Destra di Popolo.net

RESA INCONDIZIONATA: “CAPITOLO CHIUSO COI 5 STELLE”

Maggio 3rd, 2018 Riccardo Fucile

SI VOTERA’ LA FIDUCIA CONDIVISA A MARTINA FINO ALL’ASSEMBLEA… IL REGGENTE SPOSA LA LINEA DI RENZI CHIUDENDO A M5S E CENTRODESTRA, I RENZIANI PLAUDONO

Con M5s “capitolo chiuso”. “Parlavamo molto di loro ma il tema vero eravamo noi, il nostro ruolo e la nostra funzione anche quando si è minoranza. Per me era non condannarci all’irrilevanza e accettare una sfida. Era un’ipotesi più rischiosa ma l’ho immaginata per come potevo fino a qui con questa ambizione”.
Lo dice, a quanto si apprende il reggente Maurizio Martina in direzione Pd.
“Ora il dato di fatto è il rischio di un voto anticipato”, ha aggiunto. “Chiedo a questa direzione di rinnovare la fiducia fino alla assemblea nazionale”.
“Serve un immediato cambio di passo, pena l’irrilevanza, la marginalizzazione”, ha detto Martina chiedendo la “fiducia” alla direzione Pd. “Serve una direzione salda e univoca, non solitaria ma collegiale. Non dobbiamo consentire che dicano che ci sono diversi partiti nel partito. Non chiedo sostegni di facciata ma un passo consapevole. Non false unanimità  che si sciolgono al primo minuto”.
In altre parole, l’ex segretario Renzi ha vinto su tutta la linea ottenendo sia la chiusura a ogni confronto con il M5S dopo l’avvio delle consultazioni con il presidente della Camera Roberto Fico; sia la richiesta di fiducia solo fino all’assemblea e non, come volevano le minoranze, fino al Congresso.
Non stupisce che i renziani approvino la relazione di Martina: secondo fonti renziane presenti in direzione, le parole di Martina possono portare ad un via libera al reggente da parte dell’area che fa capo all’ex segretario.
Il presidente Orfini ha annunciato in apertura che la direzione si chiuderà  con un voto
A pochi minuti dall’inizio della Direzione del Pd, davanti alla sede di Largo del Nazareno si è formata l’ormai consueta ressa che fa da cornice agli appuntamenti più delicati in casa Dem.
Accanto ai numerosi cronisti, infatti, l’area antistante alla sede del partito è “presidiata” da una parte dai militanti che si oppongono, con tanto di adesivi, all’ipotesi di un accordo con M5s, e dall’altra da altrettanti militanti che, con un cartello in mano, criticano energicamente l’ipotesi di un accordo con Berlusconi.

(da “Huffingtonpost”)

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“NON CI PIACI, SEI NERA”, OPERATRICE LICENZIATA DA CASA DI RIPOSO: RINCO-RAZZISTELLI PREFERISCONO FARSI PRENDERE A SCHIAFFI DA UNA ITALIANA

Maggio 3rd, 2018 Riccardo Fucile

LA DONNA SENEGALESE DI 40 ANNI “LAVORAVA BENE” MA I PROSSIMI DEFUNTI HANNO VOLUTO FINIRE IN GLORIA… LA DIREZIONE: “NON ABBIAMO VOLUTO LASCIARLA IN UN AMBIENTE OSTILE, LA INSERIREMO IN UN’ALTRA REALTA'”

Piaceva a tutti come lavorava, ma è stata licenziata perchè gli anziani della casa di riposo non volevano una nera.
È successo a Senigallia, in provincia di Ancona. La ragazza senegalese stava per firmare il contratto di lavoro nell’istituto Opera Pia Mastai Ferretti, come riporta il Corriere Adriatico.
La donna, Fatyma Sy, 40 anni, era in prova presso la casa di riposo, ma il colore della sua pelle non è piaciuto agli anziani ospiti che si sono subito lamentati con la cooperativa che gestisce il centro. “Non ci piaci, sei nera”. O ancora: “Ecco un’altra nera”.
Queste frasi denigratorie, insieme a molte altre, hanno fatto perdere il lavoro alla donna, insultata e derisa dagli anziani ospiti.
Madre di due bambini rimasti in Senegal, Fatyma ha lavorato nella casa di riposo per alcuni giorni e la prova stava andando bene.
Erano piaciuti, infatti, sia il suo modo di lavorare che la maniera con cui si rivolgeva agli anziani. Complimenti inutili che hanno comunque portato alla perdita del contratto di lavoro.
Le lamentale degli ospiti non sono arrivate direttamente all’operatrice, ma riferite alla Cooperativa Progetto solidarietà .
Per questo i responsabili hanno preferito quindi non lasciarla in un ambiente ‘ostile’, assicurando che sarà  “inserita in un’altra realtà “.

