Marzo 24th, 2025 Riccardo Fucile
“PRIMA O POI, MELONI RIPROPORRA’ LA SUA RIFORMA SUL SISTEMA COSTITUZIONALE”
L’Italia è un Paese fallito.
Professor Michele Ainis, così definitivo, così pessimista?
Santificare, ormai da qualche decennio, l’idea dell’appartenenza, farla cioè trionfare sulla competenza, ha prodotto l’esito a cui oggi assistiamo: tutto il potere (o quasi) ai mediocri.
La mediocrità come sistema, come progetto e destino comune.
Vogliamo misurare il livello attuale della discussione pubblica? Nel secolo scorso, e qui riassumo sommariamente, abbiamo avuto menti grandiose. Dico tre nomi alla rinfusa di scienziati e pensatori pescando in un cartello enormemente ricco e vario di personalità: Norberto Bobbio, Umberto Eco, Rita Levi Montalcini. Oggi neanche col lumicino, neanche alla lontana siamo in grado di avvistarne la metà della metà.
Recessione economica più recessione culturale più recessione civile.
Oggi, è terribile dirlo, i venti di guerra sproneranno tutti a correre verso il falso pozzo della sicurezza. Ricordare quel che diceva Freud: tutti noi faremo volentieri a meno di un po’ di libertà e di un po’ di felicità per godere di un briciolo di sicurezza in più.
Svuoteremo quel che rimane della democrazia.
Intanto c’è da dire che la democrazia, come sistema di rappresentanza popolare, risulta un’eccezione nella vasta compilazione costituzionale mondiale.
Corsa al riarmo e corsa ad affidare il potere nelle mani di uno solo. L’uomo (o la donna) soli al comando.
Assolutamente sì. La guerra in Ucraina, tra gli altri effetti, produrrà quello di essere un balsamo nel finale di partita della riforma costituzionale disegnata in Italia da questo governo.
Vincerà la riforma della Meloni? Il premier che decide quasi tutto, nomina il governo e lo dimette insieme al Parlamento.
Penso che sul finire della legislatura la premier tirerà fuori la sua riforma che oggi ha messo in stand by perché impaurita da un referendum che avrebbe potuto ucciderla nella culla. Vedrà che tra qualche mese tornerà all’attacco.
Il suo libro l’ha titolato infatti Capocrazia.
Facciamo due conti. Iniziamo dai quattro Stati più potenti del pianeta: India, Cina, Russia, Stati Uniti. L’India è governata da un signore, Narendra Modi, artefice di una politica repressiva nei confronti della parte musulmana della popolazione e di una inaudita stretta nei confronti della stampa. La Cina è un sistema autocratico conclamato, della Russia non c’è bisogno di aggiungere considerazioni di merito. Gli Usa col trumpismo stanno vivendo il tempo di una democrazia dai contorni spiccatamente illiberali.
Lei, per non farci abbattere troppo, non ha aggiunto alla lista delle nuove e vecchie tirannidi le monarchie dispotiche del Medio Oriente, né le prestazioni autoritarie offerte dall’America latina.
Siamo al fascio costitutivo di una nuova mentalità che accetta la riduzione dei diritti, anche di quelli fondamentali, per godere di una maggiore sicurezza. La paura è il fuoco che alimenta l’energia della destra, che gonfia le sue vele. E sulla paura germoglieranno le nuove necessità e temo le prossime restrizioni.
Se la destra vive la stagione d’oro attraverso l’autoritarismo e tanti sono già pronti a scimmiottare il Trump che oggi dichiara guerra all’Europa, la sinistra cosa dovrebbe fare o dire?
La sinistra dovrebbe valutare una politica di riduzione del danno. Non c’è aria di nuovi diritti da conquistare, non c’è la possibilità di avanzare con le libertà civili. Tanto per capirci, e per spiegare come la nostra identità sia scossa dalle fondamenta, ricordiamo che l’Europa che fino a ieri ha accolto milioni di immigrati oggi ne è impaurita. Si vede in pericolo e accetta che venga legittimata anche la forza bruta, la dimensione a volte incivile del respingimento a tutti i costi e nei confronti di chiunque.
Riduzione del danno, ha detto.
Limitare le perdite dei diritti per salvare la pelle alla democrazia.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 24th, 2025 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELL’UNIVERSITA’ CATTOLICA CON IPSOS
Come emerge dopo ogni tornata elettorale, l’interesse degli italiani per la politica è sempre più in picchiata. Stando all’ultima rilevazione del centro di Polidemos-Ipsos, frutto della partnership creata tra il Centro di ricerca sulla democrazia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e la società di indagini di mercato e sondaggi di opinione, tutti gli indicatori segnalano una crescita dello scetticismo e della disaffezione.
