Destra di Popolo.net

MINNITI SI RITIRA, LA ROTTURA CON RENZI E’ INSANABILE

Dicembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

“PER PRENDERE IL 20% MEGLIO LASCIAR PERDERE”… MARTINA-RICHETTI POTREBBERO BENEFICIARNE

Marco Minniti ha deciso che no, così non si può andare da nessuna parte, lui molla. La decisione arriva dopo una giornata di incontri e, soprattutto, di riflessione con i fedelissimi. “Non voglio fare la fine di Cuperlo e Orlando — ha confidato l’ex ministro ai suoi — se mi devo candidare per prendere il 20%, meglio lasciar perdere”.
Un incontro pomeridiano con Luca Lotti e Lorenzo Guerini non ha cambiato le cose, così come la proposta di un documento sottoscritto da parlamentari e dirigenti di area renziana per confermare il loro sostegno.
La rottura, anche personale, tra Minniti e l’ex premier è apparsa ormai a tutti insanabile.
L’ex ministro voleva chiudere al più presto la questione, rispondendo così all’ultimatum che gli è stato posto a metà  giornata da Antonello Giacomelli: “Se oggi non ci sono fatti espliciti e conclusivi, da domani, nel rispetto di tutti ma soprattutto nell’interesse stesso del Pd, servirà  ragionare su un nuovo assetto del congresso”. E Minniti, quando si tratta di essere esplicito e conclusivo, non si è mai tirato indietro.
I renziani nel caos studiano la contromossa
Il ritiro dell’ex ministro, seppur nell’aria da qualche giorno, ha gettato nel caos i renziani. Ora per loro si tratta di escogitare un piano B, da perfezionare nel giro di una settimana (il 12 dicembre scadono i termini per le candidature a segretario).
I nomi che circolano, con l’intento soprattutto di provare a fermare l’avanzata di Nicola Zingaretti verso la segreteria, sono quelli di Teresa Bellanova, la cui candidatura come vicesegretario avanzata dai renziani era stata respinta bruscamente da Minniti, di Ettore Rosato, già  sherpa franceschiniano approdato al renzismo militante, e di Lorenzo Guerini, l'”Arnaldo” (come Forlani) che in questi anni ha fatto da segretario-ombra, gestendo di fatto tutti gli affari interni sui quali Renzi non aveva tempo o voglia di mettere testa.
Ma non è ancora escluso anche lo spettro dello sciogliete le righe: nessun candidato di area, nessuna indicazione da parte del leader. I renziani, insomma, non esisterebbero più, almeno in questo quadro.
In tutto questo, lui, Renzi, va avanti per la sua strada.
Imperterrito, apparentemente quasi divertito dal caos che lo circonda. Da Bruxelles, dove ha svolto il suo giro di incontri con i massimi vertici delle istituzioni e di diverse famiglie europee, ribadisce di non volersi occupare del congresso del Pd.
“Non fatevi condizionare da quello che faccio io, voi andate avanti per la vostra strada — ha fatto sapere ai suoi nei giorni scorsi — poi, se vorrete, ci ritroveremo”.
I primi calcoli che circolano nei corridoi di Camera e Senato, però, mostrano un consistente ridimensionamento delle truppe parlamentari renziane in caso di addio al Pd.
Si riaprono le chances per il ticket Martina-Richetti
“Se deciderà  di andarsene, farà  solo del male al partito, più che favorire l’uno o l’altro candidato”. Dalle parti di Maurizio Martina, che oggi in una iniziativa con il suo co-candidato Matteo Richetti in un circolo romano ha presentato le proposte per rinnovare lo Statuto del partito, le mosse di Renzi vengono seguite naturalmente con grande attenzione. E con preoccupazione.
Certo, con il ritiro di Minniti potrebbero allargarsi ancora di più le faglie che stanno portando consensi dall’area dell’ex segretario a quella del suo ex vice. Ma il rischio è che chiunque vinca si troverebbe a guidare un partito ridotto allo stremo.
Nel frattempo, comunque, il ticket Martina-Richetti continua a crescere nei sondaggi, alimentato sempre più proprio da personalità  in uscita dal mondo renziano: Graziano Delrio, Debora Serracchiani, Tommaso Nannicini, Angelo Rughetti, Luca Rizzo Nervo, ex amministratori e dirigenti dal Piemonte e la Lombardia fino a Puglia e Sicilia.
Richetti si sta presentando come garante nei confronti di quei militanti che si sentirebbero a disagio accanto a nomi provenienti da una storia diversa, come lo stesso Martina o Matteo Orfini, ma che, delusi dall’ambiguità  di Renzi, cercano una exit strategy per mantenere vive le proprie idee dentro il Pd.
Le proposte presentate quest’oggi nel dettaglio da Nannicini provano proprio a intercettare anche quelle sensibilità : un governo ombra anti-nazionalpopulista aperto a contributi esterni al partito, referendum annuali tra gli iscritti sui temi identitari, conferma delle primarie aperte, più spazio, candidature e soldi ai territori.
“Per la prima volta in questo congresso non ci sono punti di riferimento prestabiliti — spiega una fonte vicina a Martina — già  i parlamentari sono disorientati, figuriamoci i militanti a livello locale. Si sta verificando un rimescolamento inedito, che apre grandi spazi per noi”.
Qualsiasi previsione sull’esito delle primarie, insomma, appare oggi un salto nel buio.

