Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile
LA MORAL SUASION DEL PRESIDENTE NON INTACCA ANCORA I DUE FRONTI PD
I contatti ci sono, informali, riservati. 
Anche in questi giorni di vacanza, Il Capo dello Stato sta tessendo la sua tela per arrivare all’appuntamento di settembre con le riforme costituzionali in un clima meno burrascoso di quello delle ultime settimane.
Nei due fronti Pd, renziani e minoranza, la moral suasion del Quirinale trova ampie conferme.
Ma per ora non sgretola le distanze, le due fazioni restano arroccate sulle proprie posizioni. E interpretano gli inviti al dialogo come un sostegno implicito alle proprie tesi.
Il ruolo di arbitro di Mattarella viene riconosciuto da tutti, così come la sua terzietà . I due Pd, dunque, si fidano dell’inquilino del Quirinale. Ai vertici del Nazareno, l’invito alla “stabilità ” che arriva dal Colle viene letto da un renziano di prima fascia come “un auspicio a concludere il percorso delle riforme istituzionali, a non buttare il lavoro fin qui svolto”. E dunque, un invito alla minoranza dem a “non compromettere il cammino”, a un sussulto di “responsabilità ”.
Dal fronte della minoranza, invece, si ricorda il profondo rispetto del Capo dello Stato per il “ruolo del Parlamento, tanto più se si tratta di una riforma della Costituzione”.
E si sottolinea che la nuova presidenza, “a differenza della precedente non intende avere un ruolo di regia sul quadro politico, ma solo di arbitro”.
Un ruolo terzo, dunque, anche nel caso in cui Renzi dovesse chiedere le elezioni anticipate.
“E’ una fase politica completamente diversa da quella di Napolitano”, spiegano.
“Il presidente Mattarella ha già spiegato che in Italia non esiste un uomo solo al comando”. “Nella sua cultura politica hanno molto valore i contrappesi e gli equilibri della Costituzione”.
I bersaniani, se dovesse passare una modifica che riguarda l’elettività del Senato, sono convinti che il Colle rimanderebbe il governo alla Camere per la fiducia. “E in quel caso noi la fiducia la voteremmo senza alcuna remora”, assicura ad Huffpost Miguel Gotor. “Davanti a noi non c’è alcun baratro. Renzi deve capire che la riforma del Senato è cosa altra rispetto alla vita del governo”.
“L’obiettivo fondamentale delle riforme costituzionali era e rimane il superamento del bicameralismo paritario: su questo punto nessuno vuole tornare indietro, neppure di un millimetro”, insiste il ribelle dem Federico Fornaro, convinto che “le posizioni sono meno distanti di quello che qualcuno vuol far apparire”. Il ritornello della minoranza dunque è la ricerca di “un accordo dentro il Pd”.
Ed è anche una risposta alle accuse di voler sabotare l’esecutivo.
Sul fronte renziano invece scarseggia la fiducia nella lealtà della minoranza. Si ricordano le parole del Capo dello Stato il 30 luglio sui “decenni di tentativi non riusciti” sul terreno delle riforme costituzionali. E l’auspicio affinchè il cammino riformatore, questa volta, “vada al più presto in porto”.
Parole che vengono vissute come una spinta dell’arbitro nella “direzione giusta”.
Del resto, anche al Colle è ben chiaro che la tenuta del Pd è indispensabile per la tenuta del governo e anche perchè l’Italia possa far sentire più forte la propria voce in una Unione europea “sempre più in affanno”.
Ma è un obiettivo ancora lontano dal traguardo. Per questo, nelle prossime settimane, la moral suasion del Quirinale pare destinata a crescere di intensità .
Sempre a livello informale, senza moniti o appelli pubblici. Finora, complici le vacanze di Ferragosto, i due Pd restano distanti. E tuttavia entrambi molto sensibili al discreto pressing presidenziale.
Come se la fiducia nell’equilibrio del nuovo inquilino del Colle fosse rimasta come l’unico elemento di garanzia per tutto il Pd.
L’unico interlocutore di cui, in una guerra senza prigionieri, tutti continuano a fidarsi.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile
IL PETROLIO TORNA AI LIVELLI DL 2009, MA LA VERDE COSTA IL 36% IN PIU’ E CONTINUA A SALIRE
Inutile farsi illusioni: se anche le quotazioni del petrolio scivolassero sotto quota 20 dollari al barile come alla fine degli anni ’90, il prezzo della benzina non tornerà mai sotto l’euro al litro di allora.
Certo la colpa è anche dell’ingordigia dei petrolieri che si difendono dietro ai “costi di raffinazione sempre più alti”, ma la responsabilità più pesante ricade sulle spalle dello Stato.
Incapace di tagliare sprechi e spese inutili, i vari esecutivi sono sempre pronti a inserire balzelli e accise nelle pieghe di atti e decreti.
Un passo alla volta, un centesimo in più ogni tanto, il peso delle tasse sul carburante ha sfondato quota un euro al litro: lo Stato incassa, tra Iva e accise, 1,012 euro per ogni litro di “verde”.
Abbastanza per capire come mai il crollo delle quotazioni del petrolio, complice la crisi economica e la svalutazione dello yuan cinese, non riesca a portare il giusto sollievo alle tasche degli italiani alle prese con le vacanze estive.
