Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
DA 60 GIORNI NELLA MINIERA DI BAUXITE DI OLMEDO NON VEDONO LA LUCE… IL MERCATO NON E’ IN CRISI, SONO VITTIME DEL MONOPOLIO DI UNA MULTINAZIONALE FRANCESE
Il buio assoluto non è quello della notte. Si vede e si vive solo qui, nel ventre silenzioso della terra, a quasi duecento metri di profondità .
Non arriva neanche un debole filo di luce e quando Emilio spegne la torcia ci si ritrova improvvisamente in un’altra dimensione. «Adesso sembra che vi manchi il respiro, non vi fate prendere dal panico – preavvisano i minatori -. Noi trascorriamo qui le nostre giornate oramai da oltre vent’anni.
Se c’è un’emergenza abbiamo solo una strada per arrivare all’uscita: seguire la leggera brezza che ti sfiora il viso, quella ti porta verso la salvezza».
Mantenere la calma è la parola d’ordine per chi arriva quaggiù, ma Salvatore, Antonio, Marco e Franco tutta la pazienza oramai l’hanno persa.
Da 60 giorni non mettono il naso fuori dalle gallerie, asserragliati nel cuore dell’unica miniera di bauxite rimasta attiva in Italia.
Il lavoro, il prodotto di qualità e gli acquiren
Bloccata senza una spiegazione chiara.
«Il licenziamento è arrivato all’improvviso e quella per noi è stata la prima vigliaccata – grida Antonio, il meno giovane degli irriducibili di Olmedo -. Adesso stiamo subendo la seconda: il disinteresse e il ritardo delle istituzioni che dovrebbero trovare una soluzione. Noi abbiamo preso una decisione: a Natale non saremo più fermi qui, se entro pochi giorni non si chiude il caso dimostreremo che i minatori non scherzano»
Il cancello della galleria è sempre chiuso e nessuno sa chi abbia le chiavi: anche l’acqua e i panini che gli altri operai portano ogni giorno alla stessa ora devono passare attraverso le grate.
I quattro che sfidano il buio e l’umidità si presentano con un passamontagna sul volto e avvisano: «Vi concediamo di entrare solo perchè vogliamo che tutti conoscano il nostro dramma».
A metà della lunghissima discesa c’è una specie di accampamento: quattro brande, un barile trasformato in tavolino e qualche coperta. Franco parla a bassa voce: «Questi sono i confini della nostra vita. E ora la sfida più grande è quella di non cascare nella trappola della depressione. Ci facciamo forza a vicenda, ma abbiamo anche esaurito gli argomenti di cui discutere».
A venti chilometri da Alghero c’è una grande città sotterranea. Un groviglio di strade buie, polverose e numerate, dove ruspe e fuoristrada s’incrociavano di continuo.
Ci lavoravano in 30, 24 ore su 24, dal lunedì al venerdì.
Ma da due anni i macchinari sono tutti parcheggiati e pian piano arrugginiscono. «Questa è l’ultima miniera in cui si fa l’attività di estrazione con la tecnica tradizionale, cioè con l’esplosivo – racconta Emilio Fois -. Il sottosuolo è ancora ricco, ci sarebbe lavoro almeno per altri vent’anni. Ma noi siamo ostaggio delle strategie del mercato internazionale».
La temperatura in fondo al tunnel è sempre costante e l’aria che si respira è un mix di ossigeno e minuscole particelle di allumina.
Marco è quello che non perde mai la forza: «Siamo stanchi, questi due mesi ci hanno provato. Passare le giornata quaggiù è una sfida difficile da vincere, ma non siamo disposti a essere sacrificati nel nome di chissà quali logiche».
La crisi della miniera di Olmedo è una vicenda che la politica sarda ha pochi strumenti per risolvere.
«Noi paghiamo gli effetti del monopolio della bauxite – spiega Gianfranco Murtinu, segretario della Cgil di Sassari -. Il mercato è nelle mani di una multinazionale francese che ha scorte ferme in altre zone del mondo e che ha fatto alcune mosse strategiche per bloccare la concorrenza. La società greca che gestiva questa miniera è stata acquisita proprio dai francesi e l’attività in Sardegna è stata fermata. L’azienda che si è presentata poco dopo per avere la concessione regionale è stata ugualmente assorbita dalla stessa multinazionale».
Le sorti dei trenta minatori sardi, dunque, dipendono da giganteschi equilibri commerciali internazionali.
E dalle decisioni della Regione, che ha pubblicato un terzo bando e che ancora non ha analizzato nei dettagli la proposta dell’ultima società che ha fatto un’offerta.
«Io non vedo mio figlio da due mesi – racconta Salvatore -. Lui mi ha chiesto di poter venire qui a salutarmi, ma non voglio che veda in quali condizioni stiamo vivendo».
Il rischio più grosso per chi passa le notti qui dentro è l’acqua: in fondo alle gallerie c’è un lago che avanza di un metro al giorno.
