Novembre 16th, 2017 Riccardo Fucile
LO SCATTO IMBARAZZANTE DURANTE UNA INZIATIVA DELL’ANFFAS A OSTIA… LA MELONI: “NON SAPEVO CHI FOSSE”… LA GAFFE DI RAMPELLI
Questa foto pubblicata da Fanpage e che ritrae Giorgia Meloni e Monica Picca con
Silvano Spada sta facendo esplodere gli ultimi giorni di campagna elettorale per la corsa al X Municipio.
Lo scatto è stato effettuato durante un’iniziativa dell’ANFFAS Ostia Onlus, un’associazione che si occupa di assistenza alla disabilità sul litorale, lo scorso 21 ottobre e ovviamente non può non rivestire un significato particolare dopo le tante polemiche sul clan Spada a Ostia e sulle foto di esponenti di Casapound con Roberto Spada. Ovviamente l’occasione è ghiotta per mettere anche la croce finale sul voto di Ostia, dove il M5S parte favoritissimo al ballottaggio nonostante i non lusinghieri risultati del primo turno.
La Meloni ha risposto su Facebook riguardo la vicenda:
“Tra le centinaia di foto che ogni giorno faccio in giro per l’Italia incontrando i cittadini c’è anche questa foto pubblicata dal sito Fanpage.it, scattata quando ho visitato ad Ostia la sede di un’associazione che si occupa di disabili, che mi ritrarrebbe con una persona che dicono faccia ‘Spada’ di cognome. Domani sarò a Ostia per il comizio finale a sostegno di Monica Picca e ribadirò ancora una volta che Fratelli d’Italia è contro ogni mafia e che non accetta lezioni da nessuno”
Che in Fdi regni nervosismo lo dimostra anche la gaffe del numero due di Fdi: Fabio Rampelli, capogruppo di FdI alla Camera, ha infatti pubblicato la foto di Luigi Di Maio con Salvatore Vassallo, apostrofandolo come camorrista nonostante questi fosse soltanto fratello del pentito del clan dei Casalesi Gaetano.
La Picca è andata invece all’attacco promettendo querele: “Tengo a confermare che non ho nulla a che vedere con l’omonima famiglia. Fratelli d’Italia ad Ostia non ha mai preso voti dagli Spada e nemmeno li vuole, a differenza dei grillini”
Chi di Spada ferisce, di Spada perisce?
(da agenzie)
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Novembre 16th, 2017 Riccardo Fucile
SMENTITE LE RASSICURAZIONI DI PADOAN
La notizia è giunta stamattina non proprio come un fulmine a ciel sereno perchè le avvisaglie c’erano tutte, e da giorni, per non dire da mesi: il consorzio di banche dell’aumento di capitale da 560 milioni di Banca Carige, che avrebbe dovuto garantire l’operazione e quindi comprare le azioni in caso di eventuale insuccesso, si è tirato indietro.
Una mossa preannunciata dal tracollo di Borsa degli ultimi giorni: le azioni della banca il 14 novembre hanno ceduto il 10,6% mentre il giorno successivo sono crollate di oltre l’11%, trasmettendo in maniera forte e chiara un segnale negativo dal mercato sulla ricapitalizzazione, che secondo i desiderata dei vertici sarebbe dovuta partire già la settimana prossima.
Così, il valore di Borsa di Carige è sceso a 144 milioni: meno di un terzo dell’ammontare dell’aumento di capitale programmato e necessario per riportare i conti della banca in sicurezza.
In questo modo, sembra crollare l’impianto del rafforzamento patrimoniale da 1 miliardo, di cui la ricapitalizzazione rappresenta appunto una delle gambe, annunciato dall’amministratore delegato Paolo Fiorentino a metà settembre e da concludere tassativamente — come da imposizione della Bce, l’autorità di vigilanza — entro la fine dell’anno.
E ora che succederà ? Se non si riusciranno a trovare tutti i 500 milioni dell’aumento di capitale (60 milioni sarebbero dovuti essere al servizio della conversione di obbligazioni), si aprono svariati scenari.
Dalla messa in risoluzione dell’istituto di credito con le regole del bail-in, che prevedono che a coprire le perdite siano azionisti, obbligazionisti subordinati, obbligazionisti non subordinati e anche correntisti oltre 100mila euro; fino al salvataggio pubblico, sebbene però in questo caso sarebbe necessario inquadrare l’istituto di credito come “di interesse sistemico”, analogamente a quanto fatto con Monte dei Paschi di Siena un anno fa.
Non si può escludere nemmeno l’ingresso in scena di una banca dalle spalle più larghe, come potrebbe essere Unicredit, da cui tra l’altro arriva l’ad Fiorentino, considerando che Intesa Sanpaolo è già scesa in campo per accaparrarsi la parte buona delle banche venete al prezzo simbolico di 1 euro.
