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LA CALATA DI BRAGHE DEL GOVERNO: DEFICIT AL 2%, QUOTA 100 UNA TANTUM SENZA CAMBIARE LA FORNERO E REDDITO DI CITTADINANZA RIDOTTO

Dicembre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

SONO LE IPOTESI CHE CONTE INTENDE PORTARE ALLA UE PER EVITARE LA PROCEDURA DI INFRAZIONE… LA MONTAGNA HA PARTORITO IL TOPOLINO

Un nuovo impegno per l’Ue entro dieci giorni: un documento di bilancio rivisto e corretto dopo la bocciatura della Commissione europea o forse una lettera.
Comunque un’inversione di rotta da consegnare all’Europa prima del consiglio europeo del 13 e 14 dicembre, segnalano fonti di governo ad Huffpost.
Il tempo stringe, i toni tra Roma e Bruxelles sono passati dagli insulti alla trattativa, il governo Conte tratta e vuole chiudere.
Obiettivo: evitare la procedura di infrazione sul deficit legata al debito che potrebbe scattare il 19 dicembre, se tutti gli sforzi andassero a monte.
I dettagli dell’accordo sono ancora da definire, mentre a Bruxelles si svolge una riunione dell’Eurogruppo che, nelle sue conclusioni finali, conferma ancora la bocciatura della Commissione: “Sosteniamo la valutazione della Commissione Ue e raccomandiamo all’Italia di prendere le misure necessarie a rispettare le regole del Patto di stabilità “.
Ma – dettaglio non da poco – nelle conclusioni della riunione dei ministri della zona euro non c’è accenno esplicito alla procedura di infrazione contro l’Italia. E’ un altro segnale della trattativa in corso.
Secondo quanto riferiscono all’Huffpost fonti di governo, l’idea che si fa strada è di ridurre il deficit previsto al 2,4 per cento nel 2019.
Le previsioni più ottimistiche dell’ala più incline al dialogo nell’esecutivo Conte puntano al 2 per cento, che è quanto chiede al minimo la Commissione per evitare la procedura di infrazione di fatto già  ‘apparecchiata’ e che, senza correzioni, “va avanti”, avverte Pierre Moscovici.
Quota cento, il provvedimento sulle pensioni caro a Matteo Salvini, diventerebbe una ‘una tantum’ che risolva i problemi legati alla riforma Fornero (esodati), ma che di fatto salvaguardi quella riforma in quanto è l’unica riforma strutturale italiana apprezzata a livello europeo.
Scomporla – fanno notare gli interlocutori europei – vorrebbe dire rimettere a rischio il sistema.
Il reddito di cittadinanza, meno inviso a Bruxelles, invece verrebbe ristretto al massimo, ad una platea ridotta.
Il diavolo sta sempre nei dettagli e nessuno al governo si dice certo dell’accordo fatto. Tanto più che Salvini sta ancora chiedendo che ‘quota cento’ mantenga almeno una parte strutturale, altrimenti gli sarebbe difficile difendere la manovra di fronte agli elettori. Però anche i toni di Salvini sono diventati decisamente più morbidi.
Salvini si mantiene alla larga dalle polemiche, accuratamente. Non si scalda nemmeno quando gli fanno notare che i commissari europei possono andare in pensione con soli dieci anni di attività . In altri tempi avrebbe approfittato per attaccare. Oggi no.
Ora la trattativa è nelle mani del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, come hanno messo nero su bianco ieri i due vicepremier Salvini e Di Maio in una nota congiunta.
Ed è per questo che il nuovo impegno per Bruxelles arriverà  qui in Europa in tempo per il consiglio europeo di metà  dicembre. Dovrà  essere una “correzione credibile della manovra e un impegno chiaro e indiscutibile del governo”: è questo che chiedono da Bruxelles a Roma.
Per il capo del governo, il consiglio europeo di fine anno sarà  l’occasione per dimostrare ai partner europei gli sforzi fatti: ad Angela Merkel ed Emmanuel Macron, i più aperti al dialogo, e agli olandesi, i finlandesi, gli austriaci, insomma i più arrabbiati per le spese italiane in deficit.
In questo modo, al termine di settimane di lavoro con una triangolazione di sforzi insieme al ministro dell’Economia Giovanni Tria sul lato dei conti e il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi sul lato della diplomazia, Conte si prefigge di suggellare l’accordo in modo che il 19 dicembre la Commissione non scriva le sue raccomandazioni per l’Italia, propedeutiche all’apertura formale della procedura all’Ecofin del 22 gennaio.
Insomma entro la metà  dicembre, suggeriscono fonti di governo al lavoro sulla trattativa, deve essere tutto fatto.
Perchè altrimenti il caso Italia finisce nel collegio dei Commissari del 19 dicembre (secondo l’ordine del giorno che decideranno i capi di gabinetto di Palazzo Berlaymont il 17 dicembre) e a quel punto sarebbe troppo tardi.
Oggi a metà  giornata, Tria e il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis si fanno fotografare insieme. Sorridenti, si stringono la mano al termine di un colloquio. “Comune volontà  di trovare al più presto una soluzione al contenzioso sulla manovra tra Roma e Bruxelles”, è quanto emerge dall’incontro. Certo, il ‘falco’ Dombrovskis non si lascia sfuggire l’occasione per rimarcare che “non basta solo il cambio dei toni, serve una correzione consistente”.
Ma si intuisce anche alla riunione dell’Eurogruppo che l’Italia non è più nella condizione di tirare la corda ancora: i dati parlano di recessione in arrivo, cosa che sconfesserà  le previsioni di crescita del governo.
E poi oggi la levata di scudi di Confindustria ha fatto suonare l’allarme proprio al cuore dell’esecutivo: soprattutto nella Lega, nel mirino delle critiche del suo elettorato al nord.
Un’atmosfera diversa, insomma. Moscovici già  annusa la vittoria. “La Commissione – dice placido il commissario agli Affari Economici – è la signora del tempo”.
E’ una citazione di Macron, che oggi non se la passa bene con le proteste dei ‘gilet gialli’ in Francia. Ma Moscovici cita il Macron che vinse le presidenziali due anni fa e parlava così: “Io resterò il ‘padrone dell’orologio’: bisognerà  che i media si abituino. Non mi agiterò per andare davanti alle telecamere solo perchè la signora Le Pen va in tv”.

