Destra di Popolo.net

ASSERRAGLIATI A 70 KM DA PARIGI: I DUE ATTENTATORI BARRICATI IN UNA CASA A CREPY-EN-VALOIS

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

NELL’AUTO ABBANDONATA MOLOTOV E BANDIERE DELLA JIHAD… A PARIGI ACCESSI BLOCCATI, ELISEO BLINDATO

I due ricercati per l’attacco a Charlie Hebdo “sarebbero barricati in un’abitazione della città ” di Crepy-en-Valois, 70 chilometri a nordest di Parigi.
Lo riferisce il sito di France 3 Picardia.
La prefettura del dipartimento dell’Oise, in cui si trova Crepy-le-Valois, contattata sempre da France 3, “conferma che in città  è in corso un’operazione”, senza dare ulteriori dettagli.
Da alcuni minuti un importante dispositivo di sicurezza si sta dispiegando nell’area. Secondo l’emittente france 3 Picardia ne farebbero parte anche due elicotteri puma. Forze speciali sono state dispiegate anche a Villers-Cotteràªts dove erano già  stata avvistati questa mattina.
I due hanno abbandonato la vettura a bordo della quale viaggiavano, secondo quanto riferito da un testimone.
Tutti i bambini della località  sono chiusi nelle scuole. Lo riferisce Le Figaro.
Si tratta dei fratelli franco-algerini Chèrif e Said Kouachi, di 32 e 34 anni, sospettati di essere “armati e pericolosi”.
L’altro sospettato, il 18enne Hamyd Mourad si è consegnato alla polizia a Charleville-Mèzières, nel nord-est della Francia. La sua posizione sembra più leggera rispetto a quella degli altri due.
La sorveglianza, riferisce Bfm Tv, è particolarmente intensa ai due punti di accesso a Parigi da nordest, la Porte de la Villette e la Porte de Pantin.
I ricercati, riferiscono i media francesi, sono stati segnalati dal gestore di una pompa di benzina sulla strada nazionale RN2, all’altezza di Villers-Cotteret (Picardia), in viaggio in direzione Parigi, a bordo di una Clio grigia ammaccata sul davanti, con la targa nascosta.
Nell’auto c’erano diverse armi pesanti, kalashnikov e lanciarazzi.
Mourad si è arreso dopo avere visto “circolare il suo nome sui social network”, ha riferito una fonte.
Dei tre ricercati, secondo quanto si è appreso, sarebbe il meno implicato nella pianificazione ed esecuzione dell’attacco.
“È stato arrestato ed è guardato a vista”, ha confermato una fonte.
Nelle ultime ore, la sua posizione si sarebbe alleggerita, nonostante il giovane resti ancora in stato di fermo: secondo quanto fatto filtrare dagli inquirenti, Mourad – che è il cognato di Chèrif Kouachi – avrebbe infatti un alibi piuttosto solido, al momento oggetto di indagine.

(da “Huffingtonpost“)

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TUTTE LE BALLE DEL GOVERNO SULLA NORMA SALVA-EVASORI

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

IL TESTO NON È PUBBLICATO SUL SITO DELL’ESECUTIVO… DELRIO E IL PREMIER DICONO CHE C’È STATA DISCUSSIONE, MA IL DECRETO È PIOVUTO DALL’ALTO GIà€ PRONTO

