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RUSSIA, LA GIORNALISTA MARIA PONOMARENKO DI NUOVO CONDANNATA DOPO IL TENTATO SUICIDIO IN CARCERE

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

QUESTA E’ LA LIBERTA DI STAMPA IN RUSSIA… E POI IN ITALIA CI SONO DEGLI INFAMI CHE FANNO IL TIFO PER IL BOIA DEL CREMLINO

Il 17 marzo, in Russia, la giornalista Maria Ponomarenko ha tentato il suicidio in carcere, cercando di tagliarsi le vene, dopo essere stata arrestata nel 2022 e successivamente condannata a 6 anni di reclusione per un post Telegram contrario alla propaganda del Cremlino.
Come ben riportato da Amnesty International, Maria aveva osato raccontare la verità sul «bombardamento del teatro di Mariupol, in Ucraina, da parte delle forze russe, con un breve commento che denunciava la morte dei civili che erano rifugiati all’interno». Oggi, come riportato dal media indipendente russo Sota Vision, Maria è stata condannata a un altro anno di reclusione con l’accusa di aver aggredito due ufficiali come reazione per i maltrattamenti subiti.
Come raccontato da Sota Vision nel lungo post su X, Maria Ponomarenko si era rifiutata di comparire davanti a una commissione disciplinare dopo essersi lamentata di essere senza scarpe. Non si tratta dell’unica denuncia sulle condizioni in cui si trova in carcere, ritenute prossime alla tortura. Nonostante soffra di disturbi dissociativi e claustrofogia, è stata messa in isolamento per ben 13 volte. La giornalista russa ha denunciato anche violenze nei suoi confronti da parte dei dipendenti del carcere, subendo colpi allo stomaco, calci e persino sbattuta contro i muri. Se da un lato le viene impedito di lavarsi, dall’altro le viene aperta solo l’acqua ghiacciata per potersi fare la doccia.
(da agenzie)

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TUTTE LE OMISSIONI E LE AMNESIE SULLA “LAUREA DELLA DOMENICA”

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

LA RETTA A UN EURO, IL MARITO NEL CDA, I DOPPI ESAMI DI DOMENICA: TUTTO QUELLO CHE NON TORNA

Ecco le tappe dell’affaire Calderone e le dieci cose che non tornano.
1. LE PRIME OMISSIONI.
Il 22 ottobre 2022 Marina Calderone giura da ministro. Sul sito del governo indica genericamente una laurea in Economia, senza data e università. Il Fatto scopre quella a Cagliari riportata dai giornali e da Wikipedia non c’era mai stata e allora chiede alla ministra dove l’abbia conseguita.
GLI ESAMI UNIVERSITARI DELLA MINSITRA DEL LAVORO, MARIA ELVIRA CALDERONE
Solo a seguito di richiesta di accesso agli atti il 25 gennaio 2023 il ministero del Lavoro risponde: “Laurea triennale in Economia aziendale internazionale (L-18) nel 2012 e Magistrale in gestione aziendale (LM-77) nel 2016, alla Link Campus”. Chiediamo libretti e diplomi. Non li fornisce
2. VERI TITOLI E TURBO-ESAMI
Il 22 marzo 2025, Il Fatto pubblica la sua inchiesta “Calderone, la laurea della domenica”: la laurea triennale non risulta all’Anagrafe Nazionale degli Studenti e Laureati (ANS), l’unica che certifica legalmente il titolo.
Il libretto della biennale riporta 11 esami, due dei quali dati lo stesso giorno, pure di domenica. Nell’anno accademico 2012/2013 con due diverse matricole (RM09578

