Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
LA NOTIFICA È ARRIVATA ALLA SOCIETÀ DEL CANE A SEI ZAMPE INSIEME AD ALTRE AZIENDE PETROLIFERE COME LA SPAGNOLA REPSOL E LA FRANCESE MAUREL & PROM… E MENO MALE CHE PER LA PREMIER, GIORGIA MELONI, GLI USA SONO IL NOSTRO PRIMO ALLEATO
L’italiana Eni ha confermato domenica di aver ricevuto dalle autorità statunitensi la
notifica che non le sarà più permesso di essere ripagata per la produzione di gas in Venezuela attraverso le forniture di petrolio fornite dalla compagnia petrolifera statale venezuelana PDVSA.
La Reuters aveva riportato sabato che il governo statunitense aveva notificato ai partner stranieri della PDVSA, tra cui l’Eni, l’imminente cancellazione delle autorizzazioni che consentono loro di esportare petrolio e sottoprodotti venezuelani.
“Eni continua il suo impegno trasparente con le autorità statunitensi sulla questione per identificare le opzioni per garantire che le forniture di gas non sanzionate, essenziali per la popolazione, possano essere remunerate da PDVSA”, ha dichiarato l’azienda energetica italiana in un comunicato. “Eni opera sempre nel pieno rispetto del quadro sanzionatorio internazionale”, ha aggiunto.
Il presidente del Venezuela Nicolas Maduro ha criticato le sanzioni, affermando che si tratta di una “guerra economica”.
Tra le società che hanno ricevuto licenze e lettere di conforto da Washington figurano anche la spagnola Repsol, la francese Maurel & Prom, l’indiana Reliance Industries e la statunitense Global Oil Terminals.
La vicepresidente del Venezuela, Delcy Rodriguez, ha confermato domenica sui social media che il governo era stato informato della decisione di cancellare queste autorizzazioni. “Eravamo preparati a questo momento e siamo pronti a continuare a rispettare i contratti di queste aziende”, ha scritto, aggiungendo che le aziende straniere non hanno bisogno di una licenza o di un’autorizzazione da parte di un altro governo in Venezuela.
“Siamo un partner affidabile e continueremo a rispettare gli accordi raggiunti con queste compagnie”. La maggior parte delle aziende aveva già sospeso le importazioni di petrolio venezuelano in seguito all’imposizione questa settimana da parte di Trump di tariffe secondarie sugli acquirenti di petrolio e gas venezuelani, secondo le fonti e i dati di tracciamento delle navi.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
NEL 2025 IL TEMPO SETTIMANALE DEDICATO ALLA LETTURA DI LIBRI DA PARTE DEI RAGAZZI TRA I 10 E I 14 ANNI È DI UN’ORA E 43 MINUTI, CONTRO 10 ORE E 28 MINUTI TRASCORSI SU TABLET E SMARTPHONE
Il 70% degli italiani nella fascia 0-14 anni legge solo fino a sei libri a stampa all’anno, il 4% non legge. Il valore del mercato dei libri per bambini e ragazzi in Italia nel 2024 è di 258,2 milioni di euro, in lieve flessione (-0,2%) dopo la crescita dell’anno precedente.
Il comparto mantiene la sua centralità all’interno dell’editoria italiana, ma ci sono profondi cambiamenti nei comportamenti di lettura e nei consumi culturali dei più giovani, come mostra la ricerca dell’Osservatorio Kids dell’Associazione Italiana
Editori (realizzato con Pepe Research ogni due anni) presentata nel giorno d’inaugurazione della Bologna Children’s Book Fair, il 31 marzo all’incontro ‘La lettura tra gli 0-14enni oggi’.
Il voto medio complessivo sul piacere della lettura è una sufficienza stentata: 6,4. Forte è la concorrenza di tablet e smartphone. Mediamente, nel 2025 il tempo settimanale dedicato alla lettura di libri tra gli 0 e i 14 anni è di un’ora e 55 minuti contro le 7 ore e 6 minuti di tablet e smartphone. La forbice è particolarmente ampia nella fascia 10-14 anni: un’ora e 43 minuti contro 10 ore e 28 minuti.
