Destra di Popolo.net

LO SCONCIO DEI SOCCORSI AFFIDATI AI LIBICI: 338 MILIONI DALL’EUROPA PER UN TELEFONO CHE NON RISPONDE

Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile

LA VERGOGNA DI SALVINI CHE REGALA PATTUGLIATORI PAGATI DAI CONTRIBUENTI ITALIANI E POI I LIBICI   NON RISPONDONO NEMMENO ALLLE CHIAMATE DI SOCCORSO

L’Unione Europea ha versato 338 milioni di euro alla Libia per una fallimentare gestione dei flussi migratori
L’Italia, dal 2017, continua a rifornire il Paese nordafricano di navi e motovedette
Ma il telefono della zona Sar (Search and Rescue) non squilla e le persone continuano a morire nel Mediterraneo
Il corto circuito del motto «aiutiamoli a casa loro». L’ultima strage di esseri umani nel Mediterraneo spinge in molti a una riflessione: come è possibile che l’Unione Europea versi 338 milioni di euro nelle casse della Libia per la gestione dei flussi migratori e davanti alle loro coste si continui a perdere la vita senza ricevere alcun soccorso?
Gli ultimi 170 morti — come se ci volesse un numero così alto di decessi — devono far riflettere sull’uso dei fondi e delle attrezzature tecniche che sono state fornite allo Stato Nordafricano, senza nessun riflesso.
Perchè c’è anche l’Italia di mezzo.
Come racconta il quotidiano La Repubblica , oltre a far parte dell’Unione Europea — quindi parte in causa nel versamento di quei 338 milioni — il nostro Paese ha fornito alla Libia (rigorosamente gratis) dieci motovedette da destinare alla guardia costiera, oltre all’impegno di addestrare un centinaio di ufficiali per la gestione dei flussi migratori nella zona Sar (Search and Rescue).
Il patto venne sancito dal premier di allora — era il febbraio 2017 — Paolo Gentiloni, ma dalla Libia spiegano che le navi si rompono e hanno bisogno di manutenzione.
Nello scorso mese di luglio fu la volta di Matteo Salvini che donò alla Libia due pattugliatori della classe ‘corrubia’ e 12 gommoni classe 500.
Poi altri favori al paese libico, con il governo che ha protocollato una gara d’appalto da circa 9,3 milioni (tutti da fondi Ue) per la fornitura di 20 gommoni super veloci. Chi vincerà  la gara si impegnerà  anche nell’addestramento (di 30 ore) di almeno quattro operatori.
Dal 2017 a oggi, scrive Repubblica, tutte le commesse per Tripoli hanno visto sempre un solo vincitore: l’azienda Veneta ‘Cantiere Navale Vittoria’.
Un grande impegno dell’Italia e dell’Europa in sostegno della Libia. Ma, come capita spesso — quasi sempre — in occasione di naufragi a largo delle coste libiche, il telefono della zona Sar di Tripoli non risponde.
Dietro a quella cornetta ci dovrebbero essere gli uomini addestrati dall’Italia e dall’Europa.
Quelli per cui la Libia ottiene ogni anno i fondi per la gestione dei migranti. Ma lì nessuno risponde e le persone continuano a morire in mare. Salvini dà  la colpa alle Ong, ma questo è il fallimento del motto elettorale «aiutiamoli a casa loro».

(da agenzie)

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ASSE CALENDA-ZINGARETTI PER IL FRONTE DEMOCRATICO: IN UN GIORNO 40.000 ADESIONI

Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile

OBIETTIVO SUPERARE IL M5S E DIVENTARE LA SECONDA FORZA POLITICA… IL SONDAGGISTA NOTO: “UNA COALIZIONE APERTA ALLE ASSOCIAZIONI E ALLA SOCIETA’ CIVILE GIA’ OGGI SUPEREREBBE I GRILLINI”