1001420) risulta iscritta contemporaneamente al corso di primo e secondo livello: come è possibile?
3. VOTI E MISTERI CUM LAUDE
“Non è solita ostentare i pieni voti”. Così il portavoce della ministra aveva liquidato la richiesta di diplomi ed esami. Ma una volta avuti, si scopre che i “pieni voti” non li aveva, perché la media degli esami della magistrale era di poco sopra al 26, pari a 96/100.
4. LA LAUREA A 1 EURO
Dall’anagrafe ANS […] risulta pagato solo un euro nel 2013. Dai documenti interni alla Link il biennio costava circa 10 mila euro. A lei risulta applicato però uno sconto pari al 50%, di cui risultano pagati 500 euro di iscrizione e una sola rata da 850. Le altre sei rate, per 5.100 euro, risultano “da pagare” e “scadute”.
5. “STUDENTE LAVORATRICE
”Il ministro scrive sulla sua pagina facebook che per lei era normale dare esami la domenica “come per tutti gli studenti lavoratori”. All’epoca però era presidente del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro e titolare di incarichi in Cda che non le avrebbero impedito la frequenza in giorni normali.
6. “Lei? MAI VISTA”
Il Fatto ieri ha intervistato il professor Antonio Rinaldi con cui la ministra-studente il 15.12.2014 supera con 27/30 l’esame di “International corporate and investment banking”. Racconta di non ricordarla né come studente né come docente, benché sia stato professore di Economia per sette anni.
8. UN PROF SOLO
Sia Rinaldi sia Roveda spiegano al Fatto che le modalità d’esame alla Link Campus si svolgevano con un solo professore, cosa contraria alla legge n. 270/2014 che regola lo svolgimento degli esami universitari. È una delle contestazioni alla base del processo ai vertici dell’epoca in corso a Firenze (sentenza a giugno): per essere valido un esame deve avvenire alla presenza di “almeno due membri”, solo così si forma una “commissione”.
10. CONFLITTI DI INTERESSi
Il Fatto ha ricostruito poi gli stretti legami tra Marina Calderone, per 17 anni presidente dei Consulenti del Lavoro, e la Link Campus: nel 2010 chi vuole esercitare deve avere la laurea e grazie a una convenzione Calderone instrada anche alla Link i suoi 26 mila iscritti; nel 2015 il marito Rosario De Luca, mentre la moglie studia e insegna, entra nel Cda dell’ateneo. Lo stesso anno, sempre sotto la sua presidenza, l’Ente previdenziale dei consulenti (Enpacl) inietta 15 milioni in un fondo immobiliare per ristrutturare la sede dell’ateneo.
–
(da Il Fatto Quotidiano)

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CLAMOROSO: A SBUGIARDARE LA VERSIONE DI MARIA ELVIRA CALDERONE, SULLA REGOLARITÀ DELLA SUA LAUREA ALLA “LINK CAMPUS”, ARRIVA IL MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ, GUIDATO DALLA FORZISTA BERNINI

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

“AL MOMENTO DEL CONSEGUIMENTO LAUREA TRIENNALE L’UNIVERSITÀ LINK SI CONFIGURAVA COME ISTITUZIONE STRANIERA. I TITOLI EMESSI, QUINDI, NON RISULTANO NELL’ANAGRAFE NAZIONALE DEI LAUREATI”.… ALLORA COME HA FATTO AD OTTENERE ANCHE LA MAGISTRALE?

È il giorno più nero della ministra Calderone. L’opposizione alla fine l’ha trascinata in aula a rispondere dei tanti dubbi sui titoli di studio che ha conseguito alla Link Campus e ha sempre evitato di menzionare, finché il Fatto li ha trovati da sé scoprendo i “turbo-esami” in Economia, due al giorno e pure di domenica, la docenza a contratto alla Link mentre era iscritta come studente, la triennale che neppure risulta all’Anagrafe Nazionale dei Laureati del ministero dell’Università.
utti si aspettano risposte chiare sul suo percorso di studi. Invece Marina Calderone si limita a dire che quei titoli di cui si parla da giorni sono “legittimi e validi”, senza dire perché, e senza spiegare perché non l’abbia mai fatto prima, ma si sia anzi rifiutata per due anni di fornire libretti e diplomi.
Nel suo discorso butta la palla in tribuna parlando di “dossieraggio per fermare esecutivo” e di “diffusione illecita di dati personali”, due termini usati molto dalla maggioranza da cui ottiene però solo timidi applausi. L’opposizione la incalza sulle tante anomalie dei titoli.
“A quanto pare c’è chi per laurearsi deve studiare giorno e notte e chi riesce a farlo anche con l’università chiusa: un vero miracolo”, attacca il deputato dem Marco Sarracino.
Usa l’ironia il collega Arturo Scotto: “Se Ruby è davvero la nipote di Mubarak allora ha ragione lei signora ministra, il suo percorso universitario è davvero ordinario. Ma lei sa che non è così, altrimenti avrebbe risposto nel merito alle questioni che abbiamo posto, invece si è limitata a fare la cosa che sapete fare meglio: le vittime. Lei passerà alla storia non come la ministra della laurea della domenica ma come quella della precarietà”.
Nella replica la ministra si ripete. Parla di “ricostruzione distorta della realtà dei fatti” e precisa che “da questa laurea non ho avuto alcun vantaggio, né professionale né politico”. Sembra finita.
Invece alla ripresa le opposizioni hanno una carta pesante da giocare, perché lo stesso ministero dell’Università conferma: “Al momento del conseguimento della laurea triennale (della ministra Calderone, ndr) l’università Link si configurava come istituzione straniera. I titoli emessi, quindi, non risultano nell’anagrafe nazionale dei laureati”.
Ecco perché la laurea triennale non figura all’Anagrafe dei Laureati, perché la maggior parte degli esami Calderone li ha fatti quando era l’università di Malta, non riconosciuta in Italia, così come i titoli che emette. Le opposizioni, a cui si aggiunge anche Avs, a quel punto alzano il tiro ma cambiano bersaglio. E chiedono una informativa urgente della ministra dell’Università Anna Maria Bernini.Che sia lei, viste le mancate risposte della titolare del Lavoro, a chiarire lo strano caso della laurea della ministra del Lavoro Calderone. In serata, fonti non meglio precisate del ministero della Bernini, citate dall’Ansa, provano a ricostruire il percorso di studi della ministra. Ma l’impresa non è facile neppure per loro. E infatti nel tentativo sbagliano anche la data di iscrizione della ministra alla Link “italiana”, indicando il 2011. E poi correggono il tiro, era il 2010. La differenza conta, perché nel 2010 era un’università straniera non riconosciuta.
(da l Fatto quotidiano)