“Alle attuali condizioni di mercato — commentano gli analisti di Banca Akros, che mettono insieme più scenari — non escludiamo che Banca Carige venga messa in risoluzione dalla Supervisione (cioè dal ramo della Bce guidato da Daniele Nouy, ndr). Ne seguirebbe probabilmente una separazione di good e bad asset, con una ricapitalizzazione della banca ponte da parte dello Stato e un’aggregazione in un gruppo più ampio, mentre le esposizioni non performing (i crediti deteriorati, ndr) verrebbero trasferite a un investitore specializzato per un recupero in futuro”.
A ogni modo, il quadro che va delineandosi sembra molto diverso da quello tratteggiato a giugno dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che, dopo il salvataggio della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, aveva dichiarato: “Non ci aspettiamo che altre banche abbiano bisogno. Stiamo studiando casi in cui questo può succedere, ma in concreto non ci aspettiamo nuovi casi. Per quello che so a Carige è stato richiesto un numero di aggiustamenti da parte delle istituzioni europee e sta rispettando queste richieste. Questa è una buona notizia”.
Tornando alle ultime notizie che hanno fatto precipitare la situazione, “Banca Carige — si legge in una nota diffusa dall’istituto ligure guidato da Paolo Fiorentino la mattina del 16 novembre — comunica che nonostante l’ottenimento dell’autorizzazione da parte delle autorità di vigilanza e i positivi riscontri ricevuti per l’acquisizione formale di manifestazioni di interesse e di specifici obblighi di garanzia da parte di nuovi investitori istituzionali, non si sono pienamente realizzate le condizioni per la costituzione del consorzio di garanzia ai fini dell’avvio dell’annunciato aumento di capitale da 560 milioni”.
Da ricordare che il consorzio, composto da Credit Suisse e Deutsche Bank a cui successivamente si era aggiunta Barclays, si era limitato a firmare una pregaranzia, non vincolante: da qui la possibilità di chiamarsi fuori. Proprio questo è una delle similarità con quel che accadde un anno fa a Siena con il Monte dei Paschi.
Ecco un elenco delle analogie più rilevanti:
Il primo aspetto in comune è l’aumento di capitale stesso, che sia per Mps nel 2016 sia per Carige nel 2017 è il terzo nel giro di pochissimi anni, a partire da quella fatidica bocciatura dei due istituti di credito con gli stress test europei dell’autunno del 2013. Così, se un anno fa il gruppo senese lanciava una ricapitalizzazione da 5 miliardi che seguiva quella da 5 chiusa con successo nel 2014 e quella da 3 del 2015, allo stesso modo Carige sta tentando di avviare un aumento da 560 milioni che segue quello da 800 milioni del 2014 e quello da 850 del 2015. In entrambe le due precedenti occasioni si era detto che sarebbero state messe a posto le cose. Così non è stato nè per Siena nè per Genova. La ricapitalizzazione di Mps di un anno fa è fallita e quella di Carige è ora a forte rischio.
Mps, nel 2016, prima di lanciare l’aumento di capitale vero e proprio, chiuse con successo l’operazione di scambio di obbligazioni subordinate con azioni, il cosiddetto Lme, che costituiva uno dei pilastri del rafforzamento patrimoniale e quindi del salvataggio. Allo stesso modo, Carige ha chiuso con successo, anche con le aiuto delle Generali, Intesa Sanpaolo e Unipol (che hanno aderito all’operazione), l’offerta sulle obbligazioni subordinate, scambiate in questo caso non già con azioni bensì con obbligazioni meno rischiose (ma a un prezzo penalizzante per gli obbligazionisti). Anche nel caso di Genova, lo scambio sui bond subordinati rappresenta uno dei bastioni del rafforzamento patrimoniale, con il qualche l’istituto genovese contava di portare a casa 200-250 milioni. Se effettivamente salterà l’aumento di capitale, salterà anche questa offerta.
All’inizio di dicembre del 2016, le banche del consorzio di Mps, tra cui Jp Morgan e Mediobanca, che avevano firmato un accordo di pregaranzia anche in quel caso non vincolante si chiamarono fuori. L’aumento di Mps partì “al buio” e fallì.
(da “Business Insider”)
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Novembre 16th, 2017 Riccardo Fucile
E’ IL CIRCUITO CUI SONO ASSEGNATI I DETENUTI PER ASSOCIAZIONE MAFIOSA
Roberto Spada sara’ trasferito nel carcere di Tolmezzo (Udine) nella sezione di alta
sicurezza. La decisione e’ della Direzione generale detenuti e trattamento – Ufficio V – del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Spada e’ detenuto a Regina Coeli da giovedi’ scorso per aver aggredito il giornalista del programma Rai “Nemo-Nessuno Escluso”, Daniele Piervincenzi, e il film maker Edoardo Anselmi.