C’è un aspetto, però, su cui la maggioranza delle italiane e degli italiani si trova concorde, pur in un contesto di cambiamenti di rotta spettacolari, a cominciare dagli Stati Uniti di Donald Trump: la necessità di agire per mitigare il cambiamento climatico riducendo le attività inquinanti. Per esempio, il 62% è per un’ulteriore riduzione degli spazi dove è consentito fumare e ben il 73% è per una limitazione del consumo di suolo.
Il report mette in evidenza che non è un buon periodo per la democrazia. Il senso di vera e propria “inutilità” della politica rispetto alle grandi dinamiche economiche globali, la percezione dell’inconsistenza della classe politica e della sua distanza dalla gente comune, la sfiducia anche verso il sistema mediatico, e la più generale percezione di un declino della nostra società: sono tutte tendenze che si consolidano e rafforzano, con ampie e crescenti maggioranze di italiani ormai schierate sul versante pessimista del sentiment.
Ciononostante, le italiane e gli italiani non sono alla ricerca di un’alternativa: è la convinzione del 68% del campione, mentre solo il 31% pensa sia preferibile una maggiore concentrazione di poteri in un’unica figura di vertice. I dati analizzati nel dettaglio, infatti, chiariscono un aspetto che fino ad oggi appariva equivoco relativamente alle possibili alternative al sistema democratico.
Come spiega Andrea Scavo: “In questa indagine abbiamo voluto approfondire il tema e capire cosa implicasse la convinzione che ‘la democrazia oramai funziona male, è ora di cercare un modo diverso per governare l’Italia’. Abbiamo scoperto che il ‘modo diverso’ per la maggioranza degli italiani – fortunatamente! – corrisponde a un sistema maggiormente democratico, con il rafforzamento della partecipazione dei cittadini e degli strumenti di democrazia diretta”.ione locale e quella internazionale.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2025 Riccardo Fucile
VARSAVIA: “FINALMENTE LIBERI DI DIFENDERCI”
Un trattato quasi trentennale stracciato, e immediatamente sostituito con un piano 
industriale di produzione di oltre un milione di mine antiuomo da posizionare lungo il confine con la Russia e la Bielorussia. Questa la decisione della Polonia, che ha «cancellato» la sua firma dalla Convenzione di Ottawa che dal 1997 proibiva a 160 Paesi di produrre – utilizzare – quel tipo di ordigno perché potenzialmente pericoloso per i civili. Accanto a Varsavia, un passo indietro deciso lo hanno fatto le tre Repubbliche Baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania). Una netta presa di posizione nei confronti della crescente minaccia posta da Mosca, contro la quale – ha detto il vicepremier polacco Wladyslaw Kosiniak-Kamysz – è diritto di ognuno attuare «politiche di deterrenza o difesa».
La «libertà» di difendersi: l’impegno della Polonia e delle Repubbliche Baltiche
«Abbiamo sciolto il corsetto che era stato messo sulle forze armate». La sensazione in Polonia è chiara: uscire dalla Convenzione significa essere nuovamente liberi di prendere ogni contromisura ritenuta necessaria per impedire che il pericolo russo si trasformi si tragica realtà. O perlomeno avere la possibilità di essere pronti a ogni eventualità. Se per quanto riguarda il piano ReArm Europe a molti è indigesto il termine “riarmo”, in questo caso è difficile evitarlo. Anzi, è il viceministro della Difesa Paweł Bejda a spiegare il progetto di Varsavia: «Dobbiamo e vogliamo salvaguardare i confini orientali del nostro Paese con la Russia e la Bielorussia». Una linea politica che trova appoggio anche in altre decisioni portate avanti dal governo di Donald Tuskk, su tutte la reintroduzione della leva obbligatoria e la promessa di aumentare le spese militari fino al 4,7% del Pil.
L’iter burocratico e la produzione militare
Tra il dire e il fare, però, passeranno un po’ di mesi. Prima, ha spiegato il vicepremier Kosiniak-Kamysz. Prima l’uscita dalla Convenzione di Ottawa dovrà essere ufficialmente approvata dal Parlamento. Poi sarà data comunicazione alle Nazioni Unite, che a loro volta impiegheranno circa sei mesi a ratificare il tutto. Infine, dopo tutto l’iter burcoratico, bisognerà riattivare una macchina di produzione bellica che nel comparto delle mine antiuomo è rimasto arrugginito da trent’anni di inattività. «Saranno prodotte in Polonia, ne abbiamo le capacità», ha detto il viceministro Bejda. Probabile che due delle principali aziende produttrici di mine anticarro, la Belma e la statale Pgz, siano immediatamente riattivate.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2025 Riccardo Fucile
LA SOLITUDINE PUO’ SPINGERE I PIÙ VECCHI ANCHE A TOGLIERSI LA VITA … IN ITALIA GLI ANZIANI SOLI SONO IL DOPPIO RISPETTO ALLA MEDIA DEI PAESI EUROPEI: IL 14% NON HA NESSUNO A CUI CHIEDERE AIUTO E IL 12% NON HA NESSUNO CON CUI PARLARE
In Italia, il tasso di solitudine tra la popolazione anziana è doppio rispetto alla media dei Paesi europei, con impatti sulla salute mentale e fisica, tra cui l’aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza, malattie cardiovascolari e suicidi.