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LA “MISSION IMPOSSIBLE” DI D’ALEMA IN BRASILE E CINA PER CONTO DI ZELENSKY: LE RIVELAZIONI A UN INCONTRO CON GIANFRANCO FINI ALL’’ISTITUTO AFFARI INTERNAZIONALI A ROMA

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

“MI È CAPITATO DI PARLARE CON ZELENSKY, E MI DISSE CHE IL SUO PAESE RISCHIAVA IL DISASTRO, ‘PERCHÉ GLI AMERICANI PRIMA O POI SI SFILERANNO E GLI EUROPEI NON SONO AFFIDABILI’…” … I CINESI INVECE AVEVANO UN PIANO CON UNA FORZA INTERNAZIONALE. POI MI DISSERO: LEI È IL PRIMO EUROPEO VENUTO A PARLARCI DI QUESTO, GLI ALTRI CI CHIEDONO SOLO DI NON SOSTENERE LA RUSSIA”

Massimo D’Alema, mission impossible. A volte la diplomazia percorre sentieri tortuosi, specie in momenti drammatici come una guerra. E cosa c’è di più inimmaginabile di una missione segreta affidata dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky all’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema?
La fonte della sorprendente rivelazione è lo stesso interessato, intervenuto mercoledì sera a un dibattito, insieme a Gianfranco Fini, su “la politica estera italiana al tempo di Trump” organizzato a Roma dall’Istituto Affari Internazionali.
D’Alema la prende alla lontana, criticando anzitutto l’Europa per non aver fatto altro che “ripetere che si poteva sconfiggere la Russia, quando era chiaro a tutti che la guerra non poteva essere vinta da nessuno”.
Poi, la confidenza: “Mi è capitato di parlare con Zelensky, a margine di un’iniziativa sui Balcani. E mi disse chiaramente che il suo Paese rischiava il disastro, perché “gli americani prima o poi si sfileranno e gli europei non sono affidabili”. Poi mi chiese di andare in Brasile e a Pechino per capire se Lula e Xi Jinping potevano fare qualcosa. Io ci sono andato, ma Lula mi ha quasi messo alla porta, dicendomi che l’Ucraina era un problema degli americani e che se la vedessero loro, piuttosto secondo lui mi sarei dovuto interessare della Palestina. I cinesi invece avevano un piano. Parlai con il responsabile della politica estera del partito comunista, non con l’ultimo sottosegretario. Mi disse: si potrebbe pensare a una forza internazionale, un po’ come accadde nel Kossovo. Poi mi congedò con una frase che mi fece riflettere: sa, lei è il primo europeo venuto a parlarci di questo, gli altri ci chiedono solo di non sostenere la Russia”.
Qui finisce il racconto dalemiano e anche la missione diplomatica segreta, che non sappiamo quali effetti abbia prodotto. Ma di certo l’ex premier italiano è convinto – e in questo la pensa come Romano Prodi – che sia sbagliato “criminalizzare la Cina” per il conflitto in Ucraina. Anche considerato che la Cina “era il maggior partner commerciale dell’Ucraina prima dell’invasione”. E “venti giorni prima dell’attacco la Borsa cinese aveva comprato quella di Kiev”, segno che il Dragone era all’oscuro dei piani criminali di Putin.
(da La Repubblica)

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“LA RUSSIA FINGE DI NEGOZIARE, NON E’ IL MOMENTO DI TOGLIERE LE SANZIONI A MOSCA”: MACRON, AL TERMINE DEI LAVORI DEL VERTICE DEI VOLENTEROSI A PARIGI, ANNUNCIA UNA MISSIONE A GUIDA FRANCESE E BRITANNICA IN UCRAINA PER FORMARE L’ESERCITO DI KIEV

