Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“NON È UNA NOVITÀ IL VOLTAFACCIA AMERICANO NEI CONFRONTI DI UN ALLEATO, COME ACCADE OGGI CON L’UCRAINA. L’UNICA DIFFERENZA È CHE UN TEMPO GLI STATI UNITI VOLTAVANO LA SPALLE SOLO AI NON BIANCHI. COME HANNO FATTO CON FILIPPINE, VIETNAM, AFGHANISTAN E IRAQ”
L’amministrazione Trump sta modificando le politiche di lunga data degli Usa nei
confronti dell’Europa, e in Europa c’è chi prova un senso di tradimento, oltre che di choc e di incredulità. È una sensazione comune ad almeno la metà degli americani, e io sono fra questi. Certuni si sentono traditi
Dobbiamo però tenere a mente che questo tradimento dei principi americani non è nuovo, anzi si è verificato a ripetizione nella storia degli Stati Uniti. Già prima della deportazione, nel 1919, di Emma Goldman e di altre 249 persone accusate di estremismo dal governo, per tutto il XIX secolo si erano avute deportazioni di massa su scala ancor più vasta nei confronti delle popolazioni indigene, costrette a lasciare le loro terre e a stabilirsi in riserve isolate.
Successivamente, negli anni ’30 del secolo scorso fu il turno dei messicani e dei messico-americani (furono deportate in Messico fra le 300mila e i 2 milioni di persone, molte delle quali con cittadinanza statunitense), e durante la seconda guerra mondiale dei nippo-americani, 120mila dei quali furono rinchiusi in campi di concentramento. È proprio allo stesso provvedimento che permise la deportazione dei nippo-americani che Trump sta pensando di appigliarsi per le deportazioni di massa che medita.
Un’altra non-novità è la propensione degli USA a tradire i loro alleati. Essa risale agli albori della colonizzazione europea dei territori poi divenuti gli Stati Uniti d’America. I popoli indigeni che stabilirono rapporti amichevoli con i coloni europei, o che trattarono con loro, finirono poi con il perdere quasi tutte se non tutte le loro terre; e i coloni e gli americani non esitarono a rimangiarsi gli accordi conclusi con le popolazioni indigene.
Del resto, i principi fondativi degli Stati Uniti in fatto di libertà, di democrazia e di uguaglianza – i quali, insieme alle sconfinate opportunità economiche, alimentano gli ideali mitologici del “sogno americano” e dell’eccezionalismo americano – non erano certo a disposizione di tutti. Fu un tradimento di quei principi l’aver negato il diritto di voto alle donne fino al 1920, o l’aver classificato gli africani schiavizzati e i loro discendenti come tre quinti dei bianchi all’epoca dell’indipendenza americana.
Tuttavia, per i sostenitori di Trump e della sua amministrazione – fra i quali non soltanto Elon Musk, ma anche loschi sodali come il magnate dell’high-tech Peter Thiel, entrambi di origini sudafricane – il vero tradimento è quello perpetrato ai danni dei bianchi. Per costoro, le politiche a favore della diversità, dell’equità e dell’inclusione altro non sono che nomi in codice di un presunto razzismo anti-bianco che punterebbe a discriminare i bianchi per indebolire gli Stati Uniti.
Il corrispettivo è forse la tendenza di Trump a considerare ogni alleanza come un segno di debolezza: quando sei un uomo forte a capo di una potenza imperiale, a che cosa ti servono gli alleati? Bastano gli omaggi dei vassalli. Sul piano interno, analogamente, il movimento MAGA si rifà all’America del XIX secolo, fiera del suo suprematismo bianco, dove i non bianchi sono ammessi soltanto se subalterni.
La pretesa di subalternità e la realtà del tradimento si estendono anche ai proxy, alle terre di conquista, ai subordinati e agli alleati degli Stati Uniti. Penso alle Filippine, che gli Stati Uniti “liberarono” dagli spagnoli nel 1898 solo per colonizzarle nei 48 anni successivi. Penso anche ad esempi più recenti, come il Vietnam del sud, l’Afghanistan, l’Iraq e l’Ucraina. Io stesso sono cresciuto in una comunità di rifugiati che cercarono riparo negli Stati Uniti dopo la sconfitta del Vietnam del sud, e posso testimoniare la loro sensazione di essere stati traditi dagli USA.
