del 1° Maggio. Non bastava l’insurrezione dei guardaspalle del premier, i Carbone, Anzaldi, Boschi e Picierno, che stanno a Matteo come Gasparri, Schifani, Biancofiore e Santanchè stavano a B. quando al concertone sparlavano di lui Daniele Silvestri e Andrea Rivera; e riesumano gli argomenti dei bulgari di Arcore per tappare la bocca a Pelù: chissà quanto l’han pagato, i cantanti devono cantare, sono milionari quindi tacciano (invece i politici sono alla fame), intervenga la Vigilanza, anzi la pula con le cariche e gli idranti.
Ci voleva Merlo, che si scaglia contro il “Mefistofele di parrocchia”, lo “strapaesano di 52 anni ‘tinto’ come Berlusconi e non da cummenda ma — peggio — da teenager”, animato da “rancore politico”, “si crede un Norberto Bobbio che canta”, “la parodia della ribellione”, fa “abuso pirotecnico del nome di Gelli” ed è, naturalmente, in “crisi creativa” (lo dicevano anche di Luttazzi e della Guzzanti per giustificare la chiusura-censura dei loro programmi) e “straparla di politica per riacchiappare il successo”.
E poi è “la pop star ufficiale di Grillo”, “il cantante organico dei 5Stelle”, come Grillo “ha l’affanno, l’aria di chi ha sempre bisogno d’acqua, i pensieri arruffati, il dito medio esibito, un rapporto difficile con i capelli”.
Cioè: anche l’ingiusta calvizie di Merlo è colpa di Pelù. Che, se invece avesse fatto una cantatina alla Leopolda o scritto l’inno di Eataly, non gli sarebbe accaduto nulla.
Sul merito dell’accostamento Renzi-Gelli — ovviamente esagerato, paradossale, provocatorio — neppure una sillaba.
Eppure qualcosina ci sarebbe da dire sulle riforme costituzionali scritte a quattro mani con un piduista patentato e con Verdini, definite “svolta autoritaria” non da un rocker arruffato, ma da Rodotà e Zagrebelsky, firme di Repubblica, in un appello di Libertà e Giustizia, fondata da Carlo De Benedetti.
Ma se i Merlo capissero i pericoli della svolta autoritaria, non occorrerebbero appelli dei professori nè provocazioni alla Pelù.
Quindi tutto torna. Anzi è facile immaginare che Merlo, dopo aver difeso impavido il capo del governo dalla battuta di un cantante, si sia subito sentito molto scomodo e abbia raggiunto Ostellino nelle catacombe, attendendo a pie’ fermo e petto in fuori i rastrellamenti e l’olio di ricino delle Brigate Litfiba.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 4th, 2014 Riccardo Fucile
“NON SONO GRILLINO, SONO UN ANARCOIDE CHE DICE QUELLO CHE GLI PARE”… “SONO ARRIVATI AD ACCUSARMI DI FREQUENTARE GELLI SOLO PERCHE’ 20 ANNI FA GLI FECI UN’INTERVISTA, PENSINO A CHI HA IL PADRE MASSONE COME RENZI”
In vent’anni di palco al concerto del Primo maggio Piero Pelù ha urlato “contro il Vaticano, infilato un preservativo al microfono, declinato la carriera di Berlusconi in tutte le sue forme, mai amichevoli, bastonato il socio dell’ex Cavaliere, Marcello dell’Utri”, però “mai, e dico mai, ho ricevuto un trattamento come in questo caso.
E solo per aver toccato Matteo Renzi”, racconta stupito il leader dei Litfiba.
Prime pagine, telegiornali, discussioni sul web.
Incredibile, non mi aspettavo tutto questo putiferio. E Renzi non mi ha denunciato. Evidentemente…
Ha le prove che è un piduista?
No, la mia era una provocazione frutto di alcune riflessioni, di alcune evidenze.
Quali, in particolare?
Il padre del premier è un noto massone, inserito bene nel tessuto toscano, ha in mano molta informazione. Eppoi c’è Denis Verdini, lui è il collante, il personaggio centrale, colui che secondo Berlusconi doveva detoscanizzare l’Italia.
Pelù, lei insiste.
Senta, dal palco ho articolato un discorso spezzato in tre parti, ho parlato degli F-35, di spese militari, ho chiesto un minuto di silenzio dedicato ai morti sul lavoro, a chi non ha lavoro, agli schiavi sul lavoro, eppure tutti si sono concentrati solo sul passaggio dedicato al non eletto dal popolo.
Strategia, quindi.
Esatto, la propaganda renziana ha puntato a fuorviare il mio discorso.
L’accusa è questa: Pelù è avvelenato per i soldi dell’Estate fiorentina.
Assurdo! Me ne sono andato nel 2007 quando Renzi era a spendere il bene pubblico della Provincia.
Lei, il premier lo ha conosciuto da vicino.
Inizialmente l’ho anche sostenuto visto lo sfacelo dell’amministrazione precedente.
Fino a quando…
Mi sono accorto che erano solo belle parole, e le persone incantate capaci solo di annuire.
Pelù accusato di grillismo.
Esatto, “accusato”. Io sono un anarcoide, e dopo il 2007 ho giurato di non espormi più per nessuno. Detto questo, ci sono alcuni rappresentanti del Cinque Stelle molto capaci, ma non vuol dire che sono un grillino. Abbiamo alcuni punti in comune e basta.
Altra bordata dal Pd: lei è un milionario.
Li ringrazio per aver scritto il mio 740, lo prendo come buon auspicio. Però, vede, in 35 anni di lavoro, qualche soldo l’ho messo da parte. E non ho mai chiesto nè ricevuto alcun finanziamento pubblico, mentre chi mi accusa doveva ridurre la spesa e rinunciare ai rimborsi dei partiti. Lo hanno fatto?
Berlusconi e Dell’Utri non la interessano più.
Ma se anche l’altro giorno ne ho parlato! Solo che si sono concentrati su Renzi.
Insisto: lei non ha prove del premier iscritto alla P2?
Nose le avessi lo avrei detto. Subito. Ma aggiungo: il Piano di Rinascita della loggia è stato ampiamente messo in pratica da Berlusconi e da questi nuovi.
Lei vent’anni fa ha incontrato Gelli.
E allora? Sono andato a intervistarlo. Quindi chi ha incontrato Bokassa è un cannibale?
Ultima: Pelù non disdegna la tv borghese.
Questa è bella e le dico anche da chi arriva: da Merlo su Repubblica, incornicerò quel pezzo per la quantità di castronerie.
Quanti solidali e quanti contro?
In poche ore ho ricevuto 12 mila “mi piace” su Facebook, le basta
Lo rifarebbe?
Tolto lo stupore per la reazione? Sì. Sono un rocker e devo rompere le palle.
Alessandro Ferrucci
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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