Settembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
IL DIKTAT DEL CAPOCOMICO: “PUOI PARLARE SOLO DELLA RAI”… LA REPLICA: “ALLORA NON PARLO PER NULLA”… LE VOTAZIONI SONO STATE UN FLOP: TRA 60.000 E 70.000 VOTANTI, MENO DEGLI 87.216 DEI VOTANTI SUL NON STATUTO
Roberto Fico può parlare, ma solo di telecomunicazioni. A queste condizioni in mattinata, a poche
ore dall’inizio di Italia 5 Stelle, Beppe Grillo, dopo le tensioni degli ultimi giorni, ha deciso di allargare agli ortodossi il palco della kermesse di Rimini con l’impegno di non esagerare nei toni.
E infatti il pugno duro di Beppe Grillo e Davide Casaleggio nei confronti degli scettici e dei dissenzienti rispetto all’investitura di Luigi Di Maio è rimasto intatto.
Non vuole deviazioni dal tema, il fondatore del Movimento sempre più convinto del passo indietro a favore di Luigi Di Maio: “Resto il papà di tutti, ma spazio ai trentenni e ai quarantenni”
Roberto Fico, da giorni in silenzio, decide di non stare alle condizioni dettate da Grillo non condividendo la scelta di incoronare Di Maio nuovo capo politico.
Ed è così che all’apertura delle porte della kermesse il presidente della commissione di Vigilanza Rai non compare più nella scaletta, modificata rispetto a quella della mattina.
Al suo posto ci sono Mirella Luizzi e Gianluca Castaldi. Dal canto suo il leader M5s non ha fatto nulla per convincerlo.
Anzi, irritato dal fatto che nei giorni della sua permanenza a Roma Fico non sia andato a parlargli di persona, la rottura tra due al momento sembrerebbe totale.
E dunque il palco diventa off limits per il leader degli ortodossi.
Resterebbe in programma il suo intervento al villaggio Rousseau nella sezione riguardante l’interazione con gli attivisti. Ma il condizionale, dato lo scontro che si sta consumando in queste ore, è d’obbligo.
Gli interventi dal palco grande in tutto saranno una cinquantina nei tre giorni di kermesse riminese. Divisi in quelli che chiamano slot. Vale a dire temi. Nessuno dell’ala che fa capo a Fico potrà approfittare della scena per lanciare qualche frecciata contro la svolta moderata di M5S e contro il passaggio di consegne di tutti i poteri a Di Maio.
Sulla cui investitura piena Grillo non intende fare passi indietro pur trattandosi di una vittoria dimezzata considerato il basso numero dei votanti. Tanto è vero che in un post sul blog il leader scrive: “La partecipazione” alle primarie online su Rousseau “è stata tra le migliori di sempre”.
Parole che sembrano nascondere un obiettivo fallito: quello di superare il record di 87.216 click raggiunto con il voto, nel settembre dell’anno scorso, sulle modifiche del Non Statuto.
La quota 100mila votanti (gli iscritti sono circa 140mila) sembra essere quindi lontana, anzi pare si sia fermata tra i 60mila e i 70mila votanti.
Eppure in un tweet Grillo cita Gaber: “La libertà è partecipazione”. E poi ancora attacca i giornalisti: “La notizia è che non c’erano correnti che si confrontavano, ma persone che si proponevano”. Sui voto rallentato slittato di un giorno aggiunge: “La nostra casa era difesa come una fortezza”, sottolinea il blog raccontando di aver “notato tentativi di attacchi” hacker che, però “sono stati respinti”. Le tracce di tali attacchi “saranno identificate dalla nostre telecamere di sicurezza virtuali” e saranno “prontamente girate alla polizia postale”.
Di questo parlerà il leader M5s quando durante la kermesse si ritaglierà come sempre la parte del mattatore, che sale sul palco, scende, risale, collega fra di loro i vari interventi, canticchia e così via. Vorrà mostrare di esserci, esattamente come sempre. Deve rassicurare la base.
Sotto al palco ci sarà appunto la base, cioè tutti quegli attivisti che inevitabilmente entreranno in contatto sia con l’ala govenista del partito sia con chi è rimasto movimentista. Una base a tratti stufa dei litigi da nomenclatura.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
LA NATURA AUTOREFERENZIALE DEL M5S NON CONCEDE DEVIAZIONI, I CONFINI SONO SEGNATI DAI CAPI AZIENDA
Si coglie una fatale legge del contrappasso in queste primarie del Movimento 5Stelle. In un giorno i grillini sono riusciti a smontare i miti su cui hanno costruito il loro successo. L’idea che il “sol dell’avvenire” potesse sorgere solo sul web si è sciolta nelle inefficienze della famosa piattaforma Rousseau.
Quel sistema vagheggiato come se potesse essere la nuova frontiera della politica si è inceppato alla prima prova concreta.
Come un burocratico ministro dell’Interno incapace di organizzare anche i tradizionali seggi elettorali, il blog di Beppe Grillo ha dovuto annunciare che per motivi tecnici le operazioni di voto per scegliere il candidato premier – ossia Luigi Di Maio – si sarebbero protratte di altre diciassette ore.
È evidente che i disguidi pratici non rappresentano il deficit più autentico del M5S. Il cuore delle incongruenze grilline trova origine nei proclami fideistici verso la democrazia di internet. E in un’interpretazione sbrigativa dei pilastri della rappresentanza politica.
Meno di cinque mesi fa, proprio il leader del Movimento 5Stelle aveva solennemente annunciato: “Grazie alla tecnologia oggi è possibile votare online, un sistema molto più comodo rispetto a quello dei seggi fisici”.
E scagliandosi contro la “antistorica” scheda cartacea aveva puntato l’indice contro gli avversari: “Per questo non è stato fatto nessun passo in avanti per semplificare la burocrazia”. Ma la rete non è un demiurgo che tutto risolve. La tecnologia, se applicata alle istituzioni, può funzionare solo se guidata da principi e ideali.