Indagato per i reati di lesioni e violenza privata aggravati dai futili motivi e dal metodo mafioso, Spada sara’ recluso nella sezione “alta sicurezza 3”. Circuito cui sono assegnati, tra gli altri, i detenuti per associazione mafiosa o per delitti aggravati dal metodo mafioso o per associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti.
Nel provvedimento, la Direzione generale detenuti e trattamento dispone, “in considerazione dell’elevata pericolosita’ del soggetto”, “l’adozione delle misure idonee ad impedire tentativi di evasione, anche mediante complicita’ esterne, nonche’ qualsiasi altro atto che possa compromettere l’incolumita’ del detenuto e della scorta stessa oppure il corretto svolgimento della traduzione”.
Analoghe disposizioni sono state impartite dal Dap alla Direzione di destinazione, segnalando che la Procura di Roma “ha comunicato che si tratta di soggetto inserito in un contesto di criminalita’ organizzata attiva sul territorio laziale”.
“Al momento dell’ingresso in istituto – si legge -, sara’ effettuata un’accuratissima perquisizione personale del detenuto, dei suoi effetti di vestiario e degli altri oggetti che fanno parte del bagaglio. Sara’ disposto l’idoneo allocamento nell’ambito delle sezioni di assegnazione, predisponendo un’attenta ed adeguata vigilanza da parte di personale di provata capacita’ professionale ed esperienza. Per quanto concerne le modalita’ custodiali e i momenti di aggregazione” saranno tenute presenti “le indicazioni della competente Autorita’ Giudiziaria e, in ogni caso, le compatibilita’ e le incompatibilita’ con i detenuti ivi ristretti; in particolare con gli eventuali coindagati/coimputati o con gli appartenenti ad associazioni mafiose contrapposte, risultanti dal fascicolo personale, dalle dichiarazioni rese dallo stesso detenuto o, eventualmente, dagli atti matricolari con riferimento a precedenti carcerazioni. In tal senso, particolare attenzione dovra’ essere altresi’ posta nell’individuazione della camera detentiva ove assegnare il detenuto, evitando, salvo specifiche esigenze investigative, l’allocazione nella medesima camera detentiva di soggetti appartenenti alla stessa associazione criminale, soprattutto se in posizione verticistica, ovvero legati da vincoli di parentela, al fine di evitare l’insorgenza di posizioni di leadership all’interno delle sezioni detentive”.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 16th, 2017 Riccardo Fucile
REGIONE SARDEGNA: IL FORZISTA ANTONELO PERU E’ RIUSCITO A RIPRENDERSI IL POSTO DI NUMERO DUE NELL’ASSEMBLEA REGIONALE
“Il consiglio regionale mi ha votato come nuovo vice presidente. Questo è il dato politico. Per il resto c’è il mio avvocato: mandatemi un’email”.
Arrestato il 5 aprile 2016 con l’accusa di associazione a delinquere, tornato in libertà (con obbligo di dimora a Sassari) quattro mesi dopo, reintegrato in Consiglio regionale a ottobre 2016, il forzista Antonello Peru è riuscito a riprendersi il posto di numero due nell’Assemblea regionale della Sardegna, che ricopriva al momento dell’arresto.
E lo fa, tra l’altro, con il beneplacito di un pezzo della maggioranza di centrosinistra. Tutto ciò mentre è ancora indagato per gli stessi reati che gli sono stati contestati nell’inchiesta “Sindacopoli” — su presunti appalti pilotati in diversi Comuni della Sardegna — e per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio: la decisione del gup è attesa per il prossimo 22 gennaio.
Intanto Peru torna vicepresidente, con l’avallo del coordinatore sardo di Forza Italia, Ugo Cappellacci, che conferma della linea ultra garantista disegnata negli ultimi tempi dal partito di Silvio Berlusconi.
Dopo l’arresto, Peru era stato sospeso per circa sei mesi dalla carica di consigliere regionale, in base alla legge Severino.
Al suo posto, come supplente, era subentrato Giancarlo Carta.
L’incarico di vicepresidente in rappresentanza della minoranza era passato a Ignazio Locci, che si è poi dimesso dal Consiglio dopo essere stato eletto sindaco di Sant’Antioco nel giugno scorso.
Ai primi di ottobre 2016 Peru aveva ottenuto un alleggerimento della misura cautelare degli arresti domiciliari ed era stato reintegrato in Consiglio regionale al posto di Carta, che poco dopo ha lasciato Fi per aderire a Fratelli d’Italia. Il consigliere forzista, però, ha ripreso a partecipare alle sedute dell’Aula soltanto a fine marzo 2017.