“Un’ epidemia sociale che aumenta il rischio di demenza del 50% e la pre-mortalità del 30% – spiega Diego De Leo, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, in vista del 25° congresso Aip previsto dal 27 al 29 marzo a Padova- con un impatto paragonabile al tabagismo cronico e all’obesità. Alcuni Paesi si sono
dotati di strumenti come Linee Guida o raccomandazioni per affrontare questa realtà – prosegue
In Italia non vi è ancora un approccio definito, nonostante sia il Paese più vecchio al mondo dopo il Giappone”. Tra gli elementi che concorrono a peggiorare la situazione: “lo spopolamento dei centri storici, la chiusura dei negozi di prossimità, il proliferare delle truffe agli anziani, la discriminazione nota come ageismo”. I suicidi degli anziani, in particolare “sono il 37% di quelli totali, sebbene gli anziani rappresentino il 24% della popolazione generale. Fenomeno che riguarda soprattutto gli uomini e le persone con più di 80 anni”.
Secondo i dati Eurostat, il 14% degli anziani in Italia non ha nessuno a cui chiedere aiuto, mentre il 12% non ha persone con cui condividere questioni personali, a fronte di una media europea del 6,1%. I primi sintomi delle conseguenze di una marginalità sociale dell’anziano sulla psiche possono emergere dai disturbi del sonno e dalla maggior frequenza di incubi, che può a sua volta favorire lo stato depressivo.
“Gli incubi persistenti, che interferiscono con la vita quotidiana, possono essere diagnosticati come disturbo da incubi, una condizione che aumenta con l’età e ha gravi ripercussioni sulla salute mentale-conclude De Leo – La prevalenza è di oltre tre volte superiore tra coloro che hanno più di 70 anni (6,3%) rispetto agli adulti tra i 50 e i 70 anni (1,8%). Gli individui con incubi frequenti hanno maggiori probabilità di tentare il suicidio e di adottare comportamenti autolesionistici”.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2025 Riccardo Fucile
UN’INCHIESTA SULLA MISTERIOSA SPARIZIONE IN QUESTURA DI COCAINA E DENARO SEQUESTRATI A MALVIVENTI
“Stavo solo facendo una passeggiata a piedi per fare un po’ di attività fisica. Scendevo da
Castrolibero, un Paese alla periferie di Cosenza, sulla via degli Stadi. Io abito lì: percorro quella strada ogni santo giorno. Mi conoscono tutti perché ho 60 anni e da 40 faccio il giornalista. Ho lavorato anche in tv e in radio. A Cosenza anche le pietre sanno chi sono, e ovviamente lo sanno tutti anche in Questura perché mi sono già occupato a lungo anche di loro”.
Inizia così il racconto di Gabriele Carchidi, il giornalista calabrese – direttore del giornale online Iaccichè – fermato nel pomeriggio di sabato 22 marzo da una volante della polizia e poi immobilizzato con forza da quattro agenti dopo il rifiuto di esibire un documento d’identità; il fermo è stato documentato con un video girato da un testimone e le modalità adottate dagli agenti hanno suscitato sconcerto e indignazione
Ma facciamo un passo indietro. Carchidi sta camminando quando viene incrociato da una volante della polizia sulla via degli Stadi, a Cosenza. L’agente alla guida ferma
l’auto e insieme al collega – un uomo – i due interrompono la passeggiata del giornalista. “Mi chiedono i documenti. Rispondo: ‘E perché mai dovrei darvi i miei documenti? Cosa ho fatto di male? Sto semplicemente facendo una camminata’. Apriti cielo: il poliziotto mi strattona, poi mi sbatte contro l’auto, mentre la sua collega chiama un’altra volante, che arriva immediatamente a sirene spiegate. Io non alzo un dito, visto quello che sta accadendo penso anche che gli mostrerò subito la mia carta d’identità senza problemi, ma non mi danno neanche tempo e modo di farlo. Iniziano a picchiarmi, io mi proteggo come posso poi vengo caricato e trasportato in caserma. Per fortuna qualcuno, che non finirò mai di ringraziare, ha documentato tutto dal balcone di una casa con il cellulare. Guardate quelle immagini. Sembra di vedere i poliziotti americani che nel 2020 uccisero George Floyd a Minneapolis”.