Basti pensare che da inizio anno le quotazioni del Brent – il pregiato petrolio del mare del nord – è calato del 15% (il 6,3% depurato dall’effetto cambio), mentre il prezzo della verde – rilevato dal ministero dello Sviluppo economico – è salito del 4%.
Eppure con le accise ferme ad aumentare è stato solo il prezzo industriale della benzina, l’unica variabile che dipende direttamente dalle compagnie petrolifere, passato da 0,539 a 0,562 euro al litro.
I petrolieri si giustificano spiegando di essere loro ad assorbire i rialzi delle quotazioni del greggio per evitare pesanti ricadute sui consumatori finali.
Come a dire che l’aumento dei margini quando le quotazioni della materie prime calano sono solo una sorta di risarcimento.
Tuttavia, quando il prezzo del petrolio sale, la correzione dei prezzi verso l’alto è immediata, quando invece scende l’aggiustamento è sempre più lento.
Il greggio, in calo sotto quota 49 dollari al barile, è tornato sui livelli del marzo 2009 quando il costo industriale era fermo a 0,403 euro al litro: il 28,3% in meno rispetto ad oggi.
Certo l’euro viaggiava oltre 1,3 contro il dollaro, mentre adesso scambia intorno a quota 1,11, ma anche depurato dall’effetto cambio il prezzo al barile nel 2009 era più economico “solo” del 15,9%.
Insomma resta un ampio margine difficilmente giustificabile.
Nel frattempo, le imposte sono aumentate senza sosta.
L’Iva è salita al 22% (da 0,193 a 0,284 euro in questo caso), mentre le accise – tra il decreto Salva Italia e le innumerevoli clausole di salvaguardia a garanzia dei tagli alla spesa – sono esplose da 0,564 a 0,728 euro al litro.
Nel complesso le tasse sui carburanti sono aumentate in 6 anni del 33% e il prezzo totale è salito del 36%, vanificando in un colpo solo sia il calo delle quotazioni del petrolio sia quello dell’euro che avrebbero potuto essere due choc esogeni positivi ai fini della ripresa, riducendo i costi alla produzione e spingendo l’export.
A sorridere, invece, sono i petrolieri che tra un aumento e l’altro riescono sempre a difendere i loro margini.
Giuliano Balestreri
(da “La Repubblica”)
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Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile
I COSTI IN AUMENTO DEL 1,7% RISPETTO ALLO SCORSO ANNO PER IL CORREDO SCOLASTICO
Superato Ferragosto, si inizia già a pensare al ritorno tra i banchi di scuola che, anche quest’anno,
rappresenterà per le famiglie una vera e propria stangata, fino a 1.100 euro, per acquistare libri, zaini, quaderni e corredo scolastico vario per gli studenti. Negozi e supermercati di tutta Italia, spiega il Codacons, hanno già rifornito gli scaffali di tutto l’occorrente per la scuola: si va da diari e quaderni ‘low cost’ a zaini e astucci griffatissimi con le marche del momento, sempre più richieste dai giovanissimi.
In base alle prime stime del Codacons, il corredo scolastico comporterà quest’anno un maggior esborso del +1,7% rispetto al 2014.
Una famiglia media dovrà mettere in conto una spesa annua che sfiorerà i 500 euro a studente (498,5 euro), cui va aggiunto il costo per libri di testo, altra voce che inciderà pesantemente sui portafogli delle famiglie italiane, variabile a seconda del grado di istruzione e della scuola.
Tra corredo e libri di testo, denuncia il Codacons, la spesa complessiva può raggiungere e superare i 1.100 euro a studente, una vera e propria stangata per le tasche degli italiani.
Tuttavia anche sulla spesa scolastica è possibile risparmiare sensibilmente e abbattere i costi del 40% seguendo alcuni consigli utili diffusi dal Codacons.
Innanzitutto, non inseguire le mode.
In questi giorni tutte le televisioni stanno bombardando i vostri figli con pubblicità mirate agli acquisti necessari per la scuola.
Allontanateli dalla Tv e non fatevi condizionare dal mercato pubblicitario.
Non inseguendo le mode, per il corredo potreste spendere il 40% in meno, acquistando prodotti di identica qualità .
Basta non comprare gli articoli legati ai personaggi dei cartoni animati o bambole famose.
Nei supermercati si può arrivare a risparmiare fino al 30% rispetto alla cartolibreria. Andate con la lista dettagliata della spesa e obbligatevi a rispettarla.
In questo periodo, suggerisce il Codacons alcune catene di supermercati vendono i prodotti scolastici addirittura a prezzi stracciati: sono i cosiddetti prodotti “civetta”. Vengono venduti beni addirittura sottocosto, contando sul fatto che comunque finirete per acquistare anche tutto il resto.
Approfittatene, acquistando solo i prodotti civetta.
Buona idea anche rinviare gli acquisti: le scorte di quaderni e penne si possono anche comprare in un momento successivo e spesso, aspettando, si risparmia.
Per le cose più tecniche, dal compasso ai dizionari, poi, è bene attendere le disposizioni dei professori, onde evitare acquisti superflui o carenti.