L’ambizione è alta, quella di essere «la prima lista» delle Europee, quella con più voti, quindi necessariamente l’asticella si fissa oltre il 30%.
Il nome non è stato deciso, verrà  «testato», perchè come insegna la prima regola di marketing, «non bisogna mai farsi condizionare dalle proprie intuizioni ma bisogna verificarle», dice Carlo Calenda.
Quindi siccome il brand ancora non è stato lanciato, ancora non si può pesare il suo appeal in termini di consensi.
«Sono d’accordo con Letta, non sono a favore dei fronti “contro”, ed è per questo che partiamo da un manifesto con un’analisi e con sei proposte», è la risposta di Calenda all’obiezione di Enrico Letta. Intanto in 24 ore di vita online, il Manifesto ha raccolto 36 mila adesioni. Ma il nome e il simbolo arriveranno dopo il congresso Pd del 3 marzo.
Nei due mesi di riunioni preparatorie di questa sfida elettorale di nomi per questa lista se ne sono ipotizzati diversi: quello preferito da Calenda, Fronte repubblicano, non piace granchè, il più gettonato sembra essere Fronte democratico.
Andrà  deciso pure se nel logo possano comparire i marchi dei partiti aderenti: il dibattito è aperto, Calenda non lo esclude, altri sì, insomma si vedrà  se sia meglio nascondere il simbolo Pd oppure no.
Tra i cento firmatari del Manifesto annunciato ieri, un gruppo più ristretto si è raccolto più volte in conclave insieme all’ideatore per definire i contorni dell’iniziativa: e a proposito di conclave non c’è solo la presenza di personaggi di spicco del mondo cattolico come Mario Giro di S.Egidio, ex sottosegretario e capofila della sigla Democrazia solidale, che si rifà  alla tradizione del cattolicesimo sociale; sotto traccia pare esserci interesse anche da parte delle gerarchie e dei responsabili di varie associazioni cattoliche, europeisti a prescindere.
Calenda ha anticipato il suo lancio ai candidati alle primarie, inviando il Manifesto a Martina e Zingaretti che infatti hanno subito applaudito.
Renzi è più freddo perchè teme la trappola: ovvero che attraverso questa iniziativa vengano riciclati personaggi della sinistra fuoriusciti dal Pd.
Ma così non sarà , nel documento è chiarito che il perimetro è chiuso a chi non esclude alleanze con i Cinque Stelle e con Salvini, quindi a LeU e Forza Italia; anche se nel giro di Zingaretti è stato apprezzato che dopo il placet della Boldrini, nessuno se ne sia uscito per chiuderle la porta.
Il governatore – che si muove in tandem con Gentiloni – è stato il primo a lanciare una lista aperta; e i dati dei congressi di circolo dicono che è probabile sia lui il vincitore: anche i renziani seguono molto preoccupati il trend di una sua affermazione anche in Toscana contro la classe dirigente espressa dall’ex leader, in primis Lotti che ne tiene le fila.
E se vincerà  il congresso, Zingaretti ha intenzione di allargare e coinvolgere tutti: Calenda sarà  capolista alle Europee di una lista aperta, baricentro il Pd.
Ma per ora l’interlocuzione su questa lista unitaria è con +Europa, che deve valutare, col Pd, con «Italia in Comune» di Pizzarotti che deve decidere cosa fare.
E dunque sorge naturale l’interrogativo su quale possa essere la ricaduta elettorale. «Visti i numeri a cui è sceso il M5S, circa il 23%, una sfida per il secondo posto è possibile. Direi che un sorpasso da parte del Pd e dei suoi alleati è persino probabile», dice Antonio Noto.
«Ma i problemi del centrosinistra non si risolvono cambiando logo al Pd o con una lista unitaria. Il nodo è l’identità , il progetto. Ad oggi fuori dal Pd non c’è molto, la lista potrebbe dunque ambire a un 22-23% mettendo insieme quello che c’è. Ma l’obiettivo del 30% e di una sfida alla Lega resta molto distante».