Gabriele Carchidi sa che il rifiuto di esibire i documenti costituisce un reato, ma è convinto di essere stato vittima di “un agguato” – così lo definisce – da parte della Questura. Per quale motivo? Da tempo Iaccichè pubblica dure accuse alla polizia di Cosenza. Il suo giornale ha raccontato della presunta e misteriosa sparizione di cocaina sequestrata agli spacciatori dai locali della Questura, della presunta scomparsa di denaro sottratto ai parcheggiatori abusivi dal cassetto di un dirigente di polizia. “Abbiamo parlato anche dei furti negli uffici. Abbiamo scritto di poliziotti che ricattavano il capo della Mobile, e molto altro”, spiega.
Insomma, secondo Carchidi il fermo di sabato sarebbe stato un vero e proprio avvertimento, un invito a tacere di presunti reati commessi da alcuni poliziotti cosentini. “Infatti, una volta arrivato in caserma, chiedo perché mai mi avessero fermato. A quel punto un dirigente mi risponde: ‘Io sono il capo pattuglia della Squadra Volante e tu sei un diffamatore’. Insomma, se mi consideravano un diffamatore per le mie inchieste evidentemente sapevano benissimo chi sono. Volevano punirmi. Ma la mia colpa è solo quella di raccontare un sistema malato, che in Calabria riguarda un vasto sistema politico ed economico e non risparmia neanche alcuni poliziotti”.
Per essersi rifiutato di esibire il suo documento d’identità Carchidi rischia fino a un mese di reclusione. Il giornalista, però, è accusato anche di resistenza a pubblico ufficiale, reato ben più grave. “Ma io non li ho neanche sfiorati, mi sono fatto sbattere contro la volante e non ho opposto nessuna resistenza, non ho alzato un dito e per fortuna c’è un video che lo dimostra. Non mi sono neanche fatto refertare al Pronto Soccorso per le botte che mi hanno dato. Ripeto: credo che quello della polizia sia stato un ‘agguato’, credo che loro sapessero benissimo che io ogni giorno passo a piedi su via degli Stadi, e sono certo che loro mi conoscano benissimo. D’altro canto non potrebbe essere altrimenti, visto il lavoro che svolgo da decenni in città e viste le mie inchieste giornalistiche, anche sulla Questura”.
L’accusa alla polizia di avergli teso un “agguato” è di quelle gravi e andrà provata in sede giudiziaria. Cosa che Carchidi annuncia che farà presto: “Li vado a denunciare per abuso di potere, per aggressione, per tutto quello che mi hanno fatto. E vedremo se il Tribunale deciderà di archiviare tutto”.
La nota della Questura: “Carchidi aveva rifiutato di declinare le sue generalità”
Sulla vicenda è stata diramata una nota da parte della Questura. “In riferimento alle notizie di stampa circa un servizio di controllo del territorio di sabato scorso nel quartiere ‘San Vito’, si precisa che, nell’ambito dell’attività effettuata, il personale dell’Ufficio volanti ha ritenuto di identificare un cittadino che, assumendo una posizione ostile, rifiutava di declinare le proprie generalità”. “La resistenza opposta dalla persona oggetto del controllo – si aggiunge nel comunicato – ha reso necessario utilizzare le standardizzate procedure di contenimento per accompagnare il soggetto in Questura al fine di completare l’accertamento. Tutti gli atti redatti dal personale operante, compreso il materiale video pubblicato dall’interessato, sono stati già trasmessi alla Procura della Repubblica per consentire una compiuta ed esaustiva ricostruzione dei fatti”.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2025 Riccardo Fucile
GABRIELE CARCHIDI, DIRETTORE DI “LACCHITE’” TRATTATO COME UN TERRORISTA, SIAMO ALLA FOLLIA… A CHE TITOLO I POLIZIOTTI CHIEDONO I DOCUMENTI PER STRADA A UN GIORNALISTA NOTO A TUTTI A COSENZA?… AVS DENUNCIA: “DERIVA AUTORITARIA”
Resistenza a pubblico ufficiale, questa la spiegazione che la Questura di Cosenza ha fornito per l’arresto in strada del giornalista Gabriele Carchidi dello scorso sabato 22 marzo. Il fermo, filmato dall’alto di un palazzo vicino e già virale sui social, sarebbe
avvenuto dopo che il direttore della testata online Lacchitè aveva rifiutato di mostrare i suoi documenti. Al che, si legge nel comunicato stampa ufficiale delle forze dell’ordine, sarebbe stato «necessario utilizzare le standardizzate procedure di contenimento per accompagnare il soggetto in Questura al fine di completare l’accertamento». La versione del giornalista e della sua testata è ben diversa.