Ben vengano, ovviamente, offerte promozionali e kit a prezzo fisso perchè possono essere convenienti.
Se non sono frutto di un accordo con le associazioni di consumatori, che fanno da garante, meglio confrontare comunque i prezzi e controllare la qualità del prodotto, specie per lo zaino.
(da “La Stampa”)
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Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile
SUL BAGNASCIUGA TRIONFA IL SELFIE IN COMITIVA
Bambini che piangono, telefonate ad alta voce, vento che stropiccia i giornali, palle da tennis che piovono all’improvviso. Tra cattive abitudini e contrattempi la spiaggia si rivela anche fonte di stress.
FASTIDI
In spiaggia c’è il telefonino che squilla, gente che grida, palloni che piovono all’improvviso mentre sei sul lettino e bambini che piangono.
Sono i fastidi del bagnasciuga, dove c’è chi va per rilassarsi (32%), chi per bisogno di un sano divertimento (27%) e chi addirittura perchè sogna l’anima gemella (22%)
Di sicuro, per 6 italiani su 10 (61%) in estate la spiaggia diventa fonte di fastidi che rischiano di minare la serenità della vacanza.
A farla da padrona sono molte cattive abitudini che gli stessi italiani non riescono davvero a mettere da parte come il telefonare a voce alta (47%), le chiacchierate che si trasformano in un trionfo di risate sguaiate (54%) e il giocare a racchettoni troppo a ridosso dei bagnanti col rischio di vedersi colpiti da qualche palla (45%).
Ma poi ci sono anche altri fastidi che fanno aumentare il rischio di perdere la pazienza come il vento che stropiccia il giornale (36%) o fa volare via cappellini o teli da mare (23%).
STUDIO
E’ quanto emerge dal report Spiaggia 2015 di Found! su circa 900 connazionali — uomini e donne tra i 25 e i 60 anni — attraverso un monitoraggio online con metodologia WOA (Web Opinion Analysis) per capire tendenze e comportamenti degli italiani in vacanza.
Ma qual è l’identikit dell’italiano in spiaggia?
A farla da padrone sono le comitive: il 47% dei soggetti monitorati ammette che non si muove mai da solo.
Circa uno su 4 (24%) afferma di muoversi con la famiglia e solo il 19% confessa di farlo solo con il proprio partner. Infine un buon 6% sono i temerari che partono da soli.
E parlando di mare, gli italiani dimostrano di preferire più le spiagge attrezzate (43%).
OBIETTIVI
Tra gli obiettivi della vacanza il relax totale viene prima di tutto e lo spera il 32% dei soggetti coinvolti. C’è poi chi sente la necessità di un sano divertimento (27%) e chi si augura di trovare perfino l’anima gemella (22%).
Non mancano i più attenti al benessere che sperano di rigenerare la mente dopo un anno di lavoro (6%) o dedicarsi maggiormente alla cura del corpo (6%) o quanti sentono il bisogno di stare di più con la famiglia (5%).
Di cosa gli italiani non possono fare a meno in spiaggia? Tra le attività e gli accessori assolutamente “in”, quest’anno trovano posto l’attrezzatura per snorkeling (47%) e i bastoni per i selfie (45%), veri e propri tormentoni dell’estate 2015.
Spazio anche agli ampi set di creme e prodotti per l’abbronzatura (37%), a sorpresa molto ricercati anche dagli uomini. Non manca poi l’attenzione agli accessori hi-tech, con in prima fila le cuffie in stile dj (32%) e la lotta per le cover dei cellulari all’insegna del glamour (23%).
BENESSERE
Grande spazio anche ai cultori del benessere da spiaggia, vero e proprio cavallo di battaglia di un italiano su 3 (34%). Molto gettonate sono le mini-spa con Jacuzzi in bella vista (44%) prese d’assalto indifferentemente da uomini e donne.
E se i primi sfruttano anche le palestre messe a disposizione dai lidi attrezzati (37%), il gentil sesso si concede ad ampie sedute di massaggi orientali con creme rilassanti (39%). E non mancano, specie tra gli uomini, quanti si stanno orientando sulle centrifughe vegetariane ottime per le basse calorie (24%) e di aiuto anche per il mantenimento dell’abbronzatura (21%).
SPIAGGIA
Ma la spiaggia è davvero rilassante?
Per sei italiani su 10 (61%) c’è il forte rischio di cadere vittima di alcuni “fastidi” che possono rovinare la tanto desiderata vacanza.
Fastidi che si riflettono anche con le cattive abitudini dei bagnanti. Il 47% dei soggetti monitorati non tollera quanti parlano ad alta voce al telefonino, comportamento che rompe la quiete sotto l’ombrellone.
C’è poi chi si innervosisce quando dai lettini a fianco salgono risate sguaiate e schiamazzi (54%). Mentre quasi un italiano su 2 (45%) si mostra molto insofferente quando viene colpito dalla palla di chi gioca a racchettoni.
FASTIDI
Parecchio fastidio dà anche la musica sparata dai team di animazione a un volume troppo alto in alcune ore più rilassanti della giornata come il primo pomeriggio (31%).
I più attenti al decoro poi si mostrano poco tolleranti con quanti “invadano” lo spazio altrui con lettini e teli da mare (62%) o lasciano sporco il pezzetto di spiaggia occupato (58%).
