M5S, LA TECNO-DEMOCRAZIA IMPIGLIATA NELLA RETE: IL CAPO ORDINA E GLI ATTENDENTI ESEGUONO
LA NATURA AUTOREFERENZIALE DEL M5S NON CONCEDE DEVIAZIONI, I CONFINI SONO SEGNATI DAI CAPI AZIENDA
Si coglie una fatale legge del contrappasso in queste primarie del Movimento 5Stelle. In un giorno i grillini sono riusciti a smontare i miti su cui hanno costruito il loro successo. L’idea che il “sol dell’avvenire” potesse sorgere solo sul web si è sciolta nelle inefficienze della famosa piattaforma Rousseau.
Quel sistema vagheggiato come se potesse essere la nuova frontiera della politica si è inceppato alla prima prova concreta.
Come un burocratico ministro dell’Interno incapace di organizzare anche i tradizionali seggi elettorali, il blog di Beppe Grillo ha dovuto annunciare che per motivi tecnici le operazioni di voto per scegliere il candidato premier – ossia Luigi Di Maio – si sarebbero protratte di altre diciassette ore.
È evidente che i disguidi pratici non rappresentano il deficit più autentico del M5S. Il cuore delle incongruenze grilline trova origine nei proclami fideistici verso la democrazia di internet. E in un’interpretazione sbrigativa dei pilastri della rappresentanza politica.
Meno di cinque mesi fa, proprio il leader del Movimento 5Stelle aveva solennemente annunciato: “Grazie alla tecnologia oggi è possibile votare online, un sistema molto più comodo rispetto a quello dei seggi fisici”.
E scagliandosi contro la “antistorica” scheda cartacea aveva puntato l’indice contro gli avversari: “Per questo non è stato fatto nessun passo in avanti per semplificare la burocrazia”. Ma la rete non è un demiurgo che tutto risolve. La tecnologia, se applicata alle istituzioni, può funzionare solo se guidata da principi e ideali.
Dinanzi a queste mancanze, l’incapacità di mettere a punto un normale sistema di consultazione degli iscritti è solo una parte del problema. Queste primarie farsesche ripropongono infatti il nucleo più profondo della questione grillina: la loro idea di democrazia.
Un tema che i vertici del Movimento 5Stelle ignorano deliberatamente. Lo considerano un orpello, una scusa per frenare la loro ascesa. Per i pentastellati, tutto è semplice.
O meglio tutto può essere banalizzato e non deve essere complicato da inutili sovrastrutture o procedure. La loro epica del web, del resto, si pone un obiettivo primario: semplificare anche ciò che è naturalmente complesso. E in questa semplificazione si perdono troppo spesso i caratteri genetici di ogni democrazia. La trasformano in una mistificazione.
Le primarie hanno mostrato con evidenza i segni di questa degerazione. Una manifestazione che si è sviluppata su due piani diversi.
Quello tecnico, appunto, e quello politico. Due profili separati ma che inevitabilmente si intersecano.
Il ritardo “tecnico” con cui si è votato, infatti, ha posto il problema di ogni elezione: con quali garanzie si vota. Se un sistema tecnologico si blocca, funziona male. Chi ha espresso la sua preferenza, dunque, non ha alcuna certezza che quell’indicazione sia stata rispettata. Il diritto alla trasparenza che ogni elettore dovrebbe avere è stato palesemente violato.
Per un movimento che invocava ogni scelta in streaming è davvero il colmo far votare i suoi iscritti e poi tenere nascosti i risultati per 48 ore. In quale democrazia accade una cosa del genere?
Perchè la “comodità ” del voto online non si traduce in una immediata comunicazione dei risultati? Quali assicurazioni – ad esempio di segretezza ed integrità del voto – può fornire un sistema che si inceppa perchè in troppi vanno a votare e gli scrutatori si conservano le schede “virtuali” per due giorni?
Tenendo presente che gli aventi diritto non erano una folla sterminata ma solo 140 mila tesserati.
Il secondo profilo è ancora più preoccupante. Costituisce il nucleo delle contraddizioni pentastellate.
Una competizione in cui figura un solo vero concorrente, non è mai regolare. In quel caso le elezioni assumono altre denominazioni: indicazione, imposizione, plebiscito. Di Maio, quando finalmente sarà proclamato il vincitore di questa “corsa”, non potrà definirsi un “eletto”.
È stato scelto e imposto da Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Queste non sono primarie ma una specie di congresso a candidatura unica.
Senza contradditorio, senza concorrenza, senza politica. Più simili alle acclamazioni con cui venivano “selezionati” i capi dei partiti comunisti dell’est Europa prima della caduta del Muro di Berlino che alla votazione di un moderno e occidentale soggetto politico.
Il risultato è appunto il simulacro di un modello democratico.
Del resto solo pochi mesi fa, dinanzi allo scontro che si è consumato in Liguria all’interno del Movimento 5Stelle, Grillo ha compiuto la sua scelta e imposto il suo candidato con una giustificazione che non ha nulla che vedere con la democrazia: “Fidatevi di me”.
Anche stavolta l’ex comico ha detto ai suoi sostenitori: “Fidatevi di me” e votate Di Maio. L’unica fonte battesimale è la sua.
Probabilmente l’M5S non può che funzionare così.
Il capo ordina e gli attendenti seguono.
La natura autoreferenziale e integralista del Movimento non permette aperture, non concede deviazioni.
Tutto deve essere giocato dentro i confini segnati dall’ex comico e da Casaleggio. E in questo quadro la prima condizione da evitare è la contendibilità del vertice. Una leadership estranea al grillismo non è autorizzata.
Il confronto, anche aspro, non è ammesso. Agli iscritti è consentita solo una democrazia formale, privata dei suoi nervi vitali.
Per il gruppo pentastellato, evidentemente questa non è solo la prova del nove per vincere le prossime elezioni politiche. È qualcosa di più. Tutto viene vissuto come se fosse la sfida finale. La prima e ultima occasione per scalzare i partiti tradizionali e salire le scale di Palazzo Chigi. Convincere ora di poter essere il governo degli italiani perchè in caso di sconfitta, il Movimento non sarebbe più in grado di reggere un’altra stagione all’opposizione. Una partita del genere si gioca chiudendo tutta la squadra nelle ferree regole del grillismo e certo non aprendola.
“I partiti politici, essenziali per i sistemi democratici forti – scriveva tre giorni fa Moises Naim sul New York Times – , sono una specie in pericolo. Le democrazie hanno bisogno dei partiti politici. Abbiamo bisogno di organizzazioni in grado di rappresentare interessi e punti di vista diversi”.
E forse non è un caso che i grillini considerino un’offesa la definizione di “partito”.
(da “La Repubblica”)
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