Il ritratto che emerge è di lettori occasionali, non molto appassionati e distratti da smartphone e tablet. Nella fascia 0-14 anni, conteggiando sia la lettura di libri a stampa che sul digitale, ascolto di audiolibri, piattaforme di narrazione online, app, in Italia legge il 99% della popolazione. I soli libri a stampa (illustrati compresi) sono letti dal 96%, una percentuale significativamente superiore al 68% della popolazione italiana sopra i 15 anni. Però, se guardiamo alla frequenza, solo un bambino o ragazzo ogni quattro (26%) legge più di sei libri a stampa l’anno.
Anche la spesa degli italiani in libri per bambini e ragazzi nel 2024 ha registrato un calo: è stata pari a 276,8 milioni di euro, in flessione dello 0,4% rispetto al 2023. Nel valore sono compresi 18,6 milioni di euro di fumetti per bambini e ragazzi (-2,2%). Le copie comprate sono state 24,2 milioni (-0,8%), comprese 1,3 milioni di copie di fumetti (-3,8%).
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
LA COLPA È DEI GENITORI: A QUELL’ETÀ IL 28% DEI BAMBINI POSSIEDE UNO SMARTPHONE E L’83% USA UN TABLET … LA DIPENDENZA DAI SOCIAL HA CONSEGUENZE: UN BIMBO ESPOSTO PER UN’ORA E MEZZO AL GIORNO DAVANTI AD UNO SCHERMO HA IL 35% DI PROBABILITÀ DI SVILUPPARE DISTURBI DI SOCIALITÀ E RISCHIA 10 VOLTE DI PIÙ DI ANDARE INCONTRO A DISTURBI DI ATTENZIONE
Dalle relazioni virtuali che già creano problemi nel rapportarsi al mondo reale
all’isolamento in una bolla. Che è poi l’anticamera, non solo della depressione, ma della difficoltà a gestire emozioni e rabbia, oltre che dell’intolleranza verso ciò che è «altro» rispetto ai modelli che i «social» ci impongono. Un male oscuro che colpisce non più solo la nostra gioventù, ma ancor prima l’adolescenza, come racconta la serie del momento Adolescence.
La svolta ha origine con TikTok. «Se devo indicare una piattaforma più insidiosa di altre rispetto al rischio di depressione e disturbi alimentari allora indico questa», afferma la psicoterapeuta Laura Dalla Ragione, consulente del ministero della Salute per i disturbi alimentari, che spesso ha origine dai social.
TikTok è cresciuta così velocemente che Instagram e Facebook stanno facendo di tutto per copiare la sua ricetta del successo. Che consiste in una vera rivoluzione, perché se i primi arrivati hanno puntato sula creazione di una comunità, con tutti i
rischi e i benefici che questo comporta, TikTok spinge i suoi utenti verso una bolla.
Questo grazie ai suoi algoritmi top secret, che con maggiore velocità rispetto al passato non propongono più video e contenuti da condividere con gli «amici», bensì solo quelli adatti ai miei gusti personali. «Così nessuno sa più chi vede cosa. Con tutte le conseguenze che questo comporta, ossia il senso di solitudine e il moltiplicare all’infinito i problemi che ciascuno si porta dentro», afferma l’esperta.
Che il problema della dipendenza da social in genere sia serio lo dimostra il fatto che la Florida li ha messi al bando per chi ha meno di 16 anni mentre New York è stata la prima città a dichiarare i social media un pericolo per la salute, soprattutto mentale. «Dannosi per i ragazzi come il fumo e le armi», ha rincarato la dose il sindaco Eric Adams.
Il problema è che si sta abbassando paurosamente l’età in cui si comincia a restare imbrigliati nella Rete. «Il 33% dei bambini italiani di età compresa tra i 5 e i 7 anni usa i social e ha un proprio profilo, anche se l’età minima per iscriversi sarebbe 14 anni», rivela Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione nazionale delle dipendenze tecnologiche. Già a quell’età infatti il 28% possiede uno smartphone, l’83% usa un tablet e il 23% un laptop, il 74% guarda Tv o film sui device, il 93% utilizza piattaforme di videosharing e il 59% siti o app di messaggistica.
