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GLI ATTIVISTI NO TAP CONTRO CONTE: DA AVVOCATO DEL POPOLO A PATROCINIO INFEDELE

Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile

“A CONTE NON CREDE NESSUNO, INVECE CHE PRESENTARSI A SPIEGARE LE PENALI FA POST SU FB”

Si riaccende lo scontro tra il Movimento No Tap e il governo. Dopo le manifestazioni dello scorso fine settimana in Puglia contro la marcia indietro di Luigi Di Maio e del M5s sulla realizzazione del gasdotto arrivano dure critiche anche al presidente del consiglio Giuseppe Conte
“Non gli crede nessuno. Tanto è vero – ha sottolineato Gianluca Maggiore, portavoce del Movimento No Tap – che doveva venire a spiegare tutte le penali alla popolazione e ha preferito fare un post su Facebook. Quindi nessuno crede che si prenda le responsabilità  perchè il suo essere avvocato degli italiani si è trasformato in un patrocinio infedele”
Conte infatti, in un’intervista al Corriere della Sera, ha ribadito di assumersi “tutta la responsabilità  della decisione” relativa all’opera che porterà  gas azero in Puglia.
“Mi sono impegnato – ha detto il premier – a sollecitare e a coordinare progetti che offrano la possibilità  di rilanciare, dal punto di vista sociale ed economico, le comunità  locali”.

(da Globalist)

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NECESSITA LA RUOTA DI SCORTA: SALVINI SPINGE PER LA MELONI NEL GOVERNO

Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile

E’ L’UNICA SOVRANISTA NON INVITATA ALLA FESTA DELLE MEDIE, COME CANTAVANO LE STORIE TESE

Un governo M5S-Lega-Fratelli d’Italia sarebbe la certificazione del Patto di Neanderthal e il coronamento di un’affinità  elettiva innegabile dei tre gruppi parlamentari.
Ma quello che non è stato fatto all’epoca del varo dell’esecutivo Conte nonostante l’impegno dell’ex nemico dei grillini Guido Crosetto perchè i numeri della maggioranza sembravano bastare potrebbe tornare improvvisamente d’attualità  se la pattuglia grillina a Palazzo Madama dovesse assottigliarsi a causa dei ben noti problemi disciplinari.
Per questo Matteo Salvini sta lavorando all’entrata di Giorgia Meloni nella maggioranza e quindi nel governo Lega-M5S, spostandone così l’asse ancora più a destra.
Un’avvisaglia del ritorno di fiamma tra i due era stata la proposta di candidarsi a sindaca di Roma arrivata un po’ sottotraccia in attesa del destino che attende Virginia Raggi con la sentenza del 10 novembre del tribunale di Roma sull’accusa di falso.
Ora la Lega vuole fare un passo avanti, approfittando dei numeri ballerini del Decreto Sicurezza al Senato:   il Carroccio è disponibile a federare Fratelli d’Italia in un listone alle Europee, annettendo quel che resta della destra nel futuro partitone sovranista (anche se nel frattempo tanti fuoriusciti di FdI sono arrivati alla Lega).
In cambio di un ingresso in maggioranza magari attraverso un rimpasto.
Il retroscena di Tommaso Ciriaco su Repubblica però afferma che l’ex ministra di Berlusconi non sarebbe convintissima:
Meloni, in realtà , dubita che correre per il Campidoglio sia la scelta giusta. E assiste alla discussione sempre viva in FdI sull’opportunità  di trattare con l’esecutivo gialloverde, anche se per il momento gli garantisce il voto sul decreto sicurezza. È evidente, però, che l’unico possibile allargamento dell’attuale perimetro di maggioranza è a destra.
«I numeri sono numeri — confida Fabio Rampelli, braccio destro di Meloni — se al Senato dovesse esserci un problema è chiaro che chiederanno a noi, certo non a Forza Italia o al Pd».
E ci sarebbe comunque una soluzione alternativa: il leader leghista frena da tempo la richiesta di adesione alla Lega di diversi parlamentari di Forza Italia, partito ormai in disfacimento. Se desse l’ok, i numeri per la maggioranza aumenterebbero al di là  di ogni ago della bilancia della cosiddetta “sinistra interna” del M5S.
E il problema sarebbe risolto a spese di Berlusconi, con il quale la mossa sancirebbe la chiusura definitiva dell’alleanza. Scatenando però così la guerra.
D’altro canto dal punto di vista della Meloni non ci sono molte alternative, a prima vista.   Lei, scrive oggi il Giornale, teme di restare politicamente prigioniera di un’opposizione che rappresenta i vecchi partiti (Pd e Forza Italia), mentre il cosiddetto sovranismo è al governo del Paese.
Insomma, lei è l’unica non invitata alla Festa delle Medie, come cantavano le Storie Tese.
Di qui l’ipotesi di dire sì a un rimpasto che anestetizzerebbe la fronda del M5s vicina a Fico. Restando fuori FdI si trova in una prospettiva simile a quella dell’estrema destra italiana con Casapound e Forza Nuova: i movimenti funzionano solo se sono di rottura ma in questo momento la figura di Salvini fa sì che molti si sentano rappresentati da lui nel governo.
E quindi nel segreto delle urne potrebbero scegliere la Lega a discapito dei piccoli partiti ragionando in termini di voto utile. E facendo così perdere voti a tutto quello che è a destra di Salvini.
L’alternativa politica è rilanciare il messaggio della destra scavalcando la Lega (un esempio di questa prospettiva è chiedere i respingimenti in mare con blocco navale davanti alla Libia per “offrire di più” rispetto all’attacco di Salvini alle ONG). Ma per farlo ci vuole una classe dirigente unita e un messaggio fruibile dal punto di vista comunicativo: due caratteristiche il partito di Meloni ad oggi non sembra avere.Un’altra chiave di lettura dell’ingresso di Meloni in maggioranza è legata al destino di Virginia Raggi in caso di condanna del tribunale per falso. A dispetto delle vocine che provengono da “alti esponenti del M5S” (e non è difficile immaginare quali…) e che vorrebbero la sindaca pronta a dimettersi in caso di sentenza negativa nei suoi confronti, Di Maio ha illustrato a Salvini una soluzione alternativa per sbrogliare la grana del Campidoglio:
Per il grillino, stando a quanto trapela, anche in caso di condanna Raggi va salvata e tenuta al suo posto. Probabilmente con una consultazione interna sulla piattaforma Rousseau. Pronti, sulla base dell’esito (scontato), a chiederle il «sacrificio» di restare, in barba alle regole dei Cinquestelle.
È uno scenario destinato ad alimentare la tensione interna con l’ala ortodossa del M5S che fa capo a Fico, che non gradirebbe l’ennesimo strappo.
Ma l’alternativa sarebbe peggiore: abbandonare la guida della Capitale a pochi mesi dalle Europee e cederla alla destra e a Salvini.
Inutile dire che rimangiarsi il codice etico del M5S costituirebbe l’ennesima violazione dei principi fondanti del grillismo.
Così come lo sarebbe rimangiarsi la regola del doppio mandato, anche se alcuni ambiziosi senatori spingono inventando discussioni inesistenti sulla questione che evidentemente prima o poi finirà  all’ordine del giorno dello stato maggiore grillino.
E poi, fatto 30, cosa ci vuole a fare 31?