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

“NOI VOGLIAMO RISPETTARE IL DIRITTO INTERNAZIONALE. A QUESTE FORZE DI RASSICURAZIONE PARTECIPERANNO DIVERSI PAESI EUROPEI. DOBBIAMO DISSUADERE LA RUSSIA DALL’ATTACCARE DI NUOVO, SULL’INVIO DI TRUPPE IN UCRAINA, INVECE, NON C’E’ UNANINIMITA’”

Francia e Regno Unito hanno deciso di realizzare una missione in Ucraina «di rassicurazione», a cui parteciperanno anche altri Stati. Lo ha detto il presidente francese Emmanuel Macron al termine dei lavori del vertice dei volenterosi oggi a Parigi. «Oggi la proposta viene da Francia e Regno Unito ed è accettata da Ucraina e altri Stati membri, non c’è bisogno dell’unanimità per questa missione a guida francese e britannica. Abbiamo lavorato in team anche con i rappresentanti delle Forze armate ucraine, per definire luogo, numero di forze e capacità. Niente è escluso, dalle forze di terra a quelle marittime a quelle aeree, ma queste non si sostituiscono né ad eventuali forze di pace né alle forze ucraine», ha detto Macron.
«la Russia non vuole la pace, ma a prescindere da quello che farà la Russia noi vogliamo rispettare il diritto internazionale», ha proseguito Macron aggiungendo che a queste «forze di rassicurazione parteciperanno diversi Paesi europei». Ci saranno squadre franco-britanniche a formare l’esercito di Kiev, ha aggiunto. «E spero che la Cina svolga ruolo attivo per pace».
Macron: «Non c’è unanimità sull’invio di truppe in Ucraina»
«Dobbiamo proteggere l’Ucraina e dissuadere la Russia dall’attaccarla di nuovo. Le forze di sicurezza non sono forze di mantenimento della pace, non si sostituiscono all’esercito ucraino e non combattono sul fronte, sono forze composte da alcuni Stati, non tutti perché non c’è unanimità su questo, che possano rassicurare l’Ucraina sul fatto di non essere attaccata di nuovo, dopo un eventuale cessate il fuoco. Il terzo pilastro del nostro impegno è il rafforzamento della nostra architettura di sicurezza, a livello europeo. Dobbiamo aumentare gli investimenti e anche il coordinamento delle
nostre industrie della difesa»
Macron: «Sostegno a Kiev, la Russia finge di negoziare»
Emmanuel Macron apre la conferenza stampa: «Il nostro obiettivo è chiaro, ottenere la pace. Noi, trentuno Paesi, vogliamo costruire questa pace con la forza. Il presidente Zelensky ha avuto il coraggio di accettare il cessate il fuoco, ma ogni giorno i bombardamenti continuano, sempre più forti. Difficile dire che ci sono negoziati di pace quando questi danno origine a tre comunicati diversi. Il nostro primo messaggio chiaro è che continueremo a sostenere il popolo ucraino.
La Russia finge di aprire negoziati. Allora ci mobilitiamo per aiutare ancora l’Ucraina. Abbiamo deciso di accelerare i prestiti all’Ucraina per permettere gli acquisti di artiglieria. Abbiamo anche riconosciuto che non è il momento di togliere le sanzioni alla Russia. Vogliamo mantenere la pressione. Poi abbiamo evocato la preparazione e il monitoraggio del cessate il fuoco. Dobbiamo dare la responsabilità all’Ocse? Alle Nazioni Unite? Abbiamo dato mandato ai ministri degli Esteri di presentare proposte concrete nei prossimi giorni
(da agenzie)

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È UNA SPERANZA O UNA MINACCIA? LA “PREVISIONE” DI ZELENSKY: “PUTIN MORIRÀ PRESTO, È UN DATO DI FATTO. E TUTTO FINIRÀ”

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE UCRAINO RISPONDE TRANCHANT: “PUTIN HA PAURA DI PERDERE IL POTERE, QUESTO DIPENDE DALLA STABILITÀ DELLA SOCIETÀ, E ANCHE DALLA SUA ETÀ”. VISTA L’ARIA CHE TIRA TRA WASHINGTON E MOSCA, PERÒ, QUELLO CHE RISCHIA DI PERDERE LA POLTRONA È LUI (TRUMP E PUTIN LAVORANO SOTTOBANCO PER RIMUOVERLO E PORTARE KIEV A ELEZIONI)

