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“SPESE PAZZE” IN LIGURIA, ALTRI SETTE INDAGATI PER PECULATO, C’E’ ANCHE L’ATTUALE CAPOGRUPPO DI FRATELLI D’ITALIA IN REGIONE

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

I CONSIGLIERI DI FORZA ITALIA VANNO A INTEGRARE UNA GIA’ LUNGA LISTA

Il pubblico ministero Massimo Terrile ha indagato 7 ex consiglieri regionali del gruppo di Forza Italia nell’ambito dell’inchiesta sulle cosiddette “spese pazze” in Liguria; per tutti, l’accusa è di peculato, per aver usato fondi pubblici per spese non istituzionali nella legislatura compresa tra il 2005 e il 2010.
Dei sette, l’unico ancora “in servizio” è Matteo Rosso, attuale capogruppo di Fratelli d’Italia.
Insieme con lui sono indagati Gabriele Saldo, Gino Garibaldi, Luigi Morgillo, Pietro Oliva, Graziano Falciani e l’ex senatore Franco Orsi, che hanno ricevuto l’avviso di conclusione indagini nelle scorse settimane.
Nell’ambito della stessa inchiesta risulta indagata anche Cristina Morelli, all’epoca consigliera dei Verdi.
Per quella legislatura sono già  state rinviate a giudizio 13 persone di tutti gli schieramenti politici: l’attuale presidente del consiglio Regionale, il leghista Francesco Bruzzone, Sandro Biasotti (deputato e attuale coordinatore di Forza Italia in Liguria), Nicola Abbundo, Angelo Barbero, Fabio Broglia, Giovanni Macchiavello, Matteo Marcenaro, Luigi Patrone e Franco Rocca, attuale sindaco di Zoagli, dello schieramento del centrodestra all’epoca dei fatti all’opposizione.
Poi, anche Tirreno Bianchi, Rosario Monteleone, Carmen Patrizia Muratore e Giovanni Battista Pittaluga dello schieramento di centrosinistra, che ai tempi era al governo regionale.
Indagati anche gli otto ex consiglieri del Pd: Vito Vattuone, Michele Boffa, Lorenzo Basso, Luigi Cola, Nino Miceli, Ezio Chiesa, Moreno Veschi e Minella Mosca.
Sempre per la legislatura 2005-2010, sono già  stati condannati Roberta Gasco (nuora di Clemente Mastella), Lorenzo Castè e Franco Bonello.

(da “il Secolo XIX“)

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MULTEDO, STAVOLTA I RAZZISTI IN CORTEO VENGONO CONTESTATI, L’ASSESSORE LEGHISTA PROTETTO DALLA POLIZIA, URLA DI “SIETE LA VERGOGNA DI GENOVA”

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

L’ENNESIMA PROVOCAZIONE TROVA LA RISPOSTA DELLA FIOM E DI ALTRI CITTADINI… VOLANO CARTONCINI A FORMA DI DIAMANTE PER RICORDARE BELSITO

Poco dopo le 19.30, a Multedo è partita l’ennesima fiaccolata contro la realizzazione del centro migranti nell’ex asilo Govone.
Si tratta di una struttura privata della Curia dove ognuno ha il diritto (padroni   a casa propria) di farci quello che gli pare e che dovrebbe accogliere 50 giovani profughi che non creerebbero alcun problema (salvo per le menti malate) visto che frequentano mattina e pomeriggio la scuola a Coronata per imparare un mestiere.
Ma un 5% di cittadini razzisti di Multedo da un mese non hanno altro a cui pensare, fomentati dai soliti noti provocatori, che a “respingere”questi ragazzi.
A questi razzisti è stato permesso più volte di violare la legge bloccando il casello autostradale senza che la forza pubblica li denunciasse.
Stasera il corteo era autorizzato, composto da circa 300 persone, con l’aggiunta della manovalanza leghista (presente anche l’indagato per peculato Bruzzone).
Alla marcia ha partecipato anche l’assessore leghista del Comune, Stefano Garassino: «Voglio essere vicino ai cittadini che si battono – ha spiegato – per vedere rispettati i loro diritti». Come no, quelli di non rispettare la legge e le determinazioni dello Stato.
Intorno alle 18, a Pegli era stata organizzata la manifestazione di un altro comitato, in questo caso favorevole all’accoglienza dei migranti: «Non è possibile che una città  di 600mila abitanti non possa ospitare 50 persone che fuggono da guerre e sofferenze», ha detto nell’occasione Armando Palombo del sindacato Fiom dal presidio per l’accoglienza .
Ancora: «Noi abbiamo occupato le fabbriche, lottando per il lavoro insieme con operai di ogni razza e siamo qui contro ogni razzismo»; al presidio erano presenti circa un centinaio di lavoratori.
Le due manifestazioni si sono avvicinate più volte, separate solo da pochi metri di strada, e alle 19.30 ne è nata una durissima contestazione proprio contro Garassino, al grido di «vergogna, vergogna!»; l’assessore più pallido del solito è stato protetto da un gruppo di agenti di polizia.
Più che assessore alla sicurezza è parso un assessore che ha bisogno della pubblica sicurezza.
Alcuni esponenti del comitato contro il centro di accoglienza hanno raccontato che sarebbero stati raggiunti da bulloni tirati dagli operai della Fiom. La solita bufala, visto che si trattava solo di   cartoncini a forma di diamante «per schernire Belsito, ex tesoriere della Lega Nord», come hanno precisato gli operai della Fiom.
Un altro capitolo di una vicenda oscena che avrebbe dovuto essere gestita con ben altra fermezza: la legalità  andava imposta subito senza tante discussioni.
Coi razzisti il tempo delle mediazioni deve finire.