«Prima approcciavamo gli adulti, poi gli adolescenti, ora i bambini appena nati perché – afferma Lavenia – non c’è salute senza salute mentale e non c’è salute mentale senza benessere digitale: un bimbo esposto per un’ora e mezzo al giorno davanti ad uno schermo ha il 35% di probabilità di sviluppare disturbi di socialità a 5 anni e rischia 10 volte di più di andare incontro a disturbi di attenzione a 7 anni.
Nei loro primi 1000 giorni di vita ci giochiamo il loro sviluppo cognitivo e non è un caso se continuano a crescere deficit di attenzione, iper-emotività e anche difficoltà da più grandi a gestire momenti di frustrazione, come ad esempio l’essere lasciati dal partner».
L’indagine più completa sui danni da social network l’ha però condotta il prestigioso Royal Society for Public Healt britannico. A soffrire di dipendenza dai social sarebbe ormai il 5% della popolazione giovanile, in particolare quella tra i 16 e i 24 anni che sta più attaccata a Instagram, TikTok e altri utilizzati dal 91% di loro. Detta così potrebbe fare poco effetto, ma guardando all’Italia sono oltre mezzo milione i ragazzi e adolescenti con la mente intrappolata nella Rete.
Ma per subire danni non c’è bisogno di entrare in uno stadio di dipendenza, perché basta superare le due ore al giorno su social come Facebook, X o Instagram «per avere maggiori probabilità di avere una cattiva salute mentale», in particolare ansia e depressione. Disturbi seri, dei quali secondo i ricercatori britannici soffrirà un
giovane su sei nel corso della vita.
E il problema è che il disagio psichico rischia di rimanere sommerso, dato che la stessa ricerca evidenzia come trascorrere parecchie ore sui social comporti anche «avere una scarsa autovalutazione della propria salute mentale», nonostante la presenza di un disagio psicologico che gli esperti hanno già etichettato come «depressione da Facebook»
Per non parlare del fenomeno in crescita del cyberbullismo, subìto oramai sui social da 7 giovani su 10, il 37% in misura elevata. E come in un circuito perverso, i cyberbullizzati sono poi quelli con maggiori probabilità di avere un basso rendimento scolastico, depressione, ansia, autolesionismo e disturbi alimentari.
Tra i boomers è difficile trovare chi sappia cosa significhi, ma tra i giovani social l’acronimo inglese FoMO, che sta per «paura di essere esclusi», è un termine di moda che nasconde quell’ansia sociale che non fa staccare i ragazzi dalla Rete per paura di perdere un evento, come un concerto o la festa cool di qualche amico. Una condizione che genera poi ansietà e senso di inadeguatezza. Anticamere del disagio mentale.
Poi il segno meno inizia a prevalere sia pur di poco con X e le cose vanno ancora peggio con Facebook, mentre Snapchat e Instagram si collocano al 4° e 5° posto. E ancora peggio per i ricercatori italiani vanno i più recenti Telegram e TikTok.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI TREMILA STRUTTURE SOTTERRANEE O SCAVATE NELLE MONTAGNE, ALL’INTERNO DELLE QUALI SI TROVANO CACCIA A REAZIONE E SOTTOMARINI NUCLEARI… NELL’HANGAR DI BARDUFOSS, AL CONFINE RUSSO, POTREBBERO TROVARE SPAZIO GLI F-35 NORVEGESI
La vicinanza della Norvegia all’Urss portò, durante la Guerra Fredda, alla costruzione di molti bunker militari, alcuni dei quali erano vaste basi segrete per aerei e navi. Le tensioni con la Russia – scrive la Bbc – hanno riportato al centro dell’attenzione i bunker nascosti nelle caverne delle montagne, all’interno dei quali ci sono caccia a reazione e sottomarini nucleari.