(da agenzie)

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ULTIMO GIRO, MATTARELLA SUONA LA CAMPANA PER I PARTITI: “DITEMI SE CI SONO MAGGIORANZE POSSIBILI”

Maggio 3rd, 2018 Riccardo Fucile

LUNEDI’ NUOVO GIRO DI CONSULTAZIONI, POI IL PIANO B (E NON E’ IL VOTO IN ESTATE”)

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dà  l’ultima possibilità  ai partiti. Convocherà  per lunedì un altro giro di consultazioni, il quinto se si contano anche i due mandati esplorativi affidati ai presidenti delle Camere Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati.
“A distanza di due mesi — fanno notare dal Quirinale — le posizioni di partenza dei partiti sono rimaste invariate. Non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo”.
L’ultima ipotesi, quella di un’intesa tra M5s e Pd, è tramontata nei giorni scorsi, sottolineano dal Colle, lasciando per implicito che la ragione sta nelle dichiarazioni pubbliche di Matteo Renzi e delle sue nutrite pattuglie parlamentari.
Quindi i nuovi colloqui, in programma tutti nella sola giornata di lunedì, serviranno a “verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranza di governo”.
Questa volta il capo dello Stato ascolterà  le delegazioni dei gruppi parlamentari avendo in mente già  un piano B, da esporre subito dopo la fine delle consultazioni.
Se quelli andranno al Quirinale e ripeteranno quello che hanno ribadito per due mesi — cioè rimettendo in vetrina veti, blocchi, orgogli liti interne a partiti e coalizioni -, il presidente potrebbe mettere mano a una sua soluzione.
I giornali concordano nel dire che Mattarella vuole ancora evitare nuove elezioni subito, ma se fosse, non sarebbe prima di dicembre, in modo da avere il tempo per gestire pienamente due partite che per il Colle sono fondamentali: la legge di bilancio e le scadenze europee.
L’ideale sarebbe rimettere mano alla riforma elettorale, che non ha provocato ma ha agevolato questa situazione di impasse, ma in quel caso i tempi si allungherebbero e chissà  se i partiti ci starebbero.
Già : ma quale governo?
La premessa generale è che il presidente della Repubblica non darà  mai un incarico al buio, cioè senza che ci siano numeri solidi in Parlamneto per una fiducia.
I voti non si vanno “a cercare”, come ripetono spesso i leader del centrodestra.
E quindi le strade sono due. Una è un pre-incarico a qualcuno del centrodestra. Potrebbe essere Giancarlo Giorgetti, che ha una comunicazione, un atteggiamento, toni molto più istituzionali di Matteo Salvini.
Per giunta ha buone armi diplomatiche e canali già  aperti con il Pd.
Nel suo curriculum, tra l’altro, c’è la partecipazione ai “saggi” del presidente Giorgio Napolitano nella fase di stallo del 2013, prima della nascita del governo di Enrico Letta.
E, se proprio bisogna stare attenti alle parole, i renziani dicono no “a un governo di Di Maio o di Salvini”, mentre Ettore Rosato ha confessato senza troppi problemi che il Pd è più compatibile con Forza Italia che con tutti gli altri.
Un governo Giorgetti, peraltro sotto l’egida del Quirinale, sarebbe più digeribile.
L’altra strada è quella istituzionale.
Secondo i quirinalisti il toto-nomi di questi giorni è fuori fuoco: gli ex giudici costituzionali Giovanni Maria Flick e Sabino Cassese, il presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno.
In realtà  più praticabile sarebbe il ritorno da uno dei presidenti delle Camere Fico e Casellati, questa volta con incarichi veri e propri e non con mandati esplorativi.
Uno scenario che potrebbe avere più speranze in Parlamento, magari con un nuovo, aperto, più chiaro appello alla responsabilità  da parte del capo dello Stato.
E anche in caso di sfiducia — che però a quel punto i partiti dovrebbero dare davanti agli occhi degli italiani, assumendosene il peso delle conseguenze — rimarrebbe in carica quel governo e non quello di Gentiloni, ormai moribondo da mesi, pur gestendo gli affari correnti.
Eppure anche l’esecutivo uscente non sembra uscito dalle carte in mano al presidente.
E poi c’è comunque sempre un’ultima speranza: “L’auspicio è semplice — dice il sostituto alla segreteria di Stato vaticana, monsignor Angelo Becciu — Speriamo e auguriamo che presto si trovi un soluzione. Avevo già  detto che assicuravamo preghiere al presidente Mattarella, mi pare che le dobbiamo aumentare ancora di più”.