«La società che aveva la concessione si sarebbe dovuta preoccupare della sicurezza della miniera e invece ha lasciato tutto così, col rischio che le gallerie si allaghino. Da due anni siamo noi che ci occupiamo di controllare i cantieri per evitare che il lavoro di tanti anni venga distrutto. Perchè questa è casa nostra, il minerale prezioso che la miniera ci regala ogni giorno è il pane per le nostre famiglie. E noi non vogliamo morire di fame».
(da “La Stampa”)
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Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
IL DESIGNATO AGLI ENTI LOCALI DA CANCELLERI ED EX SINDACO DI LICATA E’ STATO GIA’ MULTATO PER 6800 EURO CAUSA ABUSO EDILIZIO
È un duro atto d’accusa contro il MoVimento 5 Stelle quello di Angelo Cambiano,
assessore regionale in pectore per Giancarlo Cancelleri.
Tanto duro quanto involontario, perchè Cambiano vuole in realtà difendersi dal “fango” che qualcuno gli sta gettando addosso dopo la notizia del suo rinvio a giudizio per abusivismo edilizio.
Cambiano si è accorto che la campagna elettorale per le regionali siciliane del 5 novembre «non è una campagna basata sul confronto, sul dialogo e sull’informazione dei cittadini sulle soluzioni da affrontare per i tanti problemi che ha questa Regione».
L’ex sindaco di Licata ha scoperto che questa è una campagna elettorale che «mira ad ottenere consensi screditando l’avversario politico».
E se non fosse che si sta difendendo dalla macchina del fango messa in modo contro di lui potrebbe sembrare che Cambiano stia criticando il modo in cui Cancelleri e il M5S hanno sistematicamente screditato gli avversari politici stilando liste di “impresentabili” che comprendevano anche persone incensurate e non indagate che avevano come colpa quella di essere amici o parenti di indagati o condannati a vario titolo per qualche reato.
Cambiano si è fatto un nome dopo essere stato sfiduciato dalla sua maggioranza (con il voto contrario del PD) per aver deciso di denunciare alcuni consiglieri comunali proprietari di case abusive.
Per molti è diventato il “sindaco eroe” che lotta contro l’abusivismo edilizio.
Un profilo che probabilmente già di per sè è incompatibile con il MoVimento 5 Stelle che in Sicilia parla di abusivismo di necessità e ha un sindaco proprietario di una casa abusiva e sotto indagine per aver tentato di aiutare un parente nella stessa situazione. Non è nemmeno la prima volta che Cambiano critica la linea ufficiale del MoVimento.
In un’intervista rilasciata a Repubblica dopo le sue dimissioni Cambiano aveva stigmatizzato la posizione di Cancelleri sugli abusi edilizi.
“Avevo incontrato Cancelleri mesi fa e mi aveva incoraggiato ad andare avanti con le demolizioni. Ora gli sento dire che agli “abusivi per necessità ” non verrà demolita la casa. Ma chi sono gli abusivi per necessità ? Sono solo slogan per avere i voti di questa gente”.
E involontariamente nel video Cambiano sembra ricordare la situazione del pentastellato Patrizio Cinque quando dice che «nessuno si è preoccupato di accertare se i candidati alle prossime regionali che magari sostengono Musumeci hanno un ordine di demolizione e devono demolire il proprio immobile».
Ma non è così ovviamente, infatti Cinque è già stato eletto sindaco per il M5S e la sua abitazione abusiva — non sanata — non risulta raggiunta da un ordine di demolizione
Perchè Cambiano andrà a processo per abusivismo edilizio
La situazione di Cambiano è differente. Lo spiega lui stesso dicendo che è stato lui a chiedere di essere mandato a processo. Ed è vero.
Come spiega il Giornale di Sicilia l’ex Sindaco di Licata era infatti stato colpito nel settembre del 2016 da un decreto penale di condanna a 6.800 euro di ammenda, con sospensione condizionale della pena.
Il motivo? Non è come dice Cambiano una semplice denuncia di alcuni consiglieri “basata su foto scaricate da Google risalenti a diversi anni fa”.
Si è arrivati alla multa in seguito ad un’ispezione dei vigili urbani che hanno contestato a Cambiano l’esistenza di un abuso edilizio «nell’immobile di contrada Olivastro, in assenza di titolo abitativo edilizio” la copertura mediante manto di tegole di un persistente pergolato con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto dell’edificio».
Cambiano, come è suo diritto, ha deciso di fare opposizione e non pagare la multa (che tra l’altro sarebbe stato tenuto a pagare vista la sospensione condizionale) per dimostrare la sua innocenza.
E per questo motivo andrà a processo per abusivismo edilizio.
In questo frangente dire che “ci sono anche altri che hanno commesso abusi” o che il processo l’ha chiesto lui poco cambia la sostanza delle cose.
Sembrano ormai decisamente passati i tempi in cui il senatore Nicola Morra diceva che «nessuna ombra o dubbio deve gravare sulle liste del Movimento 5 Stelle» e faceva ritirare le liste del M5S perchè dentro c’erano indagati o parenti di indagati. Nel nuovo MoVimento 5 Stelle, quello di Luigi Di Maio, non solo ci possono stare i parenti di persone indagate per mafia ma anche indagati come Cambiano e condannati come Gionata Ciappino.