(da “Huffingtonpost”)

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“SE CADE LUI, A RISCHIO TUTTI”: IL GRUPPO DIRIGENTE M5S SI STRINGE INTORNO A DI MAIO

Dicembre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

IL VICEPREMIER PREPARA L’ENNESIMA DIFESA SUGLI SCANDALI DELL’AZIENDA DI CUI ERA SOCIO… I NOTABILI LO APPOGGIANO PER SALVARE LA POLTRONA E LO STIPENDIO

Simul stabunt, simul cadent. Non c’entrano nulla Claudio Martelli e l’ammonimento che rivolse a Ciriaco De Mita sulla sorte del suo governo. Ma il concetto di fondo è lo stesso.
§Nell’88 la sorte del governo Dc era legata strettamente alla tenuta del pentapartito, oggi la solidità  — se non proprio la sopravvivenza — di un intero gruppo dirigente è saldata al destino politico di Luigi Di Maio.
Il capo politico del Movimento 5 stelle si muove in un campo minato. Con l’obiettivo di disinnescare uno a uno gli ordigni che si ritrova sotto i piedi.
La vicenda del padre Antonio rischia di travolgere in prima battuta la sua integrità  morale, e con una reazione a catena la credibilità  politica.
È per questo che il vicepremier, fatto salvo un incontro programmato da tempo con il vicepresidente del Kenya, ha fatto tirare un tratto di penna su tutti gli impegni di queste ore.
Niente convegno sull’economia circolare al Senato che lo vedeva nel panel dei relatori, niente Bruxelles, dove doveva recarsi in serata per seguire un appuntamento nella giornata di martedì.
Di Maio si è chiuso con i suoi per limare fino al dettaglio un video, in gestazione da qualche giorno, del padre Antonio.
Una confezione da comunicazione 5 stelle, una lettera letta da un uomo che con la voce strozzata ammette i suoi inciampi ma, soprattutto, spiega di averli tenuti nascosti ai figli per “non perdere la loro stima”.
Un piano comunicativo che ha previsto un silenzio radio per tutta la giornata, dopo la valanga di attestazioni di fiducia di peones e big del partito che lo ha sommerso negli scorsi giorni.
Verrà  interrotto domani, nel salotto di Porta a Porta (già  protagonista della denuncia della manina), luogo scelto per spiegare agli italiani la propria linea difensiva.
Che non dovrebbe discostarsi molto da quella perorata in questi giorni, perfettamente incastrabile con quanto detto da Di Maio sr.: mio padre, a differenza di altri, ha ammesso i propri errori, non c’entrano con me, io ero all’oscuro.
Poi è salito al quinto piano della Camera, e ha messo la testa su una girandola di incontri per limare il decreto semplificazione, approvato da un Consiglio dei ministri settimane fa e poi inabissatosi.
“Far vedere che facciamo le cose, e le facciamo bene — spiega uno dei suoi — è la miglior risposta che possiamo dare”.
Nel Movimento serpeggia qualche dubbio sull’opportunità  di diffondere il video paterno. Ma tutti i colonnelli e la quasi totalità  del gruppo parlamentare si stringe attorno al leader.
Perchè la sua caduta avrebbe l’effetto di un sasso lanciato su un vespaio.
Le conseguenze imprevedibili, il ritorno nel sicuro delle celle sulla sommità  dell’albero incerto.
“Tutti i ministri — spiega un 5 stelle di rango — sono legati a doppio filo a Luigi, sono suoi fedelissimi. Così come i vertici parlamentari. Senza di lui entriamo in terra incognita”.
Una landa che spaventa, soprattutto dopo aver toccato il cielo con un dito. Per questo il serrate le fila è pressochè totale.
Lo spin di governo batte forte il tasto di Giuseppe Conte come interlocutore affidabile per l’Europa sulla manovra.
I due vicepremier su quel versante hanno tenuto un profilo basso, bassissimo, corredato dalla nota domenicale che lo ha incoronato come unico vero tessitore della trattativa.
Un passo indietro che verrà  mantenuto fin quando coinciderà  con due da poter fare avanti. Perchè l’obiettivo della stanza dei bottoni 5 stelle è sì evitare la procedura d’infrazione, ma soprattutto portare a casa in reddito di cittadinanza.
E farlo in un perimetro non eccessivamente ristretto rispetto agli annunci. Il saldarsi di due sconfitte sui due fronti sarebbe di complicatissima gestione per tutto il Movimento.
“Simul stabunt, simul cadunt”, disse nel lontano ’88 l’esponente socialista nell’aula di Montecitorio. “Cadent, Martelli, cadent!”, lo bacchettò prontamente il leader comunista Alessandro Natta, correggendo l’errore. Similitudini.
Ma, traslando, non è un congiuntivo sbagliato a far traballare oggi Di Maio.
La partita è molto più grande, la posta in gioco cruciale.