(da “Huffingtonpost”)

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BOH TAV, UN GOVERNO CHE NON HA IL CORAGGIO DI DECIDERE

Dicembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

IMPRENDITORI ESCONO INSODDISFATTI DALL’INCONTRO CON IL GOVERNO: “VOGLIONO SOLO PRENDERE TEMPO”

Roma accoglie la delegazione pro Tav, “i borghesucci” (copyright Beppe Grillo) con un sole sfavillante e un dicembre clemente.
Ma i tredici rappresentanti di imprese, associazioni di categoria e sindacati varcano il portone di Palazzo Chigi con il volto ombroso.
Hanno ricevuto in treno il benvenuto di Michele Dell’Orco, sottosegretario M5s ai Trasporti, che dalle colonne della Stampa ha piantato paletti dolorosissimi: “Il governo non va perchè è una manifestazione di cittadini. Ma con il cuore sarò lì. Io sono un no Tav, tutto il M5s è no Tav”.
Nella sede della presidenza del Consiglio li aspettano Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Danilo Toninelli. Stanno dentro oltre due ore, illustrano un manifesto in dodici punti che spiega perchè la Tav va fatta.
Ascoltano pazientemente le risposte. L’incontro è interlocutorio. Il governo promette una relazione preliminare entro la fine dell’anno, la delegazione ottiene l’inserimento di un rappresentante nella commissione che dovrà  redigerla e la promessa che il premier si rechi a Torino, per capire di cosa si sta parlando.
Quando escono hanno la faccia scura. “L’analisi costi benefici è inutile. Il problema è politico, perchè la nostra è una questione che ha impatto a livello nazionale”, tuona Dario Gallina, presidente dell’Unione degli industriali di Torino.
Il punto sta tutto lì. Perchè fosse per la parte gialla del governo l’alta velocità  verso Lione verrebbe rottamata senza pensarci due volte, mentre per quella verde si farebbe senza esitare un attimo.
E la sensazione è che l’intesa che Toninelli ha raggiunto con la collega francese per procrastinare i bandi al 2019, unita agli approfondimenti chiesti dal governo, sia solo una gigantesca operazione per prendere tempo, e calciare più in là  il barattolo di un problema di cui non si ha la soluzione.
“Al momento ci sembra che nè la Lega ha il coraggio di virare sul no, nè tantomeno i 5 stelle sul sì”, certifica Giancarlo Banchieri, che guida la Confesercenti sotto la mole. Gallina parla di un Toninelli più freddo (“Si sanno le sue posizioni”), e di una buona capacità  di ascolto da parte del premier e del suo vice, “anche se la mossa dei bandi di ieri non ci fa ben sperare, e l’incertezza affossa la fiducia degli imprenditori”.
“Toninelli la deve smettere di dire che i cantieri non sono partiti — continua il leader degli industriali torinesi — Venga a vedere i cantieri e gli operai che vi lavorano, fermarla costerebbe quattro miliardi, più di quelli necessari a completarla”.
Si appella a Conte: “Ci ha garantito pragmaticità  nel documento che verrà  stilato, speriamo in quello”.
Da Chigi si spiega che uguale attenzione e un analogo incontro verrà  dedicato ai no Tav.
Ma filtra anche una posizione anni luce lontana da quella sprezzante con la quale Grillo, come anche tanti esponenti 5 stelle in queste settimane, hanno liquidato il movimento che sostiene l’alta velocità .
“Abbiamo presente il grido di dolore — spiegano fonti vicine al presidente del Consiglio – da decenni associazioni e imprenditori aspettano la Tav, senza considerare che si sono viste privati anche delle Olimpiadi”.
“Abbiamo massima attenzione allo sviluppo del vostro territorio — ha detto Conte ai suoi interlocutori — molte delle cose che chiedete sono nella nostra sensibilità , vogliamo creare da voi come in tutto il paese un ambiente che favorisca gli investimenti”. Anche Di Maio ha sottolineato che “terremo sempre presente l’impatto economico che si riversa sui territori”.
Più abrasivo Toninelli, che esce da Palazzo Chigi e si infila negli studi di Tagadà : “Chi dice che perderemo 75 milioni di euro al mese, dice una stupidaggine perchè quella firma che il sottoscritto ha fatto con la ministra dei Trasporti francese, Elisabeth Borne, significa proprio che non perderemo alcun denaro pubblico”.
Era stato proprio Gallina a spiegarlo poco prima, insieme al fatto che “nel 2019 ci sono bandi per 3,5 miliardi di euro da far partire, che rischiamo di perdere”.
Se con il ministro non corre buon sangue, la faccia indossata da Conte è quella buona, la posizione scomoda. Certo è, almeno a parole, che per una decisione non si dovrà  attendere il voto delle europee, come temuto dagli imprenditori.
Un risultato minimo in un contesto generale di dilazione di tempi. E sabato Torino si riempirà  di bandiere no Tav. Tante saranno imbracciate dal popolo 5 stelle.