(da “NextQuotidiano“)
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Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
DEPOSITATO L’ATTO DALL’AVV. BORRE’ CON CUI SI CHIEDE LA CANCELLAZIONE DEL RISULTATO… TRA LE CONTESTAZIONI L’INDAGINE PER DIFFAMAZIONE CHE RIGUARDA DI MAIO, LE LIMITAZIONI ALLA CANDIDATURA E L’ESCLUSIONE DEGLI ESPULSI REINTEGRATI
Riccardo Giuseppe Di Martiis, assistito dall’avvocato Lorenzo Borrè, impugna le Gigginarie, ovvero la competizione che ha portato alla scelta di Luigi Di Maio come candidato premier del MoVimento 5 Stelle alle prossime elezioni politiche.
Di Martiis aveva corso per la candidatura a sindaco con il MoVimento 5 Stelle a Venezia ma alla fine aveva ritirato la candidatura con la sua lista, dando via libera all’avvocato Davide Scano.
Nell’atto di citazione si legge che Di Martiis intende impugnare sia il regolamento che portava alla candidatura nel M5S che il risultato delle votazioni che hanno plebiscitariamente incoronato Luigi Di Maio a Rimini il 23 settembre scorso.
Di Martiis si muove insieme ad altri venti iscritti al MoVimento 5 Stelle, che impugnano per violazioni al Non Statuto e al principio di eguaglianza tra gli iscritti alle associazioni. Nell’atto si segnala la presunta violazione dell’articolo 7 del Non Statuto che dispone l’incandidabilità di chi è sottoposto a procedimento penale “per qualunque reato”, ricordando che Di Maio è indagato per diffamazione di Marika Cassimatis a Genova e si segnalano anche le iniziative giudiziarie nei confronti del reuccio da parte di Giovanni Favia e Roberto Maroni.
E contesta la limitazione della candidabilità ai soli portavoce, l’esclusione degli espulsi reintegrati dal tribunale e la mancata convocazione di diversi associati.
Nell’atto Riccardo Di Martiis afferma di non aver ricevuto la mail che lo invitava al voto, probabilmente a causa dei problemi della piattaforma dopo gli interventi di adeguamento del sistema operativo del M5S effettuati dalla Casaleggio nell’estate dell’hacking.
Poi l’avvocato Borrè passa ai motivi di impugnazione.
Il primo è il fatto che le regole del voto, emanate dal blog di Beppe Grillo nel settembre scorso, prevedevano l’esclusione di chi non fosse mai stato eletto con il MoVimento 5 Stelle, andando in contrasto con l’articolo 7 del Non Statuto, che recita: “i candidati saranno scelti fra i cittadini italiani, la cui età minima corrisponda a quella stabilita dalla legge per la candidatura a determinate cariche elettive, che siano incensurati e che non abbiano in corso alcun procedimento penale a proprio carico, qualunque sia la natura del reato ad essi contestato”.
L’introduzione del principio della candidabilità dei soli portavoce previsto dalle regole per la consultazione avrebbe inciso sulla libertà di candidatura degli associati al M5S introducendo il filtro di “una carica extrassociativa che viola il principio di uguaglianza tra soci”.
Sostiene poi il ricorso che è illegittima la regola che prevedeva l’esclusione di chi era parte ricorrente o attrice in ricorsi contro il MoVimento 5 Stelle e il suo garante (che dovrebbe essere Beppe Grillo).
L’atto poi contesta la norma che impediva la candidatura a chi è stato iscritto ad altri partiti e torna sulle motivazioni di impugnazione del gennaio scorso in una citazione sempre seguita dall’avvocato Borrè.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
NOVE MEMBRI DEL GOVERNO E SEI DEL PARLAMENTO DAVANTI AI GIUDICI… PER L’EX PRESIDENTE PRONTO UN MANDATO DI ARRESTO EUROPEO
Era una delle possibilità . Quella più accreditata anche dai media. E che alla fine è stata
scelta dalla procura spagnola: i magistrati di Madrid hanno chiesto alla giudice della Audiencia Nacional Carmen Lamela detenzione preventiva senza cauzione per tutti i membri del Govern catalano accusati di “ribellione”, meno che per l’ex ministro Santi Vila che si era dimesso il giorno prima della dichiarazione di indipendenza.
E che è stato l’unico a rispondere alla domande in aula per 40 minuti e al quale è stato concesso il rilascio in libertà condizionata su pagamento di cauzione di 50mila euro. Nessuna dichiarazione da tutti gli altri, ovvero l’ex vicepresidente Oriol Junqueras e sette ex ministri del governo di Barcellona, tra cui il portavoce del governo regionale Jordi Turull, il ministro degli affari esteri Raul Romeva e il ministro dell’Interno Joaquim Forn.
Mentre l’ex presidente Carles Puigdemont non si presenta in tribunale e resta in Belgio insieme agli ex ministri Clara Ponsatà, Antoni Comàn, Lluàs Puig e Meritxell Serret. Nei loro confronti i giudici spagnoli potrebbero quindi spiccare un mandato di arresto europeo.