(da “Huffingtonpost”)

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LO SCHIAFFO DEI MUSULMANI AI CAZZARI RAZZISTI: “A NOI NON DA’ FASTIDIO IL PRESEPE A SCUOLA, CONTENTI CHE CI SIA”

Dicembre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

“LE FAMIGLIE MUSULMANE NON SI SENTONO CERTO OFFESE, GIUSTO PROMUOVERE IL DIALOGO TRA LE DIVERSE FEDI”

Dopo le prime polemiche scoppiate in scuole del Veneto per presepi e recite natalizie, la Lega islamica del Veneto prende le distanze.
“Come ogni anno – spiega il presidente Bouchaib Tanji – si cerca di tirare in ballo i musulmani”. I quali però hanno “detto, chiarito e sottolineato che vedere un Presepe, cantare il Natale o ascoltare il nome di Gesù e di Maria, a noi non dispiace, anzi”.
“Gesù Cristo è un grande profeta che ha compiuto miracoli. Gesù Cristo e la Vergine Maria si incontrano in circa 100 versetti del Corano”, aggiunge.
Tanji non nasconde la sua esasperazione: “Negli scorsi anni abbiamo acquistato pagine intere di giornali per fare gli auguri di Natale ai cristiani (e a tutte le persone di buona volontà ), abbiamo donato presepi, abbiamo partecipato alle Sante Messe nelle chiese cattoliche”
Le famiglie musulmane non si sentono quindi offese, “se nella loro scuola si costruisce un presepio. Ci piacerebbe invece che si creassero occasioni per far conoscere a tutti, bambini e giovanissimi compresi, i fondamenti della nostra fede, i nostri luoghi di preghiera, le nostre tradizioni”
“A questo proposito abbiamo avuto alcune esperienze (molto positive) grazie a docenti che credono nel dialogo tra le diverse fedi e, soprattutto, nella religiosità  delle persone – dice ancora -. Benvenuto è quindi il Presepe, benvenuta è ogni pratica e tradizione religiosa che rispetta la persona umana e la sua libertà  di scelta”
Per Tanji “benvenuta sarà  anche una discussione seria e intelligente sul modo migliore con cui la scuola pubblica italiana può realizzare la sua funzione di educare ed istruire sulla base di quanto indicato dalla Costituzione”.
“Auguri quindi a tutti per le prossime Feste di Natale – conclude – sperando che portino più dialogo e meno (infondate) polemiche”.

(da Globalist)

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DON LUCA FAVARIN: “UN NATALE SENZA PRESEPE E’ PIU’ COERENTE CON IL CLIMA VOLGARE CHE SI RESPIRA IN ITALIA”

Dicembre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

“APPLAUDIRE SALVINI E POI FARE IL PRESEPE E’ SCHIZOFRENIA PURA: IPOCRITI, GESU’ ERA UN MIGRANTE E NOI LI LASCIAMO PER STRADA”