Dinanzi a queste mancanze, l’incapacità di mettere a punto un normale sistema di consultazione degli iscritti è solo una parte del problema. Queste primarie farsesche ripropongono infatti il nucleo più profondo della questione grillina: la loro idea di democrazia.
Un tema che i vertici del Movimento 5Stelle ignorano deliberatamente. Lo considerano un orpello, una scusa per frenare la loro ascesa. Per i pentastellati, tutto è semplice.
O meglio tutto può essere banalizzato e non deve essere complicato da inutili sovrastrutture o procedure. La loro epica del web, del resto, si pone un obiettivo primario: semplificare anche ciò che è naturalmente complesso. E in questa semplificazione si perdono troppo spesso i caratteri genetici di ogni democrazia. La trasformano in una mistificazione.
Le primarie hanno mostrato con evidenza i segni di questa degerazione. Una manifestazione che si è sviluppata su due piani diversi.
Quello tecnico, appunto, e quello politico. Due profili separati ma che inevitabilmente si intersecano.
Il ritardo “tecnico” con cui si è votato, infatti, ha posto il problema di ogni elezione: con quali garanzie si vota. Se un sistema tecnologico si blocca, funziona male. Chi ha espresso la sua preferenza, dunque, non ha alcuna certezza che quell’indicazione sia stata rispettata. Il diritto alla trasparenza che ogni elettore dovrebbe avere è stato palesemente violato.
Per un movimento che invocava ogni scelta in streaming è davvero il colmo far votare i suoi iscritti e poi tenere nascosti i risultati per 48 ore. In quale democrazia accade una cosa del genere?
Perchè la “comodità ” del voto online non si traduce in una immediata comunicazione dei risultati? Quali assicurazioni – ad esempio di segretezza ed integrità del voto – può fornire un sistema che si inceppa perchè in troppi vanno a votare e gli scrutatori si conservano le schede “virtuali” per due giorni?
Tenendo presente che gli aventi diritto non erano una folla sterminata ma solo 140 mila tesserati.
Il secondo profilo è ancora più preoccupante. Costituisce il nucleo delle contraddizioni pentastellate.
Una competizione in cui figura un solo vero concorrente, non è mai regolare. In quel caso le elezioni assumono altre denominazioni: indicazione, imposizione, plebiscito. Di Maio, quando finalmente sarà proclamato il vincitore di questa “corsa”, non potrà definirsi un “eletto”.
È stato scelto e imposto da Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Queste non sono primarie ma una specie di congresso a candidatura unica.
Senza contradditorio, senza concorrenza, senza politica. Più simili alle acclamazioni con cui venivano “selezionati” i capi dei partiti comunisti dell’est Europa prima della caduta del Muro di Berlino che alla votazione di un moderno e occidentale soggetto politico.
Il risultato è appunto il simulacro di un modello democratico.
Del resto solo pochi mesi fa, dinanzi allo scontro che si è consumato in Liguria all’interno del Movimento 5Stelle, Grillo ha compiuto la sua scelta e imposto il suo candidato con una giustificazione che non ha nulla che vedere con la democrazia: “Fidatevi di me”.
Anche stavolta l’ex comico ha detto ai suoi sostenitori: “Fidatevi di me” e votate Di Maio. L’unica fonte battesimale è la sua.
Probabilmente l’M5S non può che funzionare così.
Il capo ordina e gli attendenti seguono.
La natura autoreferenziale e integralista del Movimento non permette aperture, non concede deviazioni.
Tutto deve essere giocato dentro i confini segnati dall’ex comico e da Casaleggio. E in questo quadro la prima condizione da evitare è la contendibilità del vertice. Una leadership estranea al grillismo non è autorizzata.
Il confronto, anche aspro, non è ammesso. Agli iscritti è consentita solo una democrazia formale, privata dei suoi nervi vitali.
Per il gruppo pentastellato, evidentemente questa non è solo la prova del nove per vincere le prossime elezioni politiche. È qualcosa di più. Tutto viene vissuto come se fosse la sfida finale. La prima e ultima occasione per scalzare i partiti tradizionali e salire le scale di Palazzo Chigi. Convincere ora di poter essere il governo degli italiani perchè in caso di sconfitta, il Movimento non sarebbe più in grado di reggere un’altra stagione all’opposizione. Una partita del genere si gioca chiudendo tutta la squadra nelle ferree regole del grillismo e certo non aprendola.
“I partiti politici, essenziali per i sistemi democratici forti – scriveva tre giorni fa Moises Naim sul New York Times – , sono una specie in pericolo. Le democrazie hanno bisogno dei partiti politici. Abbiamo bisogno di organizzazioni in grado di rappresentare interessi e punti di vista diversi”.
E forse non è un caso che i grillini considerino un’offesa la definizione di “partito”.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
IL GIOVANE DI 30 ANNI HA SUBITO LA FRATTURA DELLO ZIGOMO MENTRE STAVA RIENTRANDO AL CENTRO DI ACCOGLIENZA… UN GOVERNO IMBELLE, INCAPACE DI METTERE I RAZZISTI IN GALERA
Ancora violenza nei confronti di un profugo. 
Ancora Roma, ancora Tiburtino III.
Mercoledì sera un 30enne eritreo ospite del presidio della Croce Rossa di via del Frantoio è stato aggredito mentre stava rientrando nel centro d’accoglienza.
Il giovane è stato avvicinato da un’auto, con quattro giovani a bordo.
Prima sono arrivati gli insulti — l’hanno chiamato “negro”, ha raccontato la vittima — e poi un pugno in pieno viso.
Gli aggressori l’hanno lasciato con l’occhio destro contuso e una probabile frattura al naso, forse da operare.
Il giovane ha al momento una prognosi di 30 giorni.
L’accaduto è stato denunciato dalla stessa Croce rossa. “Quest’episodio ci lascia sconcertati”, ha commentato Debora Diodati, presidente della Croce rossa di Roma, “va fatta luce e chiarezza su questa vicenda. Chi alimenta tensioni faccia un passo indietro”.