(da “Huffingtonpost”)

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RENZI RIPARTE DALL’EUROPA CON O SENZA PD: “APRIRE AD ALLEANZE ANTI-SOVRANISTE PER LE EUROPEE”

Dicembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

INCONTRI A RAFFICA A BRUXELLES CON IL CONGRESSO PD ORMAI LONTANO

Mentre a Roma Marco Minniti si interroga sulla sua candidatura alla segreteria Pd, deluso e quasi deciso a rinunciare, quello che doveva essere il suo più grande sponsor, Matteo Renzi, è a migliaia di chilometri dall’Italia.
Il senatore fiorentino, ex segretario Dem ed ex premier, è a Bruxelles: felicemente lontano dal congresso, tornato in azione a tutto campo nel suo stile, scavalcando i riti interni al partito e muovendosi senza remore. Dove? Ci sono le europee a maggio, il campo d’azione di Renzi stavolta è l’Europa.
Parola d’ordine ufficiale: “Dare una mano, con un gruppo dirigente europeo, alla costruzione di un’alleanza larga, anti-sovranista ed europeista, dai socialisti ai libdem ai Popolari… Un’alleanza non formalizzata con uno Spitzenkandidat, ma presente nei contenuti”, ci dice mentre sta ripartendo per l’Italia.
E’ di questo che oggi ha parlato con tutti i suoi interlocutori. Era venuto a Bruxelles per incontrare gli eurodeputati Dem e poi il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, socialista e prossimo Spitzenkandidat del Pse per le europee, nonchè la Commissaria Marghrete Vestager, liberale.
E’ finita che a Palazzo Berlaymont ha incontrato anche Pierre Moscovici e finanche Jean Claude Juncker. E, a quanto raccontano, pare sia stato il presidente della Commissione a scendere di qualche piano per salutarlo, non appena saputo della sua presenza a palazzo. Baci e abbracci: “Dai, facciamoci una foto”, gli ha chiesto Juncker. Prego, con tanto di sorriso.
Gli scontri sulla flessibilità , di quando Renzi era premier fino al 2016, ormai sono il passato. Ora Juncker ha a che fare con Giuseppe Conte, capo del primo governo populista tra i paesi fondatori dell’Ue. Ben altra cosa.
Si è aperto un varco e Renzi lo vuole sfruttare. “Per dare una mano – insiste – Penso di poterlo fare con tranquillità , mica per ambizioni personali… E’ il motivo per cui ho deciso di venire qui a parlare con amici europei con cui si condividono le idee di fondo dell’Europa…”.
Ecco, però nel partito sono in molti a pensare che Renzi non la stia raccontando giusta. Mentre lui è ancora a Bruxelles, mentre Minniti sta per decidere a Roma, tra gli eurodeputati si addensano gli interrogativi: Renzi sta creando una nuova creatura politica?
A Bruxelles del resto lo accompagna Sandro Gozi, ex sottosegretario agli Affari Europei dei governi Renzi e Gentiloni, che da tempo cura i rapporti con ‘En Marche’ e da tempo non fa mistero della sua idea di “andare oltre il Pd”.
“Non mi occupo di congresso”, specifica Renzi di primo mattino, infilando la porta che lo conduce all’incontro con gli eurodeputati del Pd al quinto piano del palazzo del Parlamento europeo.
Ma questo non basta a eludere il tema. Lui è venuto per parlare di “Europa del futuro”, ma il benedetto-maledetto congresso spunta nella discussione. I non-renziani chiedono spiegazioni, come fa il giovane eurodeputato ligure Brando Benifei: “Tu sei stato segretario del partito per metà  degli anni di vita del Pd: come puoi dire che non ti vuoi occupare del congresso? Sei tu quello che ha detto che non bisogna portarsi via il pallone…”. E Renzi: “Chi perde…”. L’altro ribatte: “Chi perde, chi vince, tutti non se lo devono portare via…”.
Ma a un certo interviene anche Enrico Gasbarra, vicino a Renzi, secco: “Ci vuole un qualcosa di nuovo, il Pd non basta più…”. Renzi non replica. Lascia correre. Intanto si muove.
Nelle stesse ore, su Facebook compare una nuova pagina dal nome ‘Libdem’, tanto di foto di Renzi in motorino a Firenze, lo slogan: “Il futuro prima o poi torna”. Renzi e i suoi prendono le distanze: iniziativa autonoma, l’ex segretario non c’entra. Fatto sta che nel giro di poche ore la pagina Facebook scompare: chiusa.
L’ex premier ricomincia insomma a muoversi oltre i recinti politici di partito, come ha sempre fatto anche quando voleva scalare il Pd: più fuori che dentro tra gli iscritti, la sua forza nelle primarie aperte.
Ora non è candidato e ai suoi dice di non volersi candidare nemmeno alle Europee (nessuno ci crede fino in fondo), ma intanto si muove.
“Renzi ha una dimensione di leader europeo”, ci racconta l’eurodeputato renziano Nicola Danti che con Gozi lo ha accompagnato in tutti i giri brussellesi. “Lo conoscono, lo salutano – continua – E’ chiaro che lui può giocare un ruolo per la costruzione di un’alleanza anti-populista, anti-sovranista”.
Perchè tra i renziani la convinzione è che Nicola Zingaretti, il candidato che sembra meglio avviato per vincere il congresso soprattutto se Minniti si ritira, ha un profilo troppo chiuso: “Troppo solo socialista”, ragionano.
Invece c’è bisogno di “allargare”, insistono. Da qui, azione. Con quali risultati non si sa e naturalmente nessuno si fa illusioni. Renzi si limita a specificare che “la mia attività  non è contro nessuno”, dunque nemmeno Zingaretti, “rispetterò il congresso chiunque lo vinca…”. Ma se ne sta alla larga. “Se vado a Bruxelles, dicono che mi devo occupare di congresso. Se mi occupo di congresso, dicono che devo starmene lontano… Si decidano”, si sfoga.
Alcuni voci Dem suggeriscono che la tentazione di Minniti di dare forfait sia dovuta anche alle spaccature tra i renziani, non tutti schierati con l’ex ministro degli Interni che fin dall’inizio di questa storia ha comunque sempre cercato di ritagliarsi un profilo autonomo, smarcato da Renzi.
Lo strappo definitivo pare si stia consumando sull’asse Roma-Bruxelles, quasi che la seconda città  serva all’ex premier come tramprolino per tentare una nuova azione politica.
Con liste autonome dal Pd? Chissà , risponde uno dei suoi. Il punto è che non lo sa neanche lui, per ora.