“Oggi fare il presepio è ipocrita. Il presepe è l’immagine di un profugo che cerca riparo e lo trova in una stalla. Esibire le statuette, facendosi magari il segno della croce davanti a Gesù bambino, quando poi nella vita di tutti i giorni si fa esattamente il contrario, ecco tutto questo lo trovo riprovevole”.
Don Luca Favarin, il prete che a Padova gestisce nove comunità  e aiuta 140 ragazzi africani, sferza i predicatori di presepi e crocifissi.
Lo fa toccando uno dei simboli del Natale, il presepe appunto, icona della Natività , con il cammino di Giuseppe e Maria.
Ecco, quel cammino a don Luca evoca la traversata di migliaia di migranti alla ricerca di un orizzonte nuovo. “Il nuovo decreto sicurezza costringe le persone a dormire per strada, quindi l’Italia si è schierata per la non-accoglienza”, ragiona il prete. “Poi però, a casa, tutti bravi a esibire le statuette accanto alla tavola imbandita, al caldo del termosifone acceso”.
Luca Favarin ha scelto la domenica mattina, nel momento della messa settimanale, per scrivere su Facebook un post con il suo pensiero: “Quest’anno non fare il presepio credo sia il più evangelico dei segni. Non farlo per rispetto del Vangelo e dei suoi valori, non farlo per rispetto dei poveri”.
Non ha paura don Luca delle critiche che gli stanno arrivando in queste ore, non teme di esternare un sentimento che gli viene da dentro, dopo anni di impegno con gli “ultimi”, gli “invisibili”.
Nel 2012 ha tolto la tunica e chiuso il capitolo del prete di parrocchia per buttarsi anima e corpo come responsabile della Diocesi di Padova prima della tratta degli esseri umani e poi dell’accoglienza dei migranti con la cooperativa Percorso Vita.
Ha modellato un sistema che sta dando lavoro e speranza a tanti profughi.
Ha aperto un ristorante etnico e un bar-fast food, oggi interamente gestiti da loro.
I piatti vengono preparati con la verdura prodotta in due appezzamenti di terreno, dove ragazzi provenienti dall’Africa subsahariana hanno imparato a cimentarsi con piantagioni di radicchio, cavoli e patate. Dove gli alberi da frutto vengono coltivati con cura e amore, perchè poi da quei frutti nascono le marmellate biologiche.
“Ci vuole una coerenza umana e psicologica”, continua il prete. “Applaudire il decreto sicurezza di Salvini e preparare il presepe è schizofrenia pura. Come dire: accolgo Dio solo quando non puzza, non parla, non disturba. Lo straniero che incrocio per strada, invece, non lo guardo e non lo voglio”.
Ancora: “Credo che un Natale senza presepio sia più coerente con questa pagina volgare e infame della storia del nostro Paese. Va in scena il teatrino del Natale e poi si lascia morire la gente per strada. Vorrei ricordare ai cristiani che ci sono migliaia di Gesù-bambino in giro per le strade, sotto i ponti”.

(da agenzie)

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L’ECONOMISTA SOVRANISTA RINALDI CHE VUOLE IL PARCHEGGIO DI CITTADINANZA

Dicembre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

SE LA PRENDE CON I PRIVATI PERCHE’ PER 30 ORE DI PARCHEGGIO A FIUMICINO HA DOVUTO PAGARE 64,90 EURO… MA BASTAVA FARE DUE PASSI IN PIU’ E AVREBBE SPESO MOLTO MENO

Antonio Maria Rinaldi è arrabbiato: ha parcheggiato la sua vetturetta nel parcheggio di fronteal terminal dell’Aeroporto di Fiumicino per quasi trenta ore e all’uscita ha dovuto pagare la bella cifra di 64,90 euro.
A conti fatti si tratta di poco più di due euro l’ora per avere la comodità  della macchina a pochi minuti dall’ingresso dell’aeroporto.
Ma per Rinaldi, economista e animatore del sito Scenari Economici, il vero problema è un altro: l’affidamento ai privati dei servizi fondamentali.
In un tweet che farà  la storia dell’economia (domestica) Antonio Maria Rinaldi ha finalmente il coraggio di dire quello che tutti sanno ma che per colpa delle potentissime lobby aeroportuali nessuno ha il coraggio di dire: «Che bello il privato! Parcheggiare all’aeroporto di Fiumicino dalle 9.16 del 1.12.18 alle 13.31 del 2.12.18 costa solo 64.90 euro!».
La soluzione, sembra suggerire Rinaldi, è quello di abbandonare la strada del “privato” per tornare al pubblico.
Deve essere lo Stato a garantire almeno ventimila parcheggi gratuiti (o a prezzo calmierato possibilmente in lire) nelle vicinanze dell’aeroporto.
Solo lo Stato è onesto mentre gli imprenditori privati sono tutti ladri
C’è una seconda possibilità : Rinaldi è stato poco furbo.
Innanzitutto perchè prenotando online avrebbe pagato qualcosa in meno. Poi volendo ci sono anche parcheggi più economici dove avrebbe pagato la metà .
Ma il problema è che sono a cinque minuti di navetta dal terminal. Economici sì ma non comodissimi. E ce ne sono ancora di meno costosi ma tocca allontanarsi dal Terminal.
Oppure si può prendere un taxi (privato) o il Leonardo Express di Trenitalia.
Il parcheggio scelto dall’allievo del ministro Paolo Savona invece si trova esattamente di fronte al Terminal ed è il parcheggio più comodo dell’aeroporto.
La comodità  — in un sistema regolato dal libero mercato — si paga.
Se vuoi parcheggiare di fronte all’ingresso dell’Aeroporto, paghi. Se vuoi risparmiare parcheggi al parcheggio lunga sosta e prenoti online così rischi di spendere la bella cifra di 13 euro.
Sarebbe davvero un problema se utilizzare il parcheggio scelto da Rinaldi fosse l’unica possibilità . Oppure se tutti i parcheggi — privati — applicassero lo stesso tariffario. In quel caso si potrebbe parlare di monopolio, cartello e tutte quelle cose brutte che non piacciono a nessuno.
Ma non è colpa del privato se un professore, un economista, non sa leggere i cartelli e sceglie di andare a parcheggiare nel park più costoso.
Il fatto è che Rinaldi è uno che un giorno sì e l’altro pure ci spiega che l’Unione Europea non funziona, che va cambiata, che bisogna uscire dall’euro e che lui ha le “ricette” per farlo.
Ma non sa come scegliere un parcheggio.