(da agenzie)

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“CARO ZAIA, L’ITALIA E’ UNA, STAI ILLUDENDO I VENETI IMBOCCANDO UN VICOLO CIECO”

Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile

LA LETTERA APERTA DI PAOLA NUGNES (M5S) SULLA “AUTONOMIA DIFFERENZIATA” DELLA REGIONE

Caro governatore del Veneto Luca Zaia, grazie per la sua lunga e appassionata lettera ai cittadini del Sud.
È il segno di una presa di coscienza: non si può chiedere l’autonomia rafforzata per un territorio togliendo la parola a tutti gli altri.
Ma ci eravamo illusi che ci avrebbe detto e documentato di più in quella lettera, o almeno che ci avrebbe detto finalmente qualcosa della proposta che state elaborando alquanto segretamente nelle stanze dei decisori e di cui il Parlamento dovrà  prendere solo atto, ratificando o meno.
Non a caso il referendum del Veneto, come quello della Lombardia, ricordiamolo, ha un valore solo consultivo proprio perchè si arroga di decidere a livello regionale su tutta la Nazione.
La decisione ultima spetterà  al Parlamento, cioè ai rappresentanti di tutta l’Italia e non soltanto a una sua parte, tutta la nazione e il Parlamento devono quindi giustamente prendere parte al ” gran dibattito” di cui Lei parla, ma di cui si meraviglia fino a dirsi “allibito” cosa che non dovrebbe.
Ma a quanto capisco la sua perplessità  e timore nascono da un equivoco che i parlamentari si stiano organizzando ” contro le autonomie” e ciò non è vero o almeno non è completamente vero, perchè tutto dipende da cosa si propone e da come si vogliono realizzare le cose.
Fa strani riferimenti alla gente del Sud come a una « foresta che cresce quotidianamente » , immagine inquietante che mi suggerisce analogie con ” le invasioni” per altri versi e per altre genti paventate, ma sarà  solo una mia suggestione.
Si rivolge ad un Sud che lei dice «non ha mani avuto diritto di parola » , diritto che mi sembra Lei non sia però disposto a dargli, non aprendo alla discussione sulle autonomie e accelerando inspiegabilmente i tempi di una questione così importante per il Paese, che invece andrebbe portata all’attenzione di tutti, dibattuta e sviscerata nella sua complessità  a livello nazionale prima di pretendere di chiuderla in tempi così stretti e termini così poco conosciuti.
Fa poi riferimento al passato, partendo dalla seconda guerra mondiale, poi raddrizza dicendo che non vuol « fare il processo al passato » ; neanche io voglio andare lontano nel tempo anche perchè sarei costretta a riferirmi al secolo precedente quello della seconda guerra mondiale, mettendo sul tavolo della discussione troppe annose questioni, di cui, parlando appunto di processi, non si è mai avuta giustizia
Ma mi basta guardare agli ultimi decenni per avere ragioni di una penalizzazione certa del Sud.
A oggi, secondo i Conti pubblici territoriali, la quota di risorse ordinarie della P. A. centrale destinata al Mezzogiorno è di poco superiore al 28% a fronte del 34,4% di popolazione.
Al Centro- Nord siamo al 71,6% contro il 65,6% di popolazione.
Esiste addirittura una legge per riequilibrare questo, ma ancora stiamo aspettando e non sappiamo se ne vedremo l’applicazione con la necessaria direttiva del presidente del Consiglio, che dovrebbe individuare annualmente i programmi di spesa attraverso cui perseguire l’obiettivo del riequilibrio territoriale.
Non lo sappiamo a causa delle difficoltà  tecniche individuate nell’analisi della Svimez, che rileva notevoli criticità  di tipo tecnico o forse a causa di una precisa volontà  politica diffusa e trasversale che ben conosciamo.
Tornando alla lettera mi fa sobbalzare dalla sedia quando parla di “Stato Federale”, le vorrei ricordare ma vorrei lo facessero anche le persone che più le sono vicine e che le vogliono bene, che lo Stato federale è ancora solo una ideologia in questo paese, che vorrebbe la trasformazione della Repubblica Italiana in uno Stato federale.
Si dilunga poi su un paio di ossimori: federalismo centripeto e centralismo centrifugo, che sono tutti da discutere, per poi cadere in fine nella contraddizione del citare la Costituzione e di suggerirci di scrivere le modifiche che vogliamo.