La versione di Carchidi: «Mi hanno dato del diffamatore»
Secondo quanto ha raccontato lo stesso Carchidi, sabato mattina stava camminando verso la redazione quando è stato intercettato da una pattuglia di agenti, che gli hanno chiesto di esibire i documenti. Il giornalista si sarebbe rifiutato perché i poliziotti lo conoscevano e non avevano spiegato i motivi di quella richiesta. «Io ho cercato di oltrepassare l’agente e andare via. La sua collega stava già chiamando i rinforzi, un’altra pattuglia è arrivata a sirene spiegate. Tutti hanno iniziato a strattonarmi e a cercare di buttarmi a terra», ha raccontato. «Mi sembrava tutto surreale. C’erano queste due volanti che attraversavano la città a tutta velocità e a sirene spiegate». Una volta giunto in Questura, uno degli agenti gli avrebbe dato del «diffamatore». Il riferimento sarebbe, secondo il sito Lacchitè, a una serie di articoli pubblicate sul portale nelle ultime settimane in cui accusava i poliziotti di Cosenza di sottrarre la cocaina sequestrata per farne uso e di far «sparire denaro dal cassetto del dirigente».
Avs: «Con la destra clima di repressione e controllo».
Il caso, virale sui social media, approderà anche in Parlamento. Peppe De Cristofaro, capogruppo al Senato di Alleanza Verdi e Sinistra, presenterà una interrogazione al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi riguardo al «clima di crescente repressione e controllo» che «si respira con la destra al governo». E in particolar modo, l’arresto di Carchidi sarebbe «un grave campanello d’allarme per lo stato della libertà di informazione in Italia». Perché, ha aggiunto, «i giornalisti, soprattutto quelli che conducono inchieste scomode, devono poter lavorare senza timore di abusi o ritorsioni. Non è possibile che questo Paese sia diventato un porto franco per i torturatori libici (in riferimento al caso Almasri, ndr) e un pericolo per le libertà fondamentali dei cittadini. Ci opponiamo a qualsiasi deriva autoritaria e difendiamo con fermezza i principi dello Stato di diritto».
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO MESI DI AMBIGUITA’ E INDECISIONI, VANNACCI HA DELUSO COLORO CHE STAVANO COSTRUENDO UN PARTITO SUPER SOVRANISTA AUTONOMO DAL CENTRODESTRA E DALLA LEGA… UN EX SODALE DI VANNACCI AL VELENO: “ALLA FINE IL GENERALE HA PENSATO AI FATTI SUOI”
Doveva essere uno tsunami, finirà in un bicchier d’acqua: una tessera di partito in tasca
e magari la poltroncina, assieme ad altri tre, da vicesegretario della Lega. Per ora è questo l’epilogo dell’epopea vannacciana, con un capitale politico di oltre mezzo milione di preferenze alle scorse europee inglobato, o ingabbiato, da Matteo Salvini.
È per tutte queste ragioni che i fedelissimi di Roberto Vannacci che speravano nella costruzione di una cosa nuova a destra, uno a uno, se ne stanno andando: il primo fu Marco Belviso nel nord-est; poi i camerati – nel senso militare del termine e non solo – Fabio Filomeni, Bruno Spatara e Gianluca Priolo; nei giorni scorsi ha salutato l’ex candidato sindaco del centrodestra a Livorno Fabio Romiti, a giorni toccherà all’ex
senatore Umberto Fusco, colui che si inventò “Noi con Vannacci”.
Intanto, fronte Carroccio, i rumors sono sempre più insistenti. Il congresso di Firenze tra due settimane potrebbe sancire un ruolo formale per il generale sospeso dall’esercito (che a quel punto comincerà a versare quote al partito, come tutti gli altri). Assieme a Claudio Durigon, Alberto Stefani e Andrea Crippa potrebbe diventare vice di Salvini, ruolo più che altro onorifico ma utile per il vicepremier, sul piano politico, a rafforzare la fisionomia nazionalista della Lega. Due uomini di destra, due più “autonomisti”.