Infine ci sono anche altri “fastidi” indotti che fanno perdere la pazienza come il vento che stropiccia il giornale (36%) o fa volare via cappellini o teli da mare (23%) e il sole che va e viene quando ci si è decisi a prendere un po’ di abbronzatura (44%).
Roberta Maresci
(da “il Tempo”)
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Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile
IL DOCENTE DI FILOSOFIA: “IL RENZISMO E’ UNA DEGENERAZIONE DEL SISTEMA DEMOCRATICO”… “IL PD E’ ORMAI SOLO UNA SIGLA ELETTORALE”
Michele Prospero – un tempo editorialista del giornale del Pd – non legge più l’Unità : «È ormai un
quotidiano apocrifo», dice.
Il professore, filosofo, è un tipico gufo, non lo nega («Per Hegel è una figura positiva», rivendica), e di Renzi pensa malissimo: «Il renzismo è un fenomeno politico della degenerazione del sistema democratico».
All’Espresso, Prospero spiega il filo che lega la Bolognina di Occhetto, all’antipolitica e a Renzi, il tema del suo saggio, “Il nuovismo realizzato”.
E se il premier oggi dice che quella della società civile «è una retorica insopportabile»: «Lo fa solo strumentalmente», per Prospero, «per giustificare le nomine nel Cda della Rai».
È convinto che non si andrà ad elezioni anticipate, Prospero, e che la storiella del Renzi 1 e Renzi 2 non funziona: «I due sono in realtà la stessa cosa. Anche il Renzi rottamatore era interno al conservatorismo».
Le riforme portate a compimento? «Sono solo quelle fatte in accordo con la destra, come l’abolizione dell’articolo 18. Quelle che non piacciono ad Alfano arrancano».
Ha molto in comune Matteo Renzi, per Prospero, con Tony Blair che si scaglia contro il candidato di sinistra alle primarie dei Labour, il sessantenne Corbyn: «La prima cosa che fece Blair arrivato al governo», racconta Prospero, «fu prevedere una sala specifica al partito per gli incontri con i grandi contributori».
I toni che usa Blair contro Corbyn poi ricordano la violenza dello scontro interno ai democratici nostrani, fatto di sfottò e veri e propri insulti.
Per Prospero è la conferma che «l’operazione politica del Pd è fallita» e che la minoranza bersaniana farebbe meglio a andarsene e a partecipare alla costruzione di un soggetto a sinistra: «Sarebbe un elemento di chiarificazione».
Lei è tipico “gufo”. Nel 2012 disse che la rottamazione era un’idea fascistoide, oggi è impietoso con il “Nuovismo realizzato” edito da Bordeaux edizioni.
«Io noto che il renzismo è un fenomeno politico della degenerazione del sistema democratico. Ne è anzi il suo compimento, l’epilogo di una vicenda che ha destrutturato il sistema e i meccanismi parlamentari e decostruito il sistema dei partiti».
Nostalgia? Perchè quel modello dovrebbe esser più funzionale dei partiti leggeri, delle primarie del Pd, delle parlamentarie dei 5 stelle?
«Molte delle cose che sono oggi auspicate dai 5 stelle appartengono anche alla cultura politica dei comunisti negli anni 70, che fondava sulla partecipazione l’idea stessa della transizione al socialismo. Nella promozione della democrazia diretta, c’è il richiamo di una cultura democratico-radicale di sinistra».
Ma?
«Ma non è vero che i soggetti organizzati impedivano alla democrazia di funzionare: rappresentanza, mediazione e partecipazione diretta non sono uno in alternativa all’altro, ma sono momenti che devi combinare. Le primarie, invece, ripercorrono un’idea opposta: i partiti non hanno più una specificità . E se alle primarie di un partito di sinistra possono partecipare anche elettori di destra, ecco che è inevitabile l’arrivo al partito della Nazione».
Il titolo completo del suo ultimo saggio è “Il nuovismo realizzato. L’antipolitica dalla Bolognina alla Leopolda”. Cosa unisce la svolta di Occhetto – che credo comunque non gradisca la lettura – a Matteo Renzi?
«L’ostilità alla forma partito, la pretesa di costruire delle carovane indefinite».
Con le dovute proporzioni, immagino.
«Con l’idea di un percorso. La seconda Repubblica è nata con la polemica contro – si diceva – “la nomenclatura partitocratica”, e muore nel 2013 con “l’anticasta”. Non è un caso. Tanto nella Bolognina quanto nella rottamazione di Renzi c’è l’istanza di ripudiare la mediazione politica, in nome di entità metafisiche, dei “cittadini”, della “società civile”».
Della società civile oggi Renzi dice: «È una retorica insopportabile». Nel maggio 2012 però diceva: «Un partito che funziona dà spazio al protagonismo sia degli amministratori periferici sia della società civile». A lei che ha scritto “Il libro nero della società civile” (Editori Internazionali Riuniti) l’evoluzione dovrebbe piacere.
«Il problema è che Renzi quello che dice oggi lo dice strumentalmente, per difendere le scelte fatte nell’eleggere il Cda della Rai. Ma tutta la sua ideologia è fondata sull’ostilità alla funzione politica in quanto tale. Come giustifica Renzi le stesse riforme costituzionali? Dice “è la più grande riforma che manda a casa i professionisti della politica”».