Nel 1973, infatti, come condizione per ritirarsi dal Vietnam del sud Washington aveva promesso di venire in aiuto a quel paese, dopo avergli imposto di dotarsi di forze armate sul modello americano e di adottare le strategie militari dettate dai generali americani. Due anni dopo, però, quando i comunisti del nord organizzarono l’invasione finale del sud, gli USA non si sognarono neanche di mandare bombardieri, né di fornire ai sudvietnamiti le munizioni e il carburante necessari per far funzionare gli aerei, i carri armati e le armi americane.
È vero, gli USA hanno salvato 130mila sudvietnamiti, me compreso. Insomma, non è certo una novità che gli USA abbiano deciso di sospendere gli aiuti militari all’Ucraina, come non lo è il loro voltafaccia nei confronti di un alleato. L’unica differenza è che un tempo gli Stati Uniti voltavano la spalle solo ai non bianchi.
Quindi lo choc degli europei per aver subito questo trattamento è del tutto comprensibile. Lo choc provocato da Trump si spiega con la sua ostentazione di indifferenza verso ogni giustificazione, così come verso quello che Biden definiva l’ordine internazionale basato sulle regole. Ai suoi occhi, quell’ordine è pura ipocrisia, e lo dimostra il fatto che il sostegno accordato dagli USA a Israele non segue altre regole che quelle stabilite da Washington. Del resto, Trump ha abbondantemente chiarito che le uniche regole e l’unica legge sono quelle decise da lui.
Così facendo, ha espresso l’essenza del trattamento che europei e americani si sono sempre risparmiati gli uni con gli altri, per riservarlo esclusivamente ai popoli colonizzati.
Viet Thanh Nguyen
( da “la Stampa”)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“ESISTONO DUE VOLTI DELLA PREMIER: UNA MELONI POST-FASCISTA, CHE PORTA AVANTI UN’IDEOLOGIA REAZIONARIA SULLA FAMIGLIA E SULLA SOCIETÀ, E UNA MELONI PRAGMATICA NELLA POLITICA INTERNAZIONALE. GIOCA SU QUESTE CONTRADDIZIONI MA CI SONO MOMENTI DI VERITÀ. L’ATTACCO AL MANIFESTO DI VENTOTENE È UN ESEMPIO”
«Il Manifesto di Ventotene, scritto nel 1941 da Altiero Spinelli in un carcere fascista, simboleggia la necessità di un’Europa unita contro i nazionalismi distruttivi».
Da europeista convinto, Daniel Cohn-Bendit critica in modo netto le ultime dichiarazioni della premier Giorgia Meloni. «È prigioniera delle sue contraddizioni ed evidentemente prosegue nel tentativo di salvare l’idea di quello che è stato il fascismo italiano», dice l’intellettuale francese che attacca anche una parte della sinistra italiana, incapace secondo lui di capire «l’urgenza di un risveglio politico per evitare che l’Europa si trovi disarmata di fronte a un’aggressione russa».A differenza della premier, il Manifesto di Ventotene rappresenta la sua Europa?
«Il federalismo concepito all’epoca è evoluto e deve continuare a evolversi, ma l’idea centrale del Manifesto rimane la stessa: organizzare democraticamente una federazione europea. Oggi, di fronte alle minacce esterne, tutti si interrogano sulla
sovranità europea e sulla difesa comune. È qui che l’idea federalista assume pienamente il suo significato».
Come spiega quindi le dichiarazioni di Meloni?
«Cerca di salvare l’idea del fascismo italiano. Esistono due volti della premier: una Meloni post-fascista, che porta avanti un’ideologia reazionaria sulla famiglia e sulla società, e una Meloni pragmatica nella politica internazionale. Gioca su queste contraddizioni ma ci sono momenti di verità. L’attacco al Manifesto di Ventotene è un esempio. E d’altronde quel testo costringe a riflettere sul potere distruttivo di ogni nazionalismo».