Nessuna, noi chiediamo che venga proprio attuata la Costituzione anche per come mutata nel 2001, con la modifica del titolo V, stabilendo finalmente dopo 18 anni i LEP , e determinando la perequazione al 100% ( e non al 45,8, e non basandola su una inqualificabile e discriminante spesa storica come invece è stato fatto a gran discapito dei territori a minor gettito fiscale, riuscendo ad assegnare zero fabbisogni dove ci sono zero servizi! ) e vogliamo che tutto questo sia fatto semplicemente secondo legge, mai attuata. Perchè l’Italia è una e indivisibile, pur riconoscendo e promuovendo le autonomie locali, attuando nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adeguando i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Tutelando però, anche con potere di sostituzione sempre l’unità  giuridica e l’unità  economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.
In ultimo, ricordiamolo, l’autonomia regionale nasceva come presupposto di tutela e di aiuto per le regioni più deboli e più difficili, ne avete ribaltato il concetto.
Della richiesta di autonomia ci piace la voglia di assumersi maggiori responsabilità , nei territori del Nord e, perchè no, magari anche in quelli del Sud.
Non ci piace una cosa, però, sulla quale lei nell’ultima lettera non dice una parola, su cui però in passato si è espresso in modo chiaro: con quali criteri si calcolano i fabbisogni e si assegnano i soldi?
Non giriamoci intorno: già  nell’accordo preliminare stretto il 28 febbraio 2018 tra il Governo Gentiloni e la sua Regione, s’indica che per i fabbisogni standard si deve far riferimento, oltre che alla popolazione, al ” gettito dei tributi maturato nel territorio regionale”.
Questo significa che per scuola, sanità  e le altre ventuno materie per le quali il Veneto chiede l’autonomia si pretende che il “fabbisogno” sia maggiore dove c’è più Pil.
Cioè che un ricco abbia ” più bisogno” d’istruzione e cure rispetto a un povero, che una scuola di Treviso a parità  di studenti meriti più fondi di una scuola di Trapani per diritto di residenza ( si potrebbe arrivare al paradosso, seguendo questa logica, afferma Giannola, che Milano possa chiedere autonomia fiscale rispetto alla Lombardia e via Montenapoleone la potrebbe chiedere a Milano…).
E questo basandosi non solo sui gettiti fiscali locali ma anche su Irpef e Iva, che sono gettiti nazionali, non tenendo conto che il Pil del Nord dipende anche e soprattutto dalla spesa del Sud!
I principi di uguaglianza sono nella Carta per cui lei sta illudendo i veneti imboccando un vicolo cieco: l’attuazione forzata e incostituzionale della Costituzione.
Lei ha promesso che con l’autonomia potrà  pagare meglio gli insegnanti del Veneto. Complimenti! Tutti con più soldi in cassa riescono a fare bella figura.
La sfida dell’efficienza e della responsabilità  è spendere al meglio i soldi che ci sono, non chiederne ulteriori.
Va stabilita e erogata una spesa uguale per ogni cittadino italiano per i servizi essenziali e da quella si deve partire in modo che tutti abbiano gli stessi diritti e non decidere mai più una spesa diversa per il cittadino residente al Nord rispetto al cittadino residente al Sud.
Torni al senso originario dell’autonomia rafforzata – assunzione di responsabilità  senza aumentare la spesa rispetto a quella statale – e avrà  tutto il nostro appoggio. Sono sufficienti pochi interventi per raddrizzare l’albero storto del federalismo fiscale, ripetiamolo: – individuazione dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale; – calcolo dei fabbisogni standard con una metodologia unica nazionale che tenga conto dei reali fabbisogni delle persone e non della loro ricchezza o del diverso livello dei servizi storici erogati; – fondo di perequazione statale per evitare le attuali tensioni tra enti regionali o municipali, tensioni evidenti nel riparto del fondo di solidarietà  comunale.
Il Veneto è Italia, come la Puglia, la Campania, la Sicilia, la Toscana e qualsiasi altra regione della penisola.
Nessuno può immaginare di diventare più Italia di qualcun altro.