Si è detto che quello era il Renzi 1 e che oggi c’è un Renzi 2, capace di rivendicare le nomine Rai.
«I due sono la stessa cosa. Anche il Renzi rottamatore era interno al conservatorismo. Renzi, prima e dopo palazzo Chigi, è interessato alla sola gestione del potere».
Però vanta un buon numero di riforme portate a compimento: la riforma del mercato del lavoro, la legge elettorale, la scuola…
«Leggi che ha fatto con l’avallo della destra, come sul mercato del lavoro, dove ha ricalcato la posizione che era di Maurizio Sacconi. Sulle riforme dell’era Renzi c’è sempre la stessa matrice. Su quelle più progressiste, sui diritti civili, ad esempio, che incontrano la contrarietà di Alfano, si arranca. Quello di Renzi è un governo moderato e conservatore che spaccia le sue politiche per buonsenso. È un governo nato nel mito della freschezza e del giovanilismo, nel mito – alimentato e condiviso dal presidente Napolitano – del «governo senza retroterra», di ministri cioè che non godono di un’azione di supporto di partiti. Questo mito nasconde la reale geografia del potere. Chi pesa di più rispetto ai ministri senza retroterra? Da una parte le grandi burocrazie, che hanno più potere del ministro incompetente, e dall’altra l’imprenditoria, che è entrata direttamente al governo, con le cooperative di Poletti, e le industrie di Guidi».
Non è così diverso, in questo, dal governo Letta che aveva invece una coalizione più larga, con Berlusconi organico.
«L’unica differenza tra il governo Renzi e il governo Letta è che entrambi hanno un rapporto con i poteri forti, ma con Letta prevaleva la Banca d’Italia e la finanza mitteleuropea mentre con Renzi a prevalere è la componente Squinzi. La coalizione di Letta era più vicina alla Bce, ma meno ostile al sindacato. Renzi, mantenendo il rapporto con Angela Merkel, è più orientato verso l’impresa medio-piccola nostrana, interessata soprattutto a colpire quanto rimane del potere sindacale».
Senta, Tony Blair ha scritto ai compagni del Labour: «Se Jeremy Corbyn diventa segretario sarà la fine. La posta in gioco è se il Labour resterà un partito di governo oppure no». Corbyn, 66 anni, è il candidato di sinistra alle primarie socialiste. Blair nella sua lettera elogia i sindacati che collaborano con il governo. Il Pd sta completando l’evoluzione già impressa ai Labour da Blair?
«Il Pd la sta completando in maniera anche più radicale. E se Blair non era certo un rottamatore, ma un politico esperto con 15 anni di parlamento alle spalle, ci sono molte similitudini tra i due. La prima cosa che fece Blair arrivato al governo fu prevedere una sala specifica al partito per gli incontri con i grandi contributori. Renzi organizza le cene. E se i Labour sono in crisi è proprio per l’impostazione data da Blair. La sconfitta in Scozia, l’espansione del partito ecologista e persino l’avanzata della destra populista dimostrano che i Labour non sono più in grado di intercettare l’elettorato tradizionalmente di sinistra. Se pensiamo al voto in Emilia Romagna, in Italia si sta verificando la stessa cosa».
Blair usa per Corbyn parole durissime che ricordano lo scontro interno al Pd. Che senso hanno partiti dove convivono anime così distanti, con insulti quotidiani?
«Non hanno alcun senso. L’operazione politica del Pd è fallita. Il Pd non esiste, è una sigla elettorale a cui nel territorio corrisponde una molteplicità infinita di varianti, tra micronotabili e amministratori».
La minoranza dem dovrebbe andare alla scissione?
«Sarebbe un elemento di chiarificazione. E sarebbe anche un elemento di efficenza della proposta politica. La strada è quella abbozzata in Liguria, alle ultime regionali. Senza più una sinistra credibile, di governo, è evidente che la disillusione indurrà a vedere l’unica alternativa nei 5 stelle. Non a caso Grillo cerca di mettere insieme sensibilità di sinistra – con le proposte sull’ambiente – a sensibilità di destra – con i post e le posizioni sui migranti. La funzione storica della sinistra rimane anche se non la si vuole più nominare. La prima Repubblica aveva a sinistra Berlinguer e De Martino, e al centro Zaccagnini e Moro. Che ora il massimo esponente della sinistra sia Renzi e che il centro sia Alfano la dice lunga su quanto la Seconda Repubblica sia stata caratterizzata da un costante scivolamento verso destra del quadro politico».
Luca Sappino
(da “L’Espresso”)
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Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile
HA PRESO LE DISTANZE DA RENZI SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE, HA LA SPONDA DI FINOCCHIARO NEL PD E ROMANI IN FORZA ITALIA
Congetture, supposizioni e veleni «spariranno con le prime piogge».
È con parole come queste che, tra i collaboratori di Maria Elena Boschi, si prova a spazzare via le «sciocchezze» ferragostane, tra cui il timore di un contrasto ai massimi livelli sul ddl del Senato.
Un disallineamento che opporrebbe la ministra delle Riforme, nonchè del Programma e dei Rapporti con il Parlamento, al presidente del Consiglio, nonchè segretario del Pd.