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CHIARA, LA STELLA OFFUSCATA DEL MOVIMENTO

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

DAI TEMPI DEI RUMORS SULLA CORSA ALLA PREMIERSHIP CON DI MAIO ALLA CRISI DI PIAZZA SAN CARLO E ALL’AVVISO DI GARANZIA

C’è stato un tempo in cui Chiara Appendino sembrava poter essere il Matteo Renzi del Movimento 5 stelle.
Il Renzi delle origini, quello giovane, fresco, brillante, politicamente quasi intonso, capace di assurgere alla gloria nazionale partendo dai soli galloni di una fascia tricolore a cingergli il petto.
Eletta insieme a Virginia Raggi, la prima cittadina di Torino è stata per mesi il “positivo” del negativo romano. Chiara veleggiava a gonfie vele, godeva di buona stampa, non disdegnava di intessere relazioni nei complicati salotti della spigolosa città  sabauda, parlava con gli altri partiti, con i potentati locali, con la Regione (Chiappendino, remember?).
Sembrava persino possibilista sul Tav, uno dei grandi babau dell’universo stellato.
Virginia era in difficoltà ? Ecco la photo opportunity con la collega, come cercando di mitigare l’immagine estremamente della Raggi mescolandole in un unico calderone immaginifico, come se un bene, in politica, possa riequilibrare un male per il semplice dono dell’osmosi.
C’è stato il tempo dell’ascesa, del fulgore. Poi quello della precipitosa caduta, fino all’indagine per falso ideologico in atto pubblico e l’avviso di garanzia che le è piombato sulla sua scrivania, insieme a quelli per il suo braccio destro-ombra, Paolo Giordana, e per l’assessore al Bilancio, Sergio Rolando.
All’apice, la lucentezza della stella appendiniana brillava di una luce talmente abbagliante che più d’uno si sospingeva a dire che quale Dibba, quale Fico, quale papa straniero, l’unico vero competitor di Luigi Di Maio per la premiership era questa ragazza dal volto gentile.
Chiara incarnava il Movimento dal volto gentile. Quello che puntava a demolire lo status quo più sulla scorta di una granitica etica a là  Confucio che con il “Vaffanculo”, che capiva che per smontare il sistema bisogna lasciarsi contaminare, penetrarlo, conoscerlo, sporcarsi le mani, rinunciando al candore immacolato della verginità  politica per poter portare a casa qualche risultato concreto.
C’è stato un tempo, c’è stato un mondo diverso.
Un mondo forse non del tutto reale, forse solo verosimile. Come quando l’ultima finta di Cristiano Ronaldo in Fifa 18 ti sembra tutto sommato plausibile, ma in realtà , fuori dallo schermo non la vedrai mai.
È stata proprio la notte del Pallone d’oro, quella in cui il Real Madrid ha schiantato la Juventus nella finale di Champions League, a segnare un prima e un dopo nella parabola della stella Appendino.
Piazza San Carlo e la disastrosa gestione dell’assembramento dei tifosi bianconeri, il parapiglia, il morto, hanno segnato la fine della prima — breve — era Appendino.
Da quel giorno è cambiato tutto, si è fatto largo uno strisciante revisionismo sui primi mesi di governo (i cui semi, a dire il vero, si erano già  intravisti in primavera): “Eh ma è immobile”. “Eh ma non decide”. “Eh ma è facile non sbagliare rimanendo fermi”.
Cambia il paradigma del racconto. Non basta più la stampella ironicamente brandita da Grillo la sera dell’elezione, il profilo da manager rampante che si muove a suo agio nella città  che guarda le Alpi.
Non è più sufficiente nemmeno accostarla per sottrazione alla Raggi. Perchè i fatti di piazza san Carlo non attengono alla sfera delle scelte politiche, della direzione in cui convogliare i soldi in un sistema di scarsità  di risorse. È fallita la gestione concretissima di uno spazio pubblico, l’amministrazione di un pezzo di territorio, si è rivelata inadeguata la catena di comando preposta a organizzazione e controllo il cui vertice apicale è individuato proprio nella poltrona del sindaco.
Passano mesi, uno spesso strato di polvere si sedimenta sull’amministrazione stellata.
Un po’ ad attutire lo stridio dello scandalo, un po’ a rendere più offuscata la sua lucentezza. Fino all’altra tegola.
Quella dell’avviso di garanzia, per aver fatto pressioni per “alleggerire” il bilancio comunale di un debito di 5 milioni di euro.
Un atto preciso, di indirizzo politico, che attiene alla limpidezza dell’amministrazione, che coinvolge la presunzione di diversità  sulla quale si fonda la grancassa movimentista. Sarà  la magistratura ad appurare le responsabilità .
Se condannata, la prima cittadina rischia fino a sei anni. Al di là  dei tempi della giustizia, lo spauracchio della condanna in primo grado sta iniziando a preoccupare tutte le principali amministrazioni 5 stelle.
Perchè dalle manette brandite come martelli delle origini, la svolta (auto)garantista degli uomini di Beppe Grillo si è spinta alle dimissioni solo in caso di condanna in primo grado. Quando arriverà  la prima, si vedrà .
Il Pd silenziosamente gongola, ma al momento si bea quasi alla lettera la massima evangelica del “beati mundo corde, quoniam ipsi deum videbunt”.
Ecco Stefano Esposito, uno degli uomini di spicco dei democratici torinesi: “Per quanto mi riguarda massimo garantismo anche per lei, noi non siamo grillini”.
Ma è un fatto che l’indagine piovuta su Torino — la seconda dopo quella su piazza San Carlo — pesa sugli equilibri interni 5 stelle, con gli ortodossi impegnati a diffondere che “il caso di Chiara è diverso da quello di Virginia, non sono la stessa cosa”, per non arretrare di un passo sull’attacco al fianco scoperto di Di Maio.
E ha scatenato la reazione scomposta del candidato premier M5s, che lancia sul blog di Grillo un lungo post. Che inizia così: “Quando vi abbiamo detto in questi anni che sarebbe stata la campagna elettorale più scorretta della storia, non scherzavamo. Siamo sotto attacco, il Movimento è sotto attacco. In questo momento stanno provando ad accerchiarci da tutti i lati: tv e giornali, partiti e dirigenti pubblici lottizzati sanno che rischiano di perdere tutto: la Sicilia e il paese”.
Ora, fate finta di non sapere chi è l’estensore del testo. Rileggetelo. In controluce vi si staglierà  l’immagine di un Silvio Berlusconi d’antan.
Benvenuti sul treno della campagna elettorale. Che passa anche per Torino.