Paola Nugnes
parlamentare M5S

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CENTRODESTRA A PEZZI IN TOSCANA: A FIRENZE, PRATO E LIVORNO LA MELONI VA DA SOLA

Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile

LA LEGA RIVENDICA L’ULTIMA PAROLA SUI CANDIDATI E LA MELONI STRAPPA

Strappo nel centrodestra toscano. A quattro mesi dalle elezioni amministrative di Firenze, Prato e Livorno affiorano le prime spaccature interne alla coalizione di centrodestra che nell’ultimo periodo era riuscita a correre unita portando alle vittorie storiche di Pisa, Massa e Siena.
A pesare è l’assenza di candidati sindaci in grado di poter correre contro gli uscenti Nardella, Biffoni (Pd) e Nogarin (M5S) e così sabato Fratelli d’Italia ha deciso di rompere le righe annunciando i propri nomi: a Firenze sarà  il consigliere regionale Paolo Marcheschi, a Livorno il coordinatore cittadino Andrea Romiti mentre a Prato un nome non è ancora stato ufficializzato ma anche qui si preannuncia una candidatura in solitaria.
Ovviamente l’uscita di Fratelli d’Italia non è piaciuta per niente agli alleati di centrodestra: “Sono cose già  viste — ha detto il senatore e referente elettorale della Lega, Manuel Vescovi — Fratelli d’Italia ha voluto dire ‘ci siamo anche noi’, ma l’importante è trovare il candidato migliore facendo sintesi in tutto il centrodestra”. Anche Forza Italia non ci sta: “Quelle di FdI sono candidature di partito”, attacca il coordinatore degli azzurri in Toscana, Stefano Mugnai.
L’annuncio della candidatura di Marcheschi è arrivata dopo un incontro avvenuto giovedì a Roma tra i vertici regionali del partito toscano e la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che ha dato la linea: “Non è più il momento di attendere, adesso dobbiamo passare all’attacco”.
Marcheschi ha una lunga carriera di partito alle spalle: classe 1961, aderì a Forza Italia nel 1994 ma è sempre stato considerato l’anti-Verdini in una terra in cui i verdiniani hanno fatto il bello e il cattivo tempo.
Dal 2012 è passato a Fratelli d’Italia (“non mi riconoscevo più nella linea politica del Pdl di Verdini”, scrive nella sua biografia) e dal 2015 è consigliere regionale in opposizione alla giunta Rossi. Anche per la sua lunga militanza politica, è stato accolto quasi con fastidio dagli alleati di centrodestra: “Abbiamo una mezza dozzina di nomi di candidati superiori o di uguale livello a Marcheschi”, ha commentato Mugnai.
Anche a Livorno è sceso in campo il coordinatore di Fratelli d’Italia, Andrea Romiti.
Lo strappo di Fratelli d’Italia non è piaciuto per niente ai vertici regionali della Lega che, sulla scia dell’avanzata a livello nazionale, rivendica l’ultima parola sui tre candidati sindaci.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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SCRIVONO “IL PRESIDE E’ GAY” MA LUI NON FA CANCELLARE LA SCRITTA: “RESTI COME PIETRA D’INCIAMPO PER L’INTELLIGENZA UMANA”

Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile

“OFFENDE NON LA FALSA ATTRIBUZIONE MA CHE QUALCUNO L’ABBIA PENSATA COME OFFESA”… SOFIA: “FIERA DI ESSERE SUA FIGLIA”