(da “NextQuotidiano”)

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LA NUOVA GIURISPRUDENZA DELLA PROCURA DI CATANIA: SI POSSONO SEQUESTRARE LE PERSONE PER “SCELTA POLITICA INSINDACABILE”

Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile

PUR DI NON PROCESSARE SALVINI SI FINISCE PER GIUSTIFICARE ANCHE I SEQUESTRATORI? DOMANI CHIUNQUE PUO’ TENERE IN OSTAGGIO DEGLI ESSERI UMANI PER “SCELTA POLITICA INSINDACABILE”

La Procura di Catania ha formulato la richiesta di archiviazione nei confronti di Matteo Salvini per la vicenda della nave Diciotti.
I pm etnei hanno motivato la richiesta di archiviazione argomentando che il ritardo nello sbarco dei 192 migranti a bordo fu “giustificato dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale per la separazione dei poteri, di chiedere in sede Europea la distribuzione dei migranti in un caso in cui secondo la convenzione sarebbe spettato a Malta indicare il porto sicuro”.
E’ nata una nuova giurisprudenza a Catania, dopo l’inchiesta sulle Ong finita nel nulla, come era prevedibile.
Non potendo sostenere che il reato di sequestro di persona non ci fosse stato, tale era l’evidenza, e come avrebbero dovuto invece accertare i giudici nel merito senza filosofeggiare, i pm hanno sostenuto una tesi surreale per scagionare il ministro di polizia.
Intanto è divertente che venga richiamato il principio della separazione dei poteri non per confermare l’autonomia di un magistrato, ma per piegarsi alla politica, anche quando essa viola palesemente le norme, sostenendo che “non e’ sindacabile dal giudice penale una scelta politica”.
Una tesi ardimentosa che si cerca di collegare alla richiesta di redistribuzione europea di poche decine di profughi che nel merito non c’entra nulla e che viene smentita dalla stessa magistratura quando ha sostenuto che non ci fu “un ricatto” come invece aveva palesato inizialmente la ottima procura di Agrigento.
In ogni caso la ridistribuzione è un atto che si poteva fare successivamente allo sbarco dei richiedenti asilo, invece che impedire loro di ricevere assistenza a terra, quindi la tesi non regge.
Non solo: se questa nuova teoria giurisprudenziale dovesse farsi largo andrebbero rifatti molto processi per terrorismo.
Se un gruppo politico tiene in ostaggio o sequestra per sei giorni degli esseri umani non si dovra’ piu’ verificare il presunto reato se siamo in presenza di “una scelta politica insindacabile”.
Anzi il gruppo di sequestratori potrebbe affiggere fuori dal luogo del sequestro un cartello “sequestro per scelta politica insindacabile” con relativa citazione del numero della richiesta di archiviazione della procura di Catania.
Suggerirei anche la modifica dei testi universitari di diritto penale al fine di aggiornare gli studenti sulla nuova giurisprudenza in fieri, non vorrei si formassero su testi superati.
Una bella ristampa per le edizioni sovraniste.

