SOTTOTERRA CON I MINATORI ASSERRAGLIATI: “NON CI MUOVIAMO, RIAPRITE L’AZIENDA”
DA 60 GIORNI NELLA MINIERA DI BAUXITE DI OLMEDO NON VEDONO LA LUCE… IL MERCATO NON E’ IN CRISI, SONO VITTIME DEL MONOPOLIO DI UNA MULTINAZIONALE FRANCESE
Il buio assoluto non è quello della notte. Si vede e si vive solo qui, nel ventre silenzioso della terra, a quasi duecento metri di profondità .
Non arriva neanche un debole filo di luce e quando Emilio spegne la torcia ci si ritrova improvvisamente in un’altra dimensione. «Adesso sembra che vi manchi il respiro, non vi fate prendere dal panico – preavvisano i minatori -. Noi trascorriamo qui le nostre giornate oramai da oltre vent’anni.
Se c’è un’emergenza abbiamo solo una strada per arrivare all’uscita: seguire la leggera brezza che ti sfiora il viso, quella ti porta verso la salvezza».
Mantenere la calma è la parola d’ordine per chi arriva quaggiù, ma Salvatore, Antonio, Marco e Franco tutta la pazienza oramai l’hanno persa.
Da 60 giorni non mettono il naso fuori dalle gallerie, asserragliati nel cuore dell’unica miniera di bauxite rimasta attiva in Italia.
Il lavoro, il prodotto di qualità e gli acquiren
Bloccata senza una spiegazione chiara.
«Il licenziamento è arrivato all’improvviso e quella per noi è stata la prima vigliaccata – grida Antonio, il meno giovane degli irriducibili di Olmedo -. Adesso stiamo subendo la seconda: il disinteresse e il ritardo delle istituzioni che dovrebbero trovare una soluzione. Noi abbiamo preso una decisione: a Natale non saremo più fermi qui, se entro pochi giorni non si chiude il caso dimostreremo che i minatori non scherzano»
Il cancello della galleria è sempre chiuso e nessuno sa chi abbia le chiavi: anche l’acqua e i panini che gli altri operai portano ogni giorno alla stessa ora devono passare attraverso le grate.
I quattro che sfidano il buio e l’umidità si presentano con un passamontagna sul volto e avvisano: «Vi concediamo di entrare solo perchè vogliamo che tutti conoscano il nostro dramma».
A metà della lunghissima discesa c’è una specie di accampamento: quattro brande, un barile trasformato in tavolino e qualche coperta. Franco parla a bassa voce: «Questi sono i confini della nostra vita. E ora la sfida più grande è quella di non cascare nella trappola della depressione. Ci facciamo forza a vicenda, ma abbiamo anche esaurito gli argomenti di cui discutere».
A venti chilometri da Alghero c’è una grande città sotterranea. Un groviglio di strade buie, polverose e numerate, dove ruspe e fuoristrada s’incrociavano di continuo.
Ci lavoravano in 30, 24 ore su 24, dal lunedì al venerdì.
Ma da due anni i macchinari sono tutti parcheggiati e pian piano arrugginiscono. «Questa è l’ultima miniera in cui si fa l’attività di estrazione con la tecnica tradizionale, cioè con l’esplosivo – racconta Emilio Fois -. Il sottosuolo è ancora ricco, ci sarebbe lavoro almeno per altri vent’anni. Ma noi siamo ostaggio delle strategie del mercato internazionale».
La temperatura in fondo al tunnel è sempre costante e l’aria che si respira è un mix di ossigeno e minuscole particelle di allumina.
Marco è quello che non perde mai la forza: «Siamo stanchi, questi due mesi ci hanno provato. Passare le giornata quaggiù è una sfida difficile da vincere, ma non siamo disposti a essere sacrificati nel nome di chissà quali logiche».
La crisi della miniera di Olmedo è una vicenda che la politica sarda ha pochi strumenti per risolvere.
«Noi paghiamo gli effetti del monopolio della bauxite – spiega Gianfranco Murtinu, segretario della Cgil di Sassari -. Il mercato è nelle mani di una multinazionale francese che ha scorte ferme in altre zone del mondo e che ha fatto alcune mosse strategiche per bloccare la concorrenza. La società greca che gestiva questa miniera è stata acquisita proprio dai francesi e l’attività in Sardegna è stata fermata. L’azienda che si è presentata poco dopo per avere la concessione regionale è stata ugualmente assorbita dalla stessa multinazionale».
Le sorti dei trenta minatori sardi, dunque, dipendono da giganteschi equilibri commerciali internazionali.
E dalle decisioni della Regione, che ha pubblicato un terzo bando e che ancora non ha analizzato nei dettagli la proposta dell’ultima società che ha fatto un’offerta.
«Io non vedo mio figlio da due mesi – racconta Salvatore -. Lui mi ha chiesto di poter venire qui a salutarmi, ma non voglio che veda in quali condizioni stiamo vivendo».
Il rischio più grosso per chi passa le notti qui dentro è l’acqua: in fondo alle gallerie c’è un lago che avanza di un metro al giorno.
«La società che aveva la concessione si sarebbe dovuta preoccupare della sicurezza della miniera e invece ha lasciato tutto così, col rischio che le gallerie si allaghino. Da due anni siamo noi che ci occupiamo di controllare i cantieri per evitare che il lavoro di tanti anni venga distrutto. Perchè questa è casa nostra, il minerale prezioso che la miniera ci regala ogni giorno è il pane per le nostre famiglie. E noi non vogliamo morire di fame».
(da “La Stampa”)
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