(da “Huffingtonpost”)

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VISCO TIRA DENTRO RENZI

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

IL PD APRE LA BATTAGLIA SU BANKITALIA, IL GOVERNATORE EVIDENZIA LE RESPONSABILITA’ DEL GOVERNO RENZI, INTERVIENE MATTARELLA

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ritiene che le prese di posizione riguardanti la Banca d’Italia “debbano essere ispirate a esclusivi criteri di salvaguardia dell’autonomia e indipendenza dell’Istituto nell’interesse della situazione economica del nostro Paese e della tutela del risparmio degli italiani”.
È quanto rende noto l’agenzia Reuters, che cita fonti del Quirinale.
Questi principi, spiega la stessa fonte, devono “attenersi l’azione di tutti gli organi della Repubblica, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo”. Oggi la Camera ha approvato una mozione, presentata dal Partito democratico, che chiede una “fase nuova” a palazzo Koch.
Il Pd, si legge nella mozione, impegna il governo “ad adottare ogni iniziativa utile a rafforzare l’efficacia delle attività  di vigilanza sul sistema bancario ai fini della tutela del risparmio e della promozione di un maggiore clima di fiducia dei cittadini individuando a tal fine, nell’ambito delle proprie prerogative, la figura più idonea a garantire nuova fiducia nell’Istituto”.
I voti a favore del documento di indirizzo, approvato dall’aula della Camera, sono stati 213, 97 i contrari, 99 le astensioni.
Ad astenersi sono stati i deputati di Fi e Mdp; contro si sono invece espressi quelli di Si, M5S e Fdi.
“Sulla persona il Pd non entra ma sulla questione Bankitalia serve una fase nuova”, spiega il portavoce del Pd, Matteo Richetti.
“La mozione il Pd non entra nel merito” delle persone, la decisione di confermare o meno Visco compete al governo e al premier, argomenta Richetti. La mozione “non è una indicazione ma il Pd non può sottrarsi ad un giudizio, serve aprire una fase nuova”, aggiunge.
La difesa di Bankitalia: “Agito in contatto con il governo, Visco disponibile a essere audito”
“Nella sua azione l’Istituto ha agito in continuo contatto col Governo”. E’ quanto riferiscono ambienti della Banca d’Italia dopo la mozione presentata dal Pd in Parlamento secondo cui l’istituto “fa interamente il suo dovere nelle diverse funzioni che svolge, applicandovi competenza e coscienza. In particolare nella vigilanza bancaria, in questi anni segnati dalla più grave crisi economica della storia moderna d’Italia, ha difeso il risparmio nazionale limitando i danni. Questi non potevano non esserci, data la gravissima condizione dell’economia”.
“La Banca d’Italia sottometterà  ogni documento rilevante per i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta e il Governatore Ignazio Visco è pronto a essere ascoltato dalla Commissione quando essa vorrà “, riferiscono ambienti della Banca d’Italia.
Renzi: “Il Pd non è responsabile del passato”
“Non ho un ruolo in questa vicenda. Nessuna invasione di campo del Pd. Il compito è del premier, lui farà  le considerazioni opportune, c’è un iter. Oggi Il Pd non ha messo in discussione il rispetto istituzionale. La mia opinione sul passato l’ho scritta nel libro. Quello che è certo è che il Pd non è responsabile di quanto accaduto in passato”. Lo ha detto il leader del Pd, Matteo Renzi, ai microfoni di Radio 105.
Bersani: “Non si può buttarla in piazza così”
La mozione del Pd “è fuori da ogni logica, non puoi buttare in piazza la Banca d’Italia così. Quando vedo il partito di maggioranza fare una mozione così, cominciamo a essere fuori come un balcone”. Così Pier Luigi Bersani dopo il voto sulla mozione, spiegando che Mdp ha votato “in bianco” perchè “il Parlamento può e forse dovrebbe prevedere in meccanismo di nomina che coinvolga le commissioni magari con maggioranze qualificate” ma “finchè c’è un’altra procedura, se c’è un minimo di senso delle istituzioni dobbiamo rispettarla”.
La mozione Pd
La nomina dell’attuale governatore, scrive il Pd nella mozione, ‘risale al novembre del 2011 ed è, pertanto, imminente l’obbligo di procedere al rinnovo della carica che, ai sensi dell’articolo 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2005, n.262, è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia; si tratta di una scelta particolarmente delicata in considerazione del fatto che l’efficacia dell’azione di vigilanza della Banca d’Italia è stata, in questi ultimi anni, messa in dubbio dall’emergere di ripetute e rilevanti situazioni di crisi o di dissesto di banche, che a prescindere dalle ragioni che le hanno originate – sulle quali si pronunceranno gli organi competenti, ivi compresa la Commissione d’inchiesta all’uopo istituita – avrebbero potuto essere mitigate nei loro effetti da una più incisiva e tempestiva attività  di prevenzione e gestione delle crisi bancarie’.
Nel testo della mozione si rileva inoltre che ‘le predette situazioni di crisi o di dissesto hanno costretto il governo e il Parlamento ad approvare interventi straordinari per tutelare, anche attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche, i risparmiatori e salvaguardare la stabilità  finanziaria, in assenza dei quali si sarebbero determinati effetti drammatici sull’intero sistema bancario, sul risparmio dei cittadini, sul credito al sistema produttivo e sulla salvaguardia dei livelli occupazionali”.

(da “Huffingtonpost“)

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LE GIRAVOLTE DI CHIARA APPENDINO SUL CASO WESTINGHOUSE

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

IL CENTRO COMMERCIALE CHE IL M5S OSTEGGIAVA QUANDO ERA ALL’ OPPOSIZIONE E CHE POI HA AUTORIZZATO QUANDO HA VINTO LE ELEZIONI