(da “il Fatto Quotidiano“)

argomento: elezioni | Commenta »

IL SINDACO GRILLINO DI NETTUNO E’ CADUTO DAVANTI AL NOTAIO, COME MARINO

Maggio 3rd, 2018 Riccardo Fucile

ANGELO CASTO SFIDUCIATO DALL’OPPOSIZIONE E DA 4 CONSIGLIERI DEL M5S… QUANDO LA LOMBARDI SOSTENEVA CHE “QUESTO METODO NON CI APPARTIENE”

«Il M5S è una forza sana, con dei principi solidi, ma soprattutto è una forza politica coerente e ritiene che la sfiducia verso un presidente debba avvenire, sempre, all’interno di una cornice democratica, dunque nel quadro di un dibattito trasparente nell’aula consiliare», diceva qualche tempo fa Roberta Lombardi, capogruppo del MoVimento 5 Stelle in Regione Lazio. Già  a Roma, nel 2015, nonostante la nostra forte richiesta di dimissioni nei confronti dell’ex sindaco Marino, ci rifiutammo di andare a firmare le dimissioni dal notaio insieme agli altri consiglieri del Partito Democratico. Quel tipo di metodo non ci appartiene», precisava la Lombardi.
E infatti oggi il sindaco di Nettuno Angelo Casto ha visto la caduta del suo consiglio comunale grazie alle dimissioni date dal notaio dai consiglieri dell’opposizione e da quattro consiglieri del MoVimento 5 Stelle.
Il documento è stato siglato da Daniela De Luca, Giuseppe Nigro, Simonetta Petroni e Marco Montani per il gruppo consiliare grillino e da Claudio Dell’Uomo, Carlo Eufemi, Maria Antonietta Caponi, Enrica Vaccari, Fabrizio Tomei, Genesio D’Angeli, Rodolfo Turano, Giacomo Menghini e Lorenza Alessandrini per l’opposizione.
Nei mesi scorsi si erano dimessi cinque assessori dopo un atto di sfiducia di dieci consiglieri grillini nei confronti di alcuni di loro.
Angelo Casto aveva tentato di rimettere assieme i cocci ma evidentemente non è riuscito a proporre una sintesi politica digeribile.
“Non abbiamo avuto risposte scritte e pubbliche sui gravi fatti non di natura interna, che abbiamo più volte contestato, non si tratta di pretestuose polemiche ma di gravi accadimenti amministrativi che vedono il coinvolgimento degli organi di polizia giudiziaria con altrettanti filoni di indagine”, hanno detto i quattro consiglieri in una dichiarazione rilasciata a Il Clandestino Giornale.
“Consapevoli delle regole e dei valori del M5S, che abbiamo più volte ribadito per iscritto, non ci resta che seguire il consiglio dell’onorevole Bonafede, responsabile degli enti locali M5S Lazio, ovvero rassegnare le nostre irrevocabili dimissioni da consiglieri comunali, nella assoluta certezza che abbiamo sempre operato nell’interesse esclusivo dei cittadini, così come questo ultimo nostro atto di responsabilità  politica”, hanno concluso.
Il fatto che i consiglieri abbiano citato Bonafede fa pensare a una conoscenza della decisione da parte dei vertici grillini.