Chi è pacifista rifiuta di entrare in questa logica di guerra. Cosa risponde?
«Ero in Italia qualche settimana fa e ho discusso, anche in modo acceso, con vari amici di sinistra. Ma non c’è solo il vostro Paese. Ho sentito il premier spagnolo Pedro Sánchez dichiarare che l’Europa è soft power. È un errore madornale. La Storia ci ha già mostrato i pericoli di questo tipo di ingenuità. Quando si abbandonano coloro che lottano per la democrazia, come accadde con la Spagna repubblicana nel 1936, si prepara il terreno alle dittature. Dirò di più: oggi stiamo assistendo a una rinascita dello spirito di Monaco».
Cosa intende?
«L’idea che l’Ucraina debba arrendersi per garantire la pace è esattamente lo stesso ragionamento che portò all’accordo di Monaco del 1938, quando si lasciò che Hitler prendesse i Sudeti pensando di evitare la guerra. La pace non si negozia con la sottomissione. L’Europa deve capire che ci troviamo in un confronto strategico in cui l’aggressore non si fermerà da solo. Ma non ce l’ho con i cittadini, sono arrabbiato con i leader».
A proposito, il suo giudizio su Emmanuel Macron?
«Ho vari motivi di disaccordo con Macron ma questa volta è all’altezza della situazione. Ha assunto la leadership sulla questione ucraina, proponendo di offrire garanzie di sicurezza, e persino l’invio di truppe. Ha ragione. Il pacifismo di alcuni, in particolare in Italia e in Spagna, equivale in realtà a chiedere all’Ucraina di sottomettersi a Putin”
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
LONDRA, OTTAWA E ANKARA POTRANNO FORNIRE IMMEDIATAMENTE FINO AL 35% DEI PRODOTTI DI DIFESA. MA POTRANNO AUMENTARE LA PARTECIPAZIONE INDUSTRIALE CON UN PARTENARIATO DI SICUREZZA
Da un lato il piano di riarmo dell’Unione europea, ribattezzato Readiness 2030, e
dall’altro il sostegno militare all’Ucraina in vista di un cessate il fuoco. Sono i dossier al centro della riunione ieri tra i vertici delle istituzioni Ue e dei cosiddetti Paesi «like-minded», ovvero che la pensano allo stesso modo.Per la seconda volta nel giro di quindici giorni il presidente del Consiglio europeo Costa e la presidente della Commissione von der Leyen, insieme all’Alto rappresentante Kallas, hanno aggiornato i partner sui risultati del summit del giorno precedente.
In videocollegamento c’erano il primo ministro dell’Islanda Kristrún Frostadóttir, della Norvegia Jonas Gahr Støre, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier del Regno Unito Keir Starmer. Mentre i governi di Australia, Canada, Nuova Zelanda e Giappone, assenti per incompatibilità di agenda, saranno informati in un secondo momento.
La presidente von der Leyen ha illustrato nel dettaglio il piano di riarmo europeo che due settimane fa aveva spiegato a grandi linee. In modo particolare lo strumento Safe, che mette a disposizione degli Stati membri 150 miliardi di euro in prestiti per appalti comuni da riservare all’industria della difesa europea e a progetti congiunti o in associazione con almeno un Paese della zona Efta (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) più l’Ucraina.
Von der Leyen ha sottolineato che Norvegia e Islanda possono già partecipare direttamente, poiché sono membri del mercato unico dell’Ue. Mentre altri Paesi, come Regno Unito, Canada o Turchia, possono fornire immediatamente fino al 35% di un prodotto di difesa. Per aumentare la partecipazione industriale oltre il 35% ha ricordato che sono necessari un partenariato per la sicurezza e la difesa e un successivo accordo di associazione.