Davanti alla Corte Suprema invece si sono presentati la presidente del Parlament catalano, Carme Forcadell, e gli altri cinque componenti della Mesa del Parlament, Lluàs Maràa Corominas, Lluis Guinà³, Anna Simà³, Ramona Barrufet e Joan Josep Nuet.
Così il governo destituito finisce alla sbarra con le accuse di ribellione, sedizione e malversazione di fondi pubblici in relazione all’organizzazione del referendum in Catalogna il primo ottobre scorso. “Torniamo a casa. Grazie a tutti e tutte per il lavoro, l’appoggio e lo sforzo. Tutto l’appoggio ai consiglieri che dichiarano all’Audiencia Nacional“, ha scritto su Twitter Forcadell, esprimendo il proprio appoggio agli ex consiglieri del Govern che si sono presentati davanti in aula.
Il giudice della Corte suprema, Pablo Llarena, ha ordinato su richiesta della procura la vigilanza di polizia per Forcadell e per altri cinque indagati, in vista della loro deposizione che è stata rinviata al 9 novembre.
I difensori degli imputati hanno chiesto il rinvio per l’esiguità dei tempi concessi, due giorni compreso il festivo del primo novembre, per preparare gli interrogatori.
Lamela è la stessa giudice che a metà ottobre aveva ordinato il carcere preventivo per i leader indipendentisti Jordi Sanchez e Jordi Cuixart per presunta “sedizione” per le manifestazioni pacifiche di Barcellona del 20 e 21 settembre.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
CANCELLERI: “CI HA MENTITO, E’ FUORI”
«Abbiamo anche noi un condannato in lista?». Nel M5S sono increduli, Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri dicono di non saperne nulla del caso di Gionata Ciappina e di essere stati tenuti all’oscuro.
Chiamano il diretto interessato che, raccontano poi, giura di ricordarsi «solo di una semplice multa».
Fatte le verifiche, il Movimento decide di metterlo alla porta: «La condanna lieve e di 2 mesi che ha ricevuto Ciappina dal tribunale militare, per un reato militare (ossia violata consegna quando era militare), prevedeva la non menzione nel casellario giudiziale per questo non potevamo saperlo e lui non ci ha informato – scrive il candidato Cancelleri -. Ciappina ci ha mentito ed è fuori dal MoVimento 5 Stelle» che «non fa sconti neppure su una condanna lieve di due mesi del tribunale militare».
Gionata Ciappina, 43 anni, di Catania, era in corsa nella squadra del M5S per la conquista della Sicilia.
Era un carabiniere, Ciappina, e in questa veste è stato condannato dal Tribunale militare di Napoli a due mesi di reclusione il 20 maggio 2015, per violata consegna e abbandono di posto aggravato in concorso.
In pratica, Ciappina e un collega, Salvatore Gueli, entrambi appuntati dell’Arma dei carabinieri, hanno lasciato il posto di blocco e il pattugliamento, violando gli ordini mentre erano in servizio presso la tenenza di Mascalucia (provincia di Catania), nella notte tra il 12 e il 13 aprile 2013.
Poche ore dopo, prima dell’alba, un collega troverà Ciappina a dormire in caserma. Quando il collega chiede spiegazioni a Gueli, la risposta — come scritta nel dispositivo della sentenza – è la seguente: «Il capoequipaggio aveva sonno e mi ha detto di rientrare». Il capoequipaggio quella notte era Ciappina.
Durante il processo gli avvocati che lo difendono dicono che soffre di una particolare «patologia del sonno». Non vengono creduti. Anzi, secondo il Tribunale, «il reato ha avuto ad oggetto condotte plurime e reiterate».
La sentenza verrà confermata nel maggio 2016 in appello. Entrambi ottengono la sospensione condizionale e la non menzione.
Ma la condanna c’è, anche se Ciappina con i vertici del M5S prima ne nega l’esistenza poi prova a ridimensionarla a semplice sanzione.
Nel M5S catanese il suo nome aveva già creato non poche fratture.
Si racconta di una forte tensione con Mario Michele Giarrusso, avvocato e senatore grillino, dovuto al passato politico, anche in questo caso poco conosciuto dai vertici nazionali, di Ciappina.
Prima di quella brutta notte e delle sue disavventure con l’Arma dei Carabinieri, Ciappina infatti era stato eletto consigliere a Trecastagni, altro comune del Catanese. Eletto in una lista a sostegno del sindaco di centrodestra Pino Messina.
Passato qualche anno ci sarà l’infatuazione per il M5S.
Giarrusso, un purista della fede pentastellata, però non si fida di uno che ha già avuto esperienze politiche e per giunta vicino alla destra.
Ciappina fonda il meet-up di Trecastagni e a poco a poco si crea una sua storia da attivista, fino alla candidatura alla Regione. La battaglia in una terra come la Sicilia è complessa e qualche blog locale lo accusa di usare Caf ereditati dal padre per fare campagna elettorale.
Un trucchetto da campagna elettorale che il M5S aveva denunciato come arma impropria usata da un avversario proprio in questa complicata e tormentata isola.