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MANTERO, IL DISSIDENTE M5S: “L’IMPERO ROMANO CADDE PERCHE’ SOSTITUI’ I SOLDATI CON I MERCENARI”

Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile

“PER AVERE PERSONE CHE COMBATTONO A TESTUGGINE E’ NECESSARIO AVERE VALORI COMUNI”

Nel pieno delle polemiche il deputato ligure Matteo Mantero ha affidato al suo profilo Facebook un lungo post nel quale spiega le sue ragioni di dissenso e si dice pronto a farsi da parte

Sono sicuro che ora mi prenderò un’altra buona dose di insulti, ma vista la polemica diqueste ore mi pare doveroso rispondere ai tanti che mi hanno scritto o chiesto informazioni e cercare di chiarire un po’ quello che sta succedendo e che spesso viene distorto dalla comunicazione
Innanzitutto non esiste nessuna frangia di dissidenti e nessuno vuole “fare cadere” questo governo come qualcuno vaneggia. Il governo sta facendo molte cose buone che spero possa portare a termine. Le politiche economiche, lo sforamento dei vincoli internazionali, il reddito di cittadinanza (che è un intervento strutturale di investimento sui giovani e le fasce economicamente più deboli della popolazione, oltre ad un cambio culturale rispetto al concetto di lavoro), la revisione della folle riforma Fornero, il contrasto al gioco d’azzardo, di cui mi occupo da anni, le politiche ambientali sono provvedimenti sacrosanti.
Sul piatto della bilancia rispetto a queste cose buone vengono però messi provvedimenti illiberali e a mio avviso molto pericolosi per il paese. Penso alla legge Pillon sull’affido condiviso, alle dichiarazioni di Fontana sui diritti delle famiglie arcobaleno, cannabis e tanto altro, e, in ultimo, a questo decreto sicurezza; che oltre ad avere gravi profili di incostituzionalità  e a violare i trattati internazionali mette a rischio i percorsi di integrazione già  avviati, creando sacche di disagio e clandestini dove non c’erano. Si genereranno situazioni potenzialmente molto rischiose, in primis per i cittadini italiani, e si rischia di aiutare chi ha fatto dell’immigrazione un business e di fornire terreno fertile per la criminalità  organizzata. Non sono io a dirlo ma moltissimi esperti che si sono espressi su questo testo
Quello che abbiamo fatto con alcuni colleghi (ma io ovviamente posso parlare solo per me) è stato presentare emendamenti che a nostro modo di vedere avrebbero ridotto questi rischi. I pareri purtroppo sono stati contrari e io ho semplicemente detto che questo decreto così com’è non potrò votarlo, cosa che non mette affatto rischio la tenuta della maggioranza. Tutto questo non lo abbiamo fatto di nascosto, ma informando il capogruppo, il ministro Di Maio e il presidente Conte.
Purtroppo non c’è stato un percorso di condivisione del decreto, che come tutti sapete arriva dalla Lega, altrimenti queste proposte di modifica avremmo potuto portarle avanti prima.
La mia speranza era quella di creare una riflessione e di dare un’arma in più per la contrattazione interna al governo. Importante anche politicamente, perchè appiattendoci sulle posizione della Lega perdiamo la nostra identità , mettiamo in forse i nostri valori di libertà  e inclusione e lasciamo campo aperto alla Lega che sta accrescendo i suoi consensi e pretenderà  sempre di più di farla da padrone
Molti mi hanno detto in questi giorni che il nostro ruolo è importante per mettere argine alle pericolose derive di destra, ma per essere un vero argine dobbiamo iniziare a dire no quando serve.
Purtroppo la risposta a questo tentativo di dialogo e di difesa di quelli che sono i NOSTRI valori, quelli per cui siamo nati e abbiamo lottato per ormai 10 anni, è stata un aut aut per me assolutamente incomprensibile che ha scatenato gli appetiti della stampa.
Io non pretendo di avere la ragione in tasca, ci mancherebbe, ma ho la mia ragione, la mia etica e il mio punto di vista. Non siamo un esercito, ma un movimento politico, il confronto, la condivisione, il dibattito sono sempre un momento di crescita e miglioramento.
Luigi ha usato la metafora della testuggine romana, ma l’Impero romano è crollato non perchè qualche legionario si è sfilato dalla testuggine ma perchè i soldati romani sono stati sostituiti da mercenari. Per avere donne e uomini che combattono per una causa comune e non mercenari è necessario avere valori comuni e un percorso di costruzione collettivo, bisogna aumentare la condivisione e la consapevolezza di quello che sta accadendo. Bisogna aumentare il dialogo e non azzerarlo.
Io credo che il punto di vista di ognuno sia fondamentale, per quanto minoritario, che il confronto sia necessario e costruttivo. Io ci sarò finchè sarò utile per i temi che sto portando avanti ormai da anni, contrasto all’azzardo, difesa dell’ambiente, cannabis terapeutica, testamento biologico ed eutanasia (che ricordo sono stati votati dagli iscritti con una maggioranza schiacciante), diritti dei più deboli ecc.
Ma se il mio contributo non sarà  più ritenuto utile, se il mio punto di vista sarà  visto come un peso invece che come un valore, se si deciderà , spero di no, che dialogo, dibattito e condivisione sono un disvalore per il Movimento, sono altrettanto pronto a fare un passo indietro tornandomene a casa e lasciando posto a qualcuno più allineato o disciplinato, vedete voi quale definizione calza di più
Per fortuna ho tanti interessi a cui in questi anni ho lasciato pochissimi spazi. Potrò dedicarmi finalmente a tempo pieno alla scrittura, che è un altro modo di condividere le idee, e alla famiglia.