(da “NextQuotidiano”)

argomento: Grillo | Commenta »

LA RAGGI SCEGLIE COME ASSESSORE QUEL CONSIGLIERE CHE ACCUSAVA IL M5S DI ESSERE COME L’ISIS

Maggio 3rd, 2018 Riccardo Fucile

LA NOMINA DI CARLO CAFAROTTI AL POSTO DI MELONI

Il 9 maggio sarà  l’ultimo giorno di Adriano Meloni come assessore allo Sviluppo Economico della giunta Raggi.
Dal 10 continuerà  ad occuparsi di Turismo ma cederà  il posto in giunta a Carlo Cafarotti, neo assessore al Lavoro e al Commercio.
L’avvicendamento è stato ufficializzato oggi nel corso di una conferenza stampa con la sindaca Virginia Raggi a cui hanno partecipato sia Meloni, sia Cafarotti.
“L’assessore Meloni ci lascerà  parzialmente per stare più vicino alla famiglia ed ai suoi interessi — ha detto Raggi -. Con Carlo Cafarotti, che subentrerà  al Commercio, da un po’ di tempo lavorano già  fianco a fianco. Il lavoro e il commercio devono favorire lo sviluppo della città . Stiamo facendo un lavoro di cesello e Cafarotti lo porterà  avanti ma Meloni è un valore aggiunto di questa amministrazione e continuerà  a lavorare con noi. la squadra non perde un pezzo ma semplicemente si arricchisce”.
Cafarotti quindi, come previsto, arriva nel posto di Meloni e lascia quello di delegato della prima cittadina al municipio VIII.
Allo stesso tempo, funzionario della Banca d’Italia ed ex capogruppo cinquestelle alla Garbatella, è la figura più politica che tecnica richiesta a gran voce dai 5S capitolini. Cafarotti è di sicuro un 5 Stelle di grande personalità .
Nella lettera in cui annunciava le sue dimissioni infatti i romani del M5S: «il Movimento nasce come il collettore verso le istituzioni, il soggetto più aperto e disponibile all’ascolto dell’intera Repubblica, lo strumento della vera partecipazione dal basso. Invece spesso è stato una Arena, un luogo di conflitto, di scontri tra fazioni difficilmente prevedibili a priori, con gioia immensa dei nostri avversari, e anche con un po’ di delusione di chi ci ha votati. Non è così che deve andare».
Poi Cafarotti sosteneva che dopo che c’è chi è stato «cacciato dopo una pesante attività  di denigrazione» i carnefici di oggi diventeranno vittime domani. E poi profetizzava:
Sicuramente siamo diversi dagli altri: le capacità  dei nostri portavoce, la nostra buona fede, il tutto rafforzato dalla nostra fedina penale intonsa, ci rende dei marziani al confronto del Pd+-L con il loro Mose, L’Expo, MafiaCapitale, etc. — insomma una Manipulite perpetua -; ma la mancata indulgenza, le forme di intransigenza interna, il fondamentalismo più ottuso ci rendono a volte più simili all’ISIS che non allo strumento di democrazia che sognamo. Non è così che deve andare. Dobbiamo ripensare il nostro rapporto con gli altri, e ripensarci come organizzazione interna.
Abbiamo anche confuso la centralità  della rete, sacrosanto dogma da noi sposato, con la centralità  del sito www.beppegrillo.it. Questo è un errore tattico che diventa persino strategico: abbiamo demandato ad un sito soltanto, quel che fino a poco prima delle elezioni facevano centinaia di siti e meetup, diminuendo la nostra potenza di fuoco. Ci siamo legati le braccia da soli, e per chi sta sul territorio come sono stato io, per chi lavora in cambusa, per dirlo alla marinara, è un pò come legarsi le mani: con cosa le peli le patate? Non è così che deve andare. Anche gli strumenti, non ultimo quelli di sondaggio su realtà  locali, devono essere molto più diffusi e capillari, anche fluidi, come fluida è la rete stessa, come fluidi ci siamo pensati sin dall’inizio.”
Cafarotti aveva già  presentato le dimissioni davanti all’assemblea degli attivisti dopo aver invitato a parlare in assemblea due componenti di Occupypalco all’indomani dell’espulsione comminata dal blog di Beppe Grillo.
Le dimissioni erano state respinte quasi all’unanimità 

(da “NexQuotidiano”)

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LE MINACCE DI MAIO ALLA LIBERTA’ DI STAMPA