“Putin morirà presto, è un dato di fatto. E’ tutto finirà”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky risponde così, in maniera perentoria, ad una domanda sulla guerra tra Ucraina e Russia.
Il numero 1 di Kiev, in un colloquio con un gruppo di giornalisti di diverse testate compresa la Bbc, fa il punto sul conflitto e sui negoziati per porre fine al conflitto che dura da oltre 3 anni. E si esprime in maniera categorica sul 72enne presidente russo. “Morirà presto, è un dato di fatto”, dice Zelensky, facendo riferimento anche all’età del leader russo. “Putin ha paura di perdere il potere, questo dipende dalla stabilità della società e anche dalla sua età”.
I colloqui andati in scena in Arabia Saudita, dove gli Stati Uniti hanno dialogato separatamente con Kiev e con Mosca, hanno gettato le basi per una tregua relativa alle infrastrutture energetiche e al Mar Nero. Zelensky, che a Parigi ha incontrato il presidente francese Emmanuel Macron, non nasconde lo scetticismo sulla tenuta dell’accordo. “Noi speriamo che nel Mar Nero gli americani assicurino un cessate il fuoco senza condizioni”, dice il presidente ucraino.
“No alla rimozione delle sanzioni”
Mosca, con una dichiarazione del Cremlino, ha collegato la tregua nel Mar Nero ad una serie di condizioni, tra cui spicca la rimozione di sanzioni adottate nei confronti di banche russe. “Le sanzioni alla Russia devono rimanere in vigore ed essere rinforzate”, la linea rossa di Zelensky, convinto che “solo la diplomazia basata sulla forza è efficace” e che “l’unico linguaggio che la Russia capisce è quello dalla forza”.
“Ucraina non cederà i territori occupati”
Negli ultimi giorni, il presidente americano Donald Trump ha fatto riferimento a colloqui su “territori e confini” nell’ambito del processo negoziale. Secondo gli Stati Uniti, l’Ucraina deve sostanzialmente rassegnarsi alla cessione dei territori parzialmente occupati dalla Russia. Mosca considera annesse le regioni di Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson. “Non cederemo mai alla Russia i nostri territori occupati. Queste terre appartengono agli ucraini. Quando le riavremo? Probabilmente non subito. Potrebbe essere necessario farlo per via diplomatica”, la posizione di Zelensky.
(da agenzie)

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GIORGIA MELONI DI CONTROVOGLIA AL VERTICE DEI “VOLENTEROSI”, CONVOCATO A PARIGI DALL’ODIATO MACRON, E SOGNA UN INCONTRO CON TRUMP ALLA CASA BIANCA. PECCATO CHE IL PRESIDENTE USA NON SIA DISPOSTO A CONCEDERE NULLA SUI DAZI, CHE METTEREBBERO IN GINOCCHIO L’EXPORT ITALIANO

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

IL RISCHIO DI TORNARE A MANI VUOTE DA WASHINGTON SAREBBE UN BOOMERANG PER LA GIORGIA DEI DUE MONDI COSTRETTA A PRENDERE TEMPO … IL CONSIGLIO DI DRAGHI A MELONI: MENO IDEOLOGIA E PIÙ REALPOLITIK

Mentre a Parigi va in scena l’ennesimo vertice sull’Ucraina voluto da Emmanuel Macron – un summit che rischia di rivelarsi sterile come i precedenti – Giorgia Meloni siede al tavolo con un occhio agli alleati europei e l’altro fisso su Washington.
La premier italiana è presente, ma la sua mente è già proiettata altrove. Perché dietro le quinte, lontano dai riflettori, si sta consumando un braccio di ferro silenzioso, ma cruciale, con Donald Trump.
Il dossier è delicato: Meloni lavora da settimane a un viaggio negli Stati Uniti, con un obiettivo preciso. Non una semplice visita di cortesia, ma un incontro che possa produrre risultati tangibili per l’Italia, in particolare sul tema dei dazi. Un viaggio senza accordi concreti sarebbe una sconfitta politica pesante. Eppure, nonostante le trattative, Trump per ora non concede nulla.
Il piano di Meloni è chiaro: sfruttare il buon rapporto personale con Trump per ottenere un’apertura sui dazi americani che colpiscono l’export italiano. Ma se nelle dichiarazioni ufficiali la premier rivendica un dialogo privilegiato con il tycoon, nei fatti la Casa Bianca non sembra avere fretta di concederle nulla.
Chi segue da vicino la trattativa racconta di una serie di contatti, messaggi, tentativi di costruire un’intesa. Ma la risposta da parte dell’entourage trumpiano è sempre la stessa: attesa. Nessuna promessa, nessun impegno, nessun segnale di apertura concreta. Solo generiche manifestazioni di interesse, mentre l’amministrazione Trump corre su binari ben più strategici per lui.
Il rischio di un passo falso del governo
E così Meloni si trova davanti a un bivio. Sa che un viaggio a Washington, senza un risultato concreto da esibire, sarebbe un boomerang. Non può permettersi di tornare a Roma a mani vuote, dando l’idea di aver inseguito un’illusione.
Nel frattempo, a Parigi, il vertice sull’Ucraina scivola via tra dichiarazioni di principio e divisioni latenti tra i leader europei. Macron insiste sul protagonismo della Francia, Scholz mantiene un profilo prudente, mentre Meloni partecipa senza entusiasmo, consapevole che il vero match si gioca altrove.
Ma per ora, la partita americana è ferma. E finché Trump non deciderà di muovere un pezzo sulla scacchiera, Meloni resterà in attesa.
(da ilgiornaleditalia.it)