In queste ore il MoVimento 5 Stelle si sta arrampicando sugli specchi per far passare l’avviso di garanzia recapitato a Chiara Appendino per un esposto fatto dal PD. Nonostante i tentativi dei deputati pentastellati ad inviare l’avviso di garanzia a Chiara Appendino non è stato il PD e non sono stati nemmeno i giornalisti, ma un pubblico ministero.
La vicenda per la quale la sindaca di Torino è al momento soltanto indagata (e nel nostro Paese vige ancora la presunzione d’innocenza) è quella che riguarda l’area della ex-Westinghouse.
Una grande operazione immobiliare che prevede la costruzione di un grande centro commerciale nell’area dove sorgeva la Westinghouse.
Il progetto per riqualificare l’area è stato presentato durante la scorsa consiliatura ed è stato fortemente avversato dal M5S all’epoca all’opposizione.
Nel 2012 Ream, che è la cassaforte delle fondazioni bancarie piemontesi, per aggiudicarsi il diritto di prelazione sull’area versa una caparra da 5 milioni di euro pari al 50% dell’ammontare dei diritti di superficie quantificati all’epoca dal Comune.
Quando nel 2013 l’Amministrazione Fassino aggiudicò l’area ad Amteco-Maiora per 19,7 milioni di euro ne mise a bilancio solo 14,7 prevedendo di restituire la caparra a Ream entro il 2017.
La cifra però venne radiata perchè il Comune — anche su pressione dei comitati guidati dal M5S — non era certo di condurre in porto l’operazione.
Nel 2016 però la giunta Appendino, ansiosa di fare cassa diede il via libera alla costruzione del centro   commerciale iscrivendo a bilancio 19,7 milioni compresi quindi i 5 milioni dovuti a Ream che quindi per i revisori sono un “debito fuori bilancio”.
Per i 5 Stelle però la colpa è di Fassino, è stato lui a creare il problema con Ream e a non restituire la caparra.
In realtà  nel 2015 l’Amministrazione Fassino — dal momento che risultava essere pendente un giudizio sull’annullamento dell’Avviso di asta pubblica — decide di cancellare (non iscrivendoli a bilancio) i 14.7 milioni di euro.
Il 18 aprile 2017 il collegio dei revisori dei conti rilevava, nella sua relazione sul bilancio di previsione 2017-2019 (quindi in piena era Appendino), che le comunicazioni dell’Amministrazione sul debito nei confronti di Ream risultavano essere contrastanti.
I pentastellati quando erano all’opposizione promettevano che “avrebbero vigilato sull’operazione” invitando l’Amministrazione (di Piero Fassino) ad un confronto con la cittadinanza in modo da garantire “una più ampia partecipazione dei cittadini al processo decisionale”.
Uno degli ultimi atti di una battaglia che il MoVimento torinese stava combattendo da anni, visto che l’area dove sorgerà  il nuovo centro commerciale vicinissimo al centro città  doveva inizialmente ospitare una biblioteca, anzi, la biblioteca principale della città . Progetto che poi è stato abbandonato a favore di un nuovo tipo di insediamento, non senza le lamentele del MoVimento 5 Stelle
Sempre in quel periodo il consigliere regionale Davide Bono su Facebook scriveva: “Ma secondo voi servono altri 10 ipermercati a Torino? Per “chi comanda a Torino” ancora edilizia e centri commerciali, intanto in centro chiudono tutti i negozi. grazie Piero Fassino, grazie #pd. il MoVimento Cinque Stelle Torino si farà  sentire!!“.
La Sindaca Appendino, decidendo di avallare la decisione di costruire un centro commerciale al posto dell’ex-Whestinghouse aveva   giustificato la decisione spiegando che il Comune potrà  così incassare 19,6 milioni di euro che potranno essere così messi a bilancio e utilizzati per sostenere il capitolo cultura e altre iniziative del Comune.
Peccato che nella effettiva disponibilità  del Comune ce ne fossero “solo” 14 e che i 5 milioni in più avrebbero dovuto essere resi a Ream (con gli interessi).
E non è l’unico “voltafaccia” del M5S di governo: perchè la Appendino in campagna elettorale si era impegnata a non utilizzare gli oneri urbanistici per finanziare la spesa corrente, ma quella è un’altra storia.
Nel bilancio 2016 i 5 Stelle hanno iscritto i crediti per l’operazione Westinghouse ma non i debiti, ovvero quei famosi 5 milioni.
A dare manforte ai 5 Stelle arriva il soccorso del giornale di Marco Travaglio. Il Fatto Quotidiano scrive che quei 5 milioni sono un debito contratto dall’amministrazione Fassino. Ma non si tratta di un debito bensì di una caparra versata da Ream.
Il capolavoro però è un altro.
Secondo il Fatto “quei soldi, secondo gli accordi, dovevano essere restituiti nel 2017, visto che poi il progetto in questione è stato accantonato. Nel bilancio 2016, però, quella cifra non è mai comparsa”.
E questo è falso perchè il progetto non è stato affatto accantonato. O meglio, lo era fino a che non si è insediata la Appendino e ha stipulato un accordo con Amteco per la cessione dell’area per 99 anni peraltro iscrivendo a bilancio quei famosi 19,6 milioni di euro ma non il debito.
Secondo il Fatto Quotidiano la spiegazione è che il M5S voleva evitare il dissesto dei conti pubblici. Insomma la Appendino avrebbe iscritto a bilancio 19 milioni in entrata e non i 5 milioni per il bene della città .
Cosa che non è vera e che anche se lo fosse sarebbe stata inutile visto che qualche settimana fa la Appendino ha annunciato tagli per 80 milioni per “salvare Torino” dando peraltro la colpa agli investimenti fatti negli ultimi 30 anni.
Naturalmente dopo aver letto un articolo del genere i commentatori del Fatto Quotidiano parlano di “giustizia ad orologeria” (come nella migliore tradizione berlusconiana) trovando assai sospetto che certe inchieste vengano alla luce “a campagna elettorale in corso”.
Fermo restando che in Italia siamo sempre in campagna elettorale per un motivo o per l’altro non risulta che a Torino si stia per andare al voto e nemmeno le elezioni politiche sono alle porte
Si voterà  certo in Sicilia (il 5 novembre) ma la scusa delle inchieste “a ridosso di importanti consultazioni popolari” per infangare il M5S sembra un modo per non voler affrontare la realtà .