Insomma, se nei giorni scorsi l’attenzione si era concentrata sul fatto che il 65% dei costi delle attrezzature finanziate provenga da fornitori nell’Ue, in zona Efta o in Ucraina (il cosiddetto «buy european»), ieri è stata sottolineata l’apertura parziale alle industrie dei Paesi alleati.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“NUOVE NUBI SEMBRANO ADDENSARSI ALL’ORIZZONTE, PORTATRICI DI PROTEZIONISMI IMMOTIVATI, CHIUSURA DEI MERCATI DAL SAPORE AUTARCHICO, CHE DANNEGGEREBBERO LE NOSTRE ECCELLENZE”… UN MESSAGGIO DI APERTURA OPPOSTO AL “DAZISMO” DEL TYCOON DI MAR-A-LAGO, TANTO CARO A MELONI E SALVINI
“Commerci e interdipendenza sono elementi di garanzia della pace. Nella storia la contrapposizione tra mercati ostili ha condotto ad altre più gravi forme di conflitto. I mercati aperti producono una fitta rete di collaborazioni che, nel comune interesse, proteggono la pace”. Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella intervenuto al 44/mo Forum della cultura dell’olio e del vino della Fondazione italiana Sommelier in corso a Roma.
“Voi siete parte di quel che oggi l’Italia sa proporre con le sue eccellenze. Testimonianza della vitalità della sua società civile e delle sue forze produttive e le istituzioni devono essere a fianco dei vostri sforzi e del vostro lavoro. Grazie per quello che avete fatto e fate per qualificare la presenza italiana nel mondo”.
“Nuove nubi sembrano addensarsi all’orizzonte, portatrici di protezionismi immotivati, di chiusura dei mercati dal sapore incomprensibilmente autarchico, che danneggerebbero in modo importante settori di eccellenza come quelli del vino e dell’olio. Produrre per l’auto-consumo ricondurrebbe l’Italia all’agricoltura dei primi anni del Novecento. Legittimamente le associazioni dei produttori esprimono preoccupazione per le sorti dell’export”.
“Misure come quelle che vengono minacciate -ha proseguito il Capo dello Stato- darebbero, inoltre, ulteriore spinta ai prodotti del cosiddetto ‘italian sounding’, con ulteriori conseguenze per le filiere produttive italiane, non essendo immaginabile che i consumatori di altri continenti rinuncino a cuor leggero a rincorrere gusti che hanno imparato ad apprezzare”.
“Commerci e interdipendenza -ha quindi ribadito Mattarella – sono elementi di garanzia della pace. Nella storia la contrapposizione tra mercati ostili ha condotto ad altri più gravi forme di conflitto. I mercati aperti producono una fitta rete di collaborazioni che, nel comune interesse, proteggono la pace”.
“I vostri -ha sottolineato Mattarella – sono settori consapevoli di quanto l’impegno verso la qualità, con la salubrità degli alimenti, rechi beneficio ai comparti agricoli italiani, incrementando il valore delle produzioni, aprendo mercati all’estero, conquistando a vino e olio, in particolare, la responsabilità di rappresentare, nel mondo, un modo di essere italiani. Contribuendo alla stessa domanda di Italia nel mondo. L’agroalimentare, oggi -accanto alla cultura, al design, alla tecnologia- costituisce veicolo e attrattiva del modello di vita italiano”
E il Capo dello Stato ha quindi ricordato alcuni dati: “l’Italia è il secondo produttore mondiale di olio di oliva, l’export registra un valore di circa 3 miliardi di euro. Per quanto riguarda il vino, con un valore dell’imbottigliato che, nel 2024, ha superato i 14 miliardi di euro; con un export di quasi 8 miliardi che, per il 90%, si esprime nelle denominazioni di qualità.
Conoscete bene queste cifre: ne siete protagonisti. Desidero sottolineare il significato di queste tendenze positive, perché si riassumono nella manifestazione di qualità”. “Filiere, quindi che mettono insieme territori, saperi, professionalità, sostenibilità e salubrità, capacità di marketing e realizzano, così, un valore immateriale che va oltre gli addetti ai lavori, gli stessi consumatori, generando beni comuni. Elementi vitali per comunità gravate, spesso, nel secondo dopoguerra, dal fenomeno dell’abbandono delle terre
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
DA GAD LERNER A ERNESTO RUFFINI,, LA TENTAZIONE DI UN MOVIMENTO CIVICO CONTRO IL GOVERNO MELONI
I partiti – leggi il Pd di Elly Schlein – non bastano più, o se non altro vanno
profondamente «stimolati». Con l’azione dal basso dei cittadini. Guidati, magari, da professionisti e intellettuali d’area.