Matteo Mantero

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TONINELLI E I 180 MILIONI PER LE BUCHE DI ROMA SPARITI

Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile

CANCELLATI DALLA MANOVRA FINANZIARIA PERCHE’ I SOLDI NON CI SONO

180 milioni per riparare in tre anni le buche di Roma (questo sì, un vero “piano Marshall”) sono stati cancellati dalla manovra finanziaria del governo.
I tecnici del ministero dell’Economia, non a caso odiati dal MoVimento 5 Stelle come il caso Garofoli conferma, hanno rifiutato lo stanziamento sbattendo la porta in faccia sia a Virginia Raggi che a Danilo Toninelli, ministro dei Trasporti, che all’interno del governo si era fatto carico di presentare la richiesta al Mef nella quale si prevedeva «l’erogazione diretta a Roma capitale di 60 milioni per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021, in considerazione della particolare autonomia e del ruolo di Roma capitale, a fronte di una situazione manutentiva della viabilità  della città  che soffre di decenni di mancati interventi».
Della storia parla oggi Mauro Favale su Repubblica:
Nonostante l’accorato appello, però, soldi per le buche di Roma, da parte del governo, non ce ne sono, con i fondi impegnati per lo più sul reddito di cittadinanza o sulla quota 100 per le pensioni. E così, la capitale (e la Raggi) restano all’asciutto nonostante il “tour” dei ministeri portato avanti nei mesi scorsi dalla sindaca che sperava in un aiuto un po’ più concreto da parte dell’esecutivo “amico”. «Il governo ha iniziato a staccare la spina alla Raggi ben prima del 10 novembre», attacca il capogruppo Pd Giulio Pelonzi.
E così la prima cittadina si appresta ad affrontare la sua settimana più delicata senza poter sbandierare lo stanziamento che avrebbe rappresentato un bel rilancio in caso di verdetto favorevole nel processo che la vede imputata per falso.
«Dimissioni in caso di condanna? Ne riparliamo la settimana prossima», ha risposto Raggi in un’intervista a PiazzaPulita che andrà  in onda stasera.
«Io sono molto serena», ha aggiunto commentando con un certo piglio le dichiarazioni degli ultimi giorni della Lega che sembra aver iniziato la sua “marcia su Roma”: «Penso che la Lega può iniziare a fare la campagna elettorale tra tre anni. E nel frattempo noi continuiamo a lavorare».

(da “NextQuotidiano”)

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SANTORO VUOLE COMPRARE L’UNITA’?

Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile

L’INTERESSE PER IL GIORNALE E’ TORNATO A CRESCERE

Michele Santoro vuole comprare l’Unità .
Negli ultimi mesi il giornalista ha incontrato l’ad di Unità  srl, Guido Stefanelli, per farsi un’idea della situazione del giornale che da oltre un anno vive una crisi infinita. Lo scrive oggi La Stampa in un articolo a firma di Andrea Carugati:
Fonti dell’azienda smentiscono che ci sia una trattativa in corso con il conduttore. Ma confermano che negli ultimi mesi, dopo la nascita del governo gialloverde, l’interesse per l’Unità  «è tornato a crescere». Tanto che lo stesso gruppo Pessina (che detiene il 100% di Unità  srl) sta pensando a un ritorno in edicola a inizio 2019, con una redazione ridotta all’osso
Una scelta finalizzata a valorizzare la testata, anche in vista di una possibile cessione a una nuova cordata di soci. Cessione che ad oggi non è in agenda, anche se ci sono state manifestazioni d’interesse. Una è quella di Santoro, uomo di sinistra molto geloso della sua autonomia, per un periodo socio al 7% del Fatto quotidiano con la società  Zerostudio’s, fino all’uscita nel 2017, dovuta anche alla mancata condivisione della linea filo-M5S.
Di qui il rinnovato interesse per l’Unità , che si era già  manifestato quando il giornale aveva chiuso nel 2014:
In quel caso però il Pd a guida Matteo Renzi aveva scelto di favorire l’arrivo dei Pessina, che hanno confezionato un prodotto molto filorenziano (sotto la guida prima di Erasmo D’Angelis e poi di Sergio Staino) che non ha riscontrato il favore dei lettori, fino all’uscita dalle edicole.
Ora il Pd è definitivamente fuori dalla compagine dell’Unità , dopo aver perso la quota del 20% che era controllata dalla fondazione Eyu guidata dal tesoriere Francesco Bonifazi.
Nelle ultime settimane si era diffusa la voce che la stessa Eyu fosse interessata a comprare la testata, ma l’azienda smentisce categoricamente.