(da “NextQuotidiano”)

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CINQUE MILIONI DI ITALIANI ALL’ESTERO, SCAPPANO SOPRATTUTTO I GIOVANI, MA ANCHE INTERE FAMIGLIE

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

RAPPORTO ITALIANI NEL MONDO: RAPPRESENTANO L’8,2% DEGLI OLTRE 60,5 MILIONI DI RESIDENTI IN ITALIA

Sono quasi 5 milioni, al primo gennaio 2017, gli italiani che vivono all’estero secondo i dati delle iscrizioni all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero).
Per la precisione, sono 4.973.942, che costituiscono l’8,2% degli oltre 60,5 milioni di residenti in Italia alla stessa data.
Un numero che è costantemente aumentato negli anni (nel 2006 erano poco più di 3 milioni, +60,1%). È quanto si legge nel Rapporto Italiani nel Mondo 2017 di Migrantes, presentato oggi a Roma.
Oltre la metà  risiede in un Paese europeo, ma le comunità  italiane più numerose sono in Argentina (804mila), Germania (724mila) e Svizzera (606mila). È il Regno Unito, comunque, il Paese che ha visto aumentare le iscrizioni all’Aire (+27.602 nell’ultimo anno).
Più della metà  degli italiani residenti all’estero provengono da regioni del Sud. Aumentano i single, scendono i coniugati.
In crescita anche gli italiani nati all’estero: dai circa 1,7 milioni del 2014 ai quasi 2 milioni del 2017.
Le partenze non sono individuali ma di “famiglia” intendendo sia il nucleo familiare più ristretto, ovvero quello che comprende i minori (oltre il 20%, di cui il 12,9% ha meno di 10 anni) sia la famiglia “allargata”, quella cioè in cui i genitori – ormai oltre la soglia dei 65 anni – diventano “accompagnatori e sostenitori” del progetto migratorio dei figli (il 5,2% del totale).
A questi si aggiunga il 9,7% di chi ha tra i 50 e i 64 anni, ovvero i tanti “disoccupati senza speranza” tristemente noti alle cronache del nostro Paese poichè rimasti senza lavoro in Italia e con enormi difficoltà  di riuscire a trovare alternative occupazionali concrete per continuare a mantenere la propria famiglia e il proprio regime di vita.
Le donne sono meno numerose in tutte le classi di età  ad esclusione di quella degli over 85 anni (358 donne rispetto a 222 uomini): si tratta soprattutto di vedove che rispondono alla speranza di vita più lunga delle donne in generale rispetto agli uomini.

(da agenzie)

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TOTI DI NUOVO NELLA BUFERA PER QUEI 39.000 EURO AI BUIO PESTO

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

LIGURIA DIGITALE STREGATA DA CAPITAN BASILICO, LA FARSA CONTINUA… LA STRANA ASSEGNAZIONE SENZA GARA DOPO LE LAMENTELE DEL LEADER DEL GRUPPO MUSICALE