A quasi due settimane dal Consiglio dei ministri del 24 dicembre, il governo continua ad aggrovigliarsi in versioni contrastanti: come è possibile che una norma uscita dalla commissione di esperti del Tesoro come stangata anti-evasione sia diventata il più colossale regalo ai professionisti della frode fiscale?
Nessuna sanzione penale a chi imbroglia di proposito il fisco per somme fino al 3 per cento del fatturato, con il politicamente rilevante effetto collaterale di neutralizzare (o almeno indebolire) gli effetti della legge Severino che rendono incandidabile Silvio Berlusconi, condannato in Cassazione proprio per frode fiscale.
Il testo nascosto (per vergogna?)    
La prima bugia è già  sul sito go  verno.it  : nel comunicato del Consiglio dei ministri del 24 dicembre si legge che “il Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Economia e Finanze, Pietro Carlo Padoan (sic, con refuso), ha approvato in via preliminare il decreto legislativo sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente” e che “il testo è pubblicato sul sito del governo”.
Due falsità  in poche righe: il premier ha ribadito anche ieri che il decreto nella sua versione finale è opera di Palazzo Chigi, non del ministero del Tesoro.
E il testo è scomparso dal sito del governo, dove è rimasto finchè il Fatto Quotidiano non ha denunciato la norma.
Ora è introvabile. Come se bastasse cancellare un decreto dal sito per farlo decadere.
Dovrà  esserci un altro Consiglio per ritirarlo e poi emanarne una nuova versione.
Rivendicare la manina presidenziale    
“La manina è la mia”, ha detto ieri Matteo Renzi ai parlamentari Pd, per chiudere le polemiche. In realtà  dovrebbe aprirle, perchè la procedura usata dal premier è così irrituale da meritare da sola una spiegazione.
La commissione di esperti del Tesoro guidata da Franco Gallo, ex presidente della Consulta, produce un testo di cui poi Renzi si appropria.
Lo riconsegna ai ministri stravolto seguendo la corsia preferenziale dei documenti “fuori circuito”.
Che non passano cioè dal pre-consiglio dei ministri riservato agli sherpa ministeriali. Non è neppure certo che la salva-Berlusconi sia stata elaborata dal Dagl, il dipartimento degli affari legali guidato dalla super-renziana Antonella Manzione.
E allora chi ha materialmente scritto il testo? Renzi è forte di una laurea in giurisprudenza presa una ventina di anni fa, non risulta abbia competenze o velleità  di tecnico della legislazione.
Chi ha partorito una modifica che, con una spericolata capriola giuridica, poteva salvare Berlusconi da una condanna definitiva?
Visto che il percorso della norma non è tracciabile, resterà  il sospetto che si sia verificato quanto accade spesso nelle notti frenetiche delle commissioni parlamentari: che i beneficiari della norma se la scrivono da soli passandola poi a deputati amici compiacenti.
Gli equilibrismi di Delrio, smentito anche dal capo    
Cercando di fare da scudo al governo, Renzi ha sbugiardato la versione che da giorni stava raccontando il suo sottosegretario Graziano Delrio, che gestisce le riunioni del Consiglio dei ministri. “I testi che escono dal Cdm sono collegiali: entrano in una maniera, ne escono trasformati, altrimenti non ci sarebbe bisogno di fare i consigli dei ministri. Talmente ovvio che è perfino difficile da spiegare, non c’è nessuna manina come ha detto in maniera chiara il ministro Padoan”, ripeteva ancora ieri mattina l’ex sindaco di Reggio Emilia. Una versione che serve a tenere compatto il governo, ma palesemente falsa.
Il testo del decreto è entrato in Consiglio dei ministri con già  la misura salva-evasori e lì, nella riunione, non è stato discusso, come confermano diversi ministri che però non vogliono esporsi pubblicamente.
Il decreto ha saltato tutti i passaggi in cui avvengono le “decisioni collegiali” ed è atterrato sui tavoli dei ministri come opera diretta del capo del governo.
Comprensibile, quindi, che nessuno abbia avuto una gran voglia di contestarlo.
Il legame col Quirinale e il patto del Nazareno    
“Noi cambiamo il fisco per gli italiani, non per Berlusconi. Senza fare sconti a nessuno, nemmeno a Berlusconi, che sconterà  la sua pena fino all’ultimo giorno”, ha detto due giorni fa Renzi.
Ma il decreto non incideva sulla “pena” di Berlusconi (i servizi sociali che scadono il 15 febbraio), bensì sulle conseguenze non penali previste dalla legge Severino (l’incandidabilità ).
E il legame con Berlusconi e la partita del Colle lo conferma lo stesso premier: “Per evitare polemiche — sia per il Quirinale, che per le riforme — ho pensato più opportuno togliere di mezzo ogni discussione e inserire anche questo decreto nel pacchetto riforme fiscali del 20 febbraio”. Una scelta tutta politica: se il punto era modificare il decreto, bastava mandarlo alle commissioni competenti in Parlamento, recepire le loro valutazioni non vincolanti e adeguarlo.
Invece Renzi lascia intravedere a Berlusconi la salvezza politica e poi gli promette che del tema si discuterà  dopo l’elezione del capo dello Stato.
Durante la quale Forza Italia è decisiva per il progetto renziano di eleggere un presidente al primo scrutinio con la maggioranza dei due terzi.