Ma più che passo indietro, qualcuno dovrebbe fargli fare un passo avanti, verso la galera.
Ma il gpverno è troppo impegnato a foraggiaare le milizie criminali libiche per ricordarsi che esiste una legge in Italia che punisce (in modo blando peraltro) i razzisti.
Il Tiburtino III, quartiere nella periferia est della capitale, è lo stesso dove a fine agosto un gruppo di residenti ha tentato l’assalto al presidio di via del Frantoio dopo che tre ragazzi avevano raccontato ai parenti di aver subito un’aggressione con lancio di sassi da parte di un profugo ospite del centro.
Episodio del tutto inventato, dato che le forze dell’ordine appurarono successivamente che era stata una donna italiana a ferire un eritreo di 40 anni con una coltellata nella schiena.
Ovviamente chi ha fomentato i disordini taroccati è ancora a piede libero.
E’ la legalità versione Minniti.
(da agenzie)
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Settembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
CENTINAIA DI PROFILI DI LICEALI INSIDIATE SULLE APP PIU’ DIFFUSE DA UOMINI ADULTI IN CERCA DI SESSO A PAGAMENTO…E’ L’ITALIA DEI VALORI CHE DOBBIAMO DIFENDERE DALL’INVASIONE
Adescate e poi «comprate» per poche decine di euro.
Prima per foto erotiche, poi per video hot e infine per sesso a pagamento in auto, nelle strade isolate della città .
È il mondo virtuale delle chat che travalica regole, leggi, pudore e diventa una trappola per ragazzine poco più che adolescenti della Napoli bene che si «vendono» anche per dieci euro, per ricariche cellulari e per acquisti on line.
È bastato scaricare sul telefono cellulare due delle applicazioni gratuite per conversazioni più conosciute in Italia tra i giovanissimi che permettono l’iscrizione anche a minorenni.
Scegliere come foto del profilo quella di una ragazza qualunque voltata di spalle e ripresa da lontano, scaricata dai più comuni motori di ricerca, una foto anonima, innocua.
Inserire poi nome, cognome e data di nascita alterati: 28 ottobre 2000 e diventare con un clic Fabiola Senatore.
«La liceale Fabiola»
Lei si descrive come una ragazzina ingenua di 16 anni, studentessa del liceo classico Umberto, che spesso frequenta la zona dei «Baretti» di Chiaia e a volte piazza Vanvitelli al Vomero e che per cercare amici, trovare serate, o semplicemente per parlare con i suoi compagni di classe, decide di addentrarsi in un mondo oscuro «frequentato» da coetanee audaci, moltissime della sua scuola, e da uomini in cerca di brividi e di sesso con minorenni, anche a pagamento.
Ed è così, con estrema semplicità , che Fabiola cercando gruppi di ragazzi e ragazze di Napoli e dintorni, si trova a raccontare a chi la contatta in privato, che non «le piace tanto studiare», che i suoi «genitori sono separati», che è in chat «per curiosità » e che è la «prima volta» che decide di raccontare un po’ dei «suoi guai» a qualche sconosciuto, perchè «a volte si sente sola», perchè «così non ci si espone fin troppo» e perchè si possono raccontare bugie e non essere scoperti e perchè no «trovare amici», o addirittura «un amore», perchè anche se molto bella «bionda, occhi azzurri e spigliata», Fabiola è «molto romantica».
Un amo senza neanche l’esca lanciato nel mare virtuale con migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze e in una sola notte a Fabiola le sono arrivati oltre cinquanta messaggi privati.
Solo uno di loro ha deciso di non proseguire nella chiacchierata perchè Fabiola è minorenne circostanza che scrive in chat ogni qualvolta viene contattata da qualche ragazzo.
Ma sono centinaia le ragazze che vengono adescate in chat da uomini adulti, così come abbiamo verificato sulle app nel corso della nostra indagine.
Sms, inviti, videochiamate
«Ho 16 anni e il 28 ottobre ne compirò 17». Pensa di sentirsi sicura, cose le può mai accadere in chat, mentre fissa un telefono cellulare chiusa nella stanza della sua camera da letto o sul divano davanti al televisore con sua madre accanto? Nulla, pensa. Ma si sbaglia.
E allora inizia la maratona di sms, inviti, chat, videochiamate, richieste di ogni tipo, anche sessuali.
E l’eta non è mai un limite, anzi, sembra eccitare ancora di più i «predatori» virtuali.
E lei non è a più giovane: in chat ci sono anche tredicenni della Napoli bene che si offrono. Viene contatta costantemente ad ogni ora del giorno e della notte.
«Ho 38 anni. Mica sono vecchio per te?»
La risposta che Fabiola dà alla domanda: «Che stai facendo?» è ingenua: «Cosa vuoi che faccia a quest’ora della notte? Dormo».
Ma dall’altro lato c’è un 38enne che dice di essere di Avellino e che forse di anni ne ha molti di più e che come foto profilo ha il disegno di una coppia che sembra fare sesso ma è molto ambigua come tutta la sua conversazione: «A letto si possono fare tante cose».
Ma lei gli ricorda di essere piccola, minorenne. Ma questo non è un problema perchè «stiamo solo parlando». E insiste: «Mica sono vecchio per te?». Fabiola è seccata: «No». Lui tergiversa su argomenti che sfiorano la sfera sessuale fino ad inviare la prima delle tante foto che Fabiola riceverà in sette giorni di chat: è vestito, disteso sul letto, con i jeans attillati. «Così finisce male, giovane», le dice. «Male in che senso?», chiede lei. «Con una s.», risponde secco lui.
Ma l’uomo di Avellino è solo il primo di una lunga serie di uomini pronti a tutto pur di prendere da Fabiola ciò che lei continua a non volere dare a nessuno.
Le due applicazioni per chat sono scaricate da milioni di utenti che le usano per conversare, scambiarsi informazioni in modo assolutamente innocuo.