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“WALTZ È UN CAZZONE DI PROPORZIONI EPICHE. QUALCUNO DEVE ESSERE LICENZIATO”: FUNZIONARI DELLA DIFESA, REPUBBLICANI DOC E INFULENCER TURBO-TRUMPIANI CHIEDONO A TRUMP DI LICENZIARE IL CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA NAZIONALE DOPO LA FIGURA DI MERDA DEL “SIGNAL-GATE”

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

FONTI DEL PENTAGONO SMENTISCONO IL SEGRETARIO ALLA DIFESA, PETE HEGSETH: “LE INFORMAZIONI CONDIVISE SONO ALTAMENTE CLASSIFICATE” … I DUBBI SULLA SOBRIETÀ DELL’EX ALCOLISTA HEGSETH E IL TERRORE DI VANCE DI ESSERE RIMBROTTATO DA TRUMP

«Condizioni meteorologiche favorevoli», scriveva alle 11.44 del 15 marzo il capo del Pentagono Pete Hegseth: «Via libera del Cent com a missione di lancio ». Poi altri
aggiornamenti in diretta: «Ore 12.15, lancio degli F18».
«13.35 target terroristico in nota posizione ». «14.10 raid di droni contro target». «15.36 lancio di missili Tomahawk dal mare». Col consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz ad aggiungere alle 13.48: «Edificio abbattuto a Sanaa. Persona colpita identificata…».
Il direttore della rivista The Atlantic Jeffrey Goldberg non molla. E sfida la Casa Bianca rispondendo alle accuse di essere «un giornalista disonesto e screditato», pubblicando nuovi screenshot della conversazione al vertice sui piani militari d’attacco agli Houti dello Yemen tramite la app Signal. Di cui è stato involontario testimone dopo aver accettato un invito, come raccontato in un clamoroso articolo
lunedì.
L’amministrazione è certo in imbarazzo: «Qualcuno ha fatto un grosso errore» ammette il segretario di Stato Marco Rubio. Concetto ribadito anche dalla direttrice dell’Intelligence Tulsi Gabbard, che però martedì, durante un’audizione al Senato, ha sostenuto che nella chat non erano stati rivelati «dettagli su tempi, obiettivi o armi».
Salvo aggiustare il tiro ieri, dopo la nuova pubblicazione: «La mia risposta era basata sull’assenza di ricordi chiari. Non ero direttamente coinvolta in quella parte di conversazione» ha detto (irritandosi col deputato che le chiedeva se Hegseth fosse sobrio durante la chat).
Sulle difensive pure il capo della Cia John Ratcliffe: «Non è stata trasferita alcuna informazione riservata. E ciò che conta è il successo della missione». I dem già attaccano: se quelle informazioni fossero state ricevute dal nemico o da qualcuno di più indiscreto — il rischio c’era, giacché l’inviato speciale per Ucraina e Medio Oriente Steve Witkoff durante la chat si trovava addirittura in Russia — gli Houti avrebbero potuto avere il tempo di rispondere e la vita dei piloti americani sarebbe stata a rischio.
«Se Hegseth non si dimette va licenziato» ha dunque tuonato il leader della minoranza dem Hakeem Jeffries. Persino l’influencer trumpiano Dave Portnoy, accusa: «Pasticcio monumentale. Qualcuno deve cadere».
«Ci sono due cose che non si devono fare se vai al governo: inviare messaggini e bere». Quelle del segretario alla Difesa Pete Hegseth rischiano di diventare le ultime parole famose: che avesse un problema con l’alcol era noto, ma dopo le rivelazioni sul chatgate si è visto quanto riesce a mettersi nei guai pure con la messaggistica. […]
Già accusato (anche da sua madre) di alcolismo, abusi sessuali e bullismo, l’ex-conduttore televisivo di Fox News Hegseth sembra il più propenso a coprirsi di ridicolo. Il New York Times racconta che, salendo sull’aereo per le Hawaii dopo la bufera politica a Washington, si è fatto scortare da due soldatesse in assetto di guerra, «come non farebbe nemmeno il presidente»; e quando dall’aereo è sceso, ritrovandosi i giornalisti ai piedi della scaletta, ha inveito con foga tale da indurre il sospetto che a bordo non avessero offerto solo gin and tonic.
Ma il resto della combriccola suscita altrettanta ilarità. Prendiamo colui che sulla carta appare il più preparato: J.D. Vance ha una laurea in legge a Yale, è un veterano dei Marines, ha scritto un’autobiografia best- seller e almeno è stato senatore due anni prima di venire promosso vicepresidente.
Eppure i media Usa lo prendono in giro perché a questo punto la sua preoccupazione non sono le rivelazioni sui piani di guerra nello Yemen e nemmeno gli insulti all’Europa, bensì la paura che Trump si sia offeso per una frase venuta alla luce nella chat: «Non sono sicuro che il presidente si renda pienamente conto».
Forse già immagina un colloquio nell’Ufficio Ovale di questo tenore. Trump: “Intendevi dire che non capisco un accidente?” J.D.: “Ma no, Donald, giuro, non intendevo questo!” Trump: “E cosa intendevi, allora?”. Da due giorni infatti Vance va in giro a ripetere a tutti la stessa cosa: «Sono al 100% sulla linea del presidente». Sperando che basti a salvarlo dall’ira del capo.
E poi c’è Mike Waltz, il consigliere per la sicurezza nazionale. È stato lui a inserire sbadatamente il direttore di Atlantic nella chat. «Ha commesso un errore», ha sentenziato Trump, «ma è un brav’uomo». E come ha reagito il consigliere che occupa la poltrona su cui sedette Kissinger? «Mi assumo completa responsabilità ». Bene, avranno esclamato i telespettatori ascoltandolo, finalmente qualcuno si dimette.
Macché, il “brav’uomo” continuerà a dare consigli al presidente. C’è un’espressione, in inglese: “The gang that couldn’t shoot straight”. Alla lettera, la banda che non riesce a sparare dritto. Era il titolo di un film del 1971, una commedia su due mafiosi totalmente incapaci: andrebbe bene anche per i dilettanti allo sbaraglio digitalmente riuniti per decidere come sparare sullo Yemen.
(da agenzie)