Dopodiché, il Vannacci che si immaginava un grande leader capace di insidiare finanche Ignazio La Russa, dopo mesi di ambiguità e indecisioni è sceso a più basse aspettative, deludendo quindi coloro che stavano costruendo lo sbocco super sovranista autonomo dal centrodestra e dalla Lega. “Il Coraggio Vince, ma la poltrona comoda piace”, è la sentenza impietosa di Romiti, che fa il verso al secondo libro del generale. “Apprezzo Salvini e il suo goffo tentativo di fare una politica sovranista a fianco della Meloni e rimanendo sempre alleati a Forza Italia.
Il mio timore è che questo percorso, sia l’ennesima presa in giro agli elettori. Quando siamo partiti con il comitato, dove ero vicepresidente nazionale, attorno a noi, in modo spontaneo, si sono raggruppate tutte le forze che non accettano questo modello tecnocratico e globalista. I cittadini hanno ben chiaro che questi poteri forti perseguono i propri interessi economici fregandosene dei veri bisogni di una società civile”.
Sbaraccato il Mondo al contrario – il sito ora risulta in costruzione -, associazione politica nata sulla scia del primo libro e che si stava muovendo come un partito nascente, ridotto tutto a organismo di cui è portavoce uno stipendiato dal Parlamento europeo via Vannacci e che nei fatti si traduce in delle chat territoriali (i cosiddetti team Vannacci), a breve se ne andrà anche Fusco, che della Lega era stato senatore, l’aveva poi lasciata, e ora certo non potrà tornare nel Carroccio per seguire il generale. Il quale, annota amaro un ex sodale, «alla fine ha pensato solo ai fatti propri». La compagnia dell’anello s’è quindi dissolta.
(da La Repubblica)
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Marzo 24th, 2025 Riccardo Fucile
IL LEADER DELL’OPPOSIZIONE, ACCUSATO DI CORRUZIONE, CHIAMA ALLA RESISTENZA IN PIAZZA E NELLE URNE: “QUESTA È UN’ESECUZIONE SENZA PROCESSO. NON MI PIEGHERÒ MAI”
Davanti al seggio di Uskudar, il quartiere di Istanbul dove vive Erdogan, la folla si apre per far passare un’anziana con il deambulatore: «Oggi Istanbul, domani la Turchia», urla un signore in piedi su un parapetto. Applausi. A Kadikoy, roccaforte dell’opposizione sulla sponda asiatica, la ressa per votare alle primarie del Chp blocca un’intera area del quartiere. Pure a Kasimpasa, distretto operaio e conservatore, c’è la fila al seggio dal primo mattino, e solo un candidato: Ekrem Imamoglu.
Il giudice ha convalidato l’arresto del sindaco di Istanbul e leader carismatico dell’opposizione con accuse di corruzione. Avrebbero voluto incriminarlo anche per “favoreggiamento di un’organizzazione terroristica armata”, per via dell’alleanza elettorale che fece l’anno scorso alle comunali con il partito curdo Dem, ma il tribunale non lo ha «ritenuto necessario in questa fase».
Poco dopo, il ministero dell’interno lo dichiara decaduto dall’incarico di sindaco. Mentre lo trasferiscono nel carcere di massima sicurezza di Marmara, […] Imamoglu chiama alla resistenza in piazza e nelle urne: «Questa è un’esecuzione senza processo. Non mi piegherò mai. Non siate tristi, scoraggiati, non perdete la speranza. Assicuratevi di esprimere il vostro voto oggi. Poi unitevi a noi a Saraçhane di Istanbul e nelle piazze della democrazia».
Le immagini di folle ai seggi si moltiplicano, ad Ankara, la capitale, a Diyabarkir, la città più grande a maggioranza curda, a Izmir e ad Adana, nel sud est, elettori di tutte le età, fischietti e cartelloni. Davanti al comune, diventato il sacrario della rivolta, hanno piantato una tenda per votare. Decine di giovani sono accampati nel pratone, centinaia di altri continuano ad arrivare. «Viviamo in una repubblica solo di nome, appena c’è qualcuno che può sconfiggere Erdogan lo eliminano dalla scena politica», dice Ferhat, 29 anni.
«Ci opporremo fino alla fine». La chiusura dei seggi viene rimandata di due ore, per dare a tutti la possibilità di votare. L’opposizione denuncia «un colpo di stato civile, giudiziario, elettorale ». Sei dei 27 sindaci municipali del Chp che sono stati eletti l’anno scorso, quando i repubblicani vinsero a valanga le comunali contro i conservatori dell’Akp, sono ora agli arresti. In due casi sono stati sostituti con fiduciari nominati dal ministero dell’Interno, cioè dal governo: succede da anni, lontano dai riflettori, con i sindaci curdi nell’est del Paese. Ora il timore è che le autorità vogliano impossessarsi della municipalità di Istanbul. Il consiglio comunale a maggioranza Chp dovrà votare un reggente il 26, ma se le accuse a Imamoglu di “sostegno al terrorismo” dovessero essere convalidate, il governo potrebbe commissariare l’intera giunta.