(da “Huffingtonpost“)

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REDDITO DI CITTADINANZA, COME VERRA’ SGONFIATO

Dicembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

MAGLIE PIU’ STRETTE, DURERA’ MENO, STOP PER CHI POSSIEDE UNA SECONDA CASA E PER CHI HA 5.000 EURO SUL CONTO CORRENTE

Pronto un piano per sgonfiare il reddito di cittadinanza, con maglie più strette per ottenerlo e una durata minore.
Lo riporta un articolo pubblicato sul quotidiano il Messaggero.
Il Reddito, per esempio, verrebbe corrisposto agli aventi diritto per 18 mesi. Al termine di questi verrebbe effettuata una verifica se i requisiti che hanno portato alla concessione del beneficio sussistono ancora.
Questo check up comporterebbe uno stop di tre mesi all’erogazione dell’assegno che, nel caso in cui il beneficiario ne avesse ancora diritto, potrebbe essere riconfermato al massimo per altri 12 mesi.
Anche sui requisiti per l’accesso al sussidio, ricorda il Messaggero, il cantiere è ancora aperto
Affianco al requisito Isee (Indicatore della situazione economica equivalente), fissato a 9.360 euro, verrebbe introdotto anche l’Isre, l’indicatore della situazione reddituale equivalente, che tiene conto solo dei redditi e non anche del patrimonio mobiliare e immobiliare.
Nelle prime bozze era previsto anche che il Reddito sarebbe stato pagato anche ai possessori di una seconda casa del valore massimo di 30 mila euro.
Si starebbe invece ragionando della possibilità  di escludere coloro che sono possessori di un secondo immobile a prescindere dal valore.
Così come sul tavolo ci sarebbe la proposta di ridurre da 10 mila a 5 mila euro la giacenza massima sul conto corrente.

(da “Huffingtonpost”)

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IL FRONTE DEI COMUNI CONTRO IL DECRETO SICUREZZA: “OPERAZIONE DEMAGOGICA PAGATA DALLE AMMINISTRAZIONI LOCALI”

Dicembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

“RISCHIAMO MAGGIORI SPESE PER 280 MILIONI L’ANNO”… LA PROTESTA ANCHE DA COMUNI GUIDATI DAL CENTRODESTRA

Sospendere gli effetti del Decreto sicurezza. Riconsiderare le misure sull’immigrazione, dalla stretta al sistema Sprar alla cancellazione dei permessi umanitari. Valutarne l’impatto sui territori.
A chiederlo sono più di venti comuni italiani, che nelle scorse settimane hanno approvato mozioni di protesta contro il decreto voluto dal vicepremier Matteo Salvini. In prima fila ci sono grandi centri urbani come Milano, Bologna, Firenze, Palermo, Brindisi, Teramo, a cui presto potrebbero aggiungersene altri.
E non si tratta solo di maggioranze di centrosinistra: dopo Torino, nelle ultime ore anche Roma ha chiesto lumi all’esecutivo gialloverde.
Da nord a sud il coro di contrari è un po’ dappertutto. Modena, Bergamo, Lecco, Cerveteri, Senigallia, Lucca, Parma, fino a un’ondata di paesi pugliesi, con l’obiettivo unitario di chiedere al ministro dell’Interno e al governo di riconsiderare i contenuti del decreto, la cui conversione in legge, nel frattempo, è stato firmata dal presidente Mattarella.
Se il fronte delle città  è ampio, altrettanto elevato è il rischio che rimangano semplici iniziative politiche.
Per questo il sindaco di Brindisi, Riccardo Rossi, chiede che sia mantenuta alta l’attenzione sugli effetti che le nuove norme stanno già  iniziando a produrre. “Restringere la rete degli Sprar vuol dire non soltanto distruggere un’eccellenza italiana di accoglienza, ma creare ancora più insicurezza”, spiega Rossi a ilfattoquotidiano.it.
“Le nuove norme producono conseguenze contrarie a quelle per cui sono state pensate. I migranti cui viene negato il diritto di essere accolti finiranno per strada, in grandi centri chiusi, nelle mani delle agromafie”.
La situazione, a suo dire, poteva essere evitata. “Noi, come tante altre città , abbiamo presentato la mozione prima che il decreto fosse convertito in legge. Speravamo che in Parlamento potesse esserci spazio per fare modifiche. Ma il governo ha deciso di mettere la fiducia”, aggiunge il primo cittadino.
“Ora saremo noi sindaci a dover gestire questa emergenza e dobbiamo valutare come muoverci”.
Un segnale simile è arrivato anche da altri amministratori locali pugliesi, come quelli che fanno capo al partito Italia in Comune di Federico Pizzarotti. Bitonto, Casamassima, Maruggio, Mesagne, Giovinazzo, Barletta: sono tutti paesi ufficialmente contrari al Dl Salvini.
E presto saranno presentate analoghe mozioni negli altri 60 Comuni che fanno riferimento a quest’area politica, fa sapere il coordinatore regionale Michele Abbaticchio. “Il testo ormai è legge, ma non dimentichiamoci che ora si apre la fase delle circolari attuative. Il rischio è che il carico sia riversato tutto sul territorio. È una grande operazione demagogica”.
Milano, Bologna, Firenze: a rischio 2600 persone
Fra le prime città  ad aver lanciato un allarme contro le norme sull’immigrazione volute dal governo c’è Bologna, guidata dal sindaco Pd Virginio Merola. Qui, come si legge nella mozione approvata in Consiglio comunale, delle 1078 persone accolte nello Sprar “circa il 75 per cento” è a rischio. Perchè? Non hanno i requisiti indicati dalle nuove norme volute dal leader del Carroccio. Per affrontare l’emergenza, che nei prossimi anni potrebbe costare alla città  oltre “4 milioni di euro”, il sindaco ha convocato per il 7 dicembre una conferenza aperta a tutti i primi cittadini della città  metropolitana di Bologna.
“La nostra è un’esperienza che ha fatto da apripista, perchè coinvolge 43 comuni su 45 e ha portato alla nascita di uno Sprar metropolitano”, fanno sapere dal Comune. “La preoccupazione è che tutto questo possa complicarsi con l’entrata in vigore della nuova legge. Molte spese, infatti, come quelle relative all’assistenza sanitaria, potrebbero ricadere direttamente sul territorio”.
Timori condivisi anche a Milano, dove secondo l’assessore alle politiche sociali Pierfrancesco Majorino presto potrebbero esserci “900 nuovi senzatetto: donne, bambini e famiglie regolarmente presenti sul territorio e titolari di protezione umanitaria, non potranno più stare nei centri di accoglienza e finiranno per strada”. Stessa situazione a Firenze: secondo i calcoli di Palazzo Vecchio, anche qui i migranti a rischio sono circa 900. “Il Dl Salvini più che decreto sicurezza va chiamato decreto insicurezza, perchè produce la beffa di aggravare invece di risolvere l’impatto sociale e di sicurezza del territorio”, dice il sindaco Nardella.
In totale, solo a Milano, Firenze e Bologna potrebbero esserci 2600 nuovi irregolari. E solo nell’immediato periodo. Un allarme condiviso nelle ultime ore anche dalla città  di Parma, dove in commissione consiliare è stata esaminata una mozione bipartisan che presto verrà  votata in Consiglio comunale.
Decaro (Anci): “Ora Osservatorio su effetti del Dl”
La battaglia contro la linea del vicepremier leghista, iniziata nei territori e da enti come l’Anpi, è condivisa anche dall’Associazione nazionale comuni italiani. “La nostra Commissione immigrazione ha approvato all’unanimità  un documento in cui sono evidenziate le principali criticità  del decreto”, spiega a ilfattoquotidiano.it il presidente Antonio Decaro.
Fra i membri ci sono sindaci, assessori e consiglieri di tutta Italia. Come Silvana Romano, assessora a Gorizia in giunta di centrodestra, o Laura Baldassarre, assessora alla Persona, scuola e comunità  solidale del comune di Roma.
Proprio lei ha sponsorizzato nelle scorse ore in Consiglio capitolino l’approvazione una mozione analoga a quella già  votata negli altri Comuni.
Nonostante il mancato via libera di 4 consiglieri M5s, a Roma si è creato un asse trasversale tra dem e pentastellati per l’ennesima critica al Dl Salvini. Ed è proprio al superamento delle divisioni che guarda Decaro.
“La casacca politica di appartenenza non importa. L’abrogazione del permesso di soggiorno per protezione umanitaria e la stretta sul sistema Sprar avranno delle conseguenze sui servizi sociali di tutti i Comuni. Per questo stiamo per lanciare un Osservatorio nazionale sull’impatto della legge sui territori”.
Secondo le prime stime dell’Anci, si parla di un aumento dei costi di oltre 280 milioni di euro all’anno. “Solo così potremo dimostrare a livello nazionale le difficoltà  che scaturiscono dalla nuova norma”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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LA RUSSIA SPENDE 1,1 MILIARDI L’ANNO PER PIAZZARE BUFALE IN EUROPA

Dicembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DELLA UE: LA FABBRICA DI TROLLS NELLA SEDE DI SAN PIETROBURGO IMPIEGA 1.000 PERSONE A TEMPO PIENO

La Russia «investe un enorme budget, 1,1 miliardi l’anno, a sostegno della disinformazione», e «la fabbrica dei trolls di San Pietroburgo impiega 1000 persone a tempo pieno». Lo ha denunciato il vicepresidente della Commissione Ue Andrus Ansip nel lanciare il Piano d’azione anti fake news.
Non solo: «Abbiamo visto tentativi di interferire in elezioni e referendum, con prove che indicano la Russia come fonte primaria di queste campagne».
Per questo «dobbiamo essere uniti e mettere insieme le nostre forze per proteggere le nostre democrazie contro la disinformazione», ha detto Ansip, nel presentare il Piano d’azione europeo contro le fake news.
«Combattere la disinformazione», ha sottolineato, «richiede uno sforzo collettivo».

(da “il Corriere della Sera”)

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COSA NASCONDE DI MAIO CON LA STORIA DEI NAVIGATOR DEL REDDITO DI CITTADINANZA

Dicembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

I CENTRI PER L’IMPIEGO CHE DOVEVANO ESSERE OPERATIVI DA MARZO SONO IN ALTO MARE… E SPUNTA, DOPO IL TUTOR, ANCHE LA FIGURA IMMAGINIFICA DEL NAVIGATOR CHE SARA’ PAGATO A COTTIMO… BENVENUTI NEL REGNO DI PENTALANDIA