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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RENZI, NUOVO CINEMA PARACULO

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

LA DEPENALIZZAZIONE DELLA FRODE FISCALE PERMETTEREBBE A BERLUSCONI DI ANNULLARE LA SEVERINO E TORNARE CANDIDABILE

Garantire, come fa Renzi col consueto tono perentorio, che B.“sconterà  la sua pena fino all’ultimo giorno”, equivale ad assicurare che le api continueranno a fare il miele, che le auto avranno ancora quattro ruote e le biciclette due, che la pioggia seguiterà  a bagnare.
Ovvietà  da repartino psichiatrico: nessuno ha mai scritto che la soglia di impunità  per le evasioni e le frodi sotto il 3% dell’imponibile dichiarato, infilata dalla sua manina nel decreto fiscale natalizio, avrebbe abbreviato la pena che B. sta scontando ai servizi sociali nell’ospizio di Cesano Boscone.
Che non è mai dipesa da lui, dal suo governo e dal suo decreto, per una ragione molto semplice.
La depenalizzazione della frode per cui B. è stato condannato in via definitiva gli darebbe il destro di avanzare un “incidente di esecuzione” alla Corte d’appello di Milano, che sì revocherebbe la sua condanna, ma non prima di diversi mesi.
Comunque ben dopo la conclusione dei servizi sociali, prevista tra la fine di febbraio e la metà  di marzo.
L’incidenza del decreto del 24 dicembre sul destino giudiziario del Caimano riguarda la pena accessoria del risarcimento di 10 milioni all’Agenzia delle Entrate e dell’interdizione biennale dai pubblici uffici, ma soprattutto l’effetto amministrativo indotto dalla legge Severino: cioè, evaporata la condanna, B. tornerebbe senatore e candidabile alle prossime elezioni.
Il fatto che Renzi non dica una parola sulle vere conseguenze del suo decreto, limitandosi a smentire quella che nessuno ha mai ipotizzato perchè mai potrebbe verificarsi, denota o una totale confusione mentale, o un’assoluta malafede, o una spudorata paraculaggine.
E questo vale per tutto ciò che continua a blaterare il premier, eccezion fatta per la rivendicazione della paternità  della porcata.
Testuale: “Non facciamo norme nè ad personam nè contra personam: cambiamo il fisco per gl’italiani, non per Berlusconi”.
Ma le leggi ad personam sulla giustizia sono sempre state ad personas: mica recavano nel testo il nome del destinatario.
Per salvare B. si è depenalizzato il falso in bilancio per tutti, s’è dimezzata la prescrizione per tutti, si sono indultati decine di migliaia di delinquenti, si sono immunizzate tutte le alte cariche dello Stato.
Esattamente come il decreto Renzi, che salva B. ma anche tutti i frodatori medio-grandi sotto il 3%, non certo “gli italiani” (almeno gli onesti, che non hanno nulla da guadagnare, ma tutto da perdere dalla porcata).
Ancora: “Non mi faccio fare la morale da chi, in nome dell’antiberlusconismo , ha fatto governare Berlusconi per anni”.
Ma B. non ha governato per anni a causa dell’antiberlusconismo: semmai del berlusconismo di milioni di elettori e della gran parte di stampa e tv, ma anche del filoberlusconismo di chi l’ha legittimato, gli ha fatto una finta opposizione quando governava e gliele ha date tutte vinte quando perdeva le elezioni, promuovendolo financo a padre ricostituente nei vari inciuci, dalla Bicamerale di D’Alema & C. al “tavolo delle riforme” di Veltroni al Patto del Nazareno di Renzi.
E sentite quest’altra: “Questa ossessione di Berlusconi sia da parte di chi lo ama sia di chi lo odia non mi riguarda. A forza di pensare a lui, per anni si sono dimenticati degli italiani”.
Ma il centrosinistra non si è scordato degli italiani perchè si sia distratto pensando a B.: è che fare le riforme con B. significa fare gli interessi di B. e di quelli come lui, che sono l’opposto di quelli degli italiani perbene.
Si chiama — se Renzi non si offende — conflitto d’interessi.
Mettere poi sullo stesso piano la presunta “ossessione di chi lo ama e di chi lo odia” significa confondere chi aveva ragione e chi aveva torto: chi ha difeso la Costituzione, la legalità , l’equità  sociale, la trasparenza, la libertà  di informazione e il buongoverno e chi per vent’anni ha demolito la Costituzione e la legalità , premiando i ricchi e i ladri a scapito dei poveri e degli onesti, a colpi di condoni, censure, corruzioni e malgoverno.
E chi è stato, di grazia, a dichiarare che “in qualsiasi paese, quando un leader politico condannato con sentenza definitiva, la partita è finita: game over” (11.9.2013), salvo poi riabilitare e sdoganare B. con un patto occulto (“profonda sintonia”), a riscrivere con lui non solo la legge elettorale, ma persino la Costituzione e le riforme della giustizia e del fisco, a copiarlo in peggio sull’art.18, a riceverlo sette volte a Palazzo Chigi e ora a farne il partner privilegiato per scegliere insieme il nuovo capo dello Stato?
L’ossessione, caro Renzi, è tutta sua.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LO SCANDALO: LO STATO PAGA 230.000 EURO PER I DEBITI DI PAPÀ RENZI