C’è chi invece ha voglia di altro. In una delle tante conversazioni che Fabiola decide di spulciare ce n’è una di un ragazzo che esordisce spiegando di avere grandi doti sessuali e forme allettanti, al che Fabiola dice di avere 16 anni.
Lui prima afferma di averne 36 e poi 22. Non demorde, come fosse impazzito continua e dopo pochissimi secondi di conversazione invia la foto del suo sesso. «Cavolo ma ho 16 anni», dice lei. «Ok smetto», risponde.
Salvo poi continuare un’ora dopo chiedendo una videochiamata privata: «Sono single e volevo divertirmi un po’».
«Hai mai fatto sesso?»
Fabiola non vuole mostrarsi, non vuole raccontare cose intime di lei e stacca la conversazione. Ma lui, che forse ha più dei suoi 32 anni che all’inizio ha dichiarato di avere, continua con i messaggi: «Hai mai fatto sesso? Sai che ti farà male quando lo farai?». E alle 12 in punto scatta la videochiamata mentre si masturba.
Ma purtroppo la giornata è ancora lunga per Fabiola che scrive adesso ad un ragazzo di Casoria i suoi gusti, le sue frequentazioni e che quel giorno non è andata a scuola perchè con la febbre.
È lui a spiegarle che esiste un mondo oscuro, nascosto ai tantissimi genitori, che ruota attorno ad innocue chat dove milioni di ragazzi si scambiano messaggi assolutamente anonimi, senza lasciare i propri dati, senza numeri di telefono ma che nascondo giri di perversioni pericolosi.
«Ti faccio una ricarica per fare acquisti online»
Fabiola è curiosa perchè tutti le hanno chiesto foto in costume, in pantaloncino, in intimo e vuol sapere se poi è così facile che le ragazze come lei si mostrano così in chat.
Il ragazzo di Casoria dopo un po’ di titubanza si apre, fidandosi di lei e le spiega che anche a lui è capitato di «comprare» foto per dieci euro, così di organizzare incontri per 20 euro «anche solo sfregamenti o solo un completino intimo visto dal vivo. Basta che ti alzi un poco la maglietta e abbassi il pantaloncino. Io faccio solitamente una ricarica di dieci euro per poter fare acquisti on line, anche ricariche al cellulare ma è più rischioso perchè devi darmi il tuo numero di cellulare».
E il giro è vasto, tanto che lo stesso ragazzo dice di averlo fatto più volte: «Mi è capitato altre volte di regalare buoni».
Fabiola allora rincara la dose e fa intendere che potrebbe interessarle la proposta e di voler coinvolgere anche la sorella: «Lei ha 14 anni e io 15, non 16».
Il giovane di Casoria crede di aver vinto la lotteria, impazzisce, e propone decine di alternative a prezzi che arrivano anche a 100 euro: «Basta che non abbiate meno di 14 anni».
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
DOPO LE DUE BATOSTE ELETTORALI E L’ADDIO DELLA NIPOTE MARION E IERI DEL VICE PHILIPPOT, MARINE NON E’ PIU’ CERTA DI RICANDIDARSI
L’uscita dall’euro non è più “una precondizione” al programma del Front National: il giorno dopo
l’uscita dal partito dell’ideologo e vicepresidente Florian Philippot — che dell’abbandono della moneta unica faceva il suo cavallo di battaglia — Marine Le Pen cambia strategia.
La priorità è il ritorno alla “sovranità territoriale” — ha detto a BFM-TV — alle “frontiere non solo migratorie ma anche economiche”. La sovranità monetaria “concluderà il processo — ha aggiunto — abbiamo invertito il senso delle priorità ”.
La presidente del Front National, Marine Le Pen, si è anche per la prima volta detta “pronta a cedere il posto” se un candidato o una candidata migliore di lei emergesse prima delle presidenziali 2022.
“Sono una politica che lavora e si batte — ha detto stamattina alla radio France Info — senza lesinare tempo ed energia, per difendere i francesi da tanti anni. Se sarò quella in posizione migliore per portare avanti le nostre idee sarò di nuovo candidata. Se ci sarà qualcuno meglio di me gli cederò il posto”.
Ma la notizia di ieri è stata l’addio al Front National del suo fido numero 2 e “ideologo” del Front National, Florian Philippot.
Come ampiamente anticipato, il doppio rovescio elettorale — a maggio la sconfitta alle presidenziali di Marine Le Pen, a giugno quella alle politiche, dove il FN non è riuscito neppure a formare un gruppo parlamentare di 15 deputati — ha fatto esplodere lo scontro con Marine che era nell’aria da tempo.
Sconfitta e umiliata nel faccia a faccia in tv da Emmanuel Macron, la presidente del Front aveva espresso l’esigenza di eliminare dal programma del partito la richiesta di uscita dall’euro: un’ipotesi alla quale sono contrari due terzi dei francesi e sulla quale lei stessa si era gravemente impantanata nel dibattito in tv con Macron.
Fu il primo dissidio aperto con Philippot, il quale — fermo nell’idea che l’euro sia il nemico dei popoli — pose il veto, minacciando di andarsene se il FN avesse rinunciato alla crociata contro la moneta unica.
Il Front National ha visto soltanto pochi mesi fa l’addio della figura più promettente del gruppo, la nipote Marion Marechal-Le Pen, legatissima al nonno Jean-Marie. “Prendo atto della sua decisione, per me non è una sorpresa, ma contesto la sua versione e le accuse che fa”, ha commentato Marine Le Pen, che adesso dovrà preparare un congresso cominciando da zero.
Nessuno deve fare “del vittimismo”, ha aggiunto, sostenendo di aver fatto “tutti i tentativi possibili per riportare Philippot alla ragione”.
“Non mi rallegro”, ha detto, ancora una volta in antitesi con il padre Jean-Marie, che ha subito esultato: “Con Philippot sparisce un motivo di debolezza, e io me ne rallegro”.