Al culmine della Guerra Fredda, il paese aveva circa 3.000 strutture sotterranee dove le sue forze armate e gli alleati potevano nascondersi. Oggi, a causa della guerra che travolge l’Ucraina orientale, Oslo sta riattivando due delle sue strutture sotterranee più iconiche
Vicino al confine della Norvegia con la Russia a nord del Circolo Polare Artico, gli hangar della stazione aerea di Bardufoss e la base navale di Olavsvern sembrano appartenere a un film di spionaggio, con le loro pareti di roccia grezza, il cemento scintillante e l’equipaggiamento militare.
Scavata nel fianco di una montagna, protetta da circa 275 metri di dura roccia, la base di Olasvern è particolarmente suggestiva con il suo tunnel di uscita lungo 909 metri completo di enorme porta anti-esplosione. Nelle foto pubblicitarie per la riattivazione degli hangar di Bardufoss, si vedono il caccia Lockheed Martin e l’F-35 Lightning II. Inaugurata nel 1938, la stazione aerea fu un tempo utilizzata dai caccia tedeschi per proteggere la gigantesca corazzata Tirpitz mentre era ancorata in un fiordo vicino.
Dopo la guerra, la Royal Norwegian Air Force utilizzò gli hangar di montagna per proteggere i suoi caccia da un possibile attacco sovietico. Questi hangar includevano tutto ciò di cui gli aerei e i loro piloti avevano bisogno, come lo stoccaggio del carburante e delle armi, lo spazio per la manutenzione dei sistemi dell’aereo e le aree per l’equipaggio.
Poi circa 40 anni fa fu chiuso, ma ora sembra che Bardufoss possa tornare ad essere necessario. Il ruolo della base riattivata che ha ricevuto aggiornamenti strutturali e di equipaggiamento è quello di proteggere gli F-35 norvegesi di fronte a un attacco di Mosca. L’invasione russa dell’Ucraina ha mostrato al mondo quanto possano essere vulnerabili costosi aerei militari come gli F-35 da 80-110 milioni di dollari quando sono a terra, in particolare agli attacchi dei droni “kamikaze” che possono costare appena 300 dollari.
La base navale di Olavsvern, situata vicino al punto in cui il Mare di Norvegia incontra il Mare di Barents, fu costruita a partire dagli anni ’50, in risposta all’aumento della Flotta del Nord sovietica. Costata circa 450 milioni di dollari, la base, con il suo centro di comando sotterraneo, il deposito, il bacino di carenaggio in acque profonde e il tunnel di uscita, fu un’impresa così imponente per la Norvegia, che la Nato dovette finanziarne gran parte. L’Unione Sovietica, intanto, si era sgretolata quando fu completata.
Nel 2009 il parlamento norvegese ha votato a stretta maggioranza per chiudere la base top secret di Olavsvern nonostante la crescente minaccia della Russia e nel 2013 è stata venduta a investitori privati ben al di sotto del valore di mercato. La nuova proprietà ha permesso a due navi da ricerca russe e a pescherecci russi di utilizzare la struttura.
Nel 2020, WilNor Governmental Services, con stretti legami con l’esercito norvegese, ha acquistato la maggioranza della società. Da allora ha iniziato a riparare e aggiornare il sito e c’è stata una crescente presenza militare nella base, e anche la Marina degli Stati Uniti è interessata a basare lì i suoi sottomarini nucleari.
Le preoccupazioni per la sicurezza della Norvegia non sono iniziate nel 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, o nel 2014, quando ha invaso la Crimea, ma prima. “Intorno al 2006-2008, c’è stata una confluenza di cose. C’erano molti investimenti nella Flotta del Nord della Russia”, afferma Andreas Østhagen, ricercatore senior presso il Fridtjof Nansen Institute, una fondazione norvegese, “insieme alla ripresa delle esercitazioni militari russe nell’Artico per la prima volta dalla Guerra Fredda e al crescente interesse della Russia nello sfruttamento delle risorse artiche”.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
IL GRUPPO DI VIOLENTI IN REALTA’ ERA COMPOSTO DA NEGAZIONISTI DEL COVID …L’INTERNAZIONALE CRIMINALE SOVRANISTA FA PASSARE I SUOI AMICI PER MIGRANTI VIOLENTI
Circola un video in cui si vede la Polizia fuggire di fronte alle violente proteste di un
gruppo di persone, identificate dagli utenti online come una «banda di immigrati», per le strade di una città spagnola.