(da “La Stampa”)
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Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
MA BASTA GUARDARE IL RENDICONTO PER SCOPRIRE CHE LE COSE NON STANNO COSI’
A prima vista Alfonso Bonafede non ha nulla dei miracolati di Beppe Grillo. Avvocato con
un proprio studio a Firenze, dottore di ricerca in Diritto Privato che ha svolto anche l’attività di insegnamento all’Università , Bonafede non ha certo il profilo lavorativo e il curriculum di un Roberto Fico o di un Luigi Di Maio.
Anche perchè Bonafede è uno di quei deputati pentastellati che prima di arrivare in Parlamento ha fatto la gavetta nelle “serie minori”.
I 5 Stelle non valutano solo le competenze ma anche quanto un eletto “costa” ai cittadini. Perchè la propaganda pentastella racconta che i deputati del M5S fanno risparmiare un sacco di soldi allo Stato.
Bonafede è infatti stato candidato sindaco del M5S a Firenze nel 2009. In quell’occasione vinse Matteo Renzi e il M5S con poco meno di quattromila voti (2%) rimase fuori dal Consiglio Comunale.
Come tutti i parlamentari pentastellati però anche il deputato mazarese trapiantato nel capolouogo toscano ha visto migliorare decisamente il suo tenore di vita dopo l’elezione alla Camera.
Al primo anno di legislatura, nel 2013, Bonafede dichiarava un imponibile di poco più di ventiseimila euro.
L’anno scorso, nel 2016, Bonafede ha dichiarato un reddito imponibile paria 132 mila euro (e spicci).
Non c’è alcun dubbio che anche Bonafede, così come Roberto Fico (il cui reddito prima di diventare parlamentare però era pari a zero), con la politica ci abbia guadagnato.
Il che non è sbagliato di per sè, perchè anche la politica è un lavoro. Per i 5 Stelle però le cose stanno diversamente e nonostante per molti pentastellati l’esperienza parlamentare sia il primo lavoro vero della loro vita si ostinano a raccontarcela come una missione, al servizio dei cittadini.
Ieri sera ad Otto e Mezzo Bonafede si è innervosito quando Giovanni Minoli gli ha ricordato che in campagna elettorale i 5 Stelle avevano promesso di ridurre il proprio stipendio a parlamentari a 2.500 euro al mese.
Secondo Bonafede non è così, perchè a Roma deputati e senatori prendono appunto solo 2.500 euro mese.
Ed è un’affermazione curiosa, perchè qualche tempo fa Roberto Fico aveva detto di prendere “solo” 3.000 euro al mese e soprattutto perchè i parlamentari hanno tutte le spese pagate.
Quanto prende al mese Alfonso Bonafede?
Per scoprirlo basta guardare i rendinconti. Grazie alla rinomata trasparenza a 5 stelle è possibile vedere che le cose non stanno così.
Dall’ultimo rendiconto disponibile per Bonafede (febbraio 2017) risulta che il deputato pentastellato percepisce uno stipendio da 5.000 euro lordi pari a 3.335,08 euro (a fronte di 4.768,28 euro).
Come risultato a febbraio il prode Bonafede ha fatto risparmiare allo Stato (tra stipendio e indennità ) ben 1.433,20 euro.
Si dirà che vivere a Roma costa e farlo con duemilacinquecento euro al mese è molto difficile.
Certo, questo non tiene conto del fatto che a Roma ci sono persone — operai, impiegati, operatori di call center e chi più ne ha più ne metta — che vivono anche con meno di duemilacinquecento al mese.
Ma non bisogna fare i conti al ribasso. Anche perchè i parlamentari del M5S non vivono a Roma con il proprio stipendio.
Deputati e senatori infatti ricevono anche un rimborso spese (ottomila euro) con il quale i parlamentari pagano le proprie spese.
A febbraio 2017 Bonafede ha speso più di seimila euro. Anche qui non c’è nulla di illegale ovviamente, tutto fa parte del trattamento economico standard di ogni parlamentare.
Grazie alla trasparenza pentastellata siamo in grado di dire che per mantenersi a Roma Bonafede spende circa 2000 euro al mese.
Soldi ai quali vanno aggiunte le spese per l’attività sul territorio e quelle per i collaboratori (altri 4 mila euro circa).
Apprendiamo così che ad esempio il francescano Bonafede ha speso 415 euro in taxi. Ma i 5 Stelle non erano quelli che rinunciavano ai privilegi e si spostavano solo sui mezzi pubblici?
Quante foto di Di Maio e di Di Battista in autobus e in metro “come i comuni cittadini” abbiamo visto in questi anni?
La domanda è sempre la stessa: Bonafede se lo poteva permettere un tenore di vita come questo con il suo reddito precedente? La risposta probabilmente è no.
Non è del tutto vero però che i parlamentari prendono “solo” cinquemila euro lordi al mesa, a questi però vanno aggiunti rimborsi per le spese sostenute — e rendicontate “al centesimo” dai Cinque Stelle — che i parlamentari a Cinque Stelle si fanno rimborsare da Camera e Senato.