Ce la farà  il governo del cambiamento a portare a termine la riforma dei centri per l’impiego in tre mesi, entro marzo 2019?
Fino a ieri tutti sapevano che prima di poter iniziare ad erogare il Reddito di Cittadinanza era necessario dotare i centri per l’impiego degli strumenti necessari ad aiutare i disoccupati a trovare lavoro.
Per questo motivo, dopo aver abolito la povertà , il governo ha deciso di stanziare un miliardo di euro per consentire ai centri di poter offrire le tre fatidiche proposte di lavoro.
Nonostante il M5S abbia presentato già  nel 2013 un disegno di legge per l’istituzione del Reddito di Cittadinanza nessuno oggi sa come verrà  implementato nel mondo reale.
Più passa il tempo più ci si rende conto che quello che i pentastellati hanno detto a riguardo negli ultimi cinque anni non aveva alcuna possibilità  di funzionare.
E più si avvicina la fine dell’anno più emerge come nemmeno la riforma dei centri per l’impiego potrà  essere portata a termine nei tempi strettissimi che il governo si è dato. Ieri a Porta a Porta il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha elaborato ulteriormente il concetto del “tutor” introdotto nelle scorse settimane.
Del tutor, così come di tutto quanto riguarda il decreto legge collegato che introdurrà  il RdC, nessuno sa nulla. Ieri però Di Maio era in vena di confidenze e rivelazioni e dopo aver detto che «nei confronti dei centri per l’impiego io ho tante, tante difficoltà  a pensare che oggi possano essere la risposta unica alla domanda di lavoro» (qualcosa di impensabile fino a qualche mese fa) ha spiegato come funzionerà  il principale aspetto del RdC.
Che non sono le modalità  con cui verranno distribuiti i soldi ma il meccanismo tramite il quale per i disoccupati sarà  possibile trovare un lavoro.
Secondo Di Maio il meccanismo «si baserà  non sul centro per l’impiego come lo immaginiamo oggi; ma chi oggi non ha un lavoro ed entrerà  nel programma del reddito avrà  dall’altra parte una figura che possiamo chiamare Navigator che è il soggetto che lo prenderà  in carico chi prende il reddito di cittadinanza e lo indirizza verso la formazione, verso il placement che non è necessariamente il centro per l’impiego subito, c’è il sistema privato, c’è il sistema pubblico, c’è la formazione pubblica, c’è la formazione privata».
Il Navigator sarà  una persona che farà  «da controllore per chi prende il reddito ma anche che orienti quel ragazzo che oggi sta cercando un lavoro o che vuole aprire un’impresa».
Quanti saranno? Il ministro dice che lo sapremo a fine anno.
Chi li assumerà ? A quanto sembra di capire le assunzioni verranno fatte dallo Stato, i Navigator faranno parte del programma di assunzioni (il cui costo non   è dato di sapere) però non saranno inquadrati all’interno dei centri per l’impiego perchè il Navigator — spiega il ministro — «deve essere in grado di seguire un ragazzo o un meno giovane che ha perso il posto di lavoro, poterlo riorientare, farlo formare in un sistema di formazione e poi fornirlo alle aziende senza che le aziende lo debbano riformare da zero».
Questo programma di formazione non si svolgerà  però necessariamente all’interno del centro per l’impiego: «si può formare in azienda e noi corrispondiamo all’azienda quello che serve per formarlo. si può formare nei centri accreditati convenzionati delle Regioni. Si può formare attraverso i centri per l’impiego, attraverso un’agenzia privata».
Ci sono qui altri aspetti poco chiari: a cosa serve la riforma dei centri per l’impiego se poi lo Stato ha la possibilità  di affidarsi anche a soggetti privati. Chi pagherà  la formazione fornita dalle agenzie private?
Di Maio dice che le agenzie «hanno già  le loro dinamiche», tra cui però non risulta esserci quello di fare beneficenza.
L’importante ha aggiunto Di Maio «è che ci sia una persona che viene pagata in base a quanti me ne ricolloca nel lavoro di chi rientra nel programma».
Il Navigator quindi sarà  pagato — in parte o del tutto — a cottimo. Quante possibilità  ci sono che il servizio dei Navigator venga affidato direttamente alle agenzie private che già  fanno questo di lavoro e che già  sono accreditate come enti di formazione regionale? Viste le premesse sono parecchie.
Ma a questo punto la riforma dei centri per l’impiego rischia di rimanere lettera morta.
È inoltre curioso che Di Maio tiri fuori solo oggi la storia dei Navigator perchè si tratta di un concetto che era già  presente sulle slide di presentazione del progetto sul reddito di cittadinanza del professor Mimmo Parisi della Mississippi State University e che prevede un’app che si può scaricare sullo smartphone e chiamata Mr. Works.
Nelle slide di Parisi però il Navigator lavora all’interno del centro per l’impiego e sembra di capire che ne faccia parte integralmente in seguito evidentemente ad una riforma e ad un ammodernamento dei servizi offerti dal centro per l’impiego.
Nel racconto fatto ieri da Di Maio invece sembra che il Navigator sia una figura quasi del tutto scollegata ai centri per l’impiego visto che la figura che descrive il ministro sembra poter operare su più livello anche fuori dai centri.
Di Maio però non ha spiegato chi formerà  i Navigator, essendo un lavoro completamente nuovo per uno strumento completamente nuovo qualcuno dovrà  anche formare (e a quale costo?) i tutor del Reddito di Cittadinanza.
Il ministro ha evitato accuratamente di dire — promettendo che lo sapremo a fine anno — quanti ne serviranno e quanti disoccupati ciascuno dovranno seguire.
Va da sè che non potranno essere assunti tutti in un unico luogo ma dovranno essere distribuiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.
Secondo il Capo Politico del M5S tutto dovrà  iniziare da gennaio quando verrà  messo online il portale per la gestione delle richieste, quello per la gestione del piano carriera e formazione degli aventi diritto e inizieranno le assunzioni dei Navigator.
La centralità  data alla figura dei tutor però dimostra una sola cosa: la riforma dei centri per l’impiego non si farà  in tre mesi.
E quindi che fine farà  il miliardo di euro?