Nei giorni scorsi aveva capito che per lui non c’era più spazio, da quando Marine gli aveva intimato di lasciare la presidenza del suo movimento “Les Patriotes” e da quando era finito nell’occhio del ciclone per il “couscous-gate”, la polemica per le foto mentre mangia couscous in un ristorante di Strasburgo, “tradendo” i piatti della tradizione locale come la choucroute, e facendo imbestialire gli “ortodossi”.
(da agenzie)
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Settembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
DI MAIO E CANCELLERI A PIAZZA PULITA HANNO DICHIARATO IL FALSO… LA SOVRINTENDENTE AI BENI AMBIENTALI: “NON ABBIAMO DATO ALCUNA SANATORIA”
Nei giorni scorsi Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri, ospiti a Piazza Pulita, avevano dichiarato
che la casa di Patrizio Cinque e dei suoi genitori era stata sanata e non era più abusiva, sostenendo che Cinque avesse anche querelato chi aveva detto bugie su questa vicenda.
Ieri a Piazza Pulita Luca Bertazzoni, inviato a Bagheria, ha sentito il padre di Patrizio Cinque, il quale ha affermato che la palazzina abusiva di proprietà della famiglia del sindaco era stata sanata (anche se non ha voluto mostrare i documenti), e poi ha telefonato alla soprintendente ai beni ambientali Maria Elena Volpes, che invece ha detto tutt’altro: «Noi non abbiamo dato nessuna sanatoria, loro hanno presentato una richiesta, noi abbiamo scritto al Comune perchè abbiamo bisogno che si esprimano su alcune cose che abbiamo chiesto. Senza, non possiamo esprimerci. Sono parecchi mesi che abbiamo scritto. Ma non c’è alcuna sanatoria».
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
ASCOPIAVE, COLOSSO DA 500 MILIONI DI RICAVI CONTROLLATA DAI COMUNI LEGHISTI FEDELISSIMI DI LUCA ZAIA.. LE FAIDE PER LE POLTRONE, INCARICHI E PARENTI
Matteo Salvini è sul piede di guerra. Ai duri e puri di Pontida non va giù la storia del sequestro dei conti alle federazioni regionali, a poche settimane dal referendum in Lombardia e Veneto poi, una carognata.
Vero è che — come dimostra quel recente passato tempestato di diamanti — la Lega è ricca anche quando sembra alla canna del gas.
Di ricchezze che non mette a bilancio, come quelle che le arrivano indirettamente grazie alle società pubbliche che occupa e usa come bancomat e poltronifici.
Eccelle nello sport il Veneto di Luca Zaia, dove il Carroccio può permettersi ancora notevoli lussi, come catapultare sulla poltrona di presidente di una società da 17 milioni di fatturato un ex assessore alla caccia con la terza media.
Il suo compenso da 100mila euro finisce nella bolletta dei trevigiani.
Succede all’ombra di Ascopiave, multiutility che nasce 65 anni fa per iniziativa di alcuni sindaci a Pieve di Soligo, nella marca Trevigiana.
Oggi è un colosso energetico nazionale con 7.300 km di rete, un milione di clienti, 57 milioni di utile netto e 500 di ricavi.
All’ombra del quale molti leghisti si sono fatti il nido. E dal cui fusto gemmano i gigli magici di turno. I suoi rami si estendono con 18 società , la maggiore è AscoPiave Spa, quotata dal 2006 con un flottante del 33% circa e il resto controllato da AscoHolding, la holding del gruppo, che a sua volta è controllata per il 90% circa dai Comuni della Provincia di Treviso (e per il 10% da un socio privato, Pavisgas).
Ora, è facile capire che in una provincia dove su 95 comuni 55 sono in mano alla Lega Nord quali mani controllino le leve di questo gigante.
Facciamo una mappa, due conti e diversi nomi.
Politici e fedelissimi con le chiavi della cassaforte
Dal 2011 e fino a pochi mesi fa, per due mandati, ha avuto come presidente Fulvio Zugno, un leghista doc, ex assessore al Bilancio a Treviso coi sindaci Gobbo e Gentilini.
Di lui si ricorda la proposta, nel 2004, di uno sconto sulla tassa per i rifiuti valido solo per gli italiani, non per gli stranieri anche se regolarmente residenti sul territorio.
Nel 2014 Zugno viene nominato anche ad e si porta a casa 80mila euro da presidente e altri 180 da amministratore del gruppo. Più incentivi e bonus. Lasciamolo lì per un momento.
L’ex assessore al bilancio di Treviso infatti viene sostituito dall’ex assessore al bilancio del comune di San Vendemiano, che sta lì a 40 km.
Nicola Cecconato è un fedelissimo di Zaia che il governatore si portò anche al Ministero dell’Agricoltura come consulente e recordman di incarichi. Ne aveva collezionati ben tredici: presidente dell’Istituto di Sviluppo agroalimentare, sindaco di Rai Trade e di Veneto Acque, supplente di Coniservizi, collegio sindacale di Ater Treviso e di Asco Tlc, revisore unico di Veneto Infrastrutture Servizi e dei Comuni di San Biagio di Callalta e di Paese, presidente del collegio dei revisori a Mogliano. Come non dare anche a lui 260mila euro l’anno?
Nello stesso cda siede anche Dimitri Coin, nientemeno che il segretario stesso della Lega Nord Treviso che, dando le direttive ai sindaci che votano nella holding, quasi si autoelegge: per lui il compenso è di 50mila euro.
Che non sono pochi visto il cv: niente laurea, ma un’esperienza nel settore agro-vivaistico dal 1990 e dal 1998 nel settore immobiliare.
Vuoi non farne il consigliere di amministrazione di un gruppo da 500 milioni di ricavi?
La carica dei riciclati in Ascotrade
E passiamo alla controllata Ascotrade, società di fornitura di gas naturale ed energia, in cui si sono susseguiti leghisti da sempre.
Il dominus oggi è Stefano Busolin, ex assessore Provinciale alla caccia e alla Pesca quando Zaia era ancora presidente della Provincia.