Maggio 3rd, 2018 Riccardo Fucile

“QUANDO ANDREMO AL GOVERNO SOSTITUIREMO I DIRETTORI DEI TG RAI”… UNA SERA SI’ E UNA NO SONO OSPITI DELLA RAI CON IL SINGOLARE PRIVILEGIO DI NON AVERE CONTRADDITTORIO E QUESTO HA ANCORA IL CORAGGIO DI PARLARE

Chi si domanda perchè l’Onu abbia sentito il bisogno di celebrare – oggi, 3 maggio – la giornata mondiale della libertà  di stampa forse s’è perso il comizietto di Luigi Di Maio ieri sera a Porta a porta, su quella tv dove una volta i grillini avevano il divieto di mettere piede (e che oggi occupano una sera sì e l’altra pure, avendo ottenuto il singolare privilegio di essere sistematicamente i soli politici in studio).
Cos’ha detto Di Maio?
Ha spiegato che “negli ultimi 50 giorni i telegiornali Rai ci hanno trattato con i guanti bianchi perchè avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori”. Un timore infondato? No, ha rivelato Di Maio: “Lo faremo molto presto”.
Dunque la “rivoluzione” grillina, se mai ci sarà , comincerà  con un’epurazione dei media, assai simile a quella che Berlusconi decretò con l’ormai celebre editto bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi.
E confermerà  che anche loro, come la stragrande maggioranza dei partiti che hanno occupato la stanza dei bottoni, vorranno subito mettere le mani sull’informazione del servizio pubblico. Un bell’inizio.
Del resto, il Movimento 5 Stelle ha sempre considerato la libera stampa come un nemico da annientare, diffondendo la bufala che i grandi giornali oggi siano finanziati dallo Stato, una bufala che lo stesso Di Maio continua a diffondere annunciando – l’ultima volta l’11 gennaio di quest’anno – che appena andranno al potere loro aboliranno “i finanziamenti ai quotidiani e all’editoria” (guardandosi bene dal rivelare che nessun grande giornale riceve da molti anni un solo euro di finanziamento pubblico).
Del resto, se l’ultimo rapporto di Reporter Sans Frontières colloca l’Italia al 46mo posto anche e soprattutto a causa “della rivendicata ostilità  nei confronti dei media, incoraggiata da alcuni responsabili politici”.
E se sono tanti i Paesi dove “l’odio del giornalismo minaccia la democrazia”, per l’Italia il rapporto fa un solo nome, e cita espressamente il Movimento 5 Stelle, “che ha spesso condannato la stampa per il suo lavoro”.
Sia chiaro: non è l’unica minaccia, per i giornalisti, e neanche la più pericolosa.
Sono certo più inquietanti le intimidazioni che i cronisti subiscono, lo ricorda lo stesso rapporto, “dalla mafia, da gruppi anarchici o fondamentalisti”.
Perchè le minacce di morte, le pallottole spedite come “ultimo avviso”, i piani per sbarazzarsi dei giornalisti scomodi carpiti ai boss grazie alle intercettazioni, hanno un peso notevole in questo imbarazzante piazzamento nella classifica della stampa libera che in Europa vede dietro di noi solo Serbia, Polonia, Grecia e Albania.
E le storie di Paolo Borrometi, il cronista siciliano al quale il fratello di un capomafia ha scritto “ti vengo a cercare e ti massacro”, o quella della nostra Federica Angeli a cui un boss del clan Spada urlò “te sparo in testa se scrivi” sono solo due tra le decine di chi oggi è costretto a una vita sotto scorta solo per aver fatto il suo dovere di giornalista.
Solo nel 2017, il rapporto che “Ossigeno per l’informazione” ha consegnato al presidente Mattarella ha elencato 423 intimidazioni, minacce, abusi e ritorsioni ai danni di cronisti, blogger, fotoreporter e videomaker.
Il fatto è che le intimidazioni di mafia, camorra e ‘ndrangheta non sono nuove, e la scia di sangue che parte da Mauro De Mauro e arriva a Mauro Rostagno – passando per Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Peppino Impastato, Mario Francese, Giuseppe Alfano, Cosimo Cristina e Giovanni Spampinato – non consente a nessuno di abbassare la guardia.
La vera novità  di questi ultimi anni è che in tutto il Paese, e non solo nelle regioni ad alto tasso di criminalità , tira un’aria sempre più brutta per la libera stampa.
Un’aria avvelenata dai politici, a cominciare da quelli che due anni fa strillavano contro le minacce alla libertà  di stampa.
Impossibile dimenticare le parole di Grillo sui direttori dei telegiornali, “gentaglia che pagherà “, o quelle che pronunciò nella piazza di Mascalucia: “Non ce l’ho con i giornalisti, ma io non dimentico niente, e un giorno gli faremo un c… così”.
Fu lui, del resto, a inventarsi la gogna mediatica per i cronisti, battezzando sul suo blog il premio (di insulti) al “Giornalista del giorno”, poi quello al “Giornalista dell’anno” (“Quello che più si è distinto per il suo livore prezzolato”) e infine “Lo sciacallo del giorno”.
Oggi c’è Di Maio, certo, al posto di Grillo. Ma un anno fa è stato proprio l’attuale candidato premier a spedire all’Ordine dei giornalisti una lista di cronisti che – secondo lui – danneggiavano il Movimento 5 Stelle con le loro inchieste e i loro articoli sullo scandalo Romeo al Campidoglio.
E dunque è proprio a lui che si riferisce Reporter Sans Frontières quando denuncia chi “non esita a comunicare pubblicamente l’identità  dei giornalisti che lo disturbano”.
Ma evidentemente l’unica stampa che Di Maio considera libera è quella che lo difende (sparando letame sui suoi avversari), e l’unica tv che gli piace è quella che gli concede la libertà  di parlare da solo.