Il tema aleggiava da settimane a Palazzo Madama, finchè Roberto Calderoli ha confermato i sospetti.
Quel «furbacchione» di un senatore leghista, come lo descrivono i dem del Senato, ha dichiarato che, sulla possibilità di introdurre l’elettività diretta dei senatori, «il ministro sarebbe più rigido rispetto a lui».
Dove «lui» è appunto l’inquilino di Palazzo Chigi e «il ministro» è la Boschi, ormai riconosciuta da molti come il vero «numero due» del governo.
I suoi collaboratori derubricano ufficiosamente la suggestione di un disaccordo con Renzi ad «assurdità », così grossa da non meritare una smentita.
Ma ormai il caso è aperto e il dissidente pd Federico Fornaro prova a far leva sulla «colomba» Renzi: «Più che il gioco delle parti tra rigidi e flessibili bisognerebbe provare a portare a casa il risultato».
Come andrà a finire lo sapremo quando la Boschi sarà rientrata dalla Versilia, dove trascorre le sue brevi vacanze bersagliata dai paparazzi e rifiuta un’intervista via l’altra: «Sono chiusa per ferie».
L’estate del 2015 ha visto scorrere fiumi di inchiostro e megapixel sulla ex ragazza di Montevarchi cresciuta a Laterina, il che sembra aver rafforzato la sua immagine politica.
Fino ad accreditare la pindarica idea di una Boschi che compie il gran volo e, con freddezza e lealtà in egual dose, si affranca politicamente dal leader del Pd.
«Ha ambizioni da Merkel e ucciderà il suo Kohl» è la battuta che gira a Palazzo Madama, dove chi non la ama arriva a insinuare ambizioni così sconfinate da contemplare la poltrona di Palazzo Chigi.
E dove gli amici, glissando sulle impuntature caratteriali, ne lodano serietà e caparbietà e accreditano come il celebre tacco 12 non sia ancora scivolato su una buccia di banana.
Dopo aver portato a casa l’Italicum, l’avvocatessa toscana ha avuto un ruolo da protagonista nelle trattative sulla Rai, giocando di sponda con Gianni Letta e riuscendo a imporre Monica Maggioni contro Simona Ercolani, prima scelta di Renzi. E adesso la partita del Senato si annuncia come un passaggio decisivo per la Boschi, se davvero sogna di passare alla storia come la donna che ha mandato in soffitta il bicameralismo paritario.
«Vuole metterci l’etichetta…», borbottano gli oppositori, per spiegare la presunta rigidità con cui la ministra difende il «suo» ddl da quanti vogliono cambiarlo, siano essi i 25 bersaniani o le colombe di Palazzo Chigi.
E poichè ha fama di «secchiona» sin dal liceo, il test del Senato si annuncia come un altro esame di maturità , per superare il quale la Boschi ha rafforzato i suoi rapporti politici, a destra e a sinistra.
In Forza Italia può contare sulla solida sponda di Paolo Romani, che in più occasioni l’ha lodata anche pubblicamente.
E nel Pd, sin dall’inizio dell’esperienza di governo, la ministra ha trovato l’appoggio di Anna Finocchiaro, che ha riversato su di lei esperienza e consigli.
La presidente della commissione Affari costituzionali non fa mistero di aver preso la giovane Boschi sotto la sua ala protettrice, tanto da aver confidato a una senatrice: «Non posso farci nulla, mi è scattato il maternage ».
Un francesismo per descrivere, fuori dal politichese, quel senso di protezione proprio del rapporto madre-figlia.
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera”)
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Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile
A PAROLE TUTTI VOGLIONO COMBATTERE GLI SPRECHI, ALLA FINE PEGGIORANO SOLO I SERVIZI
Un «caso difficile». Quando era commissario governativo per la “spending review”, Carlo Cottarelli
non si era nascosto.
Nei documenti ufficiali pubblicati a settembre scorso con tutte le proposte elaborate dai suoi esperti per ridurre la spesa pubblica, quello dei trasporti locali – autobus, metropolitane, treni per pendolari – era bollato fin dall’inizio con parole che facevano trasparire un certo sconforto: un «caso difficile», appunto.
Oggi però, proprio nei giorni in cui i disservizi dell’azienda che gestisce i mezzi pubblici di Roma, l’Atac, sono finiti sui quotidiani di mezzo mondo, a Palazzo Chigi la riforma dei trasporti locali sta per tornare d’attualità .
Cottarelli ormai da novembre è tornato al Fondo monetario internazionale, dove già lavorava fino al 2013, quando si trasferì a Roma chiamato da Enrico Letta.
Il suo posto è stato preso da uno dei consiglieri economici più stretti del premier Matteo Renzi, il deputato Yoram Gutgeld.
Il suo compito è arduo: deve individuare un modo per sforbiciare la spesa pubblica in misura rilevante, dieci miliardi nel 2016, altri ancora negli anni seguenti, in modo da rendere non velleitario il piano di riduzione delle tasse annunciato da Renzi nei giorni scorsi.