I due sono grandi amici, tanto che Zaia lo ha voluto come capolista alle regionali della primavera 2015 dove non verrà eletto, ma ecco che sarà indicato come presidente del Cda dal 2009. Compenso? 80mila euro l’anno (nel primo mandato), più carta di credito aziendale, più auto aziendale (mica una Micra, ma una Audi A6), corsi d’inglese e manageriali a spese dell’azienda. Rinnovato nel 2014 per il secondo mandato, si è aumentato lo stipendio a 100mila euro.
Ventimila in più l’anno che fanno circa 10mila euro al mese, una bella somma per un manager con la terza media.
Ma Busolin, come detto, ha il merito di aver guidato la lista Zaia alle regionali. E’ evidente che tra i cento dipendenti della società non ci fosse candidato migliore al ruolo di un politico riciclato col più basso titolo di studio possibile.
Prima di lui alla presidenza c’era Luca Baggio, sempre 80mila euro, altro leghista trevigiano che si è poi dimesso per diventare consigliere in Regione. E prima ancora Francesco Pietrobon, compaesano di Busolin e sindaco di Paese, dove questi era consigliere. Che almeno è laureato.
Un posto per la figlia del segretario della Liga
E siamo ad Assotlc, da cui sembra passata mezza lega di Treviso. E’ passato per il Cda l’ex presidente leghista della provincia di Treviso Leonardo Muraro, l’ex assessore a Treviso ed ex deputato Mauro Michielon (che contemporaneamente era anche nel cda di Poste) e Sonia Fregolent, sindaco leghista di Sernaglia della Battaglia e molto vicina al segretario regionale della Liga Toni da Re.
Gianantonio è partito da un autolavaggio al km zero della statale Alemagna, nel cuore del Trevigiano: due dipendenti e 40 anni di lavoro. Inizia a fare politica nel 1997 come consigliere leghista, poi sindaco di Vittorio Veneto e poi consigliere regionale. Formalmente non ha mai ricoperto incarichi nelle varie società energetiche dominate dai leghisti.
Ma ha trovato il modo di beneficiarne: la figlia, tu vedi il caso, è assunta proprio in Ascopiave, settore rete. “Nessun incarico o qualifica particolare, conosceva bene il russo”, dicono dalla società . E tanto basta.
Poi c’è AscoHolding, che è la cassaforte dei Comuni e l’origine del potere leghista sulle società pubbliche.
Il volto storico è Silvia Rizzotto, che siede dal 2006 al 2013 come consigliere, mentre è sindaco di Altivole (Tv) e che poi dal 2013 al 2016 diventa presidente del Cda con un compenso di soli 28mila euro. Accanto al suo spicca il volto di Giorgio Della Giustina, che succeduto come presidente la Rizzotto, che nel frattempo è stata eletta in regione.
Lega contro Lega: la faida interna per una poltrona
Che la società sia per la Lega una cosa di famiglia lo dimostrano le recenti faide interne. A fine marzo l’assemblea dei soci di Ascopiave, quindi Asco Holding e quindi la Lega, decide di non rinnovare Fulvio Zugno, per mettere al suo posto il citato Cecconato che è fidatissimo di Zaia e dominus locale della Lega.
Il motivo ufficiale, o se si vuole il pretesto, è che Zugno aveva già due mandati consecutivi alle spalle. Peccato che sia Coin, cioè il segretario della Lega di Treviso, che Busolin, il presidente uscente di AscoTrade, siano nella stessa situazione, ma nei loro confronti sembra che il problema non esista.
Pressioni, dichiarazioni finchè il 21 aprile scoppia il finimondo quando Zugno, in qualità di presidente uscente di Ascopiave in risposta alla sua sostituzione si autonomina presidente di Ascotrade al posto di Busolin (già in carica da 8 anni) che invece sarebbe stato riconfermato dalla Lega.
Apriti cielo, un blitz a tutti gli effetti reso possibile grazie al fatto che il presidente di Ascopiave nomina i Cda delle controllate, tra cui Ascotrade. Lega contro Lega. Zugno contro Busolin (e quindi Zaia).
La zuffa azzoppa il sindaco-sceriffo. E finisce in tribunale
Politici che usano un’azienda come fosse un giocattolo per farsi dispetti. In mezzo a questo delirio di poltrone ha la malaugurata idea di infilarsi l’ex sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini, quello con le pistole in mano e delle intemerate contro immigrati e omosessuali che negli anni 90 divenne la personificazione del sindaco-sceriffo leghista. Un pezzo di storia del Carroccio.
Che però alla veneranda età di 87 anni esce allo scoperto e accusa la Lega di essere diventata un poltronificio proprio per via delle nomine di cui sopra in Ascopiave. Risultato: il gruppo fedele a Zaia lo mette alla porta. “Non ci rappresenta più, è fuori dalla Lega”, si affrettano a dire i suoi detrattori.
La zuffa tra leghisti a suon di carte bollate ed espulsioni deflagra il 24 luglio scorso quando Zugno, silurato dalla Lega in primavera ma autonominato presidente di Ascotrade dopo la cacciata da Ascopiave, accusa Nicola Cecconato (praticamente il suo capo) di non collaborare in qualità di presidente della società che controlla Ascotrade.
In particolare di non fornirgli la documentazione riguardante presunte spese pazze del suo predecessore Busolin, comprese quelle incassate da Cecconato stesso come consulente di Ascotrade e poi subito cessate prima della nomina a presidente di quest’ultima.
La storia finisce, si fa per dire, il 7 agosto scorso quando il “ribelle” Zugno viene rimosso dall’azionista capogruppo, cioè da Cecconato stesso, e al suo posto viene ristabilito Busolin. E Zugno per risposta deposita esposti in Tribunale e alla Consob. Da cui si attendono nuovi colpi di scena
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
L’INTERCETTAZIONE IN CUI PARLA CON LA SORELLA DELLA CASA ABUSIVA DEL COGNATO…E IL DIRIGENTE A PROCESSO PER CONCUSSIONE RIMASTO AL SUO POSTO
Ieri abbiamo scoperto dalle intercettazioni di Patrizio Cinque che anche nel MoVimento 5 Stelle la
famiglia viene sempre prima di tutto.