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

FIDI TOSCANA SALDA PARTE DEL MUTUO DELLA CHIL POST E VIENE RIMBORSATA DAL TESORO… DONZELLI (FDI): “UN USO INDECENTE DEI SOLDI PUBBLICI A FINI FAMILIARI DA PARTE DEL PREMIER”

A saldare i debiti del padre ci pensa il governo del figlio.
Debiti, tra l’altro, concessi da una banca guidata da un fedelissimo del figlio, già  in società  con il fratello del cognato, a sua volta socio in un’altra azienda di famiglia riconducibile alla madre.
Cose che capitano in casa Renzi.
La vicenda è complessa e gli intrecci sono molti, come gli attori coinvolti.
Tutto ruota attorno alla Chil post, la società  di Tiziano Renzi, dichiarata fallita nel marzo 2013 e sulla quale la Procura di Genova ha aperto un fascicolo iscrivendo nel registro degli indagati il padre del premier con l’accusa di bancarotta fraudolenta.
Secondo i magistrati liguri, Tiziano avrebbe ceduto la parte sana dell’azienda alla Eventi 6 intestata alla moglie, Laura Bovoli, società  che all’epoca dei fatti aveva tra i propri soci anche Alessandro Conticini, fratello di Andrea, marito di Matilde Renzi, sorella del premier e a sua volta socia nella Eventi 6.
Alla Chil Post rimangono così solo i debiti tra cui un mutuo di 496.717,65 euro stipulato nel luglio 2009 con il Credito Cooperativo di Pontassieve.
Una cifra sostanziosa, concessa con un mutuo chirografario: senza accensione di ipoteche, quindi, ma solo basato sulle garanzie.
La banca è guidata da Matteo Spanò, grande amico e sostenitore del premier.
Nel 2005, Spanò era stato nominato direttore generale della Florence Multimedia, società  della Provincia di Firenze creata dal neoeletto Renzi per la comunicazione e poi finita nel mirino della Corte dei conti che ha inizialmente ipotizzato un danno erariale di 10 milioni di euro. Non solo.
Spanò era anche socio di Conticini nella Dot Media, società  che ha ricevuto appalti diretti dal Comune, negli anni in cui Renzi è stato sindaco, e da altre controllate come la Firenze Parcheggi guidata dal fidatissimo Marco Carrai.
Dot Media oggi cura fra l’altro la campagna elettorale dell’eurodeputata Alessandra Moretti candidata alla presidenza della Regione Veneto.
Diventato presidente della banca, Spanò elargisce il prestito alla Chil post di Tiziano Renzi che per ottenerlo riceve la copertura a garanzia del fondo per le piccole e medie imprese da Fidi Toscana spa della Regione guidata da Enrico Rossi e partecipata anche da Provincia e Comune di Firenze oltre alla Cassa di Risparmio nel cui board siede Carrai.
Fidi Toscana delibera la copertura dell’80% e il 13 agosto 2009 la banca versa i soldi alla Chil.