(da “NextQuotidiano“)

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LA TRATTATIVA PER L’EUROPA E LA POSSIBILITA’ CHE SALVINI E DI MAIO VOGLIANO SOLO PRENDERE TEMPO

Dicembre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

PORTARE LA MANOVRA AL 2% VUOL DIRE TAGLIARE 7 MILIARDI… LASCIANO CONTE TRATTARE SPERANDO DI ARRIVARE INDENNI ALLE ELEZIONI EUROPEE

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte “sta illustrando all’Europa le potenzialità  dell’ampia agenda di riforme che riporterà  il Paese a crescere, evitando il rischio di una terza recessione e aprendo all’Italia una prospettiva futura migliore”: la nota congiunta di Luigi Di Maio e Matteo Salvini ieri è servita a fornire l’appoggio politico necessario al premier per la trattativa che vuole condurre con l’Unione Europea per fermare la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.
Ma è anche l’occasione per mettere a punto la strategia complessiva del governo gialloverde nei confronti di Bruxelles in una trattativa che pare difficile portare a casa in ogni caso.
Un segnale diplomatico piuttosto netto comunque c’è: nella nota i due citano ed elogiano Conte e non spendono una parola per Giovanni Tria, ministro dell’Economia che da fuori appare sempre più in disgrazia agli occhi dei partiti che compongono la maggioranza dopo i noti contrasti sui tecnici e sulle “manine” del ministero.
La leggenda del Tria Salvatore quindi pare arrivata al capolinea per lo meno a Roma, dove la posizione dl ministro appare del tutto indebolita.
La Stampa ha raccontato anche di una scena all’aeroporto di Bruxelles che potrebbe aver avuto un ruolo nelle decisioni di Di Maio e Salvini:
Il titolare dell’Economia, già  in precedenza aveva infranto il «tabù» sulla linea del Piave del deficit. È stato lui stesso, infatti, a dichiarare apertamente nella conferenza conclusiva del G20 che il 2,4 per cento di deficit/Pil non è più intoccabile. Il tempo di rispondere a qualche domanda, e poi lo portano via con l’ascensore. Il ministro Tria conferma le indiscrezioni uscite sui giornali. «L’Europa vuole che abbassiamo il deficit — dice — è quello che interessa». Dovremo scendere dal 2,4 fino a quota 1,95 o 2 per cento? «Si — è la replica di Tria — queste sono le cifre. Ma molto possiamo fare in base alle misure che adotteremo e al modo come le adotteremo».
In teoria, ammesso e non concesso che il governo italiano sia già  disposto a mollare su «quota 2,4%», inevitabilmente bisognerebbe intervenire proprio sulle misure principali della manovra, quelle politicamente più importanti.
Che non a caso ieri non sono state inserite nel pacchetto di emendamenti presentati a Montecitorio, in attesa del passaggio al Senato o di un decreto legge ad hoc. Alla Commissione Europea interessa ridurre il livello del deficit italiano; ma interessa soprattutto evitare la prima picconata, per il momento tutt’altro che decisiva, alla riforma Fornero delle pensioni.
Insomma, la Trattativa con l’Europa ha già  causato il rallentamento nella presentazione delle misure-simbolo della Manovra del Popolo, proprio mentre un leghista come Alberto Brambilla indica la via di Quota 104 per risparmiare soldi sulle pensioni (con una magia degna di Silvan): i minori costi, secondo il governo, potrebbero essere usati per abbassare il deficit o per aumentare la misera quota di investimenti presente nella keynesianissima Manovra del Popolo.