A sera, il Chp annuncia numeri epocali: 15 milioni di elettori. Considerato che il partito ha 1,7 milioni di iscritti vuole dire che 13 milioni di turchi, anche di altri fedi politiche, hanno voluto esprimere il loro voto di solidarietà. «Le primarie sono diventate un referendum per la democrazia. I turchi hanno indicato chiaramente che vogliono la Repubblica, non la monarchia», dice il professore Murat Somer. Intorno a Sarachane si raduna una folla oceanica, la protesta cresce, sono le manifestazioni più grandi dall’inizio della rivolta civica. La polizia carica e spara lacrimogeni, ragazzini feriti cercano rifugiano dentro il comune. In carcere oltre a Imamoglu restano almeno 300 persone arrestate durante le manifestazioni.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2025 Riccardo Fucile
IN ATTESA DEL GIORNO DEL GIUDIZIO, SI FANNO SEMPRE PIÙ FITTE E FORTI VOCI E MUGUGNI DI UNA DE-SALVINIZZAZIONE DEL GOVERNO CHE PREFIGURANO UNA PROSSIMA CRISI E IL VOTO ANTICIPATO NEI PRIMI MESI DEL 2026 … L’APERTURA DELLE URNE DIPENDERÀ PERÒ DA ALTRI DUE FATTORI: I DATI DEI SONDAGGI E IL VOTO INCERTISSIMO, PREVISTO PER IL PROSSIMO OTTOBRE, IN CINQUE REGIONI
La situazione è grave. Probabilmente non seria, ma disperata sì. Lo si capisce non
appena l’occhio cade sulle cronache politiche di giornata di “Repubblica” e “La Stampa”, ma lo certifica oggi anche il filo governativo “Corriere della Sera”: “La maggioranza è spaccata, in politica estera e non solo”.
L’escalation del salvinismo in politica estera infiamma gli otoliti della “Fiamma Magica” di Palazzo Chigi, sospettosissima che il novello asse Musk-Salvini ricalchi in Italia l’operazione in terra tedesca dove, grazie ai finanziamenti di Putin e dell’estrema destra Usa, i nazistelli di AFD sono volati al 20,7%, diventando il secondo partito nazionale dietro Cdu/Csu al 28,5%. Senza contare che il salvinismo trumputiniano sta diventando sgradevolissimo a livello europeo.
Tra un “matto” a Macron e un “vaffa” a Ursula, gli Europoteri, già ostili al gioco delle “due staffe” di Giorgia Meloni (sta con l’Ue o con gli Usa?), hanno messo nel mirino anche il suo alleato di governo, l’ex Truce del Papeete: “Sono preoccupato che Salvini e gli altri Patrioti ammirino Trump’’, ha avvertito Manfred Weber. Il presidente del Partito Popolare Europeo oggi è più che mai, insieme a Ursula, al fianco del cancelliere entrante Friedrich Merz: “Il presidente degli Stati Uniti ora vuole imporre i dazi contro i prodotti europei e per noi rappresenta una sfida”.
Come rispondere alle sparate trumputiniane di Salvini (ultimo esempio, la telefonata con il vicepresidente americano JD Vance), che ogni giorno scavalca a destra Giorgia Meloni, caduta nel cono d’ombra di Trump e in disgrazia con il suo amico di Atrejus, Elon Musk, a causa del mancato contrattone con Starlink?
Agli eccessi del segretario della Lega, si aggiungono le spacconate dei suoi: Claudio Durigon ha preso per il culo il ministro degli Esteri Tajani consigliandogli di farsi aiutare in politica estera da Salvini. E’ ormai chiaro: a furia di provocazioni, si sta consumando una frattura all’interno del governo Meloni.
Dentro Forza Italia e Fratelli d’Italia si fa strada la convinzione sempre più netta che
occorra mettere subito guinzaglio e museruola al “cane matto” lombardo, abilissimo a tirare la corda dell’alleanza fino all’ultimo senza far cadere il governo. Uno scaltro gioco al rialzo che gli permette di ottenere posti di comando e visibilità con il chiaro obiettivo di riportare consensi alla Lega, finita alle Europee sotto il partito fondato da Berlusconi, malgrado quell’1-2% portato in dote dal generale Vannacci.
E come si “de-salvinizza” il governo? Tajani ha risposto a muso duro liquidando la Lega come “un partito populista di quaquaraquà”, al convegno voluto da Marina Berlusconi a Milano, “Forza Europa”.