Nei suoi rari interventi pubblici Gutgeld, che prima di entrare in politica lavorava come consulente alla McKinsey ed è considerato l’ideatore del bonus mensile da 80 euro per i lavoratori dipendenti lanciato dal premier, ha sempre professato fiducia nella possibilità di tagliare i costi della pubblica amministrazione, e di farlo colpendo gli sprechi, invece di ridurre i servizi.
Certo è che in autunno, quando sarà completato il progetto di riforma, i trasporti pubblici rappresenteranno un bel banco di prova per le ambizioni sue e di tutti gli uffici governativi che ci stanno lavorando.
La rivoluzione in arrivo è coperta da riservatezza e ancora non si sa se troverà posto nella legge di stabilità , dove dovrebbero essere dettagliati i 10 miliardi di tagli, oppure se verrà avviata attraverso un provvedimento ad hoc.
Secondo quanto appreso da “l’Espresso”, tuttavia, il cambio di marcia si concretizzerà in tre diversi punti, i primi due di natura strutturale, il terzo più finanziario.
Primo: le concessioni per gestire tram, bus e trasporti regionali dovranno essere affidate attraverso vere e proprie gare, dove abbiano una reale possibilità di presentarsi anche nuovi concorrenti.
Secondo: cambierà il modo con cui verranno assegnati i contributi pubblici, con l’obiettivo di favorire una maggiore efficienza e premiare i miglioramenti del servizio.
Infine il terzo principio, quello che riguarda gli aspetti finanziari: verrà rafforzata la possibilità per gli operatori di affittare tram e autobus da società di leasing, in modo che il possesso fisico dei mezzi non rappresenti un vantaggio troppo forte per i vecchi gestori, frenando la partecipazione alle gare e l’ingresso in scena di nuovi concorrenti.
Basta un’occhiata al grafico per intuire quanto la riforma, se il governo avrà la forza di farla arrivare in porto mantenendo questi propositi, potrà essere dirompente.
Tra i maggiori Paesi europei, infatti, il caso italiano spicca per due diversi fattori.
I contributi pubblici versati da governo e enti locali alle aziende di trasporto valgono una torta enorme, circa 6,5 miliardi l’anno, e a parità di servizio offerto sono molto più elevati di quelli esistenti in Francia, Gran Bretagna, Spagna e Germania.
E ancora: i costi operativi delle varie aziende municipalizzate – l’acquisto e la manutenzione dei bus, il carburante, gli stipendi di autisti e impiegati e così via – sono coperti dalla vendita dei biglietti in misura molto ridotta, in media appena il 32 per cento, mentre la Germania di Angela Merkel e Wolfgang Schà¤uble arriva a quasi tre volte tanto, l’83 per cento.
Ma c’è di più: le varie aziende che da Venezia a Torino, da Milano a Palermo trasportano i cittadini in giro per le città o le regioni dove abitano, sono dei nanetti rispetto a quelle che hanno lo stesso compito altrove.
In Francia un colosso come Transdev ha un giro d’affari pari a otto volte quello della romana Atac, la più grande d’Italia, e opera con autobus, treni, traghetti, metropolitane e automobili in car sharing in numerosi Paesi del mondo, non soltanto nella patria d’origine.
Il maggior operatore britannico, che si chiama First Group, dal 2007 ha rilevato la Greyhound, la mitica compagnia con i pullman grigi che attraversano tutti gli Stati Uniti d’America, e che qualche anno prima era finita in fallimento.
In Italia un processo di accorpamento è appena iniziato a livello locale e, a dispetto degli ingenti fondi pubblici a cui hanno accesso, molte società continuano a chiudere i bilanci in rosso, costringendo i Comuni o gli altri enti locali azionisti a fare i salti mortali pur di non farle fallire.
Il caso della romana Atac svetta su tutti, visto che l’azienda capitolina ha accumulato negli ultimi otto anni perdite per ben 1,22 miliardi di euro, senza mai vedere un bilancio in pareggio.
Ma le curiosità non mancano in ogni lembo d’Italia.
Perchè anche la veneziana Avm, che possiede il grande parcheggio di piazzale Roma e controlla la società dei vaporetti che si muovono nella laguna, a dispetto dell’enorme flusso di turisti che si riversa sulla città da tutto il mondo in ogni singolo giorno dell’anno, figura tra le società in perdita, avendo accumulato nel biennio 2012-2013 un buco totale di 20 milioni (prima era quasi sempre in pareggio).
Uno dei motivi per cui la situazione del settore è così disastrosa dipende dal fatto che, prendendo i contributi semplicemente per il servizio offerto sulla carta, molte aziende locali non si sono mai preoccupate di far pagare i biglietti agli utenti, cosicchè il numero di furbetti è molto alto.
Ora la riforma vuol affrontare questa grave mancanza, al fine anche di alleggerire il flusso di contributi pubblici che alimenta il sistema.
Si vorrebbero invertire le regole con cui le concessioni vengono disegnate, mettendo al centro le esigenze dei viaggiatori: se l’azienda di turno sarà inefficiente, beccherà meno contributi.
L’idea è anche quella di risparmiare, riportando in linea con la media europea la composizione dei ricavi delle società che forniranno i servizi: metà dovrebbe venire da fondi pubblici (dal 60 per cento e passa attuale), il resto dai biglietti.