A una settimana dalla riuscita manifestazione per l’Europa di piazza del Popolo a Roma, torna a farsi forte la tentazione civica nell’area progressista.
A dare la scossa al popolo di centrosinistra sono questa mattina sono due figure diverse tra loro come Ernesto Maria Ruffini e Gad Lerner.
Che dai rispettivi punti di vista vedono entrambi lo spazio per far nascere qualcosa di nuovo, di più largo, aperto e forte del Pd. Per raccogliere energie e canalizzarle in un progetto in grado di reggere il confronto con l’arsenale politico-culturale di Giorgia Meloni, sintetizzato questa settimana nell’«affronto» al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Gli Stati Uniti d’Europa e il movimento popolare
A lanciare la tentazione/provocazione per primo è Gad Lerner, con un post sui social media in cui indica la strada ai due compagni di avventura dei sogni: «Ieri sera ho partecipato con Massimo Cacciari a una puntata di Otto e mezzo e ho pensato: “Sarebbe bello se persone come lui e Barbara Spinelli, invece di crogiolarsi nel sarcasmo del ve o avevo detto, si impegnassero a promuovere un movimento per gli Stati Uniti d’Europa”». Proprio quel sogno indicato giù da una settimana fa alla piazza da Michele Serra e dagli altro intellettuali e artisti accorsi sul palco (o streaming) di piazza del Popolo. «Non dobbiamo aspettare che lo facciano i partiti, facciamolo noi», gli fa eco Ernesto Maria Ruffini da un altro palco romano, quello di Libri Come 2025. L’occasione è la presentazione del nuovo libro dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, Più uno. La politica dell’uguaglianza. «Si svegliassero i cittadini e si dessero da fare. I partiti sono molto più attenti quando si svegliano i cittadini», fa appello Ruffini.
Il vuoto del centrosinistra: «Gridano al lupo, all’allarme democratico, ma non sono credibili»
Secondo Ruffini, il problema principale è trovarsi con un centrosinistra che «grida all’allarme democratico, ci si trova in piazza e si grida al lupo». Ma manca una proposta alternativa per il Paese: «Se si grida al lupo, bisogna trarne le conseguenze o non si è credibili». Come fare allora? Sicuramente bisogna evitare il tramite dei partiti: «Non ce n’è bisogno, penso che ce ne siano anche troppi. Abbiamo visto l’effetto che fanno i partiti legati a una persona…».
Ruffini e le tasse: «La notizia è che questo governo non le ha abolite…»
Rispondendo alle domande di Giovanni Floris, Ruffini ha poi raccontato di aver lasciato l’Agenzia delle Entrate per conflitti interni: «Era giusto mettere un punto a una esperienza per me importante, si può servire lo Stato anche in tanti altri modi. Non mi riconoscevo più in alcune scelte che il legislatore stava facendo ma, da servitore dello Stato, sarebbe stato irrispettoso metterle in discussione». E sulle tasse ha aggiunto, con sarcasmo: «Mi hanno chiamato “uomo delle tasse”, ma ce n’era uno prima di me e ce n’è uno dopo. La vera notizia è che da quando sono andato via il governo non le ha abolite».
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
LA CONDANNATA MONTARULI (FDI) FA VOTARE UN EMENDAMENTO PER SALVARE GLI AMMINISTRATORI
Un salvacondotto erariale per i politici a qualsiasi livello, a partire dagli amministratori locali, che si salveranno in base al principio della cosiddetta “buona fede”. Non saranno più punibili per danno alle casse dello Stato, tranne che si provi il “dolo”.
È questo il contenuto di un emendamento approvato mercoledì nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera alla riforma della maggioranza sulla Corte dei Conti in discussione da mesi a Montecitorio che modifica l’assetto e limita il potere di controllo dei giudici contabili.
