SI E’ SVEGLIATO IL SINDACATO: “IL GOVERNO SE NE FREGA DEI LAVORATORI”
“IN SENATO HANNO PEGGIORATO UN TESTO NATO GIA’ MALE”
La capacità di reazione non è quella dei tempi migliori.
Il sindacato italiano — in ordine sparso — ci mette 24 ore giuste a rendersi conto che il decreto Lavoro è stato abbastanza peggiorato, se si guarda agli interessi che loro dovrebbero tutelare, dagli interventi concordati in Senato tra il ministro Giuliano Poletti e la maggioranza.
Ha iniziato la Cgil: “Abbiamo visto delle indiscrezioni, non abbiamo testi finali e ci riserviamo di vederli — sostiene il segretario Susanna Camusso —. Se però gli annunci corrispondono alla realtà , mi pare che si sia ulteriormente peggiorato un decreto che già non andava bene e soprattutto si continuano a costruire modalità per cui l’unica strada è la precarizzazione”
La cosa che più ha attratto la fantasia del sindacato di Corso d’Italia c’è l’emendamento per cui le aziende che sforano il tetto del 20 per cento di contratti a termine non saranno più obbligate ad assumere a tempo indeterminato: se la caveranno con una multa.
“Se si toglie l’obbligo di assunzione — spiega Camusso — ci sarà un uso illimitato e anche illegittimo di forme di lavoro a termine: è il via libera all’illegittimità dei rapporti di lavoro”.
Sulla stessa linea ci sono l’Ugl e, soprattutto, la Cisl: “Non ci sono dubbi. Le modifiche introdotte ai contratti a termine sono una cosa incomprensibile — dice il segretario Raffaele Bonanni — oltre a essere più a favore delle aziende che dei lavoratori. È proprio palese il menefreghismo che c’è nei confronti del mondo del lavoro e in particolare dei lavoratori”.
Poi, su Twitter, la versione breve: “Chi non rispetta le regole del tempo determinato deve assumere a tempo indeterminato. Altro è ingiusto”
Di diverso parere, invece, il leader della Uil Luigi Angeletti, che si schiera decisamente col governo: “Sono perchè approvino subito il decreto. La multa al posto dell’assunzione se si sfora il tetto del 20 per cento non è un problema, perchè tanto le aziende non sono disposte a pagare. Hanno già cominciato a dire che la multa è troppo elevata. La multa elevata è un sufficiente deterrente”.
Esattamente la posizione dell’esecutivo: “Quella della Camusso è una valutazione personale, che non trova giustificazione negli atti del governo che vanno in una direzione del tutto contraria”, dice il sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba.
Il testo, a questo punto, pare chiuso e non ci sarà spazio per ulteriori modifiche, magari nel terzo passaggio alla Camera: gli emendamenti, infatti, sono stati chiesti a gran voce dal Nuovo Centrodestra, che ne ha fatto una sua bandierina elettorale contro Forza Italia (la quale, contro ogni evidenza, continua a sostenere che gli emendamenti sono stati dettati al governo dalla Cgil).
Non a caso ieri Angelino Alfano si vantava con zoppicante ricostruzione storico-culturale: “Abbiamo dovuto vincere alcune resistenze della sinistra post comunista, e devo dire che la collaborazione con la sinistra che non è comunista guidata da Matteo Renzi sta dando davvero ottimi frutti”.
A poco serve la resipiscenza tardiva di pezzi della sinistra del Pd: “Rimettere in discussione l’equilibrio del testo sancito con il voto di fiducia alla Camera implica riaprire di nuovo la discussione a Montecitorio prima del varo definitivo del decreto”, ha sostenuto ad esempio Stefano Fassina.
L’uomo che – anche per conto dell’ex viceministro – ha gestito la trattativa sul decreto, vale a dire il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, la pensa però assai diversamente: “Le correzioni fondamentali al decreto Lavoro votate da Montecitorio restano tutte confermate. Per noi e per il nostro lavoro è un motivo di grande soddisfazione. I cambiamenti introdotti dal Senato, anche se presentano alcune criticità , non stravolgono i miglioramenti voluti dal Pd e in alcune parti migliorano il testo, come nel caso della formazione per gli apprendisti”.
Al di là delle scaramucce – ormai destinate a spegnersi – su un decreto che non serve quasi a niente (di sicuro non a creare nuova occupazione, forse a precarizzare ulteriormente quella che sarebbe esistita lo stesso), resta lo stato comatoso se non peggio dei rapporti tra il presidente del Consiglio e le organizzazioni sindacali.
La cosa, peraltro, non mancherà di avere ripercussioni su provvedimenti più seri di questo, dalla legge delega sul lavoro (il cosiddetto Jobs Act col suo contratto unico a tutele crescenti) e, soprattutto, sulla riforma della Pubblica amministrazione, di gran lunga il dossier più scottante su cui dovra lavorare a breve il governo.
Marco Palombi
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