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COSA PREVEDE IL CONTRATTO TRA M5S E LEGA DOPO L’ ULTIMA RETROMARCIA: I SOLDI NECESSARI SI TROVANO FACENDO PIU’ DEFICIT

Maggio 17th, 2018 Riccardo Fucile

STRAVOLTO IL COMITATO DI CONCILIAZIONE, SCOMPAIONO L’USCITA DALL’EURO E LA CANCELLAZIONE DI 250 MILIARDI DI DEBITO… FORNERO, FLAT TAX E REDDITO CITTADINANZA SENZA CITARE LE COPERTURE… STATO DI POLIZIA E SOLITE CAZZATE RAZZISTE SULL’IMMIGRAZIONE

La prima bozza era deflagrata sul tavolo della trattativa fra Lega e M5S.
Due giorni dopo, il Contratto per il governo del cambiamento cambia versione.
Tre su tutte: il Comitato di conciliazione parallelo al Consiglio dei ministri, le modalità  di uscita dall’euro, la richiesta di cancellazione di 250 miliardi di debito pubblico.
Non c’è più nulla di tutto questo. Un libro dei sogni secondo alcuni. Un vademecum che dovrebbe accompagnare M5S e Lega per i prossimi cinque anni di legislatura per ridurre drasticamente le tasse, rivedere il welfare e le pensioni, ridurre il peso dell’immigrazione, proteggere i confini nazionale, riscrivere il rapporto con l’Europa.
Cambia il Comitato di conciliazione, non si sa più come è composto
Il rischio di un organo politico in grado di affiancare e comandare sul Consiglio dei ministri ha consigliato alcuni accorgimenti, per non finire nel cestino delle incostituzionalità .
Scompare dal testo la composizione del Comitato di conciliazione, rimandata “all’accordo fra le parti”. Nella prima bozza il Comitato era composto da presidente del Consiglio, leader e capigruppo delle due forze politiche, oltre al ministro competente per questione.
Scompare inoltre la sospensione per almeno 10 giorni delle azioni sui temi controversi. Via anche la delibera a maggioranza qualificata dei due terzi.
Cosa resta? La funzione di dirimere le controversie resta, come quella di suggerire soluzioni. Viene meno però la centralità  dell’organo nella fase deliberante e allentata la morsa di un’intesa di largo respiro per sbrigliare gli affari più ostici e divisivi.
Euro, torna l’amore. Ridiscutere i trattati Ue
L’altra bomba da disinnescare erano i rapporti con l’Unione Europea. Sono stati al centro della discussione fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio fino all’ultimo. Alla fine è prevalsa la linea di quest’ultimo: scompare ogni riferimento all’uscita dall’euro, che aveva fatto allarmare i mercati finanziari e sobbalzare le cancellerie di mezza Europa e certamente anche il Quirinale.
Eliminato ogni riferimento alla “sovranità  monetaria”, a procedura di uscita dalla moneta unica e a referendum consultivi.
Si parla dello “spirito di ritornare all’impostazione pre-Maastricht in cui gli Stati Ue erano mossi da un genuino intento di pace, fratellanza, cooperazione e solidarietà ” e si muove da esso per chiedere di “rivedere, insieme ai partner europei, l’impianto della governance economica europea (politica monetaria, Patto di Stabilità  e crescita, Fiscal compact, Mes, etc) attualmente basato sul predominio del mercato e sul rispetto di vincoli stringenti dal punto di vista economico e sociale”.
Nel nuovo testo non si mette in discussione quindi l’irreversibilità  dell’euro e la politica monetaria unica; si punta inoltre l’accento sulla necessità  di riforme condivise, da attuare insieme ai partner europei.
L’ultima bozza include tre novità : la richiesta più netta di superare gli effetti della direttiva Bolkenstein, l’opposizione ai trattati di libero commercio, e l’affermazione per cui l’Italia, in quanto confine esterno d’Europa, “va adeguatamente protetto anche per garantire e tutelare il supremo principio della libera circolazione delle persone e delle merci”.
Si torna a spendere in deficit. L’idea dei due debiti pubblici
Dove si trovano le coperture per finanziare il mastodontico programma economico che va dal reddito di cittadinanza alla flat tax, passando per l’abolizione della Fornero? Semplice, facendo più deficit.
Nel contratto c’è scritto chiaro e tondo, pur specificando che il ricorso alle spese senza coperture debba essere “appropriato”.
Lega e M5S però non si fermano qui: chiederanno alla Ue anche di scorporare la spesa per investimenti pubblici dal deficit corrente di bilancio: un escamotage contabile per spendere senza dover preoccuparsi di dove prendere i soldi.
Due misure che — c’è da scommettere — non piaceranno a Bruxelles e alle altre capitali europee.
Così come piacerà  poco a Francoforte un altro dei cavalli di battaglia del leghista Borghi: chiedere alla Bce di “sterilizzare” contabilmente i titoli di stato comprati finora dalla Bce per evitare che i tassi italiani schizzassero alle stelle.
Anche se c’è da dire che quanto meno rispetto alla prima bozza la formulazione è più prudente: non si parla di cancellazione vera e propria dei titoli di Stato, ma solo contabile ed è stato tolto qualsiasi riferimento a cifre precise.
In ogni caso, ci troviamo di fronte a una misura infattibile, che verrà  rigettata senza dubbio dall’istituto guidato da Mario Draghi.
Due aliquote per la flat tax. Condono e carcere vero per gli evasori: un ossimoro
La Lega vede vinta la sua battaglia: la flat tax sarà  l’architrave delle riforme messe in cantiere dai gialloverdi, anche se le aliquote fisse saranno due: al 15 e al 20 per cento sia per persone fisiche che imprese.
Neanche una riga invece per le necessarie coperture, stimate in una sessantina di miliardi da diversi istituti economici.
Leghisti e pentastellati hanno comunque un approccio abbastanza diverso sul concetto di evasione fiscale, si sa.
Tanto che nel contratto ci sono due misure abbastanza divergenti fra loro. Da una parte la ricerca della “pace fiscale” tanto cara a Salvini, con un condono “saldo e stralcio” delle cartelle Equitalia, dall’altra il classico proclama “manette agli evasori”, cifra dei 5 stelle, tradotto con un perentorio “inasprimento dell’esistente quadro sanzionatorio, amministrativo e penale, per assicurare il carcere vero per i grandi evasori”.
Tornano i voucher e stop alla legge Fornero
Salvini e Di Maio sembra che si siano accorti che “la cancellazione dei voucher ha creato non pochi disagi ai tanti settori per i quali questo mezzo di pagamento rappresenta uno strumento indispensabile”.
E quindi ne promettono una reintroduzione anche se con un nome diverso: “Bisogna introdurre un apposito strumento, agile ma chiaro e semplice, che non si presti ad abusi per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio”.
Per quanto riguarda la legge Fornero, invece, si stanziano solo 5 miliardi “per agevolare l’uscita dal mercato del lavoro delle categorie ad oggi escluse”.
In particolare, la ricetta utilizzata è quella presente nel programma elettorale pentastellato. “Daremo fin da subito la possibilità  di uscire dal lavoro quando la somma dell’età  e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l’obiettivo di consentire il raggiungimento dell’età  pensionabile con 41 anni di anzianità  contributiva, tenuto altresì conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti”. Si stanzia però solo un terzo della cifra necessaria…
