CHIARA, LA STELLA OFFUSCATA DEL MOVIMENTO
DAI TEMPI DEI RUMORS SULLA CORSA ALLA PREMIERSHIP CON DI MAIO ALLA CRISI DI PIAZZA SAN CARLO E ALL’AVVISO DI GARANZIA
C’è stato un tempo in cui Chiara Appendino sembrava poter essere il Matteo Renzi del Movimento 5 stelle.
Il Renzi delle origini, quello giovane, fresco, brillante, politicamente quasi intonso, capace di assurgere alla gloria nazionale partendo dai soli galloni di una fascia tricolore a cingergli il petto.
Eletta insieme a Virginia Raggi, la prima cittadina di Torino è stata per mesi il “positivo” del negativo romano. Chiara veleggiava a gonfie vele, godeva di buona stampa, non disdegnava di intessere relazioni nei complicati salotti della spigolosa città sabauda, parlava con gli altri partiti, con i potentati locali, con la Regione (Chiappendino, remember?).
Sembrava persino possibilista sul Tav, uno dei grandi babau dell’universo stellato.
Virginia era in difficoltà ? Ecco la photo opportunity con la collega, come cercando di mitigare l’immagine estremamente della Raggi mescolandole in un unico calderone immaginifico, come se un bene, in politica, possa riequilibrare un male per il semplice dono dell’osmosi.
C’è stato il tempo dell’ascesa, del fulgore. Poi quello della precipitosa caduta, fino all’indagine per falso ideologico in atto pubblico e l’avviso di garanzia che le è piombato sulla sua scrivania, insieme a quelli per il suo braccio destro-ombra, Paolo Giordana, e per l’assessore al Bilancio, Sergio Rolando.
All’apice, la lucentezza della stella appendiniana brillava di una luce talmente abbagliante che più d’uno si sospingeva a dire che quale Dibba, quale Fico, quale papa straniero, l’unico vero competitor di Luigi Di Maio per la premiership era questa ragazza dal volto gentile.
Chiara incarnava il Movimento dal volto gentile. Quello che puntava a demolire lo status quo più sulla scorta di una granitica etica a là Confucio che con il “Vaffanculo”, che capiva che per smontare il sistema bisogna lasciarsi contaminare, penetrarlo, conoscerlo, sporcarsi le mani, rinunciando al candore immacolato della verginità politica per poter portare a casa qualche risultato concreto.
C’è stato un tempo, c’è stato un mondo diverso.
Un mondo forse non del tutto reale, forse solo verosimile. Come quando l’ultima finta di Cristiano Ronaldo in Fifa 18 ti sembra tutto sommato plausibile, ma in realtà , fuori dallo schermo non la vedrai mai.
È stata proprio la notte del Pallone d’oro, quella in cui il Real Madrid ha schiantato la Juventus nella finale di Champions League, a segnare un prima e un dopo nella parabola della stella Appendino.
Piazza San Carlo e la disastrosa gestione dell’assembramento dei tifosi bianconeri, il parapiglia, il morto, hanno segnato la fine della prima — breve — era Appendino.
Da quel giorno è cambiato tutto, si è fatto largo uno strisciante revisionismo sui primi mesi di governo (i cui semi, a dire il vero, si erano già intravisti in primavera): “Eh ma è immobile”. “Eh ma non decide”. “Eh ma è facile non sbagliare rimanendo fermi”.
Cambia il paradigma del racconto. Non basta più la stampella ironicamente brandita da Grillo la sera dell’elezione, il profilo da manager rampante che si muove a suo agio nella città che guarda le Alpi.
Non è più sufficiente nemmeno accostarla per sottrazione alla Raggi. Perchè i fatti di piazza san Carlo non attengono alla sfera delle scelte politiche, della direzione in cui convogliare i soldi in un sistema di scarsità di risorse. È fallita la gestione concretissima di uno spazio pubblico, l’amministrazione di un pezzo di territorio, si è rivelata inadeguata la catena di comando preposta a organizzazione e controllo il cui vertice apicale è individuato proprio nella poltrona del sindaco.
Passano mesi, uno spesso strato di polvere si sedimenta sull’amministrazione stellata.
Un po’ ad attutire lo stridio dello scandalo, un po’ a rendere più offuscata la sua lucentezza. Fino all’altra tegola.
Quella dell’avviso di garanzia, per aver fatto pressioni per “alleggerire” il bilancio comunale di un debito di 5 milioni di euro.
Un atto preciso, di indirizzo politico, che attiene alla limpidezza dell’amministrazione, che coinvolge la presunzione di diversità sulla quale si fonda la grancassa movimentista. Sarà la magistratura ad appurare le responsabilità .
Se condannata, la prima cittadina rischia fino a sei anni. Al di là dei tempi della giustizia, lo spauracchio della condanna in primo grado sta iniziando a preoccupare tutte le principali amministrazioni 5 stelle.
Perchè dalle manette brandite come martelli delle origini, la svolta (auto)garantista degli uomini di Beppe Grillo si è spinta alle dimissioni solo in caso di condanna in primo grado. Quando arriverà la prima, si vedrà .
Il Pd silenziosamente gongola, ma al momento si bea quasi alla lettera la massima evangelica del “beati mundo corde, quoniam ipsi deum videbunt”.
Ecco Stefano Esposito, uno degli uomini di spicco dei democratici torinesi: “Per quanto mi riguarda massimo garantismo anche per lei, noi non siamo grillini”.
Ma è un fatto che l’indagine piovuta su Torino — la seconda dopo quella su piazza San Carlo — pesa sugli equilibri interni 5 stelle, con gli ortodossi impegnati a diffondere che “il caso di Chiara è diverso da quello di Virginia, non sono la stessa cosa”, per non arretrare di un passo sull’attacco al fianco scoperto di Di Maio.
E ha scatenato la reazione scomposta del candidato premier M5s, che lancia sul blog di Grillo un lungo post. Che inizia così: “Quando vi abbiamo detto in questi anni che sarebbe stata la campagna elettorale più scorretta della storia, non scherzavamo. Siamo sotto attacco, il Movimento è sotto attacco. In questo momento stanno provando ad accerchiarci da tutti i lati: tv e giornali, partiti e dirigenti pubblici lottizzati sanno che rischiano di perdere tutto: la Sicilia e il paese”.
Ora, fate finta di non sapere chi è l’estensore del testo. Rileggetelo. In controluce vi si staglierà l’immagine di un Silvio Berlusconi d’antan.
Benvenuti sul treno della campagna elettorale. Che passa anche per Torino.
(da “Huffingtonpost”)
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