(da “La Repubblica”)

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RENZI AL NAZARENO CON LA CARICA DEI 120

Maggio 3rd, 2018 Riccardo Fucile

L’EX SEGRETARIO SICURO DI AVERE LA MAGGIORANZA… SE MARTINA CHIEDE LA FIDUCIA FINO AL CONGRESSO, SARA’ ROTTURA

L’hanno ribattezzata “linea Fazio”, nella war room renziana.
Dove la Direzione è preparata come una battaglia campale per il controllo del Pd: “Vogliono il confronto con i Cinque Stelle? — è il ragionamento che trapela dai piani alti del Nazareno — Bene, ma in streaming. Il punto fermo è mai Di Maio a Palazzo Chigi. E no a Salvini. Noi siamo per un Governo delle regole”.
Parole accompagnate dai numeri squadernati sul tavolo, dopo un ultimo giro di telefonate notturne e mattutine.
Ci sono 119 parlamentari su 160 che hanno detto “mai a un governo con Di Maio”.
E c’è il pallottoliere della Direzione. L’ultimo aggiornamento dice che 120 sono blindati: “Ma se vogliono la conta, presentiamo il nostro documento e finisce 130 a 70”.
Numeri. Calcoli. Strategie e spifferi, nell’ora della grande conta nel Pd.
Pare che ogni punto di mediazione, al momento, sia saltato.
Da un lato c’è l’ex segretario, in questo suo ritorno in campo per non perdere il controllo del partito, dall’altro tutti i big storici del Partito Democratico.
A poche ore dall’inizio della Direzione la loro richiesta, a quel che si capisce, è di accordare la fiducia a Martina fino al congresso.
Se così fosse, si andrebbe incontro a una clamorosa rottura. Col presidente del partito, Matteo Orfini, pronto ad alzarsi e a leggere lo statuto secondo cui il reggente può riceverla fino all’assemblea, ma non fino al congresso.
Perchè solo un nuovo segretario, non un reggente, può condurre il partito al congresso. E a quel punto ci si conta, per poi contarsi nuovamente in assemblea.
Se invece Martina chiederà  “fiducia” solo fino all’assemblea, allora via libera anche dagli uomini dell’ex segretario, che eviterebbero volentieri la conta perchè comunque attesta che i numeri di Renzi in Direzione non sono più quelli di una volta.
Voi capite che quando un partito arriva a lacerarsi su queste questioni, siamo a un passo dalle sedie che volano, come accadeva in indimenticabili direzioni dei partiti della prima Repubblica.
Normalmente accadeva prima delle scissioni. Parlando un po’ di politica, tutto questo cosa significa, oltre la fotografia di un partito che ha perso il contatto con la realtà ? Significa che, tra l’intervista a Fazio e il documento sottoscritto dalla maggioranza di parlamentari, Renzi ha fatto saltare la linea dell’accordo con i Cinque stelle.
In tre giorni, ha picconato un accordo che equivaleva a un renzicidio sul terreno del governo, e ha messo nero su bianco i numeri i numeri della sua maggioranza tra i gruppi parlamentari e in direzione, di ciò che resta del Pd.
Si può condividere o no, può piacere o no.
Può essere vista come una “linea” o come una “cieca vendetta”, ma il comunicato in cui il Quirinale convoca le consultazioni senza neanche attendere la direzione del Pd (perchè non c’è nulla da attendere) certifica un suo successo tattico: Di Maio Palazzo Chigi non lo vedrà  mai, neanche col binocolo.
Prospettiva che invece domenica mattina era ancora in vista finchè il dialogo con i Cinque Stelle era nelle mani di Martina. In fondo era prevedibile perchè il Pd è diventato (e non da oggi) il Pdr, nel senso di partito di Renzi.
Nè andrà  a Palazzo Chigi Salvini, perchè non ha i numeri per chiedere un incarico. All’ordine del giorno c’è il governo del Presidente, che nasce come governo di tutti e magari si realizza come governo di chi ci sta.
Non è un terreno distante dal governo delle regole proposto dall’ex segretario. Dipende dal nome che sceglierà  Mattarella, dal profilo dei ministri, dalla mission complessiva, ma è un terreno su cui il Pd può scendere dall’Aventino e giocare a fare politica.
E a meno di clamorose novità  sui numeri il dominus della nuova fase è lo stesso della precedente e di quella prima ancora.
Accade così nei partiti, come viene spiegato nei manuali. Il ricambio è possibile finchè i partiti non mutano geneticamente. Poi diventa impossibile, perchè i critici diventano ospiti in casa altrui.