Reddito ma anche pensione di cittadinanza
Sul reddito di cittadinanza l’impronta è chiaramente a 5 stelle. Qui si addensano quei pochi numeri presenti nel contratto. Si parla di 780 euro mensili, per i quali è previsto uno stanziamento di 17 miliardi annui.
La cosa interessante è che nell’ultima versione del contratto è stata aggiunta anche la “pensione di cittadinanza”. In particolare, si legge nel contratto, “la nostra proposta è rappresentata da un’integrazione per un pensionato che ha un assegno inferiore ai 780 euro mensili, secondo i medesimi parametri previsti per il reddito di cittadinanza”.
Dove si trovano i soldi? Non si sa.
Un patto contro i voltagabbana in Parlamento, niente sgambetti
Lega e M5S si giurano “leale cooperazione” sul Contratto di governo, ma eliminano nell’ultima versione del documento la parte che vincolava le forze politiche sia nel Consiglio dei ministri, sia in Parlamento. Compare invece un impegno reciproco a garantire la compattezza dei gruppi al momento delle votazioni sui provvedimenti che fanno parte del programma: una sorta di patto contro i voltagabbana. Vietati gli sgambetti in Aula invece, su provvedimenti non ricompresi nel contratto, ma ritenuti “fondamentali” da uno dei due partiti.
Nel testo si legge: “Impegno a non mettere in minoranza l’altra parte in questioni che per essa sono di fondamentale importanza”. Gli accordi hanno una durata di 5 anni, per tutta la XVIII legislatura, con una verifica fissata nel mezzo del cammino. Altro accordo sancito nero su bianco è il patto di non belligeranza fra Lega e M5S nelle competizioni elettorali nazionali e locali.
Fedeltà  alla Nato, via le sanzioni alla Russia: un colpo al cerchio, uno alla botte
Poche limature nell’ultima versione del contratto sulla politica estera. Le linee guida restano la fedeltà  alla Nato e una politica di amicizia verso la Russia. Gli Usa restano “alleato privilegiato”, ma la Lega ottiene da M5S l’impegno a una “apertura alla Russia”, a partire dal “ritiro immediato delle sanzioni”.
Spending review delle spese militari, vendere le caserme
Nessuna modifica in materia di Difesa, con un “più efficace impiego” del personale delle forze armate, l’impegno alla “tutela dell’industria italiana”, in particolare “progettazione e costruzione di navi” (Fincantieri) “aeromobili e sistemistica high tech” (Leonardo Finmeccanica), la previsione di “nuove assunzioni nelle forze dell’ordine”. Lega e M5S prevedono una rivalutazione della presenza dei militari italiani in missione all’estero. Anche in questa ottica, nel nuovo testo si aggiunge l’impegno a una spending review per “razionalizzare lo spreco di risorse nelle spese militari anche con riferimento alla riforma del patrimonio immobiliare dismesso”.
Tagli delle pensioni d’oro e ricalcolo dei vitalizi
Ricalcolo delle pensioni sulla base del sistema contributivo per tutti i parlamentari, i consiglieri regionali e tutti i dipendenti degli organi costituzionali “anche per il passato”. Quanto alle pensioni d’oro, viene previsto un taglio di quelle superiori ai 5mila euro “non giustificate dai contributi versati”. Stretta sulle auto blu e sulle scorte.
Codice etico, via i massoni
Rivista in corso d’opera la parte sui soggetti che possono entrare a far parte del governo. Sono esclusi coloro che hanno riportato condanne penali, anche non definitive, per i reati dolori di cui alla Legge Severino, per i reati di riciclaggio, autoriciclaggio e falso in bilancio; i soggetti sotto processo per reati gravi, come mafia o corruzione; gli appartenenti alla massoneria e coloro che si trovino in conflitto di interessi. Vengono richieste “tempestive informazioni” da parte di coloro che siano a conoscenza di indagini o procedimenti penali a proprio carico.
Conflitto di interessi e giustizia
Non cambia molto nel fluire delle bozze. Il programma gialloverde ripropone le parole d’ordine portate avanti dai 5 stelle in questi ultimi anni. Cosa si intende per conflitto d’interessi? Ecco la risposta nero su bianco: “Riteniamo che debba qualificarsi come possibile conflitto di interessi l’interferenza tra un interesse pubblico e un altro interesse, pubblico o privato, che possa influenzare l’esercizio obiettivo, indipendente e imparziale, di una funzione pubblica, non solo quando questo possa portare a un vantaggio economico a chi esercita la funzione pubblica e sia in condizione di un possibile conflitto di interessi, ma anche in assenza di un vantaggio immediatamente qualificabile come monetario”. È sicuramente questa, come già  scritto, la parte più riconducibile a Silvio Berlusconi, sia pur formulata in modo generico.
Anche il secondo passaggio marca l’impronta “populista” dell’alleanza, rimanendo comunque nel vago: “Intendiamo inoltre estendere la disciplina a incarichi non governativi ossia a tutti quei soggetti che, pur non ricoprendo ruoli governativi, hanno potere e capacità  di influenzare decisioni politiche o che riguardano la gestione della cosa pubblica, come ad esempio i sindaci delle grandi città  o i dirigenti delle società  partecipate dallo Stato”.
Legittima difesa, più carceri, certezza della pena.
Anche sul tema giustizia i temi non sono stati modificati rispetto alla prima bozza. Ecco i punti qualificanti: 1) riforma della prescrizione; 2) il potenziamento della legislazione anti-corruzione da realizzare “aumentando le pene per i reati contro la pubblica amministrazione”, introducendo il “Daspo per i corrotti e corruttori”, l’introduzione “dell’agente sotto copertura” e “dell’agente provocatore”; 3) il “potenziamento” delle intercettazioni. Più in generale, “per garantire il principio di certezza della pena è essenziale abrogare tutti i provvedimenti emanati nel corso della precedente legislatura, tesi unicamente a conseguire effetti deflattivi in termini processuali e carcerari a totale discapito della sicurezza della collettività “. Insomma, per avere maggiore giustizia ci vuole l’inasprimento delle pene, più carcere, meno misure alternative. E più tribunali, mettendo mano alla legge Severino che chiuse quelli piccoli.
Immigrazione: passa la linea dura
Sulla questione dell’immigrazione, il cavallo di battaglia di Salvini, nella prima bozza c’erano state le maggiori divergenze, tanto da evidenziare in giallo quasi l’intero capitolo. Nella versione attuale il giallo è scomparso ed è stato accolto quasi tutto. Insomma, una vittoria per il leader leghista che vuole per il suo partito il ministero dell’Interno.
Il preambolo recita: “La questione migratoria attuale risulta insostenibile per l’Italia, visti i costi da sopportare e il business connesso, alimentato da fondi pubblici nazionali spesso gestiti con poca trasparenza e permeabili alle infiltrazioni della criminalità  organizzata”.
E ancora: “Il fallimento dell’attuale sistema di gestione dei flussi migratori rischia di mettere in discussione gli stessi accordi di Schengen”.