Certo, a differenza degli altri parlamentari i pentastellati restituiscono (con qualche trucco per fare propaganda) tutto quello che non spendono.
Ma è proprio su quello che spendono i parlamentari pentastellati che la questione della trasparenza si fa più opaca.
Qualche tempo fa Roberta Lombardi si è scagliata contro quei parlamentari a Cinque Stelle che pur essendo di Roma si fanno rimborsare le spese per l’alloggio.
Ed è un peccato che la Lombardi non abbia fatto i nomi.
Ma non ci sono solo i romani: c’è il caso di Marta Grande, che nel 2013 fece notizia per aver rendicontato 12 mila euro per due mesi di affitto, che pur essendo di Civitavecchia (ad un’ora di regionale da Roma) spende 1.800 euro al mese di affitto (più 270 euro di spese per manutenzione e utenze).
Mediamente i parlamentari del MoVimento spendono intorno ai 1.500 euro al mese, che anche per una città come Roma sono decisamente alti.
C’è chi spende addirittura di più però, Il Dubbio ad esempio ha scoperto che il senatore Morra (che non è di Roma) spende 2.155 di affitto al mese (più le spese per utente etc.)
Addirittura la deputata padovana Silvia Benedetti ha speso nel maggio 2016 2.600 euro di affitto mentre c’è chi come Nicola Cappelletti ha dovuto pure “ristrutturare” l’appartamento avendo speso 1.500 euro di affitto e 1.400 euro di spese di manutenzione: un affarone.
Non è vero quindi — e lo si può dire guardando proprio il sito Ti Rendiconto — che i Cinque Stelle fanno attività politica prendendo solo “2.500 euro di stipendio” perchè — proprio come tutti i parlamentari — hanno tutte le spese pagate, compreso vitto, alloggio, trasporti ed extra.
Lo stipendio netto base è di euro 3.335 cui vanno aggiunte le spese suddette per un totale di circa 8.000 euro.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
UN PADRE DISPERATO: “MIO FIGLIO DALLO PSICOLOGO PER GUARIRLO DALL’ODIO CHE GLI HANNO INSTILLATO”… 352 PAGINE CHE HANNO PORTATO AL RINVIO A GIUDIZIO PER ISTIGAZIONE ALL’ODIO RAZZIALE DIVERSI ESPONENTI DEL MOVIMENTO
Minorenni a scuola di razzismo e indottrinati all’odio nella sede di Forza Nuova di via Amulio nella Capitale.
Si possono sintetizzare così le 352 pagine dell’informativa dei carabinieri del Ros che hanno portato la procura di Roma a chiedere il rinvio a giudizio per il prossimo gennaio per “incitamento all’odio razziale” di diversi esponenti del movimento neofascista.
Quello che raccontano le carte allegate al fascicolo firmato dal pm Sergio Colaiocco dà uno spaccato di quanto il movimento di estrema destra punti tutto sui giovani. “A me la cosa che interessa di più so’ i ragazzini, i ragazzini “, dice uno dei leader della sede storica romana di Forza Nuova.
Giovani reclute da crescere nell’odio e che sfuggono all’educazione di madri e padri, cambiano umore, si fidano ciecamente dei dettami dei leader del movimento.
Ci sono i genitori di alcuni ragazzini che frequentano la sezione del partito che chiamano disperati i responsabili del movimento: “Noi non esistiamo più – dice il padre di un 17enne in una conversazione intercettata dai carabinieri nel 2014 – Esistono solo il partito e i capoccioni del partito, noi genitori non contiamo un c…”.
Il figlio ha incassato due denunce per affissioni abusive di cartelloni di Fn. E si lamenta col responsabile: “Sarà il caso di non utilizzare più i minori per queste cose? È la seconda denuncia nel giro di dieci giorni”. Lo esorta, poi, a insegnare loro ai ragazzi come comportarsi “perchè tanto mio figlio, se io gli dico di non andare a fare le affissioni, da una parte gli entra dall’altra parte gli esce (…) perchè secondo loro esistete solo voi”.
Non solo affissioni e volantinaggio ma anche pestaggi.
I militari del Raggruppamento operativo speciale hanno anche raccolto la testimonianza di un altro padre che aveva scoperto che suo figlio diciassettenne aveva partecipato a un “Bangla tour” (così è stato battezzato il pestaggio di cittadini bengalesi).
L’uomo ha spiegato agli investigatori di aver deciso di mandare “il suo ragazzo” sul lettino di uno psicologo “perchè era necessario ricorrere a cure specialistiche per gestire gli scatti d’ira e l’odio sviluppato ” nei mesi in cui aveva frequentato la sezione.
E infatti i militari scrivono che “proprio l’indottrinamento nei confronti dei minori, a cui i capi (di Forza Nuova, ndr) puntano in maniera particolare, è risultato profondo”.
Nelle carte si legge che all’interno della sezione di Fn in via Amulio si insegna “l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali e religiosi, nonchè il ricorso alla violenza come mezzo di risoluzione delle controversie “.