(da “NextQuotidiano”)

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MARONI SPIEGA COSA DOVREBBE FARE IL MINISTRO DELL’INTERNO: “MENO FACEBOOK E PIU’ FATTI”

Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile

“C’E’ CHI GUIDA IL POPOLO E CHI GLI VA APPRESSO”

“Un ministro dell’Interno deve parlare con i fatti”, dice Roberto Maroni.
Su di lui è appena uscito il libro di Giacomo Ciriello La mafia si può vincere (Aragno, 330 pp., 15 euro). Un racconto di colui che fu il suo capo di segreteria al Viminale per i 42 mesi che vanno tra il maggio del 2008 al novembre del 2011, e che furono quelli in cui lo Stato italiano diede alle mafie i colpi più devastanti dall’Unità  in poi.
“Uno dei migliori ministri dell’Interno di sempre”, disse allora di Maroni Roberto Saviano.
Quello stesso Roberto Saviano che a Matteo Salvini dà  invece oggi del “ministro della malavita”, malgrado Maroni e Salvini vengano dallo stesso partito.
“Non commento e non intendo esprimere giudizi sull’operato di chi è venuto dopo di me al ministero dell’Interno perchè ritengo che il ministro dell’Interno abbia delle responsabilità  e dei compiti tali che dovrebbe essere sempre rispettato, qualunque cosa faccia”, mette un po’ le mani avanti.
Però la differenza di stile tra il ministro che si faceva lodare da tutti i quello che sembra cercare apposta la lite è troppo marcata, perchè si possa eludere.
“Saviano aveva riconosciuto l’efficacia della mia azione contro la criminalità  organizzata. Non poteva fare altro perchè i numeri erano quelli”, rivendica Maroni. Ma aggiunge: “io mi basavo sui fatti. Facevo le cose e poi annunciavo le cose che avevo fatto. Oggi vale — mediaticamente parlando . tutto e il contrario di tutto. E pur di polemizzare ci si scontra su un tema come quello della lotta alla criminalità , sul quale non dovrebbero esservi divisioni”.
Maroni, sembra dunque di capire che lei preferisca uno stile più di azione che di proclami…
Sì, certo. Questa è la mia natura. Io sono fatto così: poche parole e molti fatti. Basta vedere quello che ho fatto nei tre anni e mezzo da ministro. Io non avevo un profilo Facebook nè un profilo Twitter: comunicavo le azioni fatte. Quando veniva arrestato un boss mafioso comunicavamo: è stato arrestato il superlatitante numero uno. Poi: è stato arrestato il superlatitante numero due. Poi: è stato arrestato il superlatitante numero tre. Poi: è stato arrestato il superlatitante numero quattro. E così via, fino al numero 28. Trenta erano i superlatitanti quando sono arrivato al ministero: 28 di questi sono stati arrestati, con me al ministero. Se tu invece ti metti a dire: voglio arrestarli tutti prima di farlo, va benissimo. Ma è diverso dal dire: li ho arrestati tutti o quasi. Io credo poi che il ministro dell’Interno abbia un dovere di riservatezza istituzionale più che altri ministri, perchè è il responsabile unico nazionale della sicurezza. E quindi deve parlare con i fatti.
Maroni critica dunque lo stile di Salvini?
Se lo stile di Salvini è diverso dal mio, benissimo. Non entro nel merito. Dico solo che io mi sono comportato così, e mi pare che ancora oggi ci sia un riconoscimento delle cose che abbiamo fatto in quegli anni. Un riconoscimento che mi fa molto piacere.
Vogliamo ricordare questo lavoro?
Sì. Mi sono molto impegnato nella lotta contro la criminalità  organizzata facendo cose che hanno prodotto risultati: non solo chiacchiere o propaganda. E i risultati sono lì a dimostrarlo, in due direzioni. Prima di tutto, nel coordinamento delle forze di polizia e degli investigatori, in particolare la magistratura. Era una cosa che non funzionava, soprattutto in certe regioni del Sud. C’era uno scollamento tra chi doveva svolgere attività  investigativa — cioè la magistratura e le direzioni antimafia — e le forze dell’ordine. È questo che ci ha permesso in tre anni e mezzo di individuare e catturare 28 dei 30 superlatitanti più pericolosi. Quando io sono arrivato a fare il ministro erano 30 i superlatitanti. Dopo tre anni e mezzo 28 erano in galera. Secondo