Ci si impegna affinchè “l’Italia svolga un ruolo determinante (nella prima bozza era “più decisivo”) ai tavoli dei negoziati europei” in particolare “per superare il regolamento di Dublino, attraverso il ricollocamento obbligatorio e automatico dei richiedenti asilo tra gli Stati membri dell’Ue”.
Ai migranti sono dedicate due pagine del programma dove si invoca il superamento del Regolamento di Dublino che impone al Paese di prima accoglienza di farsi carico dei richiedenti asilo, l’accelerazione dell’iter di verifica dello status di rifugiato, la revisione dell’attuale sistema di affidamento a privati dei centri.
Occorre poi creare almeno un Centro di permanenza per il rimpatrio in ogni regione. Cosa peraltro prevista dal decreto Minniti dello scorso anno: ma ad ora sono soltanto 5 attivi (Torino, Roma, Bari, Brindisi, Caltanissetta), per poche centinaia di posti rispetto ai complessivi 1.600 previsti a regime.
Altre strutture sono state individuate (da Iglesias a Bologna, da Potenza a Santa Maria Capua Vetere), ma non avviate. Due Regioni, Toscana e Veneto, hanno detto no ai Cpr. “Indifferibile e prioritaria” viene definita una “seria ed efficace politica dei rimpatri”, visto i “500 mila migranti irregolari presenti sul nostro territorio”.
Politica che passa anche dall’allungamento dei tempi di permanenza nei Cpr dagli attuali 90 giorni a 18 mesi, come ai tempi di Roberto Maroni ministro dell’Interno.
Il capitolo immigrazione tocca poi il tema dell’Islam indicando la necessità  di istituire un registro dei ministri di culto e la tracciabilità  dei finanziamenti per la costruzione delle moschee.
Per Salvini e Di Maio occorre disporre di strumenti adeguati per consentire il controllo e la chiusura immediata di tutte le associazioni islamiche radicali nonchè di moschee e di luoghi di culto, comunque denominati, che risultino irregolari”, ma scompare l’obbligo di prediche in italiano.
Per M5S e Lega, inoltre, bisogna consentire al maggior numero possibile di detenuti stranieri (sono 20mila) di scontare la propria condanna nel Paese d’origine attraverso l’attivazione di accordi bilaterali con gli Stati di provenienza.
Una strada in realtà  già  battuta con alterni risultati, perchè non sempre i Paesi collaborano pienamente. Solo sotto il ministero Orlando, sono stati siglati o perfezionati accordi per il trasferimento detenuti con Albania, Nigeria, Marocco, Senegal.
Chiusura dei campi rom
Un paragrafo è infine dedicato ai campi nomadi, divenuti un “grave problema sociale”. Bisogna arrivare, nell’intento di M5S e Lega, alla chiusura di tutti i campi irregolari “in attuazione delle direttive comunitarie”, ed obbligare i minori alla frequenza scolastica “pena l’allontanamento dalla famiglia o perdita della responsabilità  potestà  genitoriale”.
Sicurezza: più soldi alle forze dell’ordine
Anche nel capitolo “Sicurezza, legalità  e forze dell’ordine”, quasi tutto evidenziato in giallo nella prima bozza e quindi oggetto di contrasto tra le due forze politiche, passa la linea leghista.
Quindi maggiori fondi per le forze dell’ordine e maggiori equipaggiamenti per contrastare gli attacchi terroristici. Nel contratto viene dedicato un punto alle occupazione abusive, dove viene indicata la necessità  di velocizzare le procedure di sgombero attraverso l’azione ferma e tempestiva qualora non sussistano le condizioni di necessità  certificate.
llva, Alitalia e Torino-Lione: tre nodi che non vengono al pettine.
Su tre paragrafi rilevanti, il contratto di Governo resta nel vago.
Per quel che riguarda l’Ilva di Taranto, tutto resta immutato come nella prima versione: chiusura delle fonti inquinanti e bonifiche, e riconversione economica basata su energie rinnovabili.
Al tempo stesso si conferma l’intento di salvaguardare i 14mila dipendenti (più quelli dell’indotto) ma non viene specificato come, a fronte della chiusura dei forni.
Il timore che si vada verso la chiusura, come peraltro ha auspicato un deputato M5S pugliese nelle ultime ore dopo la morte di un giovane mentre lavorava nell’impianto siderurgico, resta concreto.
Rispetto alla prima bozza è stato introdotto il capitolo Alitalia: per il vettore attualmente commissariato e sul mercato, si legge che non va solo salvato ma “rilanciato nell’ambito di un piano strategico nazionale dei trasporti che non può prescindere dalla presenza di un vettore nazionale competitivo”.
Formula vaga che non dipana le ombre sul futuro di Alitalia e sulla trattativa con Lufthansa e altri. Il commissario Gubitosi intanto ha chiesto al Governo in pectore di “fare presto”. Infine, quanto alla Tav Torino-Lione, nell’ultima versione ci sono modifiche rispetto alle bozze circolate nei giorni scorsi: non c’è più la “sospensione” dei lavori, ma resta l’impegno a “ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia”.
Agricoltura: riforme per Pac, Agea e Sian. Lotta in Ue per i “fermi pesca”
Resta la richiesta all’Ue di riforma della Politica agricola comune. E resta la volontà  di modificare l’Agenzia nazionale per le erogazioni in agricoltura e il Sistema informativo di servizi del comparto. Rispetto alla prima bozza fa capolino la pesca: anche qui, lotta a Bruxelles per riconsiderare “vincoli e direttive” come “i fermi pesca” quando “non sono basati su criteri oggettivi”.
Un “classico” sulla Rai: stop alla lottizzazione
Rispetto alla prima versione del contratto, viene introdotto un paragrafo sul servizio pubblico. “Più trasparenza, eliminazione della lottizzazione politica e promozione della meritocrazia”, si legge nel contratto.
Vaccini sì, ma non si escludono i bambini
Nel capitolo dedicato alla Salute, resta lo stop al rapporto “arcaico” tra politici e dirigenti sanitari con riforma dei criteri di selezione e nomia dei direttori. Potenziamento dei Lea attraverso il recupero delle risorse tagliate negli anni precedenti. E garanzia per le coperture vaccinali ma con la chiosa che “va affrontata la tematica del giusto equilibrio tra il diritto all’istruzione e il diritto alla salute, tutelando i bambini che potrebbero essere a rischio esclusione sociale”.
Via alcuni paletti della Buona Scuola, più vigilanza del Governo sullo Sport
Confermato lo “smantellamento” di alcuni pilastri della Buona scuola: via la “chiamata diretta” dei dirigenti scolastici, riforma delle modalità  di trasferimento dei docenti e revisione dell’alternanza scuola-lavoro. Lotta al precariato e aumento del monte ore dedicato alle attività  motorie. Nel capitolo Sport resta il principio di una vigilanza più serrata del Governo sul Coni, con revisione delle sue competenze e maggiore attenzione e compartecipazione alle modalità  di spesa e assegnazione delle risorse.
Sulla Cultura restano i (tanti) principi e le (poche) misure
Nulla di nuovo rispetto alla prima bozza: viene elencata una lunga serie di principi tanto condivisibili quanto vaghi. Unica misura annunciata è la riforma del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) per modificare le modalità  dei finanziamenti “che rimetta al centro la qualità  dei progetti artistici”.