Non viene indicato il nome della città, né la data esatta del presunto fatto. Non lo fanno per un motivo semplice: verrebbero subito smentiti. Infatti, il video si riferisce a tutt’altra vicenda.
Per chi ha fretta
Il video risulta datato e ripreso nell’ottobre 2020.
Il fatto è avvenuto nel quartiere Gamonal di Burgos, Spagna.
La “banda” violenta era composta da negazionisti della Pandemia Covid-19.
Analisi
Il video viene accompagnato dalla seguente descrizione:
Lasciamo che questo video si diffonda in tutta la Spagna e in Europa, se possibile. Il nostro problema sono gli europei bianchi che stanno appoggiando tutto questo. Quegli idioti che danno del razzista a chi protegge la sua patria…
Il testo del post è composto da un testo iniziale presente nella pubblicazione X del 27 marzo 2025 dell’utente Roberto Avventura, noto per la diffusione di falsità online (alcuni esempi qui, qui e qui).
Non era una “banda di immigrati”, ma una banda di negazionisti
Il video non è odierno. Risulta pubblicato sui social almeno dall’ottobre 2020, come possiamo notare dalle condivisioni su X dell’epoca.
Il video non riprende degli immigrati che affrontano la Polizia spagnola. Come riportato dai media spagnoli dell’epoca, come 20minutos, gli agenti dovettero affrontare i negazionisti della pandemia Covid-19 nel quartiere Gamonal di Burgos.
Conclusioni
Il video viene usato per sostenere la narrazione anti immigrazione, ma in realtà si tratta di una testimonianza della violenza da parte dei negazionisti della Covid-19.
(da Open)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
LE DEPORTAZIONI DEI MIGRANTI INVECE PIACCIONO: IL 53% DEGLI ADULTI APPROVA LE MISURE DEL CALIGOLA DI MAR-A-LAGO SULL’IMMIGRAZIONE
Un sondaggio condotto da CBS News/YouGov indica che la maggior parte degli americani ritiene che il presidente Donald Trump stia ponendo troppa enfasi sui dazi commerciali e non abbastanza sulla riduzione dei prezzi al consumo. In particolare, il 55% degli intervistati sostiene che Trump si concentri eccessivamente sui dazi, mentre il 64% afferma che non stia facendo abbastanza per abbassare i prezzi dei beni di consumo.
Le politiche di immigrazione di Trump ricevono invece un sostegno significativo. Il 53% degli adulti approva le sue misure in materia di immigrazione, che includono azioni aggressive contro le organizzazioni criminali transnazionali e una riduzione degli attraversamenti illegali delle frontiere.
È interessante notare che, sebbene l’inflazione sia una delle principali preoccupazioni per gli elettori, solo il 32% approva la gestione di Trump in questo ambito. Tuttavia, il presidente mantiene un sostegno significativo per le sue politiche di deportazione, con il 58% degli americani favorevole all’aumento delle deportazioni di immigrati illegali.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI ANNA ZAFESOVA: “I COMMENTATORI MOSCOVITI CONCORDANO ORA CHE PUTIN HA UNO SPAZIO DI MANOVRA LIMITATO: FINO AL 20 APRILE, GIORNO DI PASQUA, COME DATA DA CUI FAR SCATTARE LA TREGUA, O AL MASSIMO FINO AL 9 MAGGIO, QUANDO A MOSCA VERRÀ CELEBRATO L’80ESIMO ANNIVERSARIO DELLA VITTORIA SUL NAZISMO”… LA CASA BIANCA HA FRETTA, NON VUOLE IMPANTANARSI IN UN NEGOZIATO LUNGO, ESTENUANTE”
A Mosca, e a Kyiv, se lo chiedevano da tempo: cosa sarebbe successo il giorno che
Donald Trump si sarebbe arrabbiato con Vladimir Putin? Non c’erano molti dubbi che questo momento fosse inevitabile. Il padrone del Cremlino non aveva concesso alla Casa Bianca praticamente nulla, nemmeno un cessate-il-fuoco di 30 giorni, nemmeno un gesto di distensione nell’interruzione dei bombardamenti delle città ucraine.