(da “Huffingtonpost”)

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IL PIANO DI BERLUSCONI E RENZI: INCARICO AL LEGHISTA GIORGETTI CON L’APPOGGIO DI PARTE DEL PD

Maggio 3rd, 2018 Riccardo Fucile

LO SVELA “IL CORRIERA DELLA SERA”: UN DISEGNO COLTIVATO IN SEGRETO DA BERLUSCONI E GESTITO DA GIANNI LETTA … “GIORGETTI FIGURA PIU’ RASSICURANTE DI SALVINI SUL PIANO INTERNAZIONALE”

Giancarlo Giorgetti a Palazzo Chigi con l’appoggio di una parte del Pd e la benedizione di Silvio Berlusconi.
Mentre in attesa della direzione dem di questo pomeriggio tramontano le trattative tra i dem e il M5s, il Quirinale considera l’ipotesi di un nuovo Nazareno allargato alla Lega.
Lo riporta il Corriere della Sera, fornendo conferme ai retroscena che si inseguono da giorni sui presunti incontri tra i pontieri dei due schieramenti: Gianni Letta e Luca Lotti.
Sul tavolo di Sergio Mattarella c’è l’ipotesi di un preincarico — scrive Marzio Breda, il quirinalista del quotidiano di via Solferino che annovera tra le proprie solo fonti quirinalizie- che verrebbe conferito al numero due della Lega sulla base di un’intesa tra centrodestra e Pd (o parte di esso).
“Un disegno coltivato quasi in segreto da Silvio Berlusconi”, cui “lavora da settimane Gianni Letta” e che prevede l’arrivo alla presidenza del Consiglio di Giorgetti, “che con la sua vocazione mediatrice risulterebbe figura più rassicurante di Salvini , specie sul piano della proiezione internazionale”.
Perchè si delinei questo scenario, tuttavia, i partiti interessati dovrebbero andare da Mattarella nell’ambito di un nuovo giro di consultazioni con solide motivazioni e soprattutto numeri solidi.
E, sottolinea il Corriere, “qualcuno sospetta che l’improvvisa disponibilità  di Matteo Renzi per un esecutivo che modifichi la legge elettorale e faccia una riforma della Costituzione nasconda appunto un accordo già  concertato con il Cavaliere”.
Quale senso avrebbe questo giro “ultimativo” di consultazioni?
Quello di verificare se esiste la possibilità  di formare un esecutivo in grado di affrontare le due scadenze che attendono il Paese nei prossimi mesi: impostare la manovra finanziaria ed evitare l’aumento dell’Iva.
Non solo: anche se si tornasse al voto a ottobre, è il ragionamento, con l’attuale legge elettorale lo scenario politico rischierebbe di non cambiare di molto.
E soprattutto a Palazzo Chigi non ci sarebbe un governo in grado di mettere in sicurezza il Paese.
A quel punto sarebbe meglio un esecutivo che si occupi dell’ordinaria amministrazione fino a dicembre. Lo stesso Paolo Gentiloni, scrive Breda, potrebbe restarne alla guida.
Oppure una figura largamente condivisa. Giorgetti, appunto.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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CHI NEL M5S HA PAURA DELLE URNE