(da “Huffingtonpost”)

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“PIATTAFORMA ROUSSEAU E VOTO ON LINE NON SONO ANCORA SICURI”

Maggio 17th, 2018 Riccardo Fucile

PER IL GARANTE DELLA PRIVACY IL VOTO TRASPARENTE E SICURO E’ ANCORA LONTANO

Il sito web Rousseau è ancora vulnerabile ad attacchi hacker e il voto online degli iscritti al Movimento 5 stelle non è sicuro.
Lo evidenzia, con un provvedimento datato 16 maggio, il Garante della Privacy Antonello Soro.
Uno scenario allarmante, se si considera che domani pomeriggio gli iscritti M5S saranno chiamati a decidere, con un voto vincolante su Rousseau, del contratto di governo su cui si regge l’asse tra Lega e Cinque stelle.
«Sarà  un voto blindato e, come sempre, assicurato a tutti gli iscritti», diceva pochi giorni fa Davide Casaleggio, presidente della Casaleggio associati e dell’Associazione Rousseau in visita a Roma per presentare le nuove funzioni della sua piattaforma. Eppure, secondo quanto accerta Soro, proprio sulle questioni legate alla sicurezza informatica emergono lacune pericolose, nonostante qualche passo avanti sia stato fatto.
Tanto che, dai vertici del Movimento, sarebbero emerse negli ultimi giorni gravi preoccupazioni circa la possibilità  di nuovi attacchi hacker, come già  accaduto più volte nel corso dell’ultimo anno.
D’altronde, le password degli iscritti M5S — come si legge nel provvedimento del Garante – sarebbero ancora in larga parte prive delle più elementari protezioni: «Lunghezza delle password e controllo di qualità  non possono essere limitate ai nuovi iscritti e agli interessati che spontaneamente modifichino la password».
Piuttosto, mette in guardia il Garante, «occorre intraprendere una campagna di invito alla modifica della password nei confronti degli interessati già  iscritti, prevedendo l’obbligo di attuare tale modifica alla prima sessione di collegamento utile attivata con le credenziali (tuttora) deboli». Finora, dunque, le uniche migliorie apportate alla sicurezza dei dati degli utenti riguarderebbero gli iscritti più recenti e non quelli autenticati prima di gennaio 2018.
Non solo. Secondo il provvedimento del Garante non sono nemmeno state assicurate delle «garanzie a tutela degli iscritti votanti, in accordo al principio di trasparenza che dovrebbe caratterizzare un sistema di e-voting».
A dicembre, infatti, il Garante aveva evidenziato nel suo primo provvedimento un grave problema di trasparenza interno: i voti degli iscritti erano identificabili perchè associati a un preciso numero di telefono.
«Questioni di sicurezza», si era giustificato Casaleggio. Per bilanciare questa opacità , però, Soro aveva considerato l’adozione di alcune misure, come la registrazione degli accessi e delle operazioni compiute sul database del sistema Rousseau.
Neanche queste, ad oggi, sarebbero arrivate.
Proprio l’Associazione Rousseau ha infatti chiesto e ottenuto dal Garante una proroga al 30 settembre. Finora è stata solo avviata una ricerca di mercato per individuare una società  esterna che se ne occupi, ma sono sopravvenuti «rallentamenti in ragione della riorganizzazione associativa del Movimento e degli impegni connessi al recente periodo di campagna elettorale».
Insomma, il voto online «trasparente e sicuro» sognato dal Movimento 5 stelle sembra ancora lontano, mentre il voto per decidere del futuro governo è domani.

(da “La Stampa”)

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UN CONTRATTO PRIVATO CHE RIDIMENSIONA LE ISTITUZIONI PUBBLICHE

Maggio 17th, 2018 Riccardo Fucile

L’OPINIONE DI UN GIURISTA: “M5S E LEGA STANNO PRIVATIZZANDO LA POLITICA ITALIANA A DANNO DELLE ISTITUZIONI: UNA SCRITTURA PRIVATA TRA DUE SOGGETTI DI DIRITTO PRIVATO”

I negoziati per l’alleanza di governo M5s-Lega sono stati interpretati dagli stessi protagonisti secondo una figura del diritto privato: il contratto.
Non abbiamo assistito a generici negoziati per un’alleanza di governo e i contenuti di un programma, ma a vere e proprie trattative per un contratto che — come si legge nella bozza disponibile – dovrà  essere sottoscritto dalle parti con firme autenticate da un notaio.
Il fatto è nuovo, in quanto il contratto che cade in questione non è una figura della filosofia politica, una variante del “contratto sociale”, ma una scrittura privata tra due soggetti di diritto privato: un partito e un movimento politico.
La forma “contratto” è tuttavia utilizzata per un affare non economico ma politico, l’azione di governo. Lo strumento non è pensato per tutelare l’accordo in tribunale, ma per dare forma a un programma di governo del Paese. Lo scopo, si legge nel contratto, è di “incrementare il processo decisionale in Parlamento e la sua cooperazione con il Governo”.
Gli impegni, da eseguirsi in buona fede, riguardano tra l’altro “il completamento del programma di governo, la cooperazione tra forze politiche, il coordinamento all’interno del governo, anche in sede europea, e la verifica dei risultati conseguiti”.
Le parti assicurano “la convergenza delle posizioni assunte dai gruppi parlamentari”. Su queste premesse, il presidente del consiglio e i ministri sono chiamati non a decidere l’azione di governo, ma a eseguire il contratto concluso dalle due associazioni private.
Sul piano dei contenuti, la privatizzazione della politica (contrattualizzazione) è esaltata dalla previsione di un “Comitato di conciliazione” destinato a dirimere i conflitti sulla esecuzione del contratto.
Il comitato è composto dal presidente del Consiglio, dai presidenti dei gruppi parlamentari di M5s e Lega, dal ministro competente per materia e infine dai capi politici Salvini e Di Maio: che quindi risolvono questioni di governo insieme a esponenti del parlamento e al capo del governo
Conseguente a questa impostazione è la previsione, in modifica dell’art. 67 Cost., di un “vincolo di mandato popolare” per i parlamentari; che a quel punto non rappresenterebbero più la Nazione, ma i propri elettori.
La contrattualizzazione della politica consiste pertanto in una de-istituzionalizzazione. Il ruolo delle istituzioni – a partire dagli organi costituzionali — diventa subalterno a quello delle organizzazioni politiche, che raccolgono e amministrano il consenso popolare servendosi delle istituzioni.
Non solo il governo, ma anche il parlamento, in quanto istituzione, può ostacolare l’obiettivo. Ecco perchè l’accordo di governo è concluso dalle organizzazioni politiche. Persino il ruolo del presidente della Repubblica (che nomina il premier) risulta ridimensionato. Del resto, anche lui è una istituzione.
Nell’alleanza M5s-Lega il contratto svolge la funzione pratica di stabilire impegni il cui inadempimento potrà  essere rinfacciato alla controparte, se non in tribunale, nei talk show.
In questo senso il contratto alimenta il discorso politico. Svolge però soprattutto la funzione simbolica di marginalizzare le istituzioni a vantaggio dell’espressione della volontà  popolare.
Anche così può portarsi avanti un progetto di “democrazia diretta”. Ma non bisogna trascurare che nel mondo degli affari (a cui allude la nostra scrittura privata) il contratto non rappresenta il raggiungimento di un accordo che prelude ad una stagione di pace, ma la tregua provvisoria di un aspro confronto destinato a riaccendersi. Formalizzare accordi, autenticare sottoscrizioni, sacralizzare impegni, significa praticare onestamente e alla luce del sole la diffidenza e il sospetto verso la controparte.