Il modello Bagheria, che si transustanzia nelle telefonate fatte dal primo cittadino per avvertire i parenti di una indagine amministrativa a loro carico, è l’ideale per portare in trionfo il Gattopardo Cancelleri che già da par suo la settimana scorsa aveva dimostrato di fregarsene dei giudici e delle leggi inventando scuse per non rispettare le ordinanze dei tribunali
Patrizio Cinque tiene famiglia a Bagheria
E mentre scopriamo che il divertente dietrofront sulla giustizia ad orologeria di un paio di giorni fa era una finta e che per Cinque il problema sono i pubblici ministeri che passano le carte ai giornalisti (?) e non quello che c’è scritto nelle carte, l’edizione palermitana di Repubblica oggi riporta una serie di telefonate intervenute tra la sorella di Cinque e il sindaco quando, il 2 maggio dell’anno scorso, sono arrivati i vigili a casa del cognato. Ammirate la trasparenza:
La sorella non si rassegnava. E chiamava il fratello sindaco: «Puoi venire? Qua, a casa mia». E lui diceva, con tono piccato: «Ah, chi è venuto? Ti ha detto questo? Che ti devo raggiungere?». Risposta della sorella: «Sì, sì, sì». E lui: «Eh, devono aspettare… ho un’inaugurazione della sede della Croce Rossa qua a Bagheria, se possono aspettare».
È la parola chiave di questa storia: aspettare, ovvero rinviare. Si sente in sottofondo la sorella che dice ai vigili: «Ha una inaugurazione, se potete aspettare». E i poliziotti chiedono: «Quanto?».
Quei vigili nella casa abusiva della sorella del sindaco stanno però diventando una presenza ingombrante. E allora il sindaco taglia corto: «Non me li puoi passare al telefono?». Persino la sorella capisce che si tratta di una cosa un po’ anomala. Ed è lei stessa che dice: «Non lo so». Si rivolge ai vigili: «Ditemi voi…». Il sindaco si indispettisce: «Certo passameli». La sorella, timidamente: «Aspetta». Il sindaco, con tono ancora più deciso: «Pronto».
E poco dopo, all’improvviso, il tono si fa amichevole: «Ehi Mimmo». Nella squadra c’era il fidato ispettore capo della polizia municipale, Mimmo Chiappone, quello che aveva soffiato al sindaco l’indagine sulla casa (e per questo è stato sospeso per quattro mesi dal servizio).
L’ispettore Chiappone è il vigile buono, anche lui cerca di prendere tempo mentre altri colleghi spingono per chiudere la pratica.
Quel giorno, riporta sempre Repubblica, dice al telefono all’amico sindaco: «Siccome ci sono un sacco di documenti che sono positivi… siccome il proprietario è un pochettino nel pallone, non ci sa dare determinate indicazioni… volevamo un po’ capire… magari».
Capire cosa? Il sindaco prova a dettare la linea, per tutti gli altri vigili: «Loro avevano provato a fare una istanza di condono. Io ti direi, prendi quello che ti serve… e poi con Carlo vai a verificare».
L’ispettore vorrebbe fare qualcosa di più per l’amico sindaco: «Appena finisci poi magari…». Il sindaco capisce al volo: «Vengo». L’ispettore sembra sollevato: «Ci sentiamo, ecco, ci sentiamo». E poco dopo un’altra telefonata. Il sindaco corse al comando dei vigili, per sistemare quella pratica
Il dirigente a processo per concussione
Ma c’è anche un altro lato della vicenda che ha portato alla formulazione delle accuse nei confronti del sindaco di Bagheria.
Quella che riguarda il geometra Onofrio Lisuzzo detto Rino, che ha ricevuto la sanzione del divieto di dimora a Bagheria a differenza degli altri impiegati comunali nei guai, ai quali il giudice ha imposto, come a Cinque, solo l’obbligo di firma. L’inchiesta di Termini dice che l’uomo ombra del sindaco è stato il regista di una gara “fantasma”, quella per il noleggio di automezzi da destinare alla raccolta dei rifiuti
«Il verbale della gara apparentemente svoltasi l’11 aprile 2016 è stato in realtà formato ex post, a tavolino – scrive il gip – senza che mai le persone sottoscrittrici abbiano partecipato alla riunione della commissione di gara».
Emblematica una conversazione intercettata il 28 aprile, ovvero 27 giorni dopo la data della presunta seduta, in cui Lisuzzo detta al telefono alla collega Antonina Di Leonardo i nomi dei funzionari da inserire nel verbale di gara: «Romolo Maggio non lo mettiamo come testimone, fammi questa cortesia, i testimoni sono Angela Battaglia e Tiziana Marino. E il verbalizzante è Angela Rizzo, va bene?».
«Ma Angela mi ha detto che quel giorno non c’era», eccepisce Di Leonardo.
Segue uno scatto d’ira di Lisuzzo. La vicenda si chiude con la nomina a verbalizzante (anche questa fittizia, secondo il giudice) di un’altra funzionaria, Maria Luisa Aiello. «Ma che devo mettere, che la gara si è svolta da me o da te?», chiede ancora Di Leonardo, in un crescendo grottesco.
Questa gara farsa si è conclusa con l’affidamento del contratto alle imprese Tes ed Eco Trucks. Tutti i protagonisti sono indagati.