«Donald Trump è tenuto sotto scacco da Kim Jong-un, in Liguria invece il presidente della Regione, Giovanni Toti, sembra sotto scacco di Capitan Basilico», Andrea Melis, portavoce regionale del M5S, riassume così la vicenda che porterà  in aula, che riguarda l’affidamento diretto, senza gara, da parte di Liguria Digitale, l’azienda regionale che si occupa di digitalizzazione, di un incarico alla Flotta srl, che si occupa di “produzioni cinematografiche”, di cui è titolare Massimo Morini, leader del gruppo musicale “Buio Pesto”.
La Flotta srl si occupa di “produzioni cinematografiche, televisive, realizzazioni di film, realizzazioni soggetti e sceneggiature”, ne è titolare Massimo Morini, leader del gruppo musicale “Buio Pesto”.
L’affidamento vale 39.000 euro, è stato varato il 2 ottobre scorso ed è finalizzato, come spiega il bando “senza gara”, all’”attività  di ricerche capillari sul territorio, finalizzate al censimento degli esercizi commerciali presenti in particolar modo nei comuni sotto i mille abitanti”.
Un’indagine sul territorio, una sorta di censimento delle attività  commerciali e non solo, il cui obiettivo è realizzare una “app #lamialiguria che in modalità  georeferenziale presenterà  al turista gli esercizi commerciali e servizi secondo il paradigma “Around me”
«Abbiamo molte perplessità  su questo incarico, di cui chiederemo conto alla giunta Toti – dice il portavoce grillino Andrea Melis – perchè mai un’azienda che si occupa di film ed editoria musicale viene incaricata per un’attività  che pare non essere collegata? Poi c’è l’affidamento diretto sotto soglia, sotto una soglia troppo vicina ai 40.000 euro, per cui sarebbe necessaria una gara, che a noi pare innanzitutto una cattiva abitudine».
Non è finita, però, la lista dei dubbi che il M5S porterà  in aula: «Recentemente i Buio Pesto sono finiti al centro di una polemica con il Comune di Savona, che ha ripetutamente cancellato le date dei loro concerti – aggiunge Melis – e lo stesso cantante, Morini, ha pubblicato un post su Facebook contro l’amministrazione, invitando il Comune a rispettare un “debito di riconoscenza”».
Espressione che anche altri esponenti dell’opposizione a Savona hanno notato e di cui hanno chiesto conto in aula.
Debito che (è la tesi del Movimento, che ha presentato un’interpellanza in Regione) sarebbe stato “saldato” con questi 39.500 euro.
I Buio Pesto avevano suonato in occasione della chiusura della campagna elettorale dell’attuale sindaco, Ilaria Caprioglio, nel giugno 2016. «Non si è ancora capito come sia andata a finire, tra i Buio Pesto e Savona e quale credito potessero vantare con il Comune».

(da “La Repubblica”)

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L’ALTRA SVIZZERA, AL VIA LA GRANDE MARCIA PRO-MIGRANTI

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

50 TAPPE, 1000 KM A PIEDI CONTRO LA CHIUSURA A RIFUGIATI E FRONTALIERI: “BASTA CON I RESPINGIMENTI INDISCRIMINATI, VOGLIAMO PIU’ SOLIDARIETA'”

Anche la Svizzera ha la sua marcia Perugia-Assisi.
Una lunga marcia che farà  il giro dell’intera Confedazione è partita domenica mattina dalla cittadina di Bellinzona, cuore del Canton Ticino: associazioni laiche e cristiane, sindacati, movimenti per i diritti civili, studenti e pensionati si sono ritrovati per una manifestazione “Welcome refugees” in salsa elvetica, per aprire la porta a migranti e rifugiati, e dire basta alle politiche anti-frontalieri.
In cammino per 50 giorni, mille chilometri di sentieri e strade percorse rigorosamente a piedi: dal confine sud con la Lombardia fino a lambire la Germania, dai passi di montagna al lago di Neuchatel.