Fabrizio Di Marzo
Consigliere di Cassazione
(da “la Repubblica”)

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PIZZAROTTI: “IL CONTRATTO CON LA LEGA E’ LA MORTE DEL M5S, DI MAIO FARA’ LA FINE DI RENZI”

Maggio 17th, 2018 Riccardo Fucile

IL SINDACO DI PARMA: “TRA LA BASE C’E’ MALPANCISMO DIFFUSO, APPENA LE COSE ANDRANNO MALE CI SARA’ LA RIVOLTA INTERNA CONTRO DI MAIO”

“Contratto di governo M5s-Lega? Questo è l’epilogo, la “morte del cigno” di quello che è stato il M5s dal 2009 a oggi”.
Sono le parole pronunciate ai microfoni di Ecg Regione (Radio Cusano Campus) dal sindaco di Parma e presidente di Italia In Comune, Federico Pizzarotti.
L’ex pentastellato spiega: “Oggi questo tipo di dinamiche e di scelte che vanno verso un unione con la Lega per trovare una maggioranza di governo che altrimenti non esisterebbe, determinano la fine di un percorso. Fino all’altro giorno dicevano che non si sarebbero alleati mai con nessuno, oggi vanno con la Lega. Questo non è più il M5s, è evidente che il movimento è diventato il partito di Di Maio. Io spero assolutamente che vadano al governo con la Lega, anche se speravo in governo M5s-Pd. Ma un accordo col Pd sarebbe stato ancora più dirompente”.
E aggiunge: “Spero che governino in modo da vedere come si sgonfieranno tante delle promesse fatte da questi due partiti populisti. Nel contratto di governo ci sono cose che si potrebbero realizzare, forse, in vent’anni. Loro invece buttano tutto dentro tutto insieme. Quindi, a maggior ragione, se governano, spero che Lega e M5s si possano sgonfiare e che ci sia spazio poi per forze politiche incentrate maggiormento sulla persona e sulla solidarietà ”.
Poi rincara: “Quello che era il movimento di Grillo e Casaleggio è diventato il partito di Di Maio e Casalino. Si vede dalle modalità  di gestione interna. C’è un regolamento ad hoc in cui Di Maio è capo politico ed è pluripotenziario. Decide i capigruppo, in tv vanno sempre i soliti due o tre. Non so quanto potrà  reggere questa situazione, rispetto al malpancismo interno. Di Maio” — chiosa — “ricorda un po’ Renzi e penso che farà  la sua fine. Finchè sarà  intoccabile e potrà  mettere il veto su qualsiasi cosa, tutto gli andrà  bene. Ma se il governo dovesse andare male e se Di Maio dovesse avere qualche problematica tipica di chi ha sparato così in alto, i gregari, invece di dargli la staffetta, gli metterebbero i bastoni tra le ruote”

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL VINCOLO DI MANDATO DI LEGA E M5S E’ INCOSTITUZIONALE E DI MAIO CITA LA COSTITUZIONE PORTOGHESE SENZA AVERLA LETTA

Maggio 17th, 2018 Riccardo Fucile

LA COSTITUZIONE “PIU’ BELLA DEL MONDO” ERA INTOCCABILE QUANDO DOVEVANO DARE ADDOSSO A RENZI, ORA SI DEVE MODIFICARE “COME A LISBONA”: PECCATO CHE ANCHE LI’ IL VINCOLO DI MANDATO NON ESISTA SE NON NELLA FANTASIA DI DI MAIO

Il contratto del governo del cambiamento è pronto. Ora manca solo il Presidente del Consiglio e la lista dei ministri incaricati. Ed ecco che tra le pieghe del contrattino scompare ogni accenno all’uscita dall’euro e alla rinegoziazione del debito con Bruxelles.
I populisti però saranno contenti di sapere che il governo Lega-M5S — guidato ancora da non si sa chi — si pone l’obiettivo di realizzare un ambizioso programma di riforma costituzionale.
Luigi Di Maio e Matteo Salvini vogliono insomma cambiare la “Costituzione più bella del mondo” quella che hanno difeso a spada tratta dall’assalto di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Evidentemente ci sono riforme costituzionali che vanno bene ed altre che invece sono schiforme.
Ma la Costituzione non era intoccabile?
Sarà  per questo che i grilloleghisti propongono l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) che era già  presente nella riforma costituzionale bocciata il 4 dicembre 2016.
Anche la proposta di «rendere obbligatoria la pronuncia del Parlamento sui disegni di legge di iniziativa popolare» era già  stata prevista nella riforma Renzi-Boschi (articolo 11, comma 1, lettera b).
Un altro tema del contratto è la modifica dell’istituto del referendum abrogativo con l’eliminazione del quorum.
Per la cronaca la riforma costituzionale del PD contro la quale hanno fatto campagna elettorale Lega e M5S proponeva l’abolizione del quorum nel caso il referendum fosse stato richiesto da almeno 800mila elettori (invece che i canonici 500mila).
In quel caso sarebbe stato sufficiente che ad esprimersi fosse la maggioranza dei votanti alle precedenti elezioni politiche.
Il piano di riforma costituzionale di Salvini e Di Maio è ambizioso. In un passaggio del contratto si legge che: «Occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo».
Quella per il vincolo di mandato dei parlamentari è una vecchia battaglia del MoVimento 5 Stelle. Non così vecchia però, nel 2010 infatti Beppe Grillo   scriveva sul blog (nonchè house organ del neonato M5S):
«”Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” è molto chiaro. Chi è eletto risponde ai cittadini, non al suo partito. Un ministro della Repubblica, un presidente del Consiglio, deve fare gli interessi della Repubblica Italiana e, quindi, dimettersi dalle cariche di partito»
Quando i pentastellati sono arrivati in Parlamento e hanno iniziato a perdere pezzi Grillo ha cambiato idea e ha chiesto di introdurre il vincolo di mandato.
Il che significa modificare l’articolo 67 della Costituzione.
Il che a sua volta comporta — in base all’articolo 138 della stessa — l’eventualità  di un referendum confermativo in caso la legge di revisione costituzionale non venga approvata dalla maggioranza dei due terzi dei voti validi.
Per dare valore alla propria richiesta nel contratto si citano, come d’uopo, esempi tratti dagli ordinamenti di altri paesi.
Gli estensori del contratto però non hanno saputo fare di meglio che citare l’articolo 160 della Costituzione portoghese (Di Maio ha imparato che non è il 150 quello da citare).
Con tutto il rispetto per i portoghesi la Costituzione del Portogallo non è generalmente citata tra gli esempi da seguire.
Anche perchè gli unici altri paesi con il vincolo di mandato sono Panama, il Bangladesh e l’India. Ma tant’è: c’è un precedente e se lo fanno in Portogallo chi siamo noi per non farlo?
In Portogallo il vincolo di mandato che vorrebbe Di Maio non c’è
Fortunatamente per noi non è necessario conoscere il portoghese per leggere la Costituzione del Portogallo. Perdono il mandato i deputati che non frequentano l’Assemblea, il che potrebbe essere un problema per Matteo Salvini (Luigi Di Maio ha totalizzato il 30,62% delle presenze ed è un recordman delle missioni).
Ma quello che ci interessa è il punto c) che stabilisce che chi si iscrive ad un partito diverso da quello per il quale si sono presentati alle elezioni deve dimettersi.
C’è però da dire che all’articolo 152 leggiamo che “I Deputati rappresentano tutto il Paese e non le circoscrizioni nelle quali so ­no stati eletti” (l’articolo 67 recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”) mentre l’articolo 155 della Costituzione portoghese dice che “i Deputati esercitano libe ­ramente il proprio mandato“.
Ora quello che salta all’occhio è che da nessuna parte però viene vietato ai deputati di vietare in maniera difforme dal proprio partito.
Anzi, come spiega Lorenzo Andraghetti (ex assistente parlamentare a 5 Stelle e ricercatore in Scienze politiche proprio all’Università  “Nova” di Lisbona) la Costituzione del Portogallo consente ai parlamentari le stesse libertà  di azione e di voto dei colleghi italiani, come quella di votare contro il proprio Partito o uscire dalla maggioranza.
Un deputato può diventare “indipendente” e mantenere il mandato. Insomma, la proposta di Di Maio e Salvini non funziona.
Nello Statuto dei gruppi parlamentari del MoVimento 5 Stelle invece è scritto che deputati e senatori hanno l’obbligo di votare la fiducia al governo M5S ogni qualvolta essa venga richiesta.
La pena è ovviamente l’espulsione dal gruppo parlamentare e dal Partito. Il combinato disposto dello statuto dei parlamentari a 5 Stelle (che però al tempo stesso sono ben disponibili ad accogliere i voltagabbana altrui) unito alla volontà  di introdurre il vincolo di mandato in Costituzione è molto chiaro: chi è eletto finisce per rispondere al suo partito, non ai cittadini che lo hanno eletto.
Proprio come diceva Beppe Grillo otto anni fa.