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NON VOGLIO MORIRE QUI DENTRO, CI TRATTANO PEGGIO DEGLI ANIMALI”: LE GRIDA DI AIUTO DEL CPR DI TRAPANI

Marzo 27th, 2025 Riccardo Fucile

LETTI DI CEMENTO, LENZUOLA DI PLASTICA, MANGANELLATE: UN VIDEO ATTESTA UNA GESTIONE DISUMANA. E QUESTO SAREBBE IL COMPORTAMENTO DI UN PAESE CIVILE?

“Ecco stanno entrando con i bastoni per menarci. Aiuto. Abbiamo bisogno di aiuto. Perché tutto questo? Basta. Basta. Aiuto. Aiutateci”, da sabato scorso le persone rinchiuse nel Cpr di Trapani-Milo sono in sciopero della fame, un video con le urla dei migranti denuncia la violenza delle forze dell’ordine entrate nella sezione e sequestrargli i cellulari
Grida di aiuto, rumore di manganelli, un’inquadratura fissa su una parete o un pavimento, è l’ultimo video-testimonianza che ci arriva dall’interno del Cpr di
Trapani-Milo. Qui da sabato scorso, in seguito all’ennesimo atto di autolesionismo commesso da un uomo tunisino che ha provato a togliersi la vita, le circa 150 persone trattenute in detenzione amministrativa hanno iniziato uno sciopero della fame. “Il corpo è il loro unico strumento di denuncia”, dice ai microfoni di Fanpage.it un’attivista della Rete Siciliana contro il confinamento
La protesta pacifica iniziata sabato rivendica libertà e dignità contro le condizioni disumane in cui sono costrette quotidianamente le persone trattenute. “Chiedono libertà e dignità”, continua l’attivista, “uno di loro ci ha detto al telefono: ‘vogliamo libertà, voglio vivere per essere amato non per morire qu i rinchiuso, vogliamo il diritto di essere uomini’”.
Le condizioni del Cpr di Trapani-Milo, come già denunciato in precedenza da Fanpage.it, sono disumane: “La gente vive in condizioni terribili, molte persone lamentano di essere costrette a dormire su blocchi di cemento con coperte di carta, materassi molto sottili, scomodi; gli danno poco sapone per lavarsi e in generale tutto quello che serve alla cura del corpo è dato in quantità minimali”, spiega l’attivista, “lamentano di essere privati del diritto di essere persone, oltre che di quello alla libertà individuale, alla comunicazione e a una giusta difesa”.
Lunedì scorso la Rete Siciliana contro il confinamento ha raccolto alcune testimonianze dalle persone in protesta, nonché il video girato dagli stessi manifestanti e ripubblicato dalla Rete No Cpr e da Sea Watch Italy nelle loro pagine Instagram. Il video è stato coraggiosamente girato mentre le forze dell’ordine entravano nella sezione dove è in corso la protesta per cercare e sequestrare con la forza l’unico cellulare con cui le persone riuscivano a comunicare con l’esterno. “Vogliono prenderci il telefono per non farci raccontare cosa succede. Siamo in sciopero della fame. Non ce la facciamo più a stare qui. Non ce la facciamo più”, ha raccontato un uomo agli attivisti della Rete, “un tunisino ed un egiziano una settimana fa hanno fatto la corda [ndr. hanno provato ad impiccarsi] perché sono da tanti anni in Italia, e piuttosto che il rimpatrio è meglio la corda”, ha detto un altro.