(da “NextQuotidiano”)

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LO SPREAD FA PAURA AL 44% DEGLI ITALIANI, MA MOLTI NON SANNO NEANCHE COSA SIA

Dicembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

HANNO PIU’ TIMORE I RESIDENTI NEL SUD… UN MILIONE E MEZZO DI PERSONE NON CONOSCE NEMMENO IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA

Il 44,4% degli italiani, oltre 19 milioni di persone, è preoccupato e teme che l’andamento dello spread si ripercuota negativamente sulla propria economia familiare.
È il quadro che emerge da un’indagine di Facile.it e Mutui.it. Ad avere più paura delle possibili conseguenze dell’andamento dello spread sono i residenti nel Sud e nelle Isole (48,2%), seguiti da chi vive nel Nord Ovest (45,6%), mentre se si suddivide il campione per fasce d’età , i timori maggiori si registrano nella fascia 35-54 anni (47,3%).
Un dato comprensibile, visto che è soprattutto in questo periodo della vita quello in cui si è responsabili delle economie familiari.
Magari con un prestito per la casa con cui fare i conti. Segmentando invece per genere, si dichiara preoccupato il 47,4% del campione maschile e il 41,5% di quello femminile.
«Se chi ha già  un mutuo può stare tranquillo – spiega Ivano Cresto, responsabile mutui di Facile.it – chi si trova a chiederlo oggi ha davanti a sè una situazione molto differente. Sebbene la correlazione tra spread Btp-Bund e mutui non sia immediata e diretta, nel medio e lungo periodo un valore elevato del differenziale spinge verso l’alto lo spread bancario».
Ovvero la maggiorazione applicata dagli istituti di credito ai nuovi finanziamenti, aumentando quindi il costo a carico del cliente.
Il primo impatto si è già  sentito a ottobre, quando i tassi finali offerti da un buon numero di banche sono aumentati fra lo 0,10% e lo 0,30%.
Un rincaro che, sebbene lasci ancora tassi molto competitivi su un piano di restituzione ventennale o magari ancora più lungo, si traduce in una differenza di migliaia di euro di interessi da pagare.
«Molti lo hanno già  visto e questo spiega la loro preoccupazione», dice ancora Cresto.

(da “il Corriere della Sera”)

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IL MAROCCHINO SALVA UNA DOTTORESSA MA I TG RAI DI REGIME SOTTOLINEANO CHE “PARLA UN ITALIANO STENTATO” (IL CHE NON E’ NEANCHEVERO)

Dicembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

IL TG2 LEGHISTA FA SPARIRE PURE CHE E’ MAROCCHINO, DIVENTA SOLO UN AMBULANTE, NON SIA MAI CHE UN ATTO DI EROISMO SI ABBINI A UN “NON ARIANO”

Mustafa El Aoudi ha salvato la vita alla donna aggredita a colpi di cacciavite. Su Tg1 e Tg2 lo stesso servizio nel quale come prima cosa si parlava la scarsa dimestichezza con la nostra lingua dell’uomo.
Lui si chiama Mustafa El Aoudi, è marocchino di 40 anni, vive in Italia da vent’anni, ha una moglie e tre figli che sono nati tutti a Crotone. Mustafa fa il venditore ambulante e la sua bancarella è davanti ai cancello dell’ospedale San Giovanni di Dio.
E’ stato lui, con il suo intervento, a salvare la dottoressa Maria Carmela Calindro, aggredita a colpi di cacciavite da un uomo che la riteneva responsabile della morte di un suo parente. Un gesto nobile di altruismo che ha fatto di Mustafa il personaggio del giorno.
Peccato che sia Tg1 che Tg2 (che hanno trasmesso lo stesso servizio) siano stati protagonisti di quella che a tanti è sembrata una bruttissima scivolata, tanto più antipatica in tempi di xenofobia spinta ai massimi livelli con gli atti del governo pentastellato e da tanti amministratori che fondano il loro consenso sulla discriminazione e gli stereotipi.
Così il servizio sull’aggressione cominciava con Mustafa, che brevemente ha ricostruito l’aggressione e un suo intervento. A questo punto in campo la voce del giornalista che ha detto testualmente: “Racconta così l’aggressione, in un italiano stentato, Mustafa El Audi”.
In un italiano stentato? La prima cosa che il giornalista ha sottolineato è stato “l’italiano stentato” di Mustafa, che poi stentato non è (perchè si capiva benissimo il suo racconto) ma era un italiano con inflessione e un paio di parole in calabrese.
La domanda è: perchè la prima cosa che nel servizio si è voluta sottolineare è stata la (presunta) scarsa dimestichezza di Mustafa con l’italiano? Qual era il senso? Che anche se parla male l’italiano è in grado di compiere un gesto di altruismo? Che c’entra l’italiano stentato (che – ripetiamo – stentato non era nemmeno, anzi tra governo e parlamento sentiamo di peggio) con il salvataggio della dottoressa?
Nel lanciare il servizio la conduttrice del Tg1 ha detto che la dottoressa era stata salvata da un “ambulante maghrebino”. Mentre la conduttrice del Tg2 ha detto solo ‘ambulante’.
Tanto che un collega della Rai ha maliziosamente commentato: la qualifica di immigrato non manca mai se sono spacciatori o stupratori…

(da agenzie)

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