I bengalesi sarebbero le vittime prescelte dei pestaggi da parte dei ragazzi dell’estrema destra, come documentato nel 2013 da un’inchiesta di Repubblica da cui è nata l’indagine della magistratura durata due anni che oggi chiede di mandare a giudizio molti estremisti di destra.
Tant’è che diversi cittadini del Bangladesh sentiti dai carabinieri hanno rappresentato il terrore di frequentare le vie intorno alla sede del movimento neofascista nel quartiere Tuscolano: “Frequenti le aggressioni – annotano i Ros – nei confronti di cittadini bengalesi, tanto che alcuni degli escussi hanno affermato addirittura di evitare di frequentare quella zona (intorno alla sede di Fn, ndr) proprio per il timore di incappare nelle aggressioni “.
Dal 2011 al 2014, ricostruiscono gli investigatori, 59 cittadini bengalesi sono stati medicati per aggressioni fisiche al pronto soccorso del Vannini, l’ospedale che si trova ad appena un paio di chilometri dalla sede di Fn di via Amulio.
Gli inquirenti hanno selezionato venti vittime di pestaggi e molti di loro hanno spiegato “di aver subito aggressioni prive di apparenti motivi ad opera di italiani, riuniti in gruppi, aggressioni caratterizzate da particolare violenza anche ricorrendo all’uso di bastoni”.
La pericolosità dell’indottrinamento di giovanissimi è tracciata in modo netto nell’informativa con cui si chiede il rinvio a giudizio di diversi esponenti di Forza Nuova. Quanto raccolto dai militari del Ros infatti, si legge nelle carte, “evidenzia come l’attenzione del gruppo si concentrino sull’attività di indottrinamento dei giovani sin dall’età adolescenziale, al fine di meglio coinvolgerli in una devota condivisione di intenti
dettati dal movimento e ai quali ispirare la propria militanza e la propria vita”. Meglio se non maggiorenni.
Ancora. “Tale capacità di trasportare i minori in un contesto caratterizzato da dettami rigidi e intriso di odio e razzismo – sottolineano gli inquirenti nell’informativa – evidenzia la portata reale della pericolosità di un gruppo che riesce così a radicarsi negli aderenti sia da un punto di vista ideologico che comportamentale”.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
ORA PARISI E’ INDICATO COME ASSESSORE, NONOSTANTE IL TWEET DI MINACCE DI “BRUCIARE VIVO” IL DEM ROSATO
“Non mi ha nemmeno chiamato per chiedermi scusa, e non lo hanno fatto nè Luigi Di
Maio nè Giancarlo Cancelleri che lo hanno difeso. Ha scritto un tweet minacciando di bruciarmi vivo e non ha sentito nemmeno il dovere di farmi una telefonata personale. Ma loro sono fatti così, il Movimento 5 stelle istiga all’odio”.
Ettore Rosato seduto nella sede del comitato elettorale del candidato governatore del centrosinistra Fabrizio Micari in via Libertà , ha appena finito una conferenza stampa durante la quale ha chiesto a Cancelleri “di non nominare assessore Angelo Parisi”, l’autore del tweet incriminato.
E si dice colpito dalla mancanza di qualsiasi “contatto personale da parte del Movimento 5 stelle”, che su Parisi fa quadrato.
Parisi da quando è scoppiato il caso sui suoi tweet violenti, non solo nei confronti di Rosato ma anche su diversi giornalisti definiti “piddini, venduti o coglioni”, si è chiuso nel silenzio più assoluto.
Dal Movimento nazionale è arrivato l’ordine di cancellare tutti i tweet e i commenti sui social, considerando, fanno notare dal vertice dei 5 stelle, “che i big si sono schierati in sua difesa, da Luigi Di Maio ad Alessandro Di Battista”.
Dopo la gaffe, Parisi ha cancellato così molti tweet, chiudendo il profilo agli esterni, e ha eliminato alcuni commenti su Facebook.
Ma scorrendo la sua pagina non mancano critiche durissime anche al Movimento nazionale: “Questa votazione è una cazzata”, ha scritto in occasione della consultazione online interna al Movimento nel 2014 sulla scelta del gruppo al Parlamento europeo. Scelta che escludeva l’adesione al gruppo dei Verdi, alla quale Parisi teneva molto: “Il Movimento 5 stelle è finito qui”, continuava in un altro commento: “I verdi stavano antipatici al Capo, che vi devo dì? Evidentemente alcune manifestazioni d’interesse verso il Movimento 5 stelle non sono piaciute, forse perchè non erano in inglese”.
Insomma, Parisi “double face”: mite nella vita reale, duro sui social.
Anche contro i 5 stelle, che questa volta forse gradiranno molto meno questi commenti sullo stesso Movimento.
(da “la Repubblica“)
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Novembre 2nd, 2017 Riccardo Fucile
COME I VENDITORI DI FERRI VECCHI, PARLA DI COME SPARTIRE I MINISTRI CON I COMPAGNI DI MERENDE… E IN SALA C’E’ LA SFILATA DEGLI INQUISITI E DEI CONDANNATI
Come in una macchina del tempo, proprio in Sicilia dove tutto è nato. Silvio Berlusconi solca il palcoscenico del Teatro Politeama e parla di governo, del suo programma, come se fosse di tutti, di un assetto già deciso, da protagonista di uno spettacolo eternamente uguale a se stesso: “Nel Governo 12 ministri su 20 saranno della società civile, delle imprese, della cultura. Solo 8 devono essere politici e di questi 3 di Forza Italia, 3 della Lega e 2 di Fdi. Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono d’accordo”.