Quindi il 14 novembre è arrivata la votazione decisiva. L’elezione è avvenuta con 28 voti sui 55 presenti, con almeno 7 voti provenienti dalla maggioranza di centrosinistra: l’opposizione conta 24 consiglieri, ma Paolo Truzzu di Fdi ha dichiarato di aver votato scheda bianca e 2 consensi forzisti sono finiti all’altro azzurro Stefano Tunis.
Durante la discussione sul bilancio consuntivo 2017, Peru ha dichiarato: “Mai avrei potuto offendere il Parlamento dei sardi se in me avessi trovato una sola ombra. Tutto quello che è accaduto l’ho accolto con tutta l’essenza positiva. Avrò modo e tempo per dimostrare fatti e cose e per far trionfare la verità , ma oggi è la vittoria sulla paura”.
Subito dopo sono arrivati i commenti dei colleghi. La consigliera del Centro Democratico, Anna Maria Busia, ha ringraziato il collega indagato per il momento di riflessione “da tenere in considerazione”, mentre il capogruppo di Forza Italia, Pietro Pittalis, lo ha spronato a “riprendere a pieno titolo il suo mandato elettorale”.
La stessa Busia, contattata da ilfattoquotidiano.it, smentisce di aver votato per Peru: “Qualche consenso dalla maggioranza è arrivato, non siamo entrati nel dettaglio. Nel segreto dell’urna purtroppo queste cose succedono. Se c’è stata una discussione interna? No, sinceramente solo un po’ di curiosità , non ci sono state vesti stracciate, in fondo quella è una carica che spetta all’opposizione”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 16th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO UN ANNO E MEZZO DA SINDACA E CON UNA “DELEGATA AL LITORALE”, SI ACCORGE SOLO ORA DELL’ESISTENZA DI UNA OFFICINA CHIUSA DA TRE ANNI E DI CUI AVEVA PARLATO LA CGIL DA TEMPO
Domenica ad Ostia si vota per eleggere il Presidente del X Municipio. Il MoVimento
5 Stelle, che ha candidato Giuliana Di Pillo, è costretto a vincere.
Ed è per questo che oggi la sindaca Virginia Raggi e il consigliere comunale del X Municipio Paolo Ferrara hanno annunciato di aver scoperto un’officina AMA inutilizzata. Per la serie: che coincidenza.
Come ha spiegato la sindaca su Facebook l’Amministrazione comunale «nei giorni scorsi abbiamo effettuato un’ispezione presso l’isola ecologica ad Ostia e abbiamo fatto questa scoperta».
Una scoperta incredibile, se non fosse che AMA è un’azienda municipalizzata — ovvero è del Comune di Roma — e che il Comune di Roma è governato da un anno e mezzo dal MoVimento 5 Stelle.
Certo, in questo lasso di tempo la Raggi ha trovato il tempo di cambiare l’assessora all’Ambiente, cosa che magari ha complicato le cose. Ma non bisogna dimenticare che ad Ostia la Di Pillo è da un anno delegata di Roma Capitale per Ostia.
In poche parole la Di Pillo era pagata dal Comune di Roma per fare da raccordo con la gestione commissariale e l’Amministrazione comunale.
Il tutto alla modica cifra di 40mila euro all’anno. Nemmeno lei però — così attenta a segnalare buche tappate e tombini riparati — sembra essersi accorta dell’esistenza di questa officina AMA, nuova, perfettamente funzionante ma lasciata da tre anni in stato di abbandono.
In un’intervista a FanPage la Raggi ha definito l’officina “uno spreco ingiustificato” un vero e proprio “schiaffo ai cittadini che venivano penalizzati con servizi ridotti”. Ora che l’officina è stata trovata il M5S promette interventi risolutivi, non si sa quali però.
La scoperta è avvenuta durante un’ispezione presso l’isola ecologica di Ostia. Ma se l’officina è chiusa da tre anni questo significa che per metà di questo tempo (un anno e mezzo) il M5S non si è accorto del problema.
Anche Paolo Ferrara — che come la Di Pillo è stato consigliere municipale ad Ostia prima del commissariamento — non si è accorto di nulla fino a pochi giorni fa. Ferrara invece attacca direttamente l’avversaria della Di Pillo accusando la candidata del centrodestra al ballottaggio Monica Picca di essere “parte integrante dell’esperienza fallimentare di Alemanno”.
Ferrara invita i cittadini a chiedere alla Picca chi ha chiuso l’officina di Ostia facendo spendere milioni di euro al comune e ai cittadini per prenderne un’altra in affitto. Sarà interessante sapere la risposta.