poi, cosa ancora più importante, abbiamo approvato delle norme di legge per migliorare e aumentare l’aggressione sui patrimoni delle mafie e della criminalità  organizzata. Ed è questa la cosa che danneggia di più il sistema criminale. Se tu arresti un boss e lo metti in galera, certo è un danno per loro. Però il boss riesce comunque a pagare gli stipendi ai soi affiliati, riesce in qualche modo, e poi è lì. La sua presenza si sente comunque. Se gli porti via i patrimoni frutto dell’attività  gli metti in crisi l’organizzazione e queste leggi che abbiamo fatto sull’aggressione ai patrimoni hanno funzionato, portando a decine di miliardi di patrimoni sequestrati in quegli anni. Immobili, aziende, conti correnti: un danno gravissimo alla criminalità  organizzata.
Però adesso questi metodi sono stati messi in discussione con la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo che ha condannato il 41 bis a Provenzano…
È una decisione di chi non si rende ben conto della pericolosità . Va bene i diritti umani; ci mancherebbe altro! Ma quando uno che scioglie nell’acido un bambino, che altro gli ci vorrebbe se non la pena di morte per questa gente qua? Altro che il 41 bis! Sappiamo che non si può, anche se in alcuni dei civilissimi Stati Uniti la pena di morte c’è. Ma ci deve essere una proporzione nelle cose, e a me pare che in certe posizioni, e in certe polemiche ci sia un atteggiamento di favore nei confronti non della vittima ma del carnefice. E io non sono d’accordo con questo. La punizione deve essere esemplare, se no non c’è il deterrente, e continueremo a subire queste cose. Quindi secondo me lo Stato ha fatto quello che doveva fare, anzi poteva anche fare di più; avrebbe potuto fare di più nei confronti di Provenzano! Questo atteggiamento della Corte di Strasburgo non lo condivido assolutamente. Certe situazioni che ci sono da noi non ci sono in altri Paesi, mentre noi le conosciamo bene. A maggior ragione io dico quindi che l’atteggiamento deve essere questo e non può che essere questo. Quindi andiamo avanti così. Sono assolutamente convinto di questo.
Salvini a parte, può dare una valutazione su quello che hanno fatto i suoi successori in generale?
Nel contrasto alla criminalità  organizzata siamo noi che abbiamo segnato la svolta. Ciò perchè abbiamo creato questo codice anti mafia e queste leggi di aggressione ai patrimoni mafiosi. Numeri alla mano, dal 2009-10 in avanti c’è stato non solo un aumento dei sequestri ma anche e soprattutto una gestione di questo beni. Perchè il problema è che se un immobile lo lasci lì e non lo gestisci, se sequestri una società  o un’azienda a Palermo e non la gestisci, se l’azienda poi fallisce il pensiero di chi perde il lavoro è: “si stava meglio quando c’era la mafia”. Noi siamo allora intervenuti per gestire il patrimonio; per darlo subito in gestione ai sindaci e alle associazione anti-racket; per dare il segnale che lo Stato c’è, che interviene e che mette subito a disposizione della collettività . Il modello Caserta l’ho inventato io. E cos’era il modello Caserta? Per 14 volti in tre anni sono andato a Caserta, riunendo le forze dell’ordine e la magistratura per contrastare la camorra in modo efficace. La mia soddisfazione è stata quella di incontrare gli imprenditori di Caserta che mi ringraziavano e dicevano: “adesso io decido di tornare a investire a Caserta invece di andarmene altrove, perchè sento che lo Stato c’è”. E questo è il risultato più importante. L’altra cosa che ho fatto è l’agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati e confiscati. Faccio solo un esempio: mi ricordo che spesso venivano sequestrate le auto di lusso dei boss mafiosi. Tu sequestravi un’auto e che si faceva dell’auto? Fino alla confisca, che poteva accadere dopo anni, la dovevo mettere in un deposito pagando il deposito. Quindi oltre al danno anche la beffa. Che poi quando la ritiravi dopo anni era da rottamare. Noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo consentito alle forze di polizia di utilizzare subito l’auto, anche se non era confiscata, e era solo sequestrata. C’è il risultato di risparmiare, e un risultato ancora più importante che in quell’auto in un quartiere ad alta densità  mafiosa fino al giorno prima girava un mafioso, ma il giorno dopo i cittadini vedevano gli uomini in divisa. Un segnale straordinariamente forte sull’efficacia della lotta alla mafia. Tutto questo i lo ho fatto e i miei successori lo hanno continuato, utilizzando gli strumenti che avevo messo a loro disposizione.roberto maroni copertina