(da “NextQuotidiano“)

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IL LANCIO DI MICHELE EMILIANO NELLO SPAZIO

Maggio 17th, 2018 Riccardo Fucile

I VOLI SUBORBITALI DALL’AEROPORTO DI GROTTAGLIE… MA FORSE SAREBBE MEGLIO CHE SI OCCUPASSE DELL’ILVA DI TARANTO

Spazio, ultima frontiera. Almeno per il vulcanico Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano che ieri ha dato l’annuncio che l’aeroporto di Grottaglie è il primo aeroporto italiano abilitato ai voli suborbitali.
Secondo Emiliano questa certificazione costituirà  un fattore di attrazione turistica e di investimenti di enorme portata, addirittura di portata spaziale.
In Puglia — spiega Emiliano — arriveranno turisti “con una capacità  di spesa notevole” e c’è anche l’indotto: ovvero tutti i curiosi che vorranno visitare la piccola base spaziale di Grottaglie.
Ma non solo. Grazie ai voli suborbitali la Puglia potrà  godere di un altro grande vantaggio: il trasporto velocissimo di prodotti tipici locali: «i nostri prodotti pugliesi, anche della filiera agroalimentare, potranno ad esempio essere portati in poche ore da Grottaglie a Los Angeles.
Questo cambia in generale il concetto di chilometro zero di tutte le filiere produttive». Sembra quasi di poter sentire tutti i fuori sede pugliesi complimentarsi con Emiliano perchè il pacco da giù non è mai arrivato così rapidamente
La parola d’ordine è una sola, categorica e irrevocabile per tutti: Michele Emiliano nello spazio, perchè no?
Mentre fervono i preparativi Emiliano è impegnato a ridefinire il concetto di spazio-tempo. Se per colmare i circa diecimila chilometri che separano Los Angeles da Grottaglie oggi servono all’incirca 17 ore di viaggio come è possibile che quei 10.000 chilometri diventino “Km 0” quando per per percorrerli servono solo poche ore? Senza contare che a questo punto anche un prodotto coltivato in California diventa a Km0 per la Puglia e che quindi si dovrebbero concedere le Dop e le Doc italiane anche ai vini prodotti nella Napa Valley.
C’è poi da capire anche quanto possa essere conveniente spedire prodotti tipici (immaginiamo olio, vino e friselle) in poche ore.
Probabilmente con le tecnologie attuali — quelle che hanno consentito ad Emiliano di entrare in politica e farsi eleggere “governatore” di una Regione — fare una cosa del genere avrà  la simpatica conseguenza di far aumentare notevolmente il prezzo per l’utente finale.
Il che significa che è più conveniente prendere un volo della Virgin (uno dei pochissimi operatori di voli suborbitali) per fare andare a fare la spesa a Cisternino che aspettare la consegna dei prodotti tipici “a Km 0” dallo spazioporto di Grottaglie. Almeno fino a che Amazon Prime non farà  le consegne gratuite.
Certo, un turista “di grande profilo” potrebbe anche scegliere di pagare una bottiglia d’olio 12 euro più 250.000 dollari di spedizione (questo il costo di un volo Virgin Galactic).
Sempre per rimanere nell’area (quasi a Km 0) non si può non ricordare come lo stabilimento dell’Ilva di Taranto disti appena venti chilometri dallo spazioporto di Grottaglie. Forse prima di occuparsi di superare le correnti gravitazionali il Presidente della Puglia potrebbe occuparsi della questione dello stabilimento siderurgico.
Forse per i quindicimila dell’Ilva Emiliano sta già  pensando ad uno stabilimento su Ganimede. Ma come disse David Bowie, da quell’altezza non si vedono certi dettagli: «planet earth is blue and there’s nothing i can do». Ma vogliamo essere ottimisti e crediamo nel futuro e quindi crediamo che il lancio di Emiliano nello spazio suborbitale possa risolvere non solo i problemi della Puglia ma anche quelli del Partito Democratico.

(da “NextQuotidiano”)

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LA LEGA FA CROLLARE IN BORSA IL TITOLO DI MPS DELL’8%. PADOAN: “PAROLE GRAVI, COSI’ SI COLPISCONO FIDUCIA E RISPARMIATORI”

Maggio 17th, 2018 Riccardo Fucile

E POI I LEGHISTI SI SPACCIANO PER I DIFENSORI DEI RISPARMIATORI… DICHIARAZIONI PUBBLICHE SCONSIDERATE A CHI GIOVANO? FORSE A QUALCHE SPECULATORE ?

Parole che provocano un terremoto in Borsa, col titolo che chiude in calo dell’8%.
Il responsabile economico della Lega, Carlo Borghi, ha affermato che il cambio della governance di Mps “non entra nel contratto ma è abbastanza probabile, quasi naturale pensarlo. Ma è inutile metterlo nel contratto”.
Secondo Borghi, in sostanza, “è inutile mettere nel contratto: ‘e poi cambiamo amministratore delegato'”. La linea del ‘servizio’ citata nel contratto è “abbandonare l’idea di farci i profitti vendendola a chissacchì”, ma mantenerla “come patrimonio del Paese”.
“Le dichiarazioni dell’on. Borghi, insieme alle indicazioni fornite nella bozza di programma di Lega e M5S, hanno immediatamente creato una crisi di fiducia” sul titolo Mps.
Si tratta di “un fatto molto grave che mette a repentaglio l’investimento effettuato con risorse pubbliche. Ho il dovere di ricordare a tutti gli attori politici che la fiducia si costruisce poco per volta, progressivamente, ma basta poco per distruggerla, tirandosi dietro i risparmi degli italiani che a parole si vorrebbero tutelare”.
Lo afferma il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, in una nota.
In effetti, il titolo aveva iniziato a riprendersi dopo l’ultima trimestrale: il mercato ha iniziato a vedere una via d’uscita per il governo, un rilancio e la probabile valorizzazione della banca attraverso una cessione
“Gli azionisti hanno assoluta libertà  di decidere e valutare quello che ritengono più opportuno fare. Noi abbiamo un piano, andiamo avanti su quello”. Così, a margine di un evento a Milano, l’amministratore delegato di Mps, Marco Morelli, ha risposto ai giornalisti sul cambio di mission della banca a cui starebbe lavorando la nuova maggioranza politica Lega-5 Stelle.
Il passaggio su Mps è contenuto nel “contratto”   tra i due partiti, all’interno del paragrafo sulla Tutela del risparmio, dove viene esplicitamente citata la banca senese: “Con riferimento alla banca Monte dei Paschi – si afferma – lo Stato azionista deve provvedere alla ridefinizione della mission e degli obiettivi dell’istituto di credito in un’ottica di servizio”.
Mps è controllata dal 68% dal Tesoro e oggi in Borsa ha reagito molto male alla possibilità  di un cambio di mission, con un tonfo finale dell’8%. Morelli affermato che non ci sono stati contatti con esponenti politici.