Nel frattempo sappiamo chi ha continuato a far spendere milioni di euro ai cittadini nell’ultimo anno e mezzo: il MoVimento 5 Stelle.
Emerge infatti che la CGIL aveva denunciato la chiusura dell’Officina di Piazza Bottero già nel marzo 2016.
Il 21 marzo, tre mesi prima delle elezioni, denunciava come “una officina dotata di tutte le attrezzature, situata i un’area strategica all’interno di un piazzale ampio, sia chiusa ed inutilizzata”.
La CGIL faceva sapere che i lavoratori dell’officina erano stati spostato all’interno di un’autorimessa “non idonea ad ospitare un’officina nè dal punto di vista operativo nè da quello della sicurezza”.
La giunta Raggi però, denuncia su Facebook l’ex Presidente dell’Assemblea Capitolina Valeria Baglio, ci ha messo 18 mesi per scoprire l’esistenza di quell’officina.
E sì che a novembre 2016 l’area ecologica di Piazza Bottero era tra quelle dove i cittadini romani potevano conferire gratuitamente i rifiuti speciali. Possibile che nè l’AMA nè il Comune si siano accorti dell’esistenza della vicina officina?
Sicuramente la risposta sarà la solita: “è colpa della precedente amministrazione”. Chissà quando però la Raggi deciderà di voler governare Roma con la sua, di Amministrazione.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 16th, 2017 Riccardo Fucile
LA SUA LISTA CIVICA PUNTA A PRENDERE VOTI SIA A DESTRA CHE AL M5S… CHI MALIGNA: “FINIRA’ QUARTO MA RIUSCIRA’ A FAR VINCERE ZINGARETTI E PERDERE FORZA ITALIA E FDI”
«Sergio Pirozzi? Non conosco lui e non conosco i suoi programmi»: Silvio Berlusconi nell’intervista rilasciata ieri al Messaggero era stato categorico, ma questo non ha cambiato molto le convinzioni del sindaco di Amatrice: ieri ha presentato il simbolo e la sua lista civica con cui proverà , per il momento da solo, a espugnare la Pisana.
Se alla fine Berlusconi, Meloni e Salvini si accoderanno bene, altrimenti pazienza: lui è della partita e intende restarci.
Forte di un consenso personale che soprattutto a livello gentista può far paura e prendere voti alle altre forze in campo, ovvero non solo il centrodestra ma anche il MoVimento 5 Stelle che è in pista con Roberta Lombardi.
E chissà che alla fine i suoi voti non risultino decisivi, sì, ma per la riconferma di Nicola Zingaretti a governatore della Regione Lazio.
E per essere ancora più chiaro ieri Sergio Pirozzi ha anche fatto sapere che non è più iscritto a Fratelli d’Italia, il partito che lo applaudiva con Giorgia Meloni ai tempi del terremoto ma dal quale, secondo le sue parole “carpite”, era stato in seguito ostacolato con l’accusa di non avere frequentazioni “di livello” per poter puntare a via della Pisana.
«Io non mi candido per bramosia di potere ma per ridare voce ai territori terremotati da anni», scandisce. Perciò ha scelto la poltrona da governatore: «Per incidere sulle decisioni, quando vinceremo, e sono sicuro che vinceremo, finora è sempre andata così, sono un uomo fortunato». Per questo ha rifiutato un posto da senatore che gli avrebbero offerto in cambio del ritiro della candidatura alla Regione Lazio.
E per questo ignora le provocazioni di Francesco Giro, esponente di Forza Italia, ovvero l’unico partito che ha osteggiato apertamente la sua candidatura: «Pirozzi arriverà quarto e forse non verrà neppure eletto. Allora mi chiedo perchè sta facendo tutto questo?».
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 16th, 2017 Riccardo Fucile
SEGNALATO AI VERTICI GRILLINI CHE PERO’ DECISERO DI NON FARE NULLA PER RAGIONI ELETTORALI… UNA SITUAZIONE CHE SI PUO’ RIPETERE ALLE POLITICHE
Il caso di Fabrizio La Gaipa spiega più di mille libri e articoli cosa è oggi il
MoVimento 5 Stelle.
I vertici grillini hanno voluto chiudere la vicenda del candidato M5S di Agrigento sospeso dopo essere stato arrestato per estorsione con un post su Facebook nel quale si sono lasciati scappare una dichiarazione ben precisa, parlando di una segnalazione ricevuta sul suo conto prima delle elezioni che però non ha trovato riscontro nel certificato 335 che segnala le iscrizioni nel registro degli indagati di chi lo richiede.