Una risposta da vera e propria lezione da educazione civica alla stupidita dei solidi omobobi.
“Il preside è gay”. Questa la scritta comparsa ieri su un muro esterno del Liceo Scientifico Alfredo Oriani di Ravenna.
Ma quando alcuni docenti gliel’hanno fatto notare, il dirigente scolastico Gianluca Dradi ha deciso di lanciare un messaggio chiaro. “Ciò che offende – ha scritto il preside sul suo profilo Facebook – non è la falsa attribuzione di una condizione, ma il fatto che uno studente del mio liceo l’abbia pensata come un’offesa. Non la farò cancellare: resti lì come pietra d’inciampo per l’intelligenza umana.
“In un primo momento la mia reazione è stata semplicemente un’alzata di spalle – ha quindi spiegato Dradi al Resto del Carlino – Poi però ha prevalso l’idea di cogliere l’occasione per un piccolo gesto educativo nei confronti del presunto autore. A me non importa chi sia stato. Mi piacerebbe però che fra qualche tempo l’autore, ripassando davanti a quel muro, possa ravvedersi e vergognarsi di aver pensato che quell’epiteto fosse un’offesa. Il bullismo omofobo e non solo è una vera piaga che colpisce soprattutto gli adolescenti che vivono periodi di fragilità . Già  quest’anno ho avviato due procedimenti disciplinari straordinari per atti verso compagni, oltre ad adottare qualche intervento più leggero per episodi più circoscritti”.
Tra i commenti al post, che ha fatto rapidamente il giro del web, quello di Sofia Dradi: “Fiera di essere figlia di quest’uomo”. Da Gianluca Dradi “una lezione di civiltà “, commenta Gaynews.

(da agenzie)

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SFIGURATA DALLE BOMBE, MA TRUMP NEGA IL VISTO PER LE CURE MEDICHE DELLA RAGAZZINA SIRIANA

Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile

13 INTERVENTI PER RICOSTRUIRE PETTO E VOLTO USTIONATO…   SOLO UN INFAME SOVRANISTA POTEVA IMPEDIRLE DI CURARSI A BOSTON

Una storia di quelle che fanno rabbrividire per la disumanità  e l’odio dei nuovi potenti: una rifugiata siriana di 16 anni rimasta sfigurata in un bombardamento si è vista negare il visto per un trattamento medico negli Stati Uniti a causa del “Travel Ban” imposto dal presidente Donald Trump.
Dopo la fuga in Turchia, dove aveva ricevuto le prime cure, Marwa al-Shekh Ameen si era stabilita con tutta la sua famiglia in Germania, ma i medici tedeschi l’avevano incoraggiata a cercare trattamenti medici più sofisticati negli Stati Uniti.
La vicenda è stata raccontata dal quotidiano britannico The Guardian.
La ragazzina si è sottoposta a 13 operazioni per curare il trauma causato da ustioni di terzo grado alla faccia, al petto e alle braccia.
L’ospedale pediatrico Shriners di Boston le aveva fissato un appuntamento a novembre 2018 e un’agenzia di volontari del Massachusetts si era offerta di procurare un alloggio temporaneo per lei e suo padre.
Il governo americano le ha però negato il visto il 20 dicembre, sostenendo che non c’erano prove sufficienti per dimostrare che la ragazza sarebbe tornata in Germania. Il Travel Ban vieta l’ingresso ai cittadini di alcuni Paesi a maggioranza musulmana, tra cui la Siria.
Un diniego che aveva scioccato tutti, dato che tutti i sei fratelli di Marwa, inclusa una gemella, i genitori, i nonni e gli zii si erano stabiliti in Germania e si erano ben integrati nella loro nuova casa vicino a Norimberga.
“Marwa e la sua famiglia erano devastate. Erano pieni di speranza che il visto sarebbe stato concesso. Marwa si è rattristata al pensiero che i diritti umani non contino più””, ha riferito lo zio Nael al-Shekh Ameen.
Lo zio ha raccontato che dopo il rifiuto del visto, la ragazza ha smesso di mangiare in maniera normale e si è sentita male a scuola e a casa.
I medici tedeschi l’hanno fatta visitare in una clinica psichiatrica per lo stress legato all’impossibilità  di avere la tanto agognata operazione di ricostruzione chirurgica.
Il caso rievoca quello recente di una madre yemenita che ha ottenuto dagli Usa il visto per riabbracciare il figlio morente di due anni solo dopo che la sua vicenda ha ricevuto una risonanza internazionale. Dopo numerosi rifiuti, legati sempre al Travel Ban, la donna è riuscita a rivedere il piccolo una settimana prima che morisse.