Lisuzzo è stato nominato dal sindaco capo dei Lavori pubblici. La carica è stata mantenuta anche dopo un rinvio a giudizio per concussione
L’onesto Patrizio Cinque e la multa al cognato troppo alta
Infine, inutile ricordare l’intercettazione in cui Patrizio Cinque telefonava al vigile dicendogli di andare la settimana successiva a fare i famosi controlli che la procura di Termini Imerese gli aveva ordinato. In altre telefonate di Cinque con gli assessori Fabio Atanasio e Maria Laura Maggiore il sindaco spiegava come erano andate le cose:
“Comunque è arrivata… ti ricordi l’altra volta nella stanza che ti dicevo di un’autodenuncia che avevo in mente… abusivi immobili abusivi”. Atanasio: “Si è autodenunciato?”. Cinque: “Ne parliamo dopo dai”.
Alla Maggiore Cinque spiegava che “sono stato contattato dai vigili… ti ricordi la discussione che facemmo… sull’autodenuncia che volevo fare fare a mio cognato è arrivata l’autodenuncia… è firmata mio cognato ma non è… non l’ha fatta lui… ma non mi preoccupa tanto la denuncia o il discorso di fare emergere questa discussione dell’immobile mi preoccupa la modalità cioè l’autodenuncia perchè io mi aspettavo che denunciassero anonimamente dicendo che c’è questa situazione andateci, ma non che si inventassero un’autodenuncia, che io volevo fare fare a mio cognato, cioè una cosa incredibile”.
Non solo. L’onesto Patrizio Cinque dopo questionava anche sull’entità della multa da fare al cognato, cercando di ottenere uno sconto per il marito della sorella
“… però chiaramente si aprirà tutta una situazione, una situazione dove io volevo dirti una cosa noi stiamo facendo la sanzione cioè si può fare da duemila a ventimila euro, Aiello sta facendo a ventimila euro, è una cifra troppo grande non capisco perchè… una cosa è pagare duemila euro o una cifra mediana, diecimila, cinquemila, e sono soldi che vanno per le demolizioni per carità , una cosa è ventimila euro che sono cioè una cifra enorme per tutti…”.
E diceva di fare una multa alta ad altri suoi concittadini, quelli che hanno la casa vicino al mare, e bassa al cognato: «“Quindi vediamo di fare questa, di abbassare questa sanzione, di farla bassa magari puoi mettere quelli a 150 metri dal mare gliene dai 20 mila quello è doveroso… perchè comunque sai che se la possono passare bene”. Maggiore sembrava recepire: “Vediamo com’è che hanno fatto se ci sono situazione analoghe oppure… ci sono criteri così come dicevi tu e magari li applichiamo”. “Ed in caso — concludeva Cinque — diamo un atto di indirizzo”».
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 22nd, 2017 Riccardo Fucile
“BATTERSI CONTRO GLI ABUSI EDILIZI IN SICILIA E’ UNA COLPA? IO RESTO FEDELE AL PROGRAMMA INIZIALE DEL M5S”
L’onorevole Claudia Mannino si sente proprio una minchiona e lo dice apertamente su Facebook.
La deputata ex 5 Stelle poi sospesa per la vicenda delle firme false fa riferimento a una delle intercettazioni di Patrizio Cinque, in cui il sindaco di Bagheria la nominava in relazione alla sua attività parlamentare e ai “problemi” che dava in materia di abusi edilizi: “… ti ricordo che questa situazione l’ha messa quella minchiona di Claudia Mannino e quindi siamo veramente dei geni… che vuoi che ti dica è incredibile, vessiamo le persone in questo modo secondo me”.
Il riferimento era ad un emendamento che inaspriva le sanzioni per gli abusi edilizi, il cui prima firmatario era proprio Mannino.
E l’assessora Maggiore aggiungeva: “… ma vedi che questi non hanno la percezione della situazione che poi tra l’altro te la posso dire una cosa? L’avesse messa e l’avesse proposta una di Milano”.
La Mannino risponde così a Cinque e al MoVimento 5 Stelle che difende oggi il sindaco di Bagheria:
“Ha ragione il sindaco di Bagheria, sono proprio una minchiona. Lo sono stata soprattutto quando ho presentato l’emendamento per l’inasprimento delle sanzioni per gli abusi edilizi. Norma poi approvata dal Parlamento. Mea culpa! Detto questo, però, vorrei informare Patrizio Cinque e tutti i silenti organi dirigenti del Movimento 5 Stelle (quelli che portavano ad esempio il “modello Bagheria”, ovvero l’indulgenza nei confronti degli abusivi e l’assenza di demolizioni) che, durante il mio mandato Parlamentare, tale “becero” comportamento si è manifestato più volte.
Tanto è vero che, forse, il “signorile” commento del sindaco di Bagheria potrebbe finanche essere condiviso da Rosario Crocetta, Leoluca Orlando, Raffaele Lombardo e Diego Cammarata giacchè questi signori, qualche giorno fa, si sono visti notificare un invito a dedurre conseguente alla mia denuncia depositata presso la Corte dei conti in merito al flop della differenziata a Palermo e provincia.
Non è la prima volta che il mio lavoro in Parlamento “infastidisce” qualcuno. Ricordo ancora molto bene le due telefonate dai toni inquietanti che ho ricevuto il giorno dopo l’approvazione del mio emendamento (del febbraio del 2014) che ha messo fine alla pluriennale gestione commissariale dei rifiuti in Sicilia. Una da parte di due deputati regionali e l’altra da parte del commissario straordinario.
Ma non è tutto, minchiona lo sono stata tante altre volte, basta guardare la mia attività parlamentare e gli effetti che ha prodotto. Dalle denunce agli emendamenti approvati, passando per gli atti di sindacato ispettivo e finendo con le istanze alla Commissione europea. Numeri e temi sono a disposizioni di tutti. Conoscere per deliberare, diceva qualcuno decenni fa. Nonostante questo, forse per molti ho solo una gravissima ed imperdonabile colpa: essere coerente con le idee iniziali del Movimento Cinque Stelle, idee che sembrano essere state abbandonate leggendo le cronache odierne, ma che io continuo a considerare come punti di riferimento.
La Mannino aveva di recente polemizzato con Cancelleri proprio riguardo la vicenda degli abusi edilizi e la politica del M5S al riguardo.
(da “NextQuotidiano”)
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