I missili e droni russi hanno proseguito a cadere, prima, durante e dopo i negoziati tra le delegazioni russa e americana a Riad, e si sono anzi intensificati negli ultimi giorni Trump non poteva continuare a ignorare le foto che riempivano le prime pagine dei giornali internazionali, se non altro perché ferivano il suo orgoglio di «grande negoziatore» pronto a portare la pace.
Tutti i commentatori moscoviti concordano ora che Putin ha uno spazio di manovra temporalmente limitato: fino al 20 aprile, giorno di Pasqua, simbolico come data da cui far scattare la tregua anche perché segna la fine del terzo mese di presidenza trumpiana, o al massimo fino al 9 maggio, quando in piazza Rossa verrà celebrato sontuosamente l’80° anniversario della vittoria sul nazismo, occasione nella quale non dispera ancora di coinvolgere Trump.
Che la Federazione Russa non voglia la tregua è abbastanza evidente a tutti, anche perché è il suo stesso leader ad averlo dichiarato in più occasioni: quello che chiede a Washington è «la risoluzione del problema alla radice», cioè l’annessione dei territori ucraini occupati dai russi e l’eliminazione dell’autonomia politica della sua parte restante. dai dettagli resi pubblici sembra che Mosca non fosse disponibile ad alcuna apertura o compromesso, aggiungendo condizioni sempre nuove a intese apparentemente già raggiunte, e cambiando bruscamente le carte in tavola
Finora, il dialogo tra Putin e Trump, che anche ieri ha ribadito di avere un «ottimo rapporto» con il dittatore russo, si è basato più sulle affinità ideologiche che sulle intese raggiunte. Il disprezzo verso l’Europa, l’odio nei confronti di Volodymyr Zelensky, e soprattutto la visione condivisa dei rapporti internazionali come dominati dalla forza militare che giustifica l’espansionismo territoriale: è evidente che Vladimir e Donald hanno molto in comune, e infatti il secondo ribadisce che potrebbe farsi passare la rabbia verso il primo se solo «si comporta correttamente».
Ma, nonostante questa sintonia a Mosca vedono che il presidente americano non è in grado di realizzare molte delle sue promesse: non ha sospeso gli aiuti all’Ucraina se non per un paio di giorni, non è riuscito a “cancellare” Zelensky, semmai rinforzato dal suo litigio alla Casa Bianca, non ha piegato gli europei che Putin considerava […] sottomessi a Washington. La speranza russa di spartirsi il mondo in una “nuova Yalta” sta rapidamente evaporando.
La sfuriata di Trump verso Putin potrebbe venire letta però anche come un gesto di “equidistanza” dalla Russia, dopo che era stato criticato da più parti per non essere un mediatore imparziale. Una strigliata per mostrare a Zelensky che è pronto addirittura a difenderlo (dalle stesse accuse di illegittimità che Trump gli aveva mosso un mese fa, salvo negarle poi), e spingere Putin ad accelerare.