(da agenzie)

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“LO FACCIO IO”… “NO, ALLORA LO FACCIO IO”: COMICHE SOVRANISTE, I DUE PUPARI LITIGANO PER LA POLTRONA

Maggio 17th, 2018 Riccardo Fucile

DI MAIO VUOLE FARE IL PREMIER, SALVINI PREFERISCE CARELLI, IL PROGRAMMA NON SI CHIUDE ED E’ PIENO DI NORME INCOSTITUZIONALI

Tre ore di vertice mattutino sono bastate a incartare di nuovo la trattativa in un braccio di ferro che minaccia di durare fino all’ultimo momento utile per salire al Colle da Sergio Mattarella. Non ci siamo.
Matteo Salvini e Luigi Di Maio si incontrano di nuovo poco prima delle 9 a Montecitorio. Ne escono intorno alle 13 senza un accordo pieno sulla questione delle questioni: chi sarà  il premier di questo governo M5s-Lega.
Di Maio non ha per niente abbandonato la sua idea: lui, capo politico del Movimento del 32 per cento, al timone del nuovo esecutivo giallo-verde.
Ma quando oggi lo ha proposto a Salvini, si è sentito rispondere: “Allora lo faccio io”. Un modo, per il leader leghista, per stressare la trattativa e farla cadere su un nome terzo: anche il giornalista ex Mediaset ed ex Sky, Emilio Carelli, eletto con i 5 Stelle alla Camera, andrebbe bene al Carroccio. Ma non Di Maio.
Siamo fermi a questo. Poco dopo pranzo, tutti e due lasciano Montecitorio e partono da Roma.
Direzione Monza per Di Maio: programma per la serata, un incontro a porte chiuse con gli imprenditori.
Direzione Aosta per Salvini: incontro elettorale al ‘Hostellerie du Cheval Blanc’ in vista delle regionali di domenica in Val d’Aosta.
Il governo resta in stand-by, fino a un nuovo round, probabilmente venerdì a Milano dove è previsto un nuovo faccia a faccia tra i due leader. Va male sul premier, di pari passo torna maretta sul contratto di governo.
Incredibilmente, come i due partono da Roma, a Montecitorio si riunisce il nuovo tavolo sul programma, dopo che era stato dichiarato chiuso dagli stessi partecipanti. “Intesa fatta, ora spetta ai due leader trovare l’accordo sui punti rimasti in sospeso”, diceva il responsabile economico della Lega Claudio Borghi, uno dei componenti del tavolo programmatico.
E invece no: altro tavolo pomeridiano per dirimere alcune questioni. Ma è chiaro che il tavolo non può essere chiuso ufficialmente se resta aperta la questione del premier. Altrimenti, se dovesse fallire tutto, verrebbe fuori che la rottura si è consumata sul premier: non un bel lasciapassare per il dopo.
Partita più che aperta, dunque.
Perchè l’insistenza dei 5 Stelle su Di Maio stavolta si presenta rafforzata dalle pretese leghiste. Ieri Salvini aveva chiesto il Viminale per sè, il suo Giancarlo Giorgetti come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il ministero dell’Agricoltura per “un uomo o una donna della Lega” e magari anche la Salute, più un premier terzo.
Tanto che il nome di Carelli è stato messo sul tavolo dalla Lega, dopo che erano stati scartati i vari Bonafede, Fraccaro, Crimi dei Cinquestelle.
Ma tutte queste richieste più un programma molto filo-leghista sulla sicurezza, immigrazione e blando sul conflitto di interessi, hanno ridato fiato alla richiesta pentastellata, sempre la stessa, più o meno: Di Maio premier.
È un passo che la Lega non può permettersi, almeno finora. Sarebbe la formalizzazione della rottura con Silvio Berlusconi, quando Salvini sta cercando come può di costruire il governo giallo-verde senza rompere l’alleanza di centrodestra. Impresa difficile, forse tecnicamente impossibile, che intanto però ostacola il percorso di un’intesa con Di Maio.
E poi è lo stesso Salvini che non vuole cedere sul nome del capo pentastellato, dopo aver fatto il passo indietro già  più di due mesi fa ormai.
Stallo. Dopo aver pranzato in un ristorante al centro di Roma, Di Maio non dà  certezze sul prossimo colloquio con il Colle, dove Sergio Mattarella aspetta che squillino i telefoni, che chiamino dallo stato maggiore pentastellato-leghista.
“Non do scadenze”, dice Di Maio. Sul nome del premier “sono stati fatti passi avanti ma stiamo ancora ragionando”.
Salvini invece non dichiara e twitta, continuando a parlare fuori, al suo elettorato che nel weekend verrà  chiamato ai gazebo per esprimersi sul contratto di governo.
Gli elettori potranno votare anche sulla squadra di governo, sul nome del premier? Chissà . Nel cortile di Montecitorio un piccolo gruppo di leghisti alza le spalle. Restano ottimisti, ma al momento nessuno scommette sui tempi.
Il tempo stringe. Oltre ai gazebo leghisti, nel weekend è prevista anche la consultazione online dei cinquestelle sulla piattaforma Rousseau.
Di Maio spera che il contratto di governo possa essere pubblicato online “domani”. Chissà .

(da “Huffintonpost”)

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IL PROGRAMMA DEI RIMPATRI DEI RAZZISTI: PER REALIZZARLO SERVIRANNO 27 ANNI DI VOLI AEREI SENZA SOSTA, SALVINI SARA’ GIA’ ALL’INFERNO

Maggio 17th, 2018 Riccardo Fucile

TEMPI E COSTI DEL DELIRANTE RASTRELLAMENTO… QUANDO ALLA IMPRESE VERRA’ SOTTRATTO PERSONALE GIA’ FORMATO IL NORD PRENDERA’ I LEGHISTI A CALCI IN CULO