Torniamo un attimo ai Social. Non usavo Twitter, non usavo Facebook, ha confessato. Invece la politica è oggi sempre più dominata sa un uso dei Social che tende a diventare direttamente abuso. Sta diventando un problema antropologico?
Non lo so. Mi rendo conto che è un modo di fare politica molto diverso da me. Da quello che succedeva quando io ero ministro: e parlo di 10 anni fa, non del secolo scorso! Come ho detto, io ho avuto il mio profilo Facebook e Twitter quando ho smesso di fare il ministro dell’Interno. Non per una scelta, ma perchè non sentivo quell’esigenza lì. Mi ricordo che i miei dell’ufficio stampa mi dicevano sempre: ministro, mi raccomando, ci deve dare la notizia per le 18, così riusciamo a farla prendere nelle redazioni dei giornali e arriva nei telegiornali delle 20. Fino alle 18 quindi si poteva fare qualunque cosa. Oggi alle 8 del mattino c’è già  una diretta Facebook di qualcuno. È un altro mondo. Va benissimo. non sono contro i social. Ci mancherebbe! Ma bisognerebbe evitare che poi tutta la politica divenga solo annuncio o polemica o commenti, e perda di vista la risoluzione dei problemi. E un po’ questo rischio c’è. Basta vedere la gestione della tragedia di Genova, del ponte Morandi. Come è andata e come sta andando. Si è privilegiata la polemica contro i Benetton, trovare il colpevole, e il decreto è stato fatto dopo due mesi invece che dopo due giorni. Questo è il rischio della politica di oggi.
Andiamo a due polemiche recentissime. Da una parte il delitto Desirèe Mariottini, su cui Potere al Popolo ha scritto: “Desirèe si drogava, aveva mentito alla nonna e se n’era andata a Roma a comprare droga, ma nella sciagura è stata fortunata perchè pare l’abbiano stuprata e uccisa dei migranti; è stata fortunata perchè, perlomeno, le viene riconosciuto lo status di vittima”. Dall’altra Valerio Verri, la guardia ecologica volontaria seconda vittima del killer serbo Norbert Feher alias “Igor il russo”, la cui figlia Francesca ha scritto su Facebook: “oggi lo Stato si è dimenticato di noi probabilmente perchè Igor non ha la pelle nera”. “Siamo qui perchè ha ucciso nostro padre assassinio che si poteva evitare. Siamo qui per assistere ad un processo in tv perchè lo Stato non è riuscito a prenderlo e ha fatto altre vittime in Spagna. Allora il ministro Minniti ci fu comunque vicino”. Il dibattito è arrivato a questi livelli?
Ai miei tempi c’era una comunicazione unilaterale. Il governo comunicava, il ministro comunicava, e i cittadini ascoltavano dalle televisioni, o leggevano dai giornali. Adesso il mondo Social rende tutti attivi, tutti protagonisti. Chiunque può comunicare qualcosa che diventa noto a tutti, come allora non succedeva. A maggior ragione adesso chi fa politica, o meglio chi riveste ruoli istituzionali, deve resistere alla tentazione di correre dietro a queste cose e deve concentrarsi sui fatti. Oggi è più difficile. mi rendo conto, proprio perchè ci sono tutte queste interferenze. Basta un comunicato, basta una dichiarazione per scatenare migliaia di “like”. Ecco: io credo che un leader deve rimanere leader. Non deve diventare follower, perchè altrimenti perde la sua funzione. Ma questo è il rischio che c’è oggi.
Alcuni politologi spiegano la differenza tra le due parole arabe rais e zaim proprio in questo senso: chi guida il popolo, e chi invece gli va appresso…
Esatto, esatto, esatto! E il rischio oggi è questo qua. Bisogna riuscire a distinguere le situazioni e concentrarsi sulle cose da fare, sulle cose da dire.