I ratei vengono regolarmente pagati per due anni. Poi la società , nel frattempo svuotata della parte sana e poi ceduta ad altri titolari (ora indagati assieme a Tiziano Renzi), non rispetta più i versamenti e dichiara il fallimento.
Così nell’estate 2013, la banca, ammessa al passivo dal Tribunale fallimentare di Genova, si rivolge a Fidi ottenendo il versamento di 263.114,70 euro, l’80% dell’esposizione complessiva.
E la vicenda potrebbe chiudersi qui.
Invece, il 18 giugno 2014, il ministero dell’Economia delibera di rifondare Fidi di 236.803,23 euro e liquida la somma il 30 ottobre successivo attraverso il Fondo centrale di garanzia.
E così il debito contratto dal padre di Renzi è stato coperto dallo Stato.
“La perdita sofferta sull’operazione per noi è stata di 26 mila euro”, afferma Gabriella Gori, alla guida di Fidi da appena una settimana.
Si è insediata il 29 dicembre a seguito delle dimissioni di Leonardo Zamparella costretto dal Cda a lasciare l’incarico perchè condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi per concorso in bancarotta come vicedirettore vicario del settore leasing e factoring di Monte dei Paschi.
Il cambio al timone è stato determinante per avere accesso alle informazioni sulla Chil a seguito delle richieste formulate in merito dal consigliere regionale Giovanni Donzelli, oggi candidato presidente della Toscana per Fratelli d’Italia.
Le risposte sono arrivate il 30 dicembre: Gori ha redatto un documento in cui riassume l’intera vicenda, con la specifica dei versamenti da parte del Tesoro.
Per carità : tutto secondo protocollo, nulla di illecito.
Ieri, Donzelli assieme ad altri due consiglieri di minoranza, Paolo Marcheschi e Marina Staccioli, ha presentato un’interrogazione al governatore Rossi per chiedere spiegazioni.
“Ci appare a dir poco indecente che i debiti creati dall’azienda di famiglia del premier siano stati pagati con soldi pubblici concessi in un momento in cui la crisi porta un imprenditore al suicidio ogni cinque giorni e in un Paese in cui l’accesso al credito è una delle maggiori difficoltà , insieme alla pressione fiscale, che riscontrano le aziende”, dice Donzelli.
Da Rossi, prosegue, “vorremmo sapere perchè la gestione dei fondi è stata affidata a Fidi senza alcuna gara, se e come ha valutato la domanda presentata da Chil, se la garanzia non deve essere revocata in caso di modifiche aziendali che trasformano radicalmente la società  come è avvenuto alla Chil e, infine, se reputa corretto ed etico il comportamento della famiglia Renzi”.
Secondo Donzelli “non dovrebbe essere prerogativa della Regione pagare, tramite fidi, i debiti dell’azienda di famiglia del presidente del Consiglio e del segretario del partito di maggioranza. E men che meno prerogativa dello Stato”.

Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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UN’AZIONE MILITARE CON SOLO DUE ERRORI

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

GRANDE CALMA NEI MOVIMENTI, MA SBAGLIANO INDIRIZZO E SI MUOVONO COME RECLUTE

Gli assalitori commettono nei primi minuti quello che sembra l’unico errore di un piano accurato.
Sbagliano indirizzo, un paio di numeri civici: irrompono al 6 di rue Nicolas Appert, urlano «è questo Charlie Hebdo?», sono gli archivi del settimanale satirico, non è il loro bersaglio.
Con i kalashnikov già  imbracciati, i volti coperti dai passamontagna, corrono verso il 10 della stessa via ed entrano nella sede del giornale, salgono al secondo piano dove si sta tenendo la riunione di redazione.
Il primo sbaglio non li ha confusi, hanno raggiunto l’obiettivo della carneficina.
Sono rimasti calmi.
È quella calma a colpire gli esperti, che parlano di addestramento militare dopo aver analizzato alcuni video dell’attacco ripresi dai testimoni con i telefoni cellulari. «Dimostrano sangue freddo in tutte le fasi», commenta una ex guardia del corpo all’agenzia France Presse.
Nervi solidi e attenzione ai dettagli: uno degli attentatori corre per recuperare una scarpa da tennis caduta dall’auto usata nell’operazione, non vuole lasciare tracce. Nervi solidi e ferocia: un poliziotto viene finito con un colpo alla testa mentre è già  ferito a terra, il terrorista spara in corsa senza neppure fermarsi.
«Non sprecano proiettili – fa notare la stessa fonte all’agenzia Afp – è chiaro che sanno maneggiare i fucili mitragliatori».
Il kalashnikov è l’arma più diffusa in Medio Oriente, gli estremisti lo considerano così facile da usare «che anche un bambino potrebbe premere il grilletto».
I due attentatori lo tengono vicino al corpo, non sventagliano a casaccio, i fori nella vetrata sono precisi, uno vicino all’altro.
«Sono in totale controllo delle loro emozioni e delle loro armi», spiega alla televisione francese Renè-Georges Querry, già  capo di una squadra anti-terrorismo della polizia. Bill Roggio, che pubblica il Long War Journal, per il centro di ricerca Foundation for the Defense of Democracies arriva a ipotizzare che siano ex militari.
Thomas Gibbons-Neff, veterano dei Marine americani, è più scettico.
Evidenzia sul Washington Post che i caricatori portati avvolti sul petto sono del tipo in dotazione agli eserciti e riesce a riconoscere dal rumore degli spari due differenti versioni di fucile mitragliatore: l’Ak74 e l’Ak47.
L’esperienza gli permette di notare però un’imprecisione nei movimenti del commando: mentre risalgono la strada e si preparano alla fuga, gli uomini incrociano i loro passi, «un gesto che viene sconsigliato alle reclute perchè riduce l’area tenuta sotto tiro»
Anche se gli investigatori e gli esperti concordano sulla preparazione professionale, non sono ancora in grado di ricostruire in quale dei campi d’addestramento sparsi tra la Siria, l’Iraq e il Nordafrica (qualcuno non esclude la Francia stessa) gli attentatori se la sarebbero procurata
Gli uomini localizzati nei dintorni di Reims dalla polizia sono tre (come aveva sostenuto qualche testimone) e sono nati a Parigi, due di loro sono fratelli.
Sarebbero andati a combattere in Siria, eppure gridano: «Dite ai giornali che apparteniamo ad Al Qaeda nello Yemen».
Un altro elemento che non combacia emergerebbe da uno dei video.
Un attentatore avverte l’altro: «Allontanati, è finito» (si riferisce al poliziotto) e l’ordine sarebbe scandito con un’intonazione strana.
Sul loro accento francese non c’è concordanza: alcuni testimoni dicono di non aver sentito inflessioni, altri sostengono che non parlassero bene la lingua.
I giovani di origine francese andati a combattere in Siria con le milizie dello Stato Islamico sono almeno 700, il gruppo più numeroso tra gli europei, calcola uno studio del King’s College di Londra.
L’arruolamento di nordafricani e occidentali è considerato il più massiccio dai tempi della guerra in Afghanistan contro i sovietici: gli «stranieri» che hanno scelto di unirsi agli uomini in nero del Califfo sarebbero almeno dodicimila in tre anni, sulle montagne attorno a Kabul arrivarono in totale a ventimila.
I servizi segreti in Europa hanno lanciato l’allarme sul pericolo rappresentato dal ritorno a casa di questi combattenti.
Difficili da controllare, spesso pianificano gli attacchi nel chiuso di una stanza, mettono insieme piccoli gruppi come quello di Parigi.
Non devono aspettare il via libera dai capi all’estero, non c’è bisogno che arrivi un ordine dall’alto.
È già  stato dato: l’Occidente è un bersaglio.