Perché la Casa Bianca ha fretta, non vuole impantanarsi in un negoziato vero, lungo, estenuante e paziente, come di solito fa la grande diplomazia. […] Se invece si “arrabbiasse” davvero, scagliandosi contro la Russia con nuove sanzioni (che colpirebbero anche i suoi partner commerciali come India e Cina), il Cremlino non farebbe altro che proseguire la sua linea degli ultimi anni: guerra calda contro l’Ucraina, guerra fredda contro l’Occidente
Anna Zafesova
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
IL SONDAGGIO NEL REGNO UNITO: I PRIMI TRE FATTORI CHE CONTRIBUISCONO A FAR SENTIRE I RAGAZZI TRA I 16 E I 29 ANNI NERVOSI, ANSIOSI O TESI SONO LE PREOCCUPAZIONI FINANZIARIE (37%), LE PRESSIONI LAVORATIVE (23%) E LA PRECARIETÀ DEL LAVORO O LA DISOCCUPAZIONE (20%). SOLO DOPO ARRIVANO SOCIAL MEDIA (14%) E CAMBIAMENTI CLIMATICI (10%)
Classe, istruzione e genere hanno influenzato le differenze di opinione, ma l’ansia per le finanze è stata un tema comune
I giovani sono più preoccupati per le loro finanze, le pressioni lavorative e la precarietà del lavoro che per i social media, la crisi climatica e i dibattiti sulla guerra culturale. Il sondaggio mette anche in discussione la caratterizzazione semplicistica del conflitto generazionale, rivelando che le differenze all’interno della generazione Z, siano esse di classe, istruzione o genere, sono spesso più pronunciate delle differenze tra le generazioni, scrive The Guardian.
La ricerca, basata su un ampio sondaggio tra i giovani dai 16 ai 29 anni per il UK Youth Poll 2025, pubblicato dal John Smith Centre dell’Università di Glasgow, ha anche rilevato che molti in tutto il Regno Unito credono ancora nella democrazia, ma sono preoccupati per il suo futuro. È diffusa l’idea che i giovani preferiscano un governo autoritario, ma la democrazia è stata sostenuta contro la dittatura dal 57% contro il 27%. Tuttavia, i giovani concordano sul fatto che “la democrazia nel Regno Unito è in difficoltà” per il 63% contro il 24%.
La generazione Z non è nemmeno consumatrice passiva di politica: tre quarti affermano di aver partecipato a qualche tipo di attività politica negli ultimi 12 mesi.
Il sondaggio, condotto in collaborazione con Focaldata e integrato da interviste approfondite, ha rilevato che i primi tre “maggiori fattori che contribuiscono a farti sentire nervoso, ansioso o teso” sono le preoccupazioni finanziarie (37%), le pressioni lavorative (23%) e la precarietà del lavoro o la disoccupazione (20%), molto più avanti dei social media (14%) e dei cambiamenti climatici (10%).
Gli intervistati avevano ancora forti opinioni sui social media: il 67% ha dichiarato che dovrebbero essere vietati ai minori di 16 anni, rispetto al 28% che non era d’accordo, mentre il 67% ha affermato che la mascolinità tossica sta diventando più comune rispetto al 21% che non era d’accordo, e il 42% ha convenuto che il femminismo ha fatto più male che bene, rispetto al 45% che non era d’accordo.
“I giovani sono consapevoli di vivere in tempi molto difficili”, ha detto Barnes. ”Quindi non stanno liquidando come irrilevanti le cosiddette questioni di guerra culturale, ma hanno questioni più urgenti che riguardano la loro vita quotidiana. Una delle cose più interessanti è stata il fatto che la criminalità è molto più importante in termini di priorità rispetto all’ambiente”.
Sebbene il sondaggio abbia rilevato che la maggior parte dei giovani ha posizioni politiche fluide e moderate, ha anche evidenziato una minoranza energica di giovani uomini di destra, che sono l’unico segmento che preferisce la dittatura alla democrazia. Questa è stata anche una delle divisioni interne più evidenti, con il 26% dei giovani uomini che ha dichiarato di essere favorevole a Reform UK, rispetto al 15% delle giovani donne.
La Generazione Z è un “gruppo altamente eterogeneo”, conclude il rapporto, le cui opinioni su politica, democrazia e il proprio futuro variano enormemente a seconda del contesto socioeconomico.
Mentre il 70% di coloro che lavorano a tempo pieno sono ottimisti sul proprio futuro personale, solo il 44% di coloro che non lavorano condivide questa visione.
