UN’AZIONE MILITARE CON SOLO DUE ERRORI
GRANDE CALMA NEI MOVIMENTI, MA SBAGLIANO INDIRIZZO E SI MUOVONO COME RECLUTE
Gli assalitori commettono nei primi minuti quello che sembra l’unico errore di un piano accurato.
Sbagliano indirizzo, un paio di numeri civici: irrompono al 6 di rue Nicolas Appert, urlano «è questo Charlie Hebdo?», sono gli archivi del settimanale satirico, non è il loro bersaglio.
Con i kalashnikov già imbracciati, i volti coperti dai passamontagna, corrono verso il 10 della stessa via ed entrano nella sede del giornale, salgono al secondo piano dove si sta tenendo la riunione di redazione.
Il primo sbaglio non li ha confusi, hanno raggiunto l’obiettivo della carneficina.
Sono rimasti calmi.
È quella calma a colpire gli esperti, che parlano di addestramento militare dopo aver analizzato alcuni video dell’attacco ripresi dai testimoni con i telefoni cellulari. «Dimostrano sangue freddo in tutte le fasi», commenta una ex guardia del corpo all’agenzia France Presse.
Nervi solidi e attenzione ai dettagli: uno degli attentatori corre per recuperare una scarpa da tennis caduta dall’auto usata nell’operazione, non vuole lasciare tracce. Nervi solidi e ferocia: un poliziotto viene finito con un colpo alla testa mentre è già ferito a terra, il terrorista spara in corsa senza neppure fermarsi.
«Non sprecano proiettili – fa notare la stessa fonte all’agenzia Afp – è chiaro che sanno maneggiare i fucili mitragliatori».
Il kalashnikov è l’arma più diffusa in Medio Oriente, gli estremisti lo considerano così facile da usare «che anche un bambino potrebbe premere il grilletto».
I due attentatori lo tengono vicino al corpo, non sventagliano a casaccio, i fori nella vetrata sono precisi, uno vicino all’altro.
«Sono in totale controllo delle loro emozioni e delle loro armi», spiega alla televisione francese Renè-Georges Querry, già capo di una squadra anti-terrorismo della polizia. Bill Roggio, che pubblica il Long War Journal, per il centro di ricerca Foundation for the Defense of Democracies arriva a ipotizzare che siano ex militari.
Thomas Gibbons-Neff, veterano dei Marine americani, è più scettico.
Evidenzia sul Washington Post che i caricatori portati avvolti sul petto sono del tipo in dotazione agli eserciti e riesce a riconoscere dal rumore degli spari due differenti versioni di fucile mitragliatore: l’Ak74 e l’Ak47.
L’esperienza gli permette di notare però un’imprecisione nei movimenti del commando: mentre risalgono la strada e si preparano alla fuga, gli uomini incrociano i loro passi, «un gesto che viene sconsigliato alle reclute perchè riduce l’area tenuta sotto tiro»
Anche se gli investigatori e gli esperti concordano sulla preparazione professionale, non sono ancora in grado di ricostruire in quale dei campi d’addestramento sparsi tra la Siria, l’Iraq e il Nordafrica (qualcuno non esclude la Francia stessa) gli attentatori se la sarebbero procurata
Gli uomini localizzati nei dintorni di Reims dalla polizia sono tre (come aveva sostenuto qualche testimone) e sono nati a Parigi, due di loro sono fratelli.
Sarebbero andati a combattere in Siria, eppure gridano: «Dite ai giornali che apparteniamo ad Al Qaeda nello Yemen».
Un altro elemento che non combacia emergerebbe da uno dei video.
Un attentatore avverte l’altro: «Allontanati, è finito» (si riferisce al poliziotto) e l’ordine sarebbe scandito con un’intonazione strana.
Sul loro accento francese non c’è concordanza: alcuni testimoni dicono di non aver sentito inflessioni, altri sostengono che non parlassero bene la lingua.
I giovani di origine francese andati a combattere in Siria con le milizie dello Stato Islamico sono almeno 700, il gruppo più numeroso tra gli europei, calcola uno studio del King’s College di Londra.
L’arruolamento di nordafricani e occidentali è considerato il più massiccio dai tempi della guerra in Afghanistan contro i sovietici: gli «stranieri» che hanno scelto di unirsi agli uomini in nero del Califfo sarebbero almeno dodicimila in tre anni, sulle montagne attorno a Kabul arrivarono in totale a ventimila.
I servizi segreti in Europa hanno lanciato l’allarme sul pericolo rappresentato dal ritorno a casa di questi combattenti.
Difficili da controllare, spesso pianificano gli attacchi nel chiuso di una stanza, mettono insieme piccoli gruppi come quello di Parigi.
Non devono aspettare il via libera dai capi all’estero, non c’è bisogno che arrivi un ordine dall’alto.
È già stato dato: l’Occidente è un bersaglio.
Davide Frattini
(da “il Corriere della Sera”)
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