Uno dei punti principali del contratto tra Lega e 5Stelle è il rimpatrio di 500 mila stranieri presunti irregolari. Era un capitolo del programma elettorale del leader leghista Matteo Salvini, oggi condiviso dal movimento di Luigi Di Maio.
Tre domande dobbiamo però farcele.
La prima: quanti sono gli immigrati irregolari in Italia?
La seconda: erano già  residenti regolarmente o sono arrivati negli ultimi anni di sbarchi?
La terza, forse la più importante: è possibile rimpatriare forzatamente cinquecentomila persone?
Già  la risposta a quest’ultima, legittima domanda, come vedremo, appartiene al mondo delle fantasie: perchè servirebbero ventisette anni di voli, senza nemmeno un’ora di sosta, e oltre un miliardo e mezzo di spesa, più il costo per diarie, indennità  di missione, vitto e alloggio degli agenti di scorta.
Dunque, quanti sono gli immigrati irregolari in Italia?
Non esiste un censimento anagrafico poichè ovviamente chi non è in regola con i documenti evita di autodenunciarsi all’autorità . Possiamo però fare riferimento ai dati forniti dal ministero dell’Interno nel periodo 2014-2016 (le statistiche pubblicate sulle concessioni di asilo per il 2017 non sono ancora complete).
Nei tre anni sono sbarcate in Italia 505.378 persone. Alle quali se ne aggiungono altre 119.310 arrivate via mare nel 2017.
Il totale fa 624.688 stranieri regolarmente registrati dalla polizia allo sbarco, in gran parte al termine di operazioni di soccorso condotte dalla Marina militare, dalla Guardia costiera e dalle organizzazioni non governative.
Si tratta comunque di persone che possono dichiararsi residenti regolari soltanto al termine della lunga procedura di concessione di asilo o di una delle varie forme di protezione.
Il 4 febbraio 2018, in piena campagna elettorale, Silvio Berlusconi, a capo della coalizione di destra, in una intervista al Tg5 ha riferito questi dati: «Oggi in Italia si contano almeno 630 mila migranti di cui solo il 5%, e cioè 30 mila, ha diritto di restare in quanto rifugiati e cioè fuggiti da guerra e morte. Gli altri 600 mila sono una bomba sociale pronta a esplodere, perchè vivono di espedienti e di reati».
Berlusconi parla evidentemente delle persone sbarcate nel periodo 2014-2017 delle quali, come vedremo tra poco, non è vero che soltanto il cinque per cento abbia diritto di restare.
È risaputo però che nel 2014 almeno 100.000 stranieri siano riusciti a raggiungere altri Paesi europei, come Germania e Svezia. E per questo, probabilmente, Salvini oggi promette l’espulsione di 500.000 persone e non seicentomila. Ma, appunto, sono davvero tutte irregolari?
La risposta la fornisce sempre il ministero dell’Interno che Salvini vorrebbe destinare a un esponente leghista. Le richieste di asilo sono esaminate dalle “Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale”, insediate presso le prefetture italiane: in caso di esito positivo della domanda la procedura porta a un permesso di soggiorno, in caso di respingimento la persona si ritrova nella condizione di irregolare.
Sui 170.100 sbarcati del 2014, le commissioni hanno respinto 14.217 richieste, il 39 per cento delle procedure aperte (va ricordato che almeno 100mila persone si sono sottratte alla registrazione per raggiungere il Nord Europa).
Nel 2015 hanno respinto 41.503 domande, il 58 per cento delle richieste di quell’anno. Nel 2016 hanno respinto 55.423 domande, il 60 per cento del totale.
Nei tre anni, le Commissioni territoriali hanno dunque dichiarato irregolari 111.143 migranti.
I dati definitivi per il 2017 non sono ancora completi: comunque se dovessimo considerare irregolari tutte le 119.310 persone sbarcate l’anno scorso, non raggiungeremmo il mezzo milione di stranieri da espellere inserito nel contratto di governo Lega-5Stelle.
Chi sono gli altri? Salvini forse si riferisce agli immigrati che non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno per aver perso il lavoro durante la recessione: quindi, agli inizi di questa timida ripresa economica, mentre le associazioni di imprenditori faticano a trovare personale,
Salvini e Di Maio intendono rimpatriare lavoratori al momento disoccupati, ma professionalmente formati, che parlano italiano e sono integrati in Italia con le loro famiglie perchè già  residenti nel nostro Paese?
Se è questo il piano, la risposta alla seconda domanda non può che essere preoccupante per le conseguenze sull’economia reale.
Quello che funziona male è piuttosto il sistema italiano di prima accoglienza. Un sistema costruito sull’emergenza che produce posti di lavoro per gli italiani attraverso una miriade di centri, cooperative, imprese troppo spesso fuori controllo.
E non pretende la restituzione di servizi obbligatori, che le prefetture pagano: a cominciare dal mancato insegnamento della lingua italiana, strumento indispensabile per passare poi alla formazione civica e professionale dei nuovi cittadini.
Bisogna sempre ricordare che i famosi 35 euro al giorno a persona non vanno ai richiedenti asilo ospiti (che, almeno sulla carta, percepiscono una diaria di 2,50 euro al giorno), ma alle imprese italiane.
Il quasi fallimento è nei numeri raccolti ogni anno nell’Atlante Sprar, il Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo, che costituisce quanto di meglio il territorio italiano, dai Comuni ai cittadini, mette a disposizione per la formazione e l’integrazione dei nuovi residenti.
Nel 2015, su 29.698 stranieri accolti nella rete Sprar, soltanto 1.972 al termine del periodo di accoglienza hanno ottenuto un inserimento nel lavoro con un contratto regolare.
E nel 2016, su 34.528 immigrati della rete Sprar, ancora meno: solo 895 persone. Curiosamente nel Nord Est, dove l’economia sta riprendendo velocemente con tassi di disoccupazione di poco sopra il 6 per cento e dove gli imprenditori cercano disperatamente personale, i Comuni per la loro impronta politica di destra sono anche quelli meno disponibili a sostenere i progetti di integrazione e avviamento professionale degli stranieri.
Il Veneto è la settima regione per presenze in accoglienza, perfino dopo Campania, Lazio e Sicilia (dove è forte lo sfruttamento in nero dei migranti, ma i tassi ufficiali di disoccupazione sono più alti). Il Friuli Venezia Giulia è al dodicesimo posto, il Trentino Alto Adige al sedicesimo.
È questo spread tra domanda e offerta a spingere migliaia di giovani immigrati a buttare via le loro giornate nei parchi delle città  italiane, in attesa di un colpo di fortuna che non può arrivare dal cielo.
Sono immagini sotto gli occhi di tutti, da Padova a Ferrara a Torino: il migliore spot elettorale che la Lega ha scientificamente sfruttato.
Ma se anche ci fossero 500.000 stranieri irregolari da rimpatriare e Salvini e Di Maio avessero già  firmato accordi bilaterali (che invece non abbiamo firmato) per la loro riammissione in tutti i Paesi d’origine, vediamo cosa potrebbe accadere.
E rispondiamo così alla terza domanda.
Immaginiamo di poter finalmente utilizzare l’Airbus 340 di Stato che l’allora premier Matteo Renzi aveva affittato da Etihad e caricato sul bilancio statale al prezzo di 40 mila euro al giorno.
Considerati i 300 posti di questo aereo e i necessari servizi di scorta di due agenti per ogni cittadino espulso, ogni volo potrà  rimpatriare soltanto 100 migranti irregolari. Per riportarli indietro tutti, serviranno quindi 5.000 voli.
Calcolando che i primi Stati di provenienza sono Nigeria, Guinea, Costa d’Avorio, Bangladesh, Mali serviranno almeno due giorni tra andata e ritorno: il totale è di 10.000 giorni cioè, lo scriviamo in lettere, ventisette anni.
E senza nemmeno un’ora di sosta.
Calcolando, sicuramente per difetto, mille euro a passeggero il prezzo di ogni viaggio, escluse diarie, indennità  di missione, vitto e alloggio per la polizia, possiamo stimare quanto costa l’operazione soltanto per l’impiego dell’aero: un miliardo e mezzo. Vogliamo raddoppiare gli aerei?
Serviranno 13 anni, ma devono avere le stesse dimensioni.
Vogliamo noleggiarne quattro? Serviranno quasi sette anni.
Con un miliardo e mezzo di euro, più le diarie, le indennità  di missione e il resto, di cose se ne possono fare per sostenere le imprese.
Sia nella formazione obbligatoria dei migranti in Italia, sia nei luoghi d’origine: perchè i nuovi cittadini possano finalmente arrivare senza passare dalla Libia, ma con permessi di lavoro regolari.

(da “L’Espresso”)

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