Portare a casa questa vittoria, tuttavia, per il governo Renzi sarà arduo.
Un problema è che le tariffe rischieranno di aumentare, come ha detto Cottarelli in una recente intervista: «Se necessario si possono dare dei sussidi agli utenti a basso reddito, ma non è possibile mantenere dei prezzi che non coprono i costi», ha spiegato.
Poi ci sono questioni più strettamente industriali.
Se in teoria nuovi operatori, stranieri o italiani, privati o pubblici, nati magari dall’unione di diverse municipalizzate, potranno aggiudicarsi le gare per effettuare il servizio in una città dove prima non c’erano, le sfide che si troveranno davanti saranno impegnative.
Un esempio viene da un’altra disastrata azienda del campione analizzato da Mediobanca, la Cotral, la società di proprietà della Regione Lazio che fornisce il collegamento tra la capitale e le altre province.
A pagina 135 dell’ultimo bilancio disponibile, relativo al 2013, c’è uno specchietto che mostra l’anno di immatricolazione dei 1.599 pullman in dotazione.
Ce n’è uno del 1984, quattordici del 1987 e ben 344 del 1990.
Nessuno è successivo al 2010.
Se per ipotesi un nuovo operatore si aggiudicasse la gara e dovesse farsi carico delle attuali attività della Cotral, avrebbe ingenti investimenti da fare per rinnovare un parco mezzi molto costoso, sia in termini di carburante che di manutenzione.
E ancora, come in tante imprese pubbliche, c’è una questione relativa al personale.
Sempre nel 2013 Cotral ha dovuto sopprimere corse per un numero di chilometri pari all’8 per cento di quelli effettuati.
Il motivo? In quasi quattro casi su cinque la mancanza di personale per «malattia, rinuncia agli straordinari, ritardi in servizio e assenze arbitrarie».
Non solo i trasporti pubblici assorbono molti miliardi pubblici ma, a volte, il servizio può essere davvero pessimo.
Cambiare si deve, dunque, ma riuscirci non sarà facile.
Luca Piana
(da “L’Espresso“)
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Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile
IN UN’ITALIA DOVE RIFIUTI UMANI INCITANO ALL’ODIO, L’INSEGNAMENTO DI CHI SA ESPRIMERE SOLIDARIETA’
Ha vinto Angelo, un meticcio di 4 o 5 anni, che ha vegliato Dasy, la cagnolina sua compagna uccisa da un’auto.
Il Premio Internazionale Fedeltà del Cane di S. Rocco di Camogli è così andato a un animale che ha dimostrato un’umanità maggiore di molti “due zampe”.
Angelo ha avuto una vita travagliata, costellata di sofferenze e privazioni.
L’undici luglio, per fortuna, per lui il vento è girato: è stato adottato da Annalisa Maschi, attraverso la pagina Facebook di “Plf”, ovvero il “Pelosi Liberation Front” che ad ora conta più di 50mila adesioni.
Angelo è un bel cagnolone dal dorso nero e le zampe marroni. È un meticcio, anche sei i tratti prevalenti sono quelli di un pastore tedesco.
La sua storia era balzata mesi fa agli onori delle cronache, ripresa anche dai media nazionali.
Avevano commosso le sue fotografie mentre vegliava il corpo ormai senza vita della cagnetta con la quale da tempo era ormai inseparabile.
Non voleva saperne di lasciarla sola, lì a Vallo della Lucania, sulla strada dove una macchina l’aveva falciata.
Le stava incollato, fedele come solo un cane (o comunque un animale) sa essere.
In un Paese dove in Tv qualche rifiuto umano istiga ogni giorno all’odio verso i propri simili, Angelo ci dimostra cosa voglia dire la solidarietà e l’amore.
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Agosto 16th, 2015 Riccardo Fucile
RISORSE INSUFFICIENTI, IL GOVERNO RIDUCE E LA GENTE MUORE
Le risorse stanziate dalla Regione Sardegna e devolute ai Comuni, non sono state sufficienti per
garantire la presenza dei bagnini, neppure per mettere la bandiera rossa in caso di pericolo.
Il comandante della Capitaneria di porto di Oristano, il capitano di fregata Rodolfo Raiteri, aveva avvertito del pericolo.
Ma non è bastato ad evitare la tragedia.
E così oltre al dolore per la morte di Vincenzo Curtale, 41 anni, già soprannominato l’eroe di Ferragosto, per aver dato la vita pur di salvare due giovani che stavano annegando nelle acque di San Giovanni di Sinis, esplode la polemica sull’assenza di bagnini nelle spiagge dell’oristanese. È di giugno, infatti, la delibera della Regione che, come si legge, su La Nuova Sardegna:
“Ha prolungato la stagione turistica e dall’altra ha invece tagliato ai Comuni e alle Province le risorse che venivano utilizzate proprio per allestire le postazioni di salvamento a mare lungo le spiagge”
Già in quell’occasione la Capitaneria aveva espresso perplessità e preoccupazione e si era impegnata nell’operazione Mare Sicuro, al fine di “garantire le emergenze e i controlli anche nell’Area marina del Sinis”.
“Invitiamo tutti alla prudenza e al rispetto delle normative di legge”.
Un avvertimento che non è bastato.
(da “Huffingtonpost“)
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