Davide Frattini
(da “il Corriere della Sera”)

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I DUE PRESUNTI KILLER IN FUGA, SI E’ ARRESO UN TERZO UOMO CHE AVREBBE PERO’ UN ALIBI

Gennaio 8th, 2015 Riccardo Fucile

I DUE FRATELLI ERANO BEN NOTI ALLE FORZE DELL’ORDINE ED ERANO TORNATI DALLA SIRIA LA SCORSA ESTATE

Hamyd Mourad, 18 anni, il più giovane dei tre ricercati per l’attacco terroristico al settimanale satirico Charlie Hebdo che ha fatto 12 vittime si è consegnato alla polizia a Charleville-Mèzières, nel nord-est della Francia.
Sono ancora in fuga, invece, gli altri due ricercati dalle forze dell’ordine, ritenuti gli esecutori materiali dell’attentato.
La polizia ha pubblicato nella notte le foto e le loro generalità  ed ha lanciato un appello ai testimoni: si tratta dei fratelli franco-algerini Chèrif e Said Kouachi, di 32 e 34 anni, sospettati di essere “armati e pericolosi”.
Intanto, a Porte de Chatillon a Parigi, c’è stata una sparatoria. Da quanto si apprende ci sono due poliziotti municipali a terra. Secondo i media francesi non ci sarebbero collegamenti con la strage alla redazione di Charlie Hebdo.
Mourad si è arreso dopo avere visto “circolare il suo nome sui social network”, ha riferito una fonte.
Dei tre ricercati, secondo quanto si è appreso, sarebbe il meno implicato nella pianificazione ed esecuzione dell’attacco. “È stato arrestato ed è guardato a vista”, ha confermato una fonte.
Nelle ultime ore, la sua posizione si sarebbe alleggerita, nonostante il giovane resti ancora in stato di fermo: secondo quanto fatto filtrare dagli inquirenti, Mourad – che è il cognato di Chèrif Kouachi – avrebbe infatti un alibi piuttosto solido, al momento oggetto di indagine.
Intanto, prosegue la caccia all’uomo nel paese.
Secondo la stampa francese sarebbero state eseguite numerose perquisizioni a Reims, Strasburgo e Gennevilliers e sarebbe stato fermato anche un familiare degli attentatori a Charleville.
Ma finora non sono stati resi noti dettagli.
I fratelli Kouachi sono ben noti all’antiterrorismo ed erano tornati dalla Siria nell’estate scorsa.
Uno di loro, Chèrif, è stato membro di una cellula di Buttes-Chaumont, che reclutava giovani combattenti per l’Iraq.
Nel 2008 era stato condannato a tre anni di prigione.
Gli investigatori sono finiti sulle loro tracce dopo avere ritrovato la carta di identità  di Said sulla Citroen C3 abbandonata durante la fuga nel nord-est di Parigi, vicino Porte de Pantin.
Secondo Europe 1, gli inquirenti hanno ritrovato inoltre sull’auto un caricatore di kalashnikov e due borse sportive.
A completare il ritratto dei due fuggitivi sono state le immagini di una telecamera a Pantin e la descrizione dell’automobilista a cui i fuggitivi hanno sottratto la macchina per la loro fuga.

(da “Huffingtonpost“)

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