Ma quel certificato, e i grillini non possono non saperlo visto che accadde la stessa cosa con Paola Muraro a Roma, non riporta tutti i fascicoli ancora in fase di indagine preliminare perchè ad esempio il pubblico ministero, in caso di richiesta d’arresto — come è successo a La Gaipa — può tenerli secretati (ed è evidente il perchè: qualcuno che sa di una richiesta d’arresto pendente davanti al GIP nei suoi confronti può darsi alla fuga).
Da ieri sui giornali online siciliani si racconta un’altra storia, completamente diversa, oggi confermata dall’edizione palermitana di Repubblica.
A denunciare Fabrizio e Salvatore La Gaipa sono stati infatti due suoi dipendenti, G. M. e Ivan Italia, che è un attivista grillino di Agrigento.
Italia, racconta oggi Repubblica Palermo, dice di non aver fatto alcuna segnalazione allo staff del MoVimento ma al suo posto si è mosso l’amico Emanuele Dalli Cardillo, avvocato e candidato sindaco per il M5S ad Agrigento nel 2015: «Sì, a luglio ho inviato un’email ai probiviri in cui denunciavo l’inopportunità della candidatura di La Gaipa. Riportando anche le voci sui problemi giudiziari dell’imprenditore. Ma le segnalazioni, sul conto di La Gaipa, sono state decine».
E c’è il mistero di un’email, che oggi gli attivisti agrigentini fanno circolare su WhatsApp, che sarebbe stata inviata durante la campagna elettorale al blog di Grillo e avrebbe avuto in allegato proprio i file audio di Italia.
Di certo, nel testo di questa email ci sono riferimenti puntuali – con tanto di timecode – al contenuto delle intercettazioni, proprio come vengono riportati negli atti giudiziari. Difficile, se non impossibile, che si tratti di un fake costruito nelle ultime ore sulla base di informazioni riservatissime. Più probabile che si tratti di un documento vero.
Cosa è successo nel caso La Gaipa?
Insomma, anche se il 335 era pulito i grillini avevano buone possibilità di andare in fondo alla questione se soltanto avessero voluto.
Anche perchè nelle segnalazioni si sosteneva anche che La Gaipa non fosse un attivista “storico” di Agrigento ma fosse spuntato di colpo nella lista sorpassando chi andava avanti da anni con l’attivismo in zona.
E allora cosa è accaduto di preciso?
È accaduto che il M5S ha tentato di troncare, sopire la vicenda perchè l’allontanamento di un candidato in piena campagna elettorale — i file con le registrazioni in cui Italia e La Gaipa parlano dello stipendio sono stati consegnati in procura il 13 ottobre — avrebbe suscitato sconcerto e polemiche.
Hanno deciso di non approfondire le segnalazioni — magari ascoltando Italia o gli altri attivisti — per ragioni “politiche”.
La stessa cosa sta succedendo oggi, ma per ragioni diverse, ad Anguillara dove c’è una sindaca eletta della quale si è scoperto successivamente che era stata condannata per calunnia, ma la condanna non era menzionata nel suo certificato penale ed era stata anche condonata.
Sabrina Anselmo, a rigor di logica, avrebbe dovuto essere sospesa dal M5S ma a quattro mesi di distanza dalla scoperta del caso non è successo nulla, anche perchè il M5S locale ha detto che ha intenzione di andare avanti nella consiliatura anche senza simbolo.
Questo caso, come quello di La Gaipa, può ripetersi infinite volte anche alle prossime elezioni politiche.
Ecco perchè chi grida agli “impresentabili” altrui (spesso chiamando in causa addirittura parenti di gente condannata) non può a sua volta e in nessun modo garantire candidati puliti.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 16th, 2017 Riccardo Fucile
IL DISCORSO ALLA CAMERA CON DATI SMENTITI DAI DIRETTI INTERESSATI: L’UNHCR NON HA AFFATTO VISITATO 28 DEI 29 CENTRI DI DETENZIONE LIBICI, MA SOLO 13 E L’ONU SOLO 4…. MA A QUALCUNO FA COMODO CHE NON TOLGA IL DISTURBO
Il ministro dell’Interno Marco Minniti ieri rispondendo al question time alla Camera ha sostenuto che sul fronte del rispetto dei diritti umani in Libia l’Italia «sente l’assillo di agire». Per come ha agito finora lui, sarebbe stato meglio si fosse chiuso a doppia mandata al Viminale, se non altro avremmo evitato che sui media internazionali passasse l’immagine di un governo italiano complice e finanziatore dei criminali libici.
Invece di perseguire chi commette ogni giorno reati di istigazione all’odio razziale sul web (e non solo) Minniti ha preferito fare la guerra alle Ong e finanziare le motovedette libiche colluse con i trafficanti.