Maggio 3rd, 2018 Riccardo Fucile

NON TUTTI I GRILLINI ELETTI SONO FELICI DEL   RITORNO ALLE URNE, PERCHE’ RISCHIANO DI NON ESSERE RIELETTI AL NORD

“Sono rimasto fino a ieri sera a parlare con tanti nostri senatori e nostri deputati e non ho visto nessun tipo di malumore sulla richiesta di Di Maio di tornare al voto”.
Danilo Toninelli, capogruppo M5S al Senato, interviene ai microfoni di ‘6 su Radio 1′ parlando della possibilità  ventilata dal leader pentastellato di tornare a nuove elezioni. “Abbiamo cercato di fare una cosa rivoluzionaria — prosegue poi Toninelli — dar vita a un governo che avesse ben indicato cosa dovesse fare, parlo del contratto di governo, e dall’altra parte abbiamo avuto i soliti vecchi partiti sabotatori del cambiamento che invece hanno ragionato con logiche personali di convenienza e hanno fatto buttare via all’Italia e al Presidente della Repubblica ben 60 giorni. Dopo 60 giorni di tentativi per fare un governo in cui noi c’eravamo come unica forza politica a fare proposte, abbiamo trovato la Lega di Salvini che ha mantenuto l’abbraccio a Berlusconi e non ha voluto abbracciare gli italiani e il cambiamento, dall’altra parte un Pd che e’ ancora rovinato e tenuto in mano da un Renzi che detta la linea andando in Tv. Siamo alla follia più totale”.
L’uscita di Toninelli risponde a un articolo pubblicato oggi da La Stampa e firmato da Ilario Lombardo, in cui si spiega che nel M5S c’è chi le urne le teme eccome:
“Per Di Maio il voto anticipato avrebbe degli indubbi vantaggi, perchè blinderebbe la sua nuova candidatura a premier e perchè è convinto che nella sfida bipolare con la Lega, il M5S conquisterebbe ulteriore consenso in un bacino di centrosinistra e nei voti del Meridione. Costringerebbe molti elettori a scegliere il Movimento per evitare l’affermazione più radicale di Matteo Salvini e di tutto quello che rappresenta.
Se lo stesso ragionamento lo rovesci e lo vedi dal Nord, le cose però cambiano.
E agli occhi della fronda settentrionale le urne anticipate mettono a rischio la propria sopravvivenza in parlamento. Chi in lista è finito secondo o terzo, in Veneto, Lombardia o Piemonte, chi è stato eletto per un soffio, chi teme di non tornare più a Roma, potrebbe cedere alla tentazione di votare un governo diverso.
Di Maio lo sa e per questo ha fatto filtrare nuovamente che «tutti gli eletti saranno ricandidati».
Verrebbe sancita la deroga alla regola dei due mandati, una violazione del principio aureo accettabile solo in caso di una legislatura mai nata. Anche Beppe Grillo è favorevole, come si è lasciato scappare nel dietro le quinte del suo show a Verona, a fine marzo: «La regola deve essere ripensata per i mandati che non sono completi» è stata la sua conclusione.
Sono pochi i parlamentari a esprimere dubbi apertamente.
Lo fa la senatrice Paola Nugnes, che preferirebbe restare «opposizione al sistema» e per la quale «tornare al voto cambierebbe poco».
E lo fa il senatore Nicola Morra, che chiede di recuperare «l’orgoglio M5S senza più compromessi al ribasso». Sono alcune delle voci che si erano alzate contro le nozze M5S-Lega naufragate ieri in un mare di accuse.

(da “NextQuotidiano”)

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