Pochi istanti prima, l’inno di sempre … “dai Forza Italia, che siamo tantissimi”, “c’è il grande orgoglio in noi” … e l’applauso che scatta quando sui maxi schermi compare Berlusconi nel suo comizio a Palermo, prima del famoso 61 a zero, poi Berlusconi che scamiciato che parla di Sicilia un paio d’anni dopo, ben quindici anni fa, come se il tempo non fosse mai passato: “Presidente — urla Gianfranco Miccichè con voce roca da troppi comizi — questa è la sua Sicilia, la Sicilia che l’adora e che non la tradirà mai”.
In sala entra Francantonio Genovese, ex segretario del Pd condannato in primo grado a 11 anni per una truffa milionaria sulla formazione professionale, seguito dal pargolo Luigi, candidato con Forza Italia: “A Messina — dice — faremo il pieno”.
Stringe mani, c’è la fila per un saluto.
Si fanno vedere anche il fratello di Cuffaro, Silvio, e Francesco Cascio, ex presidente dell’Ars condannato per corruzione, anche se non sono candidati. “Benvenuto presidente Berlusconi” è lo striscione, di almeno quattro metri lì sul loggione, firmato Marianna Caronia, altra candidata, indagata nell’ambito dell’inchiesta sul “sistema Trapani” che portò all’arresto del sindaco.
Ritorno vintage, come i velluti del Politeama che evocano antichi fasti.
Berlusconi torna dando per acquisito il programma che fu: “via l’Imu”, “pensione minima a mille euro”, “via imposta sulle donazioni”, “sulle successioni”, via pure il bollo auto ed Equitalia.
E poco importa che il “signor Salvini” e la “signora Meloni”, commensali della grande abbuffata ministeriale, si attovaglino solo per un misero piatto di pasta a Catania, e il resto sia tutto da vedere, in questa prolessi sicula di ciò che accadrà in Italia.
Stavolta sì, verrebbe da dire, pirandelliana. Dove ciò che pare, in fondo non è, nel gioco di apparenze di un centrodestra diviso e chissà vincente, che non si fa neanche fotografare assieme.
In oltre un’ora di discorso, il Cavaliere non nomina mai Matteo Renzi, come è innominato il governo.
Non una critica, nell’ambito di un ragionamento in cui la realtà appare figlia di nessuno, tra qualche battuta, gag apprezzate dal pubblico e rimandi a “ciò che hanno fatto i nostri governi”.
Da leader del centrodestra, senza delfini, eredi, altri nomi all’infuori di sè, e a prescindere dai giudizi degli alleati coltiva la prospettiva delle larghe intese.
Il nuovo nemico, anzi il pericolo che nell’immaginario sostituisce i comunisti, sono i Cinque stelle.
È verso di loro che rispolvera qualche slogan, già abusato ai tempi della crociata anticomunista: “sono pauperisti”, “non si può mettere il paese nelle loro mani”, “vogliono una giustizia sommaria”, “gente che non ha mai lavorato nella vita”, fino al classico “chi li vota è una persona che non ragiona”. Ai bei tempi utilizzò un termine più colorito.
La “sua Sicilia” applaude, in un teatro pieno stracolmo di candidati, sottobosco, funzionari regionali che fiutano il vento che cambia.
E tutte le vecchie glorie in prima fila, baciate una a una da Francesca Pascale, al suo ingresso, di bianco vestita: Stefania Prestigiacomo, Renato Schifani, Antonio D’Alì, la Forza Italia dei tempi d’oro.
Il candidato, Nello Musumeci, non scalda il cuore dell’ex premier: “Basta parlare di liste e di questa storia degli impresentabili — gli ha detto con durezza ieri a cena — devi parlare di programmi e basta”.
Se avesse potuto parlare lui, avrebbe rispolverato il classico più sincero, quella “persecuzione giudiziaria” che lo rende incandidabile, e che risuscita ombre dal suo passato siciliano, con l’accusa di essere assieme a Marcello Dell’Utri il mandante delle stragi.
Ma evita: “Mi hanno pregato — dice l’ex premier — di non parlare di giustizia in campagna elettorale”. E il discorso, prudente, europeista, poco conflittuale, è passato al vaglio degli avvocati preoccupati per Strasburgo e più in generale per attenti a non far saltare l’operazione faticosamente messa in piedi, e che ha portato alla riabilitazione agli occhi della Merkel: moderazione, affidabilità , senso dello Stato. Come in una macchina del tempo, quando attorno alle sette riparte l’inno di Forza Italia, ti accorgi che è quasi il 2018 e sono passati 24 anni.
E davanti ai maxi schemi montati fuori c’è davvero poca gente.
(da “Huffingtonpost”)
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