Ma veniamo alle argomentazione esposte ieri alla Camera: “Il rispetto dei diritti umani in Libia non è questione di oggi, visto che quel paese non ha mai firmato la convenzione di Ginevra”. Bene, era la prima condicio sine qua non da richiedere al governo libico: se vuoi aiuti internazionali inizia a diventare un Paese civile, altro che riparare le motovedette scassate per incuria. Ma Minniti si è ben guardato dal richiederlo.
Seconda affermazione: «Se oggi l’Unhcr ha potuto visitare 28 dei 29 centri di accoglienza presenti in Libia, individuando oltre mille soggetti in condizioni di fragilità a cui potrà essere riconosciuta la protezione internazionale lo si deve all’impegno, del nostro Paese e dell’Europa».
E qui facciamo rispondere ai diretti interessati, così si comprende a che livello siamo arrivati.
Barbara Molinario (Unhcr) chiarisce che “attualmente la nostra organizzazione ha accesso soltanto a 13 dei 30 centri di detenzione e in questi centri il lavoro che svolgiamo è quello di fornire beni di prima necessità e informare i rifugiati dei loro diritti, oltre che assistere le autorità nel rilascio delle persone vulnerabili”.
Occorre inoltre tenere presente che l’Unhcr agisce per conto delle Nazioni Unite e non certo su intercessione italiana, quindi sarebbe dignitoso non attribuirsi meriti altrui.
Come va sottolineato che i centri di detenzione libici “ufficiali” sono 30 ma tutti gli osservatori sono concordi nel sostenere che in realtà sono molti di più quelli “non ufficiali”.
Minniti farebbe bene a leggersi la relazione sui i dati raccolti quest’anno dalla clinica mobile di Medici per i diritti umani : “l’85% dei migranti ha subito in Libia torture e trattamenti inumani e degradanti, il 79% è stato trattenuto/detenuto in luoghi sovraffollati e in pessime condizioni igienico-sanitarie, il 60% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 55% ha subito percosse e percentuali inferiori ma comunque rilevanti stupri, ustioni, percosse alle piante dei piedi, torture da sospensione, obbligo ad assistere alla tortura e all’uccisione di altre persone. Si tratta di dati probabilmente sottostimati perchè raccolti in contesti di precarietà dove spesso non è stato possibile fornire un’assistenza prolungata nel tempo”
Penoso il passaggio di Minniti sull’affogamento dei 50 profughi testimoniato dale immagini di Sea Watch che hanno fatto il giro del mondo: «Le ricostruzioni dei fatti appaiono al momento sostanzialmente divergenti».
Pur di difendere i criminali della Guardia Costiera libica, Minniti non prende atto neanche dei video e della testimonianza dell’equipaggio dell’elicottero della nostra Marina Militare che ha assistito alla tragedia e che ha vanamente cercato di fermare l’unità libica.
Finiamo con l’analisi politica dello stratega Minniti che ha ricordato la sua circolare alle questure con la quale si chiede di dare «massimo impulso all’attività di rintraccio dei cittadini dei paesi terzi in posizione irregolare e che ha portato al 15,4% in più di rimpatri rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (tradotto in numeri, circa 1600 persone in piu’).
L’unica cosa che gli interessa è questa, “riportarli a casa loro”.
Che vi siano decine di migliaia di esseri umani massacrati nei lager libici non frega nulla a nessuno, compresa la sedicente sinistra progressista italiana e d europea.
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Novembre 16th, 2017 Riccardo Fucile
SUL TRATTO ITALIANO DELLA FERROVIA IN MEZZO AL FANGO E SUI BINARI… DURANTE LA NOTTE IL GIRONE INFERNALE
La chiamano l’autostrada dei disperati. Non è la A22 intasata dai tir e dai fumi di
C02. È un percorso misto: ferro e fango.
Prima 236 chilometri di binari. Il tratto italiano della Ferrovia del Brennero, da Verona al valico. Corpi accovacciati sui carropianali, dietro i bordi arrugginiti dei treni merci.
Poi, nel pezzo finale della rotta, la ragnatela di sentieri che innerva i boschi dell’alta Val d’Isarco: un po’ trekking, un po’ mountain bike.
Quando scende il buio sbucano loro, in cordata. I passatori davanti. I migranti dietro. Un pellegrinaggio di fantasmi partiti da terre lontane ma transitati magari dallo snodo della stazione di Lambrate, a Milano.
Dove pagano da 150 a 300 euro per farsi accompagnare in Austria. Se dunque arrivi ai 1370 metri del Brennero, sopra le teste degli scafisti della montagna e dei loro “passeggeri” c’è solo la notte dei cristalli sugli abeti e del vento che punge, il termometro va giù in picchiata, si sente la litania ferrosa dei treni merci che salgono prima dell’alba da Verona e da Trento.