(da “The Guardian”)
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Marzo 31st, 2025 Riccardo Fucile
IL GIUDICE: “PER LUI NIENTE ESPULSIONE”… IL MIGRANTE: “ORA VOGLIO IMPARARE L’ITALIANO”
Per due volte gli era stata negata la protezione internazionale, ma quando ha visto cosa
fa ogni giorno, il giudice ha deciso di dargli tempo fino al 2030, sospendendo la decisione della commissione territoriale, su cui c’erano anche degli errori procedurali
Doveva essere espulso, ma quando il giudice ha visto le foto di quello che fa ogni giorno, ha deciso che potrà rimanere in Italia almeno fino al 2030. Il protagonista della storia si chiama Happy Ijebor. Ha 28 anni e viene dalla Nigeria, da cui è scappato perché, come racconta lui stesso al Corriere del Veneto, nel suo Paese d’origine è perseguitato per motivi religiosi. Dal 2016 vive a Padova, dove è molto noto perché non avendo un lavoro, in questi otto anni si è reso utile pulendo le strade e i marciapiedi dei quartieri nella zona Sud-Ovest della città.
La protezione internazionale negata
Per due volte la commissione territoriale gli ha negato la protezione internazionale e il relativo diritto a restare su suolo italiano. «Manifesta infondatezza», ha scritto riguardo le motivazioni del giovane nigeriano, invitandolo a lasciare il nostro paese. Temendo il rimpatrio, Happy ha presentato ricorso. Dopo un’intensa battaglia legale, assistito da Aleksandra Stukova, dottoressa in legge dello studio dell’avvocata Caterina Bozzoli, il giudice ha concesso la sospensione della decisione della commissione fino al 2030, rilevando che la commissione non ha rispettato i tempi della procedura accelerata che era stata applicata al caso di Happy.
«L’Italia mi piace»
In un’intervista rilasciata a Pierfrancesco Carcassi, Happy si dice felice della sentenza di sospensione, e assicura che non smetterà di pulire le strade di Padova: «Lavoro come prima (dà due colpi di ramazza, ndr). Ma sono molto, molto felice. L’Italia mi piace e ci tengo a stare qui, non voglio andare in altri Paesi in Europa». Il percorso che Happy ha seguito per arrivare fin qui, come quello di molti altri nella sua situazione, non è stato facile. Il 28enne racconta di aver attraversato «il deserto, la Libia, il Mediterraneo». Poi, «mi hanno portato in due campi (gli hub di accoglienza nel periodo più intenso degli sbarchi, ndr), prima nell’ex base militare di Bagnoli (nel Padovano, ndr), e poi a Torreglia». «Così ho iniziato a pulire le strade»
L’Italia non gli ha dato subito l’opportunità che cercava, così Happy ha deciso di crearsela: «Quando sono uscito dai campi non sapevo che fare, ero da solo. Non avevo documenti, non avevo un lavoro. Nel 2020 mi sono detto: che posso fare? Io non faccio casino, non voglio problemi, non posso andare avanti a elemosine. Con i pochi soldi che avevo ho comprato scopa e sacchetti e ho cominciato. Pulisco tutta la via, qui e in altri quartieri, lavoro dalle 8 alle 12 o alle 13 quando serve. Raccolgo foglie e sporcizia in un sacchetto e le butto nel cestino». Ora Happy non fa più l’elemosina, ma molti si fermano per dargli qualche moneta e salutarlo se lo vedono in giro. Qualcuno gli chiede anche di spazzare il proprio giardino.
La famiglia in Nigeria
Vive «in casa di un amico a Padova, in un altro quartiere. Contribuisco alle spese con i soldi che riesco a raccogliere. Ma spero di riuscire a trovare un lavoro e di imparare l’italiano», racconta. Ora ha quattro anni e mezzo di tempo per farlo. «Ero elettricista, ma vorrei cambiare: mi andrebbe bene anche fare il magazziniere. Lì ho una moglie e tre figli, li sento ogni settimana, quando va bene. Un giorno spero di portarli qui in Italia». Non li ha ancora avvisati della buona notizia. «No, no, è troppo presto. Prima di farlo voglio aspettare che le cose si sistemino, di essere stabile e di avere un lavoro».
(da agenzie)
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