(da Globalist)

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DE FALCO, NUGNES E FATTORI STANANO SALVINI E TONINELLI: “SE I PORTI NON SONO CHIUSI VIOLATI I DIRITTI UMANI, SCATTA LA DENUNCIA”

Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile

“FUORI I PROVVEDIMENTI” (CHE NON ESISTONO)… “SE NON CI SONO VI DENUNCIAMO ALLA CORTE SUPREMA UE”… FACILE RACCONTARE BALLE E FARE I RAZZISTI E NON RISPONDERNE MAI PERCHE’ NON CI METTONO LA FIRMA

Sulla chiusura dei porti c’è il rischio che possa essere adita la Corte europea.
E’ quanto prefigurano i senatori Elena Fattori, Paola Nugnes e Gregorio De Falco in un’interrogazione depositata nei giorni scorsi ai ministri Salvini e Toninelli per chiedere conto dell’esistenza o meno di provvedimenti sulla chiusura dei porti: se, dicono, “non esistessero, come si ritiene, o non fossero stati resi pubblici, si configurerebbe la possibilità  di una lesione ai diritti umani e dunque la possibilità  di agire anche presso Corti Ue”.
“Il Ministro dell’interno, in questi ultimi mesi, relativamente a navi che avevano effettuato salvataggi in mare, ha affermato che i porti italiani sarebbero stati e sono chiusi” ricordano i senatori nell’atto parlamentare ricordando che “in nessun Paese del mondo è possibile chiudere i porti in modo generalizzato, mentre in Italia è lecito vietare l’accesso di una nave o di una tipologia di navi in un tratto di mare territoriale, per ragioni specifiche, con provvedimento adottato dal Ministro delle infrastrutture”.
“Acclarato che nonostante non sussista alcun potere, nemmeno d’indirizzo, nè un dovere di consultazione, verso il Ministro dell’Interno, quest’ultimo ha più volte sostenuto il contrario, ovvero che sia stato adottato un provvedimento di chiusura dei porti” gli interroganti chiedono di sapere, tra le varie cose, “quali siano i provvedimenti che i Ministri in indirizzo avrebbero emanato con i quali sia stata determinata la chiusura dei porti, e se intendano renderli pubblici, in modo da poterne conoscere e valutare le motivazioni” e “se non convengano che, qualora siffatti provvedimenti non esistessero, come si ritiene, o non fossero stati resi pubblici, si configurerebbe la possibilità  di una lesione ai diritti umani e dunque la possibilità  di agire per la loro tutela, anche presso le Corti europee”.

(da “Huffingtonpost”)

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ALTRO BARCONE ALLA DERIVA, CENTO A BORDO, SI TEMONO MORTI: “GUARDIA COSTIERA LIBICA NON RISPONDE DA ORE, PROVATI SETTE NUMERI”

Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile

LA VERGOGNA DEL GOVERNO ITALIANO CHE DICE DI CHIAMARE NUMERI FASULLI DI UNA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE CHE ABBIAMO FINANZIATO CON 388 MILIONI DI EURO