Ogni tappa un incontro. Per provare a raccontare che c’è un’altra Svizzera, altrettanto ricca ma meno egoista, inclusiva e non esclusiva.
«È una prima volta per far passare il concetto che la barca non è piena», spiega Lisa Bosia, parlamentare socialista a Lugano e anima dell’organizzazione: «Vogliamo toccare centri di identificazione e caserme per denunciare una politica d’asilo sempre più restrittiva, vorremmo maggiore solidarietà  verso chi arriva nel nostro Paese e trova solo una sorda burocrazia e respingimenti indiscriminati».
Bosia è stata condannata un mese fa (pena sospesa per due anni con la condizionale) per aver aiutato 24 eritrei che provavano ad attraversare il confine nell’estate del 2016.
A partire da allora le guardie di confine elvetiche hanno schierato una mole di uomini e mezzi eccezionale per affrontare quella che tra le sonnacchiose cittadine era vissuta come «una minaccia» tanto da portare i cittadini a denunciare «persone di colore» che passavano per strada la sera, come «clandestini», con il drone che di notte sorvolava i valichi.
Uno sforzo di uomini e mezzi che ha dato i suoi frutti: a luglio, nel mese più caldo dei respingimenti con la stazione di Como trasformata in un campo profughi, i migranti hanno provato ad attraversare il varco italo-svizzero 4.834 volte e 3.406 volte sono stati respinti indietro.
Con una procedura che secondo Amnesty International violava una ventina di norme nazionali ed europee tra cui il regolamento Dublino, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il trattato di Schengen a cui la Svizzera aderisce anche se non fa parte dell’Unione europea.
«Gli slogan “No ai frontalieri” e “No ai migranti” hanno fatto da sfondo alle politiche aggressive degli ultimi anni ma entrambi fanno parte della nostra società  e non possiamo permettere la divisione tra persone con più o meno diritti», sottolinea Giangiorgio Gargantini della sigla sindacale Unia.
Su questi temi però la Lega dei Ticinesi ha fatto la sua fortuna politica e guida saldamente da 7 anni il governo regionale del Canton Ticino.
Con l’equivalente di due assessori su cinque, dettano la linea in tema di sicurezza ed immigrazione. Sono loro gli autori delle leggi che rendono più difficile l’accesso alla cittadinanza e ai visti umanitari per persone malate o per ricongiungimento famigliare.
Un anno dopo i respingimenti massicci di adulti e minorenni (che in teoria avrebbero diritto di essere accolti) la situazione si è stabilizzata grazie ai nuovi accordi tra i governi di Roma e Berna che rimane però inflessibile nel concedere l’accesso al suo territorio, soprattutto con i migranti che vogliono semplicemente transitare verso la Germania. Anche il parlamento di Lugano fa la sua parte e per continuare a respingere gli “indesiderati” è in costruzione un nuovo centro profughi con 350 posti letto.
Nel cuore della fortezza Europa c’è un bunker che non rispetta le leggi di Bruxelles nè gli accordi internazionali.
E proprio nei bunker costruiti durante la guerra fredda per difendersi dall’incubo dell’atomica ospita oggi i richiedenti asilo.
Hamza, 33enne algerino, è uno di loro. È arrivato da 10 anni ed oggi è sceso in strada e non nasconde la sua rabbia: «Io ho moglie e figlio nati qui ma non mi concedono nessun permesso di soggiorno. Sono stato picchiato dalle guardie di confine e ho fatto 15 mesi di carcere come “sans papier”. Dietro l’apparenza di benessere e soldi non c’è nessun rispetto dei diritti umani».