La norma ha una prima valenza politica perché è stata voluta da Fratelli d’Italia – che propone anche il disegno di legge con l’attuale ministro per gli Affari europei Tommaso Foti – ed è firmata da due dirigenti di peso del partito di Giorgia Meloni: la vice capogruppo Augusta Montaruli e il deputato Luca Sbardella, appena nominato commissario di FdI in Sicilia dopo gli scandali che hanno coinvolti i dirigenti del partito sull’isola.
Montaruli è stata condannata il 17 febbraio 2023 in via definitiva dalla Cassazione a un anno e sei mesi per peculato per aver utilizzato in maniera impropria i fondi pubblici della Regione Piemonte tra il 2010 e il 2014: sentenza che ha portato alle sue dimissioni da sottosegretaria all’Università. Ora, da parlamentare e aspirante al ruolo di vice capogruppo vicario di FdI al posto di Manlio Messina, ha fatto approvare l’emendamento.
La norma, che sta preoccupando non poco i giudici contabili, introduce una sorta di salvacondotto extra large per i politici che non saranno più punibili per danno erariale, eccezion fatta nel caso in cui venga provato il dolo.
Lo scudo, si legge nell’emendamento, riguarda i “titolari degli organi politici” in base a una presunta “buona fede” e “fino a prova contraria” quando “gli atti adottati dai medesimi titolari, nell’esercizio delle proprie competenze, sono proposti, vistati o sottoscritti dai responsabili degli uffici tecnici o amministrativi, in assenza di pareri formali, interni o esterni, di contrario avviso”.
La norma va a modificare la legge del 1990 sui poteri della Corte dei Conti secondo cui già oggi i titolari degli organi politici non sono punibili se approvano o autorizzano atti che “rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi”. Il nuovo emendamento rende automatica l’attivazione dello scudo per “buona fede”. Per tutte le decisioni che saranno anche solo “vistate” dai tecnici , i politici non saranno punibili per danno erariale, eccezion fatta nel caso di dolo. Un salvacondotto extra-large che si applica, di fatto, a tutti gli atti perché qualsiasi delibera viene sempre almeno “vistata” da un dirigente amministrativo. Si va quindi
dalle delibere comunali e regionali fino ai rimborsi spese che tanto preoccupano gli amministratori locali. Il danno erariale, dunque, verrebbe di fatto cancellato per i politici e gli amministratori perché – presumendo la buona fede – non si potrà contestare la cosiddetta “colpa grave”, unico paletto rimasto per processare gli amministratori per danno erariale.
Non è chiaro se l’emendamento proposto e approvato dalla maggioranza con parere favorevole del governo serva a qualcuno nello specifico, ma una cosa è certa: come qualsiasi norma di carattere penale, si applicherebbe retroattivamente, cioè anche ai processi in corso. Come ha scritto Il Fatto a gennaio, la riforma è co-firmata da due esponenti della maggioranza condannati per danno erariale – il capogruppo di Forza Italia alla Camera Paolo Barelli e il meloniano Riccardo De Corato – e altri quattro parlamentari nella stessa condizione la voteranno alla Camera nelle commissioni Giustizia e Affari costituzionali. La riforma a prima firma Foti è in discussione alla Camera e andrà a stravolgere assetto e poteri della Corte dei Conti limitandoli notevolmente, a partire dalle procure regionali contabili.
(da il Fatto Quotidiano)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“LE PRIME A PAGARE SARANNO LE ATTIVITA’ ECONOMICHE STATUNITENSI”… “LA PIZZA E’ UN PASTO SOCIALE, NON POSSIAMO AUMENTARE TROPPO I PREZZI”
La scure dei dazi paventata da Donald Trump incombe sul comparto enogastronomico
italiano, per cui gli Stati Uniti sono un mercato fondamentale. Il presidente americano ha minacciato di imporre tariffe doganali del 200% su vini e champagne dall’Unione Europea, alimentando i timori di una guerra commerciale a tutto campo sulle due sponde dell’Atlantico che possa estendersi anche ad altri prodotti. E la mancanza di certezze su come il tycoon intende procedere fa aumentare la preoccupazione tra i ristoratori italiani negli Usa per il rischio concreto di aumenti consistenti dei costi delle materie prime, e di conseguenza dei prezzi, anche per il consumatore finale.