“Ora sono qui fuori con caschi e manganelli per picchiarci. Tra poco ci toglieranno anche questo telefono che usiamo in 40. Hanno rotto la videocamera del telefono, prima di darcelo. Ora vogliono togliercelo. Perché? Ecco stanno entrando con i bastoni per menarci. Aiuto. Abbiamo bisogno di
aiuto. Perché tutto questo? Basta. Basta. Aiuto. Aiutateci”, e poi il suono sordo dei manganelli.
“Hanno reso non funzionanti tutti questi dispositivi perché non vogliono che venga diffuso ciò che avviene lì dentro”, spiega l’attivista della Rete Siciliana contro il confinamento, “vogliono occultare le immagini del Cpr, non vogliono far vedere ciò che è davvero quello spazio, nascondere la realtà dei fatti e rendere impossibile la denuncia degli abusi e delle condizioni precarie a cui sono costrette le persone recluse li dentro”.
Al momento dentro il Cpr di Trapani-Milo ci sarebbero 150 persone di cui molti neo diciottenni che dopo essere arrivati nel territorio italiano quando ancora erano minorenni, si sono ritrovati per strada al compimento della maggiore età. Regalati alle mani dello sfruttamento delle campagne siciliane o dello spaccio e poi finiti nel Cpr. Ma ci sono tante altre storie che arrivano da lì dentro, e di cui Fanpage.it è venuta a conoscenza grazie alla Rete Siciliana contro il confinamento che le ha raccolte. Sono storie di persone che stavano in Italia da più di vent’anni e che si sono ritrovate dentro Trapani-Milo per problemi burocratici al momento del rinnovo del permesso di soggiorno o per l’impossibilità di regolarizzarsi.
“Molti di noi erano andati in questura per il rinnovo [ndr. dei documenti]. Alcuni avevano un contratto di lavoro. Guarda cosa è successo! Siamo qui ora. Nessun diritto. Peggio degli animali”, ha raccontato un altro uomo da dentro il Cpr siciliano.
“La Sicilia è stata definita da poco dal Ministro dell’Interno Piantedosi laboratorio per il trattenimento cosiddetto leggero che riguarda i richiedenti asilo sottoposti alle procedure accelerate di frontiera che sono già in vigore in Italia e che entreranno in vigore in tutta Europa con l’applicazione del nuovo patto immigrazione e asilo”, aggiunge Giorgia Linardi, portavoce dell’Ong Sea Watch Italy, “dai Cpr siciliani parte il 54% dei rimpatri di tutta Italia, e l’85% dei casi di rimpatrio riguarda persone di nazionalità tunisina, il che ci fa capire l’arbitrarietà della scelta delle persone da rimpatriare, che si fonda sul solo accordo bilaterale che l’Italia ha con la Tunisia”.
Da quello che il nostro governo definisce un “laboratorio”, le ultime notizie che abbiamo sono le grida di aiuto registrate dalla Rete Siciliana contro il confinamento dell’alba di martedì: “Ci hanno riempito di botte. Ci sono 9 feriti
Qui ci sono tanti ‘piccoli’, ragazzi di 19, 20 anni. Dormono adesso. Sono tutti stanchi. Siamo trattati peggio degli animali. Peggio dei cani. Abbiamo letti di cemento e lenzuola di carta. Ci danno un rotolo di carta igienica per 15 giorni. Fate vedere dove viviamo e come viviamo”, hanno chiesto prima di scomparire di nuovo nel silenzio a cui sono costretti dallo Stato italiano.
(da Fanpage)

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