In questo caso il numero-feticcio rimarrebbe identico e il Dinamico Duo Salvini-Di Maio potrebbe festeggiare un’altra volta dal balcone.
Dall’altra parte della barricata però non la pensano così.
Jean Claude Juncker e Pierre Moscovici invece puntano l’obiettivo del 2%: il governo dovrebbe rimangiarsi 0,4 punti di deficit avvicinandosi così a quella soglia dell’1,9% che lo stesso Tria aveva concordato con Bruxelles prima che i balconi di Palazzo Chigi tremassero.
Altrimenti, spiega oggi Federico Fubini sul Corriere della Sera, i due intendono proporre la procedura d’infrazione il 19 dicembre, con le relative richieste di correzione all’Italia.
Dati i tempi di preparazione delle decisioni europee, questo calendario comporta che per evitare gli ingranaggi della procedura l’Italia debba accettare un accordo credibile al più tardi il 17 dicembre: poco più di dieci giorni per chiudere con un’incertezza che dura dal primo giorno di governo e ha fatto raddoppiare il costo di finanziamento del debito pubblico.
La Commissione Europea pensa di avere il coltello dalla parte del manico per i brutti segnali arrivati dalle aste dei titoli di Stato, per la corsa dello spread che si è fermata solo quando sono arrivate le aperture alla Trattativa da parte di Roma e per le banche che continuano a mandare segni di preoccupazione per la tenuta del sistema.
E poi c’è la recessione che non è più un’ipotesi senza numeri dopo il terzo trimestre 2018, dovuta alla guerra dei dazi ma anche alle specifiche difficoltà  dei consumi nel Belpaese. Se a tutto ciò dovesse aggiungersi il credit crunch per le imprese la situazione potrebbe complicarsi per un governo che rischia molto nel muoversi, anche dal punto di vista della saldezza interna.
Ma se tutto ciò dovrebbe contribuire a consigliare un atteggiamento il più accomodante possibile per i gialloverdi, non è detto che sia questo lo schema che hanno in testa Salvini e Di Maio. Perchè oggi la Trattativa può contribuire   — e questo obiettivo sarà  indubbiamente centrato — a rallentare la procedura d’infrazione nei confronti del paese e potrebbe convincere i primi ministri dell’Unione Europea a concedere tempo per favorire l’arrivo di un accordo che conviene a tutti.
Ma non è detto che invece questo tempo non possa essere sfruttato soltanto in quanto tale: alla fine la rottura potrebbe arrivare lo stesso.
Ma a quel punto Salvini e Di Maio avrebbero guadagnato tempo e probabilmente anche cominciato a incassare il dividendo elettorale della Manovra del Popolo senza aver pagato dazio nelle trattative con l’Unione Europea.
D’altro canto il famoso comunicato di fiducia e il mandato a trattare per Giuseppe Conte non è stato pubblicato da nessuno dei due sui social network, cosa che puntualmente succede quando si sentono in difetto oppure non vogliono lasciare il campo alle critiche.
Esiste la concreta possibilità  che il Dinamico Duo mandi avanti Conte a trattare con l’Europa e poi lo lasci con il cerino acceso in mano all’ultimo momento.
Non sarebbe la prima volta, ma tanto Conte è lì proprio per questo.

(da “NextQuotidiano”)

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L’ITALIA PERDE QUOTA A FRANCOFORTE, LA BCE TAGLIA LA QUOTA ITALIANA NEL SUO CAPITALE