(da “La Stampa”)

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COME CAMBIA L’ETA’ DELLA PENSIONE PER I NATI NEGLI ANNI CINQUANTA

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

L’ISTAT STA ANCORA FACENDO I CONTI SULLA SPERANZA DI VITA DEL 2016

Il governo Gentiloni ha annunciato ieri di non voler toccare l’aumento dell’età  della pensione a 67 anni e quindi quando l’ISTAT, entro l’anno, comunicherà  l’aggiornamento dell’aspettativa di vita l’adeguamento per le pensioni di vecchiaia diventerà  automatico. Dai 66 anni e 7 mesi di oggi, in base alle specifiche della riforma Fornero, si dovrebbe arrivare a 67 anni.
I primi a subire l’effetto dell’adeguamento saranno gli esponenti della classe 1952, ovvero 60mila persone e per due terzi donne come spiega oggi Repubblica.
Dovranno lavorare cinque mesi in più? Non è detto.
L’Istat sta facendo ancora i calcoli.
Alla fine sottrarrà  la speranza di vita del 2016 — ancora ignota — a quella del 2013, come vuole la legge.
E non sappiamo se questa differenza sia proprio cinque mesi. Potrebbe essere quattro o sei. O anche zero e allora il periodo residuo da vivere per un 65enne potrebbe rimanere pari a 20 anni e 3,6 mesi, proprio come nel 2013.
A quel punto anche l’età  per la pensione di vecchiaia resterebbe inchiodata a 66 anni e 7 mesi, come oggi.
Se così fosse, la discussione si sposterebbe di due anni.
L’adeguamento all’aspettativa di vita, sin qui triennale, dopo il 2019 diventa biennale (lo dispone la legge Fornero).
Nel 2021 l’Istat quindi deve ricalcolare il dato. E se questo rimane ancora sotto i 67 anni, allora scatta la clausola di salvaguardia messa nella legge Fornero, all’epoca voluta da Bruxelles: si sale a 67 anni comunque dal 2021 in poi. Volente o nolente lì si finisce.
La normativa d’altro canto guarda alla stabilità  dei conti:
Derogare all’automatismo del 2019, quale che sia l’entità  dei mesi da aggiungere, significa affossare da subito — già  nel primo anno, nel 2020 — i conti pubblici di oltre 3 miliardi, come mostra la simulazione della Ragioneria dello Stato.
D’altro canto le bombe pronte ad esplodere sono due.
Da una parte, quella demografica. Nel giro di un secolo — come mostrano le elaborazioni di Progetica su dati Istat — la piramide della popolazione italiana tende a rovesciarsi. Nel 1957 c’erano più giovani e giovanissimi che vecchi e centenari.
Nel 2057 si tenderà  quasi all’inverso.
Anche per questo la gobba previdenziale — la seconda bomba — mostrata dalla Ragioneria nel suo studio è inequivocabile: attorno al 2045 la spesa previdenziale si impenna, raggiunge un picco pari al 17% del Pil, per poi scemare.
E questo grazie ai baby boomers, i nati tra 1958 e 1964: vanno in pensione nel 2030, quando la curva inizia a impennarsi, e ci restano fino al 2045.
Intaccare il meccanismo dell’adeguamento automatico alla speranza di vita prima del 2045 significa far esplodere i conti.

(da “NextQuotidiano“)

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