Migranti. Profughi in fuga verso un Nord sempre diverso. Gruppi di ragazzi, uomini soli, famiglie con bambini.
Dei senzanome ma anche gente che ha il permesso di soggiorno in Italia e però insegue altre mete.
Al Brennero, e prima ancora a Vipiteno, il flusso ininterrotto degli autoarticolati e delle bisarche incolonnate sull’asfalto copre il rumore del calpestio nei boschi. Le voci di chi è sceso dal treno o dal pullman di linea dieci, quindici chilometri prima del confine e non sa che fare perchè la “guida” magari è già partita con gli altri: quelli che hanno pagato subito, all’inizio del viaggio.
“A volte si nascondono là dentro, nei casolari abbandonati delle Fs. Ne abbiamo fatti murare alcuni: trovavamo zaini, scarpe, coperte, berrette di lana”.
Stefano Linossi è comandante della stazione della Polizia ferroviaria al Brennero. È lui che, insieme a uno spalatore, ha scoperto il piccolo Anthony lunedì mattina sul vagone merci entrato in stazione alle 5.45. Senza la madre.
“Sono felice. Domani (oggi, ndr) lo daranno in affidamento a una famiglia altoatesina. Ma purtroppo questa storia riapre una ferita che non si rimargina mai”, dice Linossi.
L’ “autostrada dei disperati”, o la linea del Brennero, per dirla con il linguaggio dei ferrovieri.
Sulla carne aperta di questa ferita l’Austria ha danzato due anni: propaganda politica, molto strumentale. Prima la narrativa del “muro”, poi la farsa dei carrarmati e dell’esercito, tipo Risiko.
Che ci fossero in mezzo vite umane, chisseneimporta.
“L’immigrazione è un tema serio sul quale non si gioca – ragiona il sindaco di Brennero, Franz Kompatscher, 61 anni, insegnante di storia e tedesco a Vipiteno, eletto per il secondo mandato nelle liste di Sà¼dtiroler Volkspartei -. Il flusso di profughi non ha le dimensioni di cui parla Vienna, e questo lo sappiamo. Il che non significa negarlo. Ma adesso, per coerenza con i proclami fatti, gli austriaci rafforzeranno ulteriormente i presìdi”.
Già fatto. Ieri il ministro degli Interni, Wolfgang Sobotka, ha comunicato l’entrata in funzione di controlli trilaterali dei treni merci al Brennero. “Ho concordato con i miei omologhi Thomas de Maizière e Marco Minniti che questi controlli comuni saranno effettuati già sul versante italiano del Brennero. La migrazione illegale non è una trasgressione perdonabile”.
La novità , dunque, è che le ispezioni austriache sui merci da oggi si allargheranno anche all’ultimo lembo di Italia prima del confine.
Aveva già allestito un check point, Vienna: un binario “dedicato” nella stazione di Seehof. Evidentemente non era abbastanza. Dice ancora Linossi della Polfer: “Di profughi se ne vedono più adesso che d’estate. Dovrebbe essere il contrario, in teoria, visto il clima”. Forse no.
I passatori non sono fessi: studiano ogni mossa della polizia, riescono a sapere in anticipo se sulla linea ferroviaria sono previsti lavori, e dove. È il calcolo dei rischi e dei ricavi. Una sosta tecnica di uno dei 12 treni merci che arrivano a Brennero ogni notte? Può valere migliaia di euro.
L’ultima operazione, tre giorni fa. La squadra mobile di Bolzano ne ha arrestati due: un egiziano e un iracheno, residenti a Como. Per 150 euro a persona accompagnavano gruppi di immigrati africani (almeno una cinquantina) in Austria e Germania.
Ritrovo e partenza da Milano Lambrate: una “staffetta” di treni regionali, fino alla stazione di Colle Isarco. Poi a piedi, nella notte, attraverso il tunnel ferroviario di Fleres o lungo la pista ciclabile che entra nel centro abitato del paese sul confine.
C’erano anche donne incinte e ragazzi minorenni. Nigeria, Guinea, Gambia, Sierra Leone, tanto Maghreb. “Dobbiamo avere un quadro chiaro della situazione”, dice il governatore altoatesino Arno Kompatscher.
A sera alla stazione di Brennero c’è un gruppo di ragazzi salito per fare arrampicate in Austria. La più giovane si chiama Carolina, avrà vent’anni. Vede due migranti camminare intirizziti dal freddo verso la sede dell’associazione “Volontarius”. “Vorrei poter fare qualcosa – dice -. Ma cosa?”.
(da “La Repubblica”)
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