Dicembre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

AVREMO MENO PESO NEL CAPITALE DELLA BCE…E CI COSTERA’ ALMENO UN MILIARDO

L’Italia scende in Bce. Perde peso nella stanza dei bottoni dell’euro.
E un’altra tegola cade sulla testa del governo gialloverde. Cinque anni di crescita anemica, per non dire sottozero, accompagnata da una riduzione del tasso di natalità , hanno ridotto di oltre mezzo punto percentuale la quota dell’Italia nel capitale azionario della Eurotower.
Crescita e popolazione infatti sono i parametri che i tecnici di Francoforte utilizzano per aggiornare ogni quinquennio le quote relative degli eurosoci, e la fotografia 2018 fresca di stampa conferma l’arretramento economico sociale del Paese con la conseguente discesa nella graduatoria degli azionisti Bce, la prima significativa da molti anni.
Non siamo i soli, anche se siamo quelli con il problema più grande. Spagna, Portogallo e Grecia hanno avuto la stessa sorte all’interno di una spaccatura tra periferia Sud e cuore nordico della Eurozona che vede in particolare la posizione della Germania crescere ancora.
La cosa in sè potrebbe anche essere archiviata come una delle tante graduatorie sfavorevoli che misurano il processo di declino del Belpaese. Del resto, con il 16,9 per cento l’Italia resta pur sempre il terzo azionista dell’istituto guidato da Mario Draghi dietro la Francia.
C’è un però tecnico ma non secondario tuttavia, un particolare che non piacerà  al ministro Giovanni Tria.
Ed è questo: la quota di capitale di ciascun azionista è anche la base sulla quale viene calcolato il volume degli acquisti di titoli di Stato e bond dei vari paesi.
Oggi la Bce ha in pancia quasi 350 miliardi di titoli italiani acquistati nell’ambito del Quantitative easing che termina a fine anno.
Parte di questi titoli scadranno nel 2019 e dovranno essere rinnovati in base alle nuove regole.
L’agenzia Bloomberg Economics ha calcolato che a causa della rimodulazione delle quote di capitale il reinvestimento in titoli del debito italiano potrebbe in teoria risultare inferiore di quasi un miliardo rispetto alle previsioni: Soldi dunque che il Tesoro dovrebbe cercare altrove. Un piccolo problema in più insomma.
In queste ore il Mef preme affinchè si trovi una soluzione, la più indolore possibile, perchè anche se le cifre in gioco sono relativamente importanti la finanza pubblica italiana versa nelle condizioni critiche che tutti sanno.
L’impatto che la nuova struttura di capitale potrebbe avere sui mercati è comunque oggetto di riflessione a Francoforte.
L’idea è cercare di diluirlo nel tempo e le opzioni sul tavolo sono diverse. C’è chi vorrebbe che i rinnovi proseguissero senza fissare un termine tenendo conto delle condizioni generali della congiuntura e dell’inflazione nell’area euro.
C’è chi invece, come i paesi nordici, vorrebbe stabilire una data di riferimento temporale in modo da orientare il mercato. Il quale, nel frattempo, si aspetta che nel giro di massimo due tre anni la Bce si chiami gradatamente fuori dal circuito del debito e si avvii a ridurre un bilancio che ha al proprio attivo 2,6 trilioni di bond sovrani europei. Il Consiglio dovrebbe prendere una decisione in merito nella riunione del 13 dicembre prossimo.
Certamente il 2019 sarà  un anno cruciale per la Bce e per la presenza dell’Italia nella Eurobanca. Alla questione della minore quota di capitale si aggiunge infatti quella della presenza di un nostro rappresentante nel comitato direttivo.
In maggio infatti scadrà  il capoeconomista Peter Praet, il cui posto sembra destinato a un rappresentante dei piccoli paesi. In novembre lascerà  Draghi. Nei primi mesi del 2020 sarà  la volta del francese Benoit Courè, che se alla presidenza non andrà  un francese sarà  rimpiazzato da un connazionale. L’Italia rischia di restare senza una voce nel board.

(da “Huffingtonpost”)

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BOCCIA: “CONTE CONVINCA I SUOI VICEPREMIER A TAGLIARE DUE MILIARDI A TESTA O SI DIMETTA”