(da “Huffingtonpost”)

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“CASPITA, SEI LA MIA SEGRETARIA”: I MESSAGGI TRA LANZALONE E LA SINDACA RAGGI

Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile

GLI SMS TRA LA SINDACA E L’EX PRESIDENTE ACEA FINITO AGLI ARRESTI NELL’INCHIESTA PARNASI

“Caspita: praticamente mi fai da segretaria! Che onore!”.
Così in un messaggio Whatsapp nel maggio del 2017 l’ex presidente di Acea sotto la giunta Raggi si rivolgeva alla sindaca di Roma.
Lo scambio per messaggi avveniva durante la d’acqua durata per tutta l’estate scorsa, un periodo di siccità  che ha rischiato di compromettere in modo definitivo dal punto di vista ambientale il lago di Bracciano.
“Ti chiederei di darmi un paio di date per incontrare i sindaci di Anguillara, Trevignano e Bracciano sulla questione del livello dell’acqua del lago”, scriveva la sindaca di Raggi parlando con Lanzalone.
“Poi ti chiede un appuntamento anche Antonio Cozzolino, sindaco M5S di Civitavecchia”.
Allora Lanzalone scherza: “Caspita: praticamente mi fai da segretaria! Che onore!”.
È quanto si legge nelle carte del processo Parnasi appena depositate, comprese le informative del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Roma, di cui danno conto La Stampa e altri quotidiani. Scrive la Stampa:
Un anno dopo, quando si è in dirittura d’arrivo per il Governo Conte, al socio Luciano Costantini che premeva per piazzare altri amici al vertice delle partecipate, Lanzalone risondeva: “A me avevano messo sulla partita nomine. Poi hanno deciso di sospendere tutto per concentrarsi solo sul Governo (e cosi si sono persi una ventina di nomine; io ho piazzato un sindaco in Leonardo). Se non fanno ripartire quel tavolo non posso far nulla”.
Prosegue Lanzalone: “Peraltro con la Castelli avevamo iniziato a fare un bel lavoro analitico anche di concerto con alcuni funzionari del Mef che gli avevo presentato, preposti alle istruttorie sulle nomine”.
Uno scambio del 12 maggio 2018: “Ieri gli ho risolto un problema delicatissimo con la presidenza del Consiglio scoprendo, come supponevo che abbiamo ovviamente molti ‘nemici’ interni da cui Alfonso, Luigi e compagnia anzichè difenderci abbozzano come al solito per non esporsi”.
Messaggi che confermano quindi quanto Lanzalone fosse ben inserito all’interno delle dinamiche di gestione politica e di governo del Movimento 5 Stelle.
Tant’è che Costantini replica: “Del tipo: questi a chiedere sono bravissimi ma a me non piace essere quella che ti trombi e che non porti a cena. O mi sposi…”.
D’altronde, aggiunge, “è normale che ci odino”.
Lanzalone non concorda: “Non è normale che i nostri amici non ci difendano, visto che gli salviamo il culo pressochè quotidianamente”.

(da agenzie)

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STEVE BANNON INDAGATO DAL SENATO: NEGLI USA NON PROTEGGONO I SOVRANISTI CHE COMMETTONO REATI AL SERVIZIO DI MOSCA

Novembre 1st, 2018 Riccardo Fucile

L’EX STRATEGA DI TRUMP NEL MIRINO PER RUSSIAGATE E IL CASO CAMBRIDGE ANALITICA

Steve Bannon, l’ex stratega di Donald Trump, è indagato dal Senato.
Una notizia che fa tremare le mura della Casa Bianca a pochi giorni dal 6 novembre, quando gli americani torneranno alle urne per rinnovare il Parlamento nelle elezioni di midterm (dove saranno eletti i nuovi 435 membri della Camera dei rappresentanti e un terzo dei 100 membri del Senato).
Secondo quanto riportano alcune fonti investigative l’ex ideologo del tycoon sarebbe nel mirino della commissione intelligence su due fronti: i rapporti con George Papadopoulos e Robert Page, due ex consiglieri della campagna presidenziale di Trump accusati di essere in contatto con agenti russi, e il ruolo avuto nel caso Cambridge Analytica, la società  accusata di aver raccolto i dati personali di milioni di utenti di Facebook sempre per conto della campagna di Trump.
I senatori sarebbero quindi in trattative con i consiglieri e i legali di Bannon per fissare la data per un interrogatorio non più tardi della fine di novembre.
Nel frattempo l’ex stratega della Casa Bianca, che il tycoon fu costretto ad allontanare nel luglio del 2017, ha incontrato per ben due volte Robert Mueller, il procuratore speciale a cui è stato affidato il compito di coordinare le indagini sulle presunte interferenze di Mosca sulle presidenziali del 2016 e sull’eventuale coinvolgimento del tycoon e dei suoi uomini.
Bannon, direttore della rivista online ultraconservatrice Breitbart, è stato vicepresidente di Cambridge Analytica dal giugno del 2014 all’agosto del 2016, quando entrò nel gruppo di consiglieri della campagna di Trump.
Da mesi si rincorrono le voci che ci sia stato lui dietro al piano per ‘rubare’ i dati a milioni di americani che navigano su Facebook, per utilizzare tali informazioni a favore del tycoon.
Per quel che riguarda i due ex consiglieri già  coinvolti nel Russiagate, George Papadopoulos è stato condannato a 14 giorni di prigione dopo che si è dichiarato colpevole per aver mentito all’Fbi sulla tempistica e i contenuti dei suoi contatti con esponenti russi: compresi con quegli agenti di Mosca che gli promisero materiale compromettente su Hillary Clinton.
Nessun capo d’accusa invece è stato finora emesso contro Carter Page.
Bannon ha di recente creato in Europa The Movement, il movimento che si prefigge lo scopo di riunire i leader populisti del Vecchio Continente in vista delle elezioni europee della primavera del 2019

(da agenzie)

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