Il Gusto ha interpellato alcuni esponenti del settore per capire i rischi e le strategie con cui si preparano ad affrontare eventuali nuove tariffe doganali.
“L’80% delle nostre materie prime viene dall’Italia. Siamo preoccupati se questo succede, non solo per il cibo, ma anche per i vini e le birre, che da noi sono tutti italiani”, spiega Roberto Caporuscio, noto pizzaiolo di New York, proprietario di Kesté Pizza e Vino. “E’ un salto nel buio perché non sappiamo se la farina o il pomodoro saranno soggetti ai dazi, o i vini, come sembra, ma dobbiamo essere pronti – continua – C’è chi mi ha chiesto se andrò in un’altra direzione usando prodotti locali, e io rispondo assolutamente no, una cosa che non faremo mai è scendere a compromessi sulla qualità. Cercheremo di tagliare i costi in altre maniere per incidere il meno possibile sul prodotto finale, ma senza alterare l’eccellenza dei nostri prodotti”. Caporuscio sottolinea che “la pizza nella mentalità delle persone è un pasto ‘sociale’ a cui tutti possono avvicinarsi”, quindi l’obiettivo sarebbe nel caso di applicare un aumento contenuto, “magari del 10%, ma non del 25%, in questa maniera penso che i clienti capiranno, garantendo loro la stessa qualità e la stessa esperienza autentica a cui sono abituati”.
Nicola Fedeli, chef del ristorante Fasano su Park Avenue, dice di “credere e sperare che i rapporti tra Usa e Italia non danneggino l’importazione dei prodotti aumentando i dazi”. D’altra parte, a suo parere, “la clientela americana vede il prodotto italiano come di alta qualità, e anche se un domani dovessero costare qualche dollaro in più non credo ci siano problemi da parte del pubblico a pagare un prezzo leggermente più alto”. “Ovviamente in tal caso le aziende produttrici dovrebbero far capire alle persone che il prodotto italiano è sempre più naturale, salutare, senza conservanti: c’è il trend il cibo è medicina – prosegue – per noi è ovvio, ma per gli americani non lo è”.
Molta preoccupazione c’è anche per Roberto Paris, wine director de Il Buco: “Nel nostro gruppo il vino da solo è il 30% dell’indotto, ma l’80% del profitto – racconta – Già se ci saranno dazi del 25%, che sarebbe a questo punto l’ipotesi più rosea, sarà un problema, ma se poi si arriva al 50%, o al 75%, o addirittura al 200%, sarebbe una follia. E questo è solo per quanto riguarda i vini, ma sicuramente i dazi saranno anche sul cibo”. Secondo Paris è probabile che “diversi ristoranti dovranno addirittura chiudere, e poi ci sono importatori che operano solo con vini europei e probabilmente smetteranno di comprare, venderanno tutto quello che hanno in inventario sperando che si torni alla normalità. E’ vero quindi che i produttori italiani subiranno un danno, ma in realtà le prime a pagare saranno le attività economiche statunitensi”.
E inoltre, anche se si pensasse di acquistare solo vino americano, per esempio, “non sarebbero in grado di soddisfare nemmeno il 5-10% del fabbisogno nazionale, oltre al fatto che ci sono tariffe doganali sui materiali per la produzione che vengono dall’Europa come le botti e i silos, quindi soffriranno anche i produttori nazionali”. Da Los Angeles invece, Tommaso Iorio, private chef di Tuscany at Home, sottolinea che “i nostri prezzi hanno già subito un rialzo a causa dell’aumento delle materie prime. Un’ulteriore impennata dovuta ai dazi rischierebbe di mettere in ginocchio noi operatori del settore. Non si tratta solo dei vini, ma anche di prodotti fondamentali del made in Italy come farine, pasta e pomodori”. A suo parere, “fortunatamente il cliente americano apprezza sempre di più l’Italia e sta acquisendo una crescente consapevolezza della qualità dei nostri prodotti. Tuttavia, di fronte a un ulteriore aumento dei prezzi, potrebbe passare dal consumare cibo italiano tre volte a settimana a una sola, con gravi conseguenze per l’intero settore”.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
L’APPELLO AI PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO, NELLA SPERANZA DI UNA CONVOCAZIONE
«Serve un percorso condiviso per una riforma che permetta un’efficace controllo su come vengono spesi i soldi pubblici dei cittadini». L’appello dell’Associazione magistrati della Corte dei Conti è accorato. Si rivolgono direttamente ai presidenti di Camera e Senato nella speranza di una convocazione.