Dicembre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

A TORINO MIGLIAIA DI IMPRESE RIUNITE PER DARE UN SEGNALE AL GOVERNO, IN SALA I DUE TERZI DEL PIL ITALIANO

“Se fossi in Conte convocherei i due vicepremier e gli chiederei di togliere due miliardi per uno visto che per evitare la procedura d’infrazione bastano 4 miliardi.
Se qualcuno rifiutasse mi dimetterei e denuncerei all’opinione pubblica chi non vuole arretrare”.
Lo ha detto il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, concludendo la manifestazione alle Ogr per il Si Tav a Torino . “Una promessa a Di Maio: se ci convoca tutti non lo contamineremo. A Salvini, che ha preso molti voti al Nord, dico di preoccuparsi dello spread”.
Boccia aveva esordito dicendo “Se siamo qui è perchè la nostra pazienza è quasi limite, per mettere insieme 12 associazioni tra cui alcune concorrenti tra loro. Se siamo qui tra artigiani, commercianti, cooperative, industriali, qualcuno si dovrebbe chiedere perchè. La politica è una cosa troppo importante per lasciarla solo ai politici”. “Siamo dodici associazioni che rappresentano tre milioni di imprese, oltre il 65% del Pil. È un segnale importante che si vuole dare al governo. Si parte dalla Tav, si pone la questione infrastrutture in senso largo, grandi e piccole, e si pone un auspicio che è quello di attenzione alla crescita”.
Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha spiegato così il senso della manifestazione delle imprese per la Tav, oggi alle Ogr di Torino. “Il messaggio di oggi è un richiamo alla politica e al governo da parte dei corpi intermedi dello Stato: avere il senso del limite”, afferma Boccia.
Aggiunge: “Il governo ha convocato i vertici torinesi delle associazioni fattoriali e non quelli nazionali. Questo la dice lunga sul l’idea che ha il governo della Torino- Lione come fosse un fatto locale. mentre al contrario l’opera è una questione nazionale”.
Quasi due terzi del pil italiano sono rappresentati oggi pomeriggio alle Ogr.
E sono oltre 3 mila i rappresentanti in sala.
La protesta nazionale degli impreditori per chiedere «sì alla Tav, si alle grandi infrastrutture europee, si al futuro, allo sviluppo, alla crescita sostenibile», è salita in partecipazione mano a mano che trascorrevano i giorni.
I lavori sono stati   aperti dalla relazione di Roberto Zucchetti, professore alla Bocconi di Milano che a settembre aveva calcolato in 9 miliardi gli effetti positivi dell’opera. Cui seguono   gli interventi di 12 esponenti delle associzioni imprenditoriali. L’ultimo a prendere la parola   il numero uno di Confindustria, Vincenzo Boccia. In platea sono presenti anche i rappresentanti dei sindacati.
Confermata invece la richiesta ai poltici di non presentarsi «per evitare strumentalizzazioni», come hanno ripetuto ancora ieri gli organizzatori.
Daniele Vaccarino, torinese, presidente nazionale di Cna è uno degli oratori . Perchè l’appuntamento di Torino è diventato l’occasione per una protesta nazionale? «Perchè proprio da Torino è partita, il 10 novembre scorso, la prima protesta contro la politica dei no. La richiesta di non bloccare la Tav è venuta dopo lo stop della candidatura olimpica con quel sì ufficiale di Appendino che sembrava tanto un no». Un problema solo torinese?
«Purtroppo no. La cartina della Penisola è costellata di no e di blocchi dei lavori. In realtà  questo atteggiamento non danneggia solo le grandi imprese che vincono gli appalti. Punisce i territori e anche chi ha dimensioni più ridotte come in genere le imprese artigiane.
Prendiamo l’esempio della val di Susa. All’inizio, tanti anni fa, avevamo avuto problemi a convincere qualche nostro iscritto. Poi tutti abbiamo capito che non solo i subappalti del cantiere ma le stesse opere di compensazione possono essere una occasione di crescita per le nostre imprese».
“Siamo qui per dire sì allo sviluppo. Sì agli investimenti strategici. Sì ad un Paese che sa andare oltre le proprie fragilità  strutturali”. dice invece il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.
“Oggi – ha affermato – il tempo necessario per compiere la tratta Torino-Lione è di poco inferiore alle 4 ore e nel 2030, con la nuova infrastruttura, scenderà  a meno di 2, così da connettere il nostro Paese all’Europa. Con la Torino-Lione si completerebbe, insomma, quella ‘Metropolitana d’Europà  in grado di integrare ulteriormente e naturalmente il nostro Paese anche nei flussi turistici e commerciali europei. Al di là  dei passeggeri che si riconvertirebbero al treno da altri mezzi di trasporto (si parla di due milioni e mezzo di viaggiatori) con significativi effetti sull’impatto ambientale ci sarebbe sicuramente un aumento importante di flussi. Insieme a Torino, la stessa Milano capitale del terziario avanzato, sarebbe infatti finalmente e pienamente connessa all’Europa”.
L’agricoltura italiana ha bisogno di un sistema infrastrutturale moderno ed efficiente, che garantisca la piena mobilità  di persone e merci e l’accessibilità  all’Europa di tutte le aree del territorio nazionale, rendendo il Paese competitivo sui mercati internazionali.” Lo ha detto il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti intervenendo oggi   alla manifestazione alle Ogr a favore del Tav.
Giansanti ha ricordato che nell’Europa a 28 è al 21° posto per quanto riguarda le strutture portuali e aeroportuali, al 19° per quelle ferroviarie, al 18° per la reti stradali. E la copertura internet interessa solo il 77% del territorio, contro una media europea dell’82%. “Con questi numeri – ha detto il presidente di Confagricoltura – sono evidenti le ricadute in termini di competitività  sul nostro sistema agricolo ed agroalimentare.”

(da agenzie)

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CHI DI RUSPA FERISCE, DI RUSPA PERISCE: ABUSI EDILIZI DEL PADRE DI DI MAIO, IL COMUNE AVVIA L’ITER PER LA DEMOLIZIONE

Dicembre 3rd, 2018 Riccardo Fucile

IL PROVVEDIMENTO RIGUARDA QUATTRO MANUFATTI SEQUESTRATI

Gli uffici comunali di Mariglianella hanno dato avvio al procedimento per giungere ad un’ordinanza di demolizione dei quattro manufatti ritenuti abusivi e sequestrati su un terreno di cui risulta comproprietario Antonio Di Maio, padre del vicepremier.
La notizia, appresa in ambienti cittadini, è stata confermata dagli amministratori comunali guidati dal sindaco Felice Di Maiolo.
Insieme ai manufatti, nei giorni scorsi, i vigili urbani del posto hanno eseguito anche il sequestro di tre piazzole sulle quali erano depositati rifiuti, per lo più scarti edili.

(da agenzie)

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