Dramma senza fine nelle acque libiche. Un altro barcone con 100 persone a bordo è stato segnalato questa mattina da Alarm Phone, il sistema di allerta telefonico utilizzato per segnalare imbarcazioni in difficoltà , a 60 miglia al largo delle coste di Misurata. Il natante, che inizialmente non aveva chiesto aiuto, starebbe ora imbarcando acqua con le persone nel panico. A bordo potrebbero esserci morti, tra cui forse anche un bambino.
“Roma e Malta ci hanno istruito di contattare la guardia costiera di Tripoli come autorità  competente – scrivono su Twitter quelli di Alarm Phone – finora non abbiamo avuto alcuna risposta dalla Guardia costiera di Tripoli. Non possiamo nemmeno confermare che abbiano ricevuto il nostro messaggio. Stiamo chiamando tutti i numeri di telefono, finora senza successo”.
Nei giorni scorsi ci sono stati 170 morti in due naufragi: uno è avvenuto nel mare di Alboran (53 morti) tra la Spagna e il Marocco, l’altro a largo della Libia, tra venerdì e sabato, dove sarebbero decedute 117 persone, secondo quanto raccontato da tre superstiti.
“Il Mediterraneo deve essere un mare di pace, non una fossa comune”, ha dichiarato proprio stamani la Presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, durante la sua visita a Palermo. Le due tragedie hanno suscitato polemiche anche per l’effettiva capacità  di gestione delle autorità  libiche della propria zona Sar (Search and Rescue).
Al riguardo, gli attivisti di Sea Watch che ieri hanno messo in salvo 47 migranti, tra cui 8 minori non accompagnati, spiegano: “Siamo ancora in zona Sar ma nessuno si è assunto il coordinamento dell’operazione. Siamo stati rimandati ai libici che però non rispondono al telefono, non c’è modo di parlare con loro”.
Gli sviluppi o, meglio, i mancati sviluppi sono tutti nei tweet di Alarm Phone, che alle 15.14 scrive: “Abbiamo chiamato diverse volte i 6 diversi numeri della guardia costiera di Tripoli. Non sono raggiungibili. Ma esistono? Abbiamo informato Malta e Italia su questo e abbiamo ricevuto da Roma un settimo numero, ma anche questo non funziona. Al momento nessuna autorità  ci ha confermato il coordinamento Sar“.

(da agenzie)

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“MENO SBARCHI, MENO VITTIME”; LA MENZOGNA DEL MINISTRO DEGLI INTERNI SMENTITO DAI DATI UFFICIALI DEL SUO MINISTERO

Gennaio 20th, 2019 Riccardo Fucile

LA PERCENTUALE DI ANNEGATI RISPETTO AI PARTENTI E’ SALITA DALL’1,6% al 6,7% NELL’ERA SALVINI

Antonio Massaro sul Fatto Quotidiano oggi fa i conti in tasca alla logica del “Meno sbarchi, meno vittime” annunciata dal governo italiano in più occasioni come l’assunto imperante quando si parla di immigrazione irregolare dalle coste africane:
Nei primi 20 giorni dell’anno dati Oim e Unhcr aggiornati con le cifre delle ultime ore — abbiamo avuto 2706 sbarchi e 184 vittime: il 6,7 per cento dei migranti in viaggio è annegato.
E allora: è vero o falso che a un minor numero di partenze corrisponde un minor numero di vittime? […] Nel 2016, quando non esisteva il codice di condotta per le Ong e le loro imbarcazioni ancora sorvegliavano il Mediterraneo e la Libia non era autorizzata a coordinare i soccorsi, si contavano 362.753 sbarchi sulle coste europee. Il numero dei morti in mare era di 5.096 persone.
Nel 2017 — ad agosto parte l’operazione Minniti — il bilancio è di 3.139 vittime su 172.301 persone sbarcate. I morti in mare sono quindi 1.957 in meno.
Lo scorso anno i migranti sbarcati scendono ulteriormente- sono 138.882 — e cala ulteriormente il numero delle vittime: 2.275. Meno della metà  rispetto al 2016.
Se guardiamo il fenomeno in termini percentuali, però, la probabilità  di morire in mare è invece aumentata.
Nel 2016 è dell’1, 4 per cento, nel 2016 del 1,8, nel 2018 dell’1,6. In altre parole diminuiscono i morti ma cresce la possibilità  di morire.
Nei primi 20 giorni del 2019 la media è schizzata dall’1,6 al 6,7 per cento.

(da “NextQuotidiano”)

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