I cambiamenti previsti dall’esecutivo porteranno a «un’inefficienza della giustizia contabile». Il messaggio è chiaro: «La Corte dei Conti, così come la conosciamo, scomparirebbe. E non ci sarà più controllo su come si spendono i soldi pubblici». L’equazione è semplice: meno controlli, meno servizi. Anche perché sarà più complesso individuare l’evasione e recuperare il denaro.
La presidente Paola Briguori la spiega con una metafora: «La Corte dei Conti è come un termometro che misura l’andamento dei conti pubblici. Compresa la malagestione. Se questo termometro viene tarato al ribasso, o peggio gettato via, non è più possibile misurare nulla».
Un’apertura da parte della maggioranza, in realtà, c’era stata. «Siamo stati chiamati in audizione e la sensazione era quella di essere ascoltati», spiega la presidente Briguori. «Quando si è andati all’esame del testo, però, pare che poco o nulla sia stato recepito».
I temi principali, che più preoccupano, sono la quantificazione del danno erariale, la riduzione delle corti, il problema della responsabilità e il cambiamento dei rapporti tra procure e procura generale: «La Corte dei Conti verrebbe azzerata nelle sue funzioni».
E la questione, sottolineano, diventa ancora più rilevante in un momento in cui, grazie ai fondi del Pnrrr, in Italia si registrano grandi flussi di denaro. Dall’Associazione sottolineano: «I conti sono soldi dei cittadini e servizi per i cittadini e noi siamo al servizio dei cittadini».
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2025 Riccardo Fucile
I MEDICI CHE L’HANNO CURATO: “È IN CONDIZIONI STABILI ORMAI DA DUE SETTIMANE. IL PERIODO DI RIPOSO CONTINUERÀ E IL PONTEFICE SARÀ IN CONVALESCENZA PER ALMENO DUE MESI”… “NON È MAI STATO INTUBATO, NON HA AVUTO IL COVID E NON È DIABETICO”
“Il Papa domani è in dimissione. Domani sarà a Santa Marta”. Lo hanno annunciato i 
medici che hanno in cura il Pontefice al Gemelli.
La convalescenza del Papa durerà almeno due mesi
“Il Papa sarà dimesso domani, in condizioni stabili ormai da due settimane. Il periodo di riposo a Casa Santa Marta continuerà e il Pontefice sarà in convalescenza per almeno due mesi”. Lo ha spiegato il prof. Sergio Alfieri, responsabile dell’equipe medica che ha in cura il Pontefice al Policlinico Gemelli.
“Il Santo Padre non è mai stato intubato, è stato sempre vigile” anche se sono stati “due gli episodi in cui è stato in pericolo di vita”. Lo ha chiarito il professore Sergio Alfieri, direttore dell’équipe medica del Gemelli che ha seguito Papa Francesco nel corso del briefing con la stampa.
Recupero parola per il Papa possibile in tempi brevi
“Le tempistiche sul recupero della parola sono difficili poterle dire, però guardando i miglioramenti avvenuti il recupero è possibile in tempi brevi”. Lo ha detto il dottor Luigi Carbone, medico referente del Papa in Vaticano durante il briefing con la stampa. “Quando un paziente ha un ‘infezione di questo tipo ed è stato in una condizione così grave gli ulteriori progressi sono a casa propria – ha aggiunto il prof. Sergio Alfieri, responsabile dell’equipe del Gemelli -. L’ospedale è il posto peggiore per continuare la convalescenza perché è il posto dove più si possono prendere le infezioni”.
(da agenzie)
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