La Statista della s-Garbatella, invece, ha chiesto ai suoi camerati di portare “più pazienza del solito” con Salvini. “Lasciatelo fare fino al congresso della Lega”, il 6 aprile, poi “la pazienza finisce”.
Il giorno più difficile e doloroso della Melona arriverà, infatti, quattro giorni prima della conferma di Salvini: il 2 aprile Trump annuncerà i famigerati dazi Usa sui prodotti europei. Già angosciata per l’indifferenza di Washington alle sue suppliche di un incontro entro marzo col ‘’Dazista”, il 2 aprile Meloni dovrà decidere se stare con le tariffe di Washington, che rischiano di mandare a gambe in aria l’economia italiana, o con le contromisure che prenderà Bruxelles (che lei chiama “rappresaglie”).
E’ chiaro che una contrazione dell’export italiano in Usa non potrà non avere serie conseguenze anche sul piano politico del consenso per FdI (già il mondo dell’agricoltura e della produzione di pasta e vini della meloniana Coldiretti è sul piede di guerra, pronta ad abbandonare la Meloni delle “due staffe” per l’europeismo senza tentennamenti di Forza Italia).
In attesa del giorno del giudizio sui dazi, quando i nodi del camaleontismo meloniano arriveranno al pettine, e di fronte alle sportellate continue di Salvini agli alleati di governo, in Fratelli d’Italia e Forza Italia si fanno sempre più fitte le voci che prefigurano una crisi di governo con voto anticipato nei primi mesi del 2026.
Un segnale arriva dallo stesso Tajani, come riporta il “Corriere” oggi: “Raccontano fonti di Forza Italia che il segretario, i cui rapporti con la leader di FdI sono in questa fase ‘’molto buoni’’, ha scandito parole che hanno il sapore di un ultimatum: ‘Giorgia, sai che noi saremo sempre leali, difendiamo l’esecutivo e lavoriamo per la stabilità. Ma se dal 6 aprile Salvini continuerà ad attaccarci, saremo costretti a chiedere una verifica di governo…’”.
Ed è ben noto a tutti che nella storia della Repubblica italiana “una verifica di governo” si sa come inizia ma non si sa mai come finisce. Una volta sbattuto Salvini alle corde e picchiato a due mani (Meloni e Tajani) mandandolo ko, magari con un rimpasto dell’esecutivo che spenga le sue “esondazioni”, il probabilissimo esito è l’uscita dalla maggioranza del Carroccio, voto di sfiducia in Parlamento ed elezioni anticipate
Attenzione, però: la fine anticipata del governo Meloni dipenderà anche da altri due fattori, che vanno al di là delle escandescenze di Trump e di Salvini. Il primo è legato ovviamente ai sondaggi: una decrescita infelice di Fratelli d’Italia in conseguenza del dazismo americano metterebbe il turbo al voto anticipato.
Il secondo punto che potrebbe far saltare il banco sarà il voto, previsto per il prossimo autunno (ottobre?), di cinque Regioni. Toscana, Campania, Marche, Puglia e Veneto chiameranno oltre 17 milioni di cittadini alle urne e diventano un banco di prova importantissimo per la tenuta del governo Meloni.
Tranne la Toscana guidata da Eugenio Giani, da sempre “rossa”, le altre quattro regioni sono tutte contendibili dai due schieramenti. In Puglia, la vittoria del Pd sarebbe certa solo nel caso in cui si candidasse l’europarlamentare Decaro. In Campania, la sinistra sta affannosamente cercando un accordo con l’uscente Vincenzo De Luca per proporre un candidato che possa attrarre il bacino vincente di voti in mano allo “Sceriffo di Salerno”.
In bilico sono anche le Marche, dove l’attuale presidente Francesco Acquaroli, sostenuto da Fratelli d’Italia, ha combinato ben poco e dovrà vedersela probabilmente con Matteo Ricci, già applaudito sindaco Pd a Pesaro.
In Veneto, visto che non può candidarsi per la terza volta Zaia, molti elettori leghisti sarebbero propensi ad astenersi o a votare a sinistra (Padova e Verona sono già in mano al Pd), anziché Luca De Carlo, candidato sostenuto da Fratelli d’Italia.
Se la destra-centro a ottobre subisse uno smacco, si spalancherebbero le porte alla crisi e al voto nel 2026. Ma una volta ‘’estirpato’’ dal governo, dove andrà Salvini? Dato il nostro attuale e disgraziato sistema elettorale, la Lega con chi si coalizza per sopravvivere? La perdita di potere, cioè posti e prebende, sarebbe tossica, ed è probabile che l’irrequieto leader leghista sarà costretto a piegare il capino, nell’intervallo tra crisi e urne, a Meloni e Tajani.
(da Dagoreport)
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