Destra di Popolo.net

DEDICATO A CHI SI STRACCIA LE VESTI PER L’ESCLUSIONE DEL FILORUSSO GEORGESCU DALLE ELEZIONI IN ROMANIA: LO PREVEDE LA COSTITUZIONE

Marzo 11th, 2025 Riccardo Fucile

RINGRAZINO, PIUTTOSTO, IN ALTRI TEMPI I TRADITORI VENIVANO FUCILATI ALLA SCHIENA

Vedo un po’ di confusione nella stampa italiana riguardo alla mancata candidatura del filorusso Georgescu. Spendiamo quindi due parole in merito
La confusione nasce dal fatto che si tratta di due sistemi elettorali, giuridici e politici diversi.Il presidente della Romania è uno dei garanti della Costituzione, e su questo non ci piove, dato che anche il Quirinale svolge la stessa funzione.
Tuttavia, la Costituzione romena è tutelata anche dalla Corte Costituzionale, che produce giurisprudenza al livello più alto nello Stato e, a differenza del sistema italiano, è considerata “fonte di diritto”. Erga omnes.
Arriviamo al dunque. Tutto ruota attorno a due articoli, il 148 e il 149 della Costituzione, che sanciscono in modo chiaro e inequivocabile l’appartenenza della Romania all’UE e alla NATO. Nella precedente campagna elettorale (quella delle elezioni annullate), un’altra candidata filorussa, la signora Șoșoacă, ha inveito contro questi due articoli, invocando l’uscita della Romania dalle due organizzazioni.
La Corte Costituzionale ha stabilito che chi attenta alla Legge Fondamentale non può esserne un garante. Questa decisione ha prodotto giurisprudenza erga omnes e verrà applicata a tutti i candidati alla più alta carica dello Stato, per sempre.
A questo punto, giustamente, ci si chiede: “Ma come rimane la volontà del popolo?”
Semplice, lo strumento legale si chiama referendum. Quindi, chiunque voglia tirare fuori la Romania dall’UE e dalla NATO può richiedere un plebiscito in tal senso. Ma di sicuro non può arrivare alla più alta carica dello Stato a forza di populismo e false promesse, per poi abolire i partiti politici (non è uno scherzo, Georgescu lo ha dichiarato in più occasioni), mettere alla gogna gli oppositori (con tanto di liste già pubblicate – vi dice qualcosa?) e instaurare un’autocrazia.
Quindi, niente. La democrazia romena (così imperfetta come tutte le altre) funziona. Non si tratta di alcuna dittatura, ma di anticorpi contro la Madre Russia e il populismo sfacciato.
(da Fb)

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MAKE AMERICA “HATE” AGAIN: GRAZIE A TRUMP, IL MONDO DETESTA GLI STATI UNITI

Marzo 11th, 2025 Riccardo Fucile

“BLOOMBERG”: “NON C’È MAI STATO UN MOMENTO MIGLIORE PER ESSERE ANTIAMERICANI. TRUMP INCARNA TUTTO CIÒ DA CUI I CRITICI DEGLI USA HANNO SEMPRE MESSO IN GUARDIA. VIVERE CON L’AMERICA È COME VIVERE CON ADOLESCENTI MALEDUCATI CHE PENSANO DI AVER RISOLTO I MISTERI DELL’UNIVERSO. GLI STATI UNITI STANNO DIVENTANDO UNA FONTE DI INSTABILITÀ GLOBALE E SONO DIVENTATI UN PARTNER INAFFIDABILE” … IL SONDAGGIO: I SENTIMENTI POSITIVI NEI CONFRONTI DEGLI STATI UNITI SONO DIMINUITI TRA I 6 E I 28 PUNTI DA QUANDO IL TYCOON È STATO ELETTO – IL CALO MINORE (DA 48 A 42) SI REGISTRA IN ITALIA, TERRA DI TRUMPIANI DOC

I canadesi hanno iniziato a fischiare l’inno nazionale americano e i panamensi a bruciare le bandiere statunitensi. I tabloid britannici hanno asfaltato il vicepresidente JD Vance per aver insultato le truppe britanniche. Un carro di carnevale a Dusseldorf, in Germania, ha mostrato pupazzi giganti di Donald Trump e del suo omologo russo, Vladimir Putin, che si stringevano la mano mentre schiacciavano tra loro il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy fino a ridurlo in poltiglia insanguinata
In patria, il Washington Post ha pubblicato una guida su come affrontare l’ostilità all’estero (“vestirsi in modo neutrale, non patriottico”). Non c’è mai stato un momento migliore per essere antiamericani.
Trump incarna tutto ciò che i critici degli Stati Uniti hanno sempre messo in guardia, moltiplicato più volte. L’arroganza yankee? Lui e Vance, nello Studio Ovale, hanno spudoratamente maltrattato il leader di una nazione vittima dell’aggressione del presidente russo. Imperialismo yankee? Trump si è vantato davanti a un Congresso esultante di voler conquistare la Groenlandia “in un modo o nell’altro”. Incompetenza yankee? I suoi dazi stanno destabilizzando i mercati azionari globali e declassando la sua stessa economia.
Un sondaggio di YouGov pubblicato il 4 marzo mostra che i sentimenti positivi nei confronti degli Stati Uniti sono diminuiti tra i 6 e i 28 punti da quando Trump è stato eletto. Il calo minore (da 48 a 42) si registra in Italia. Il calo maggiore (da 48 a 20) si registra in Danimarca, dove, senza sorpresa, i cittadini sono infastiditi dalla sua intenzione di annettere parte del loro territorio. Attualmente non c’è nessun luogo in Europa in cui più della metà della popolazione abbia un sentimento positivo nei confronti degli Stati Uniti.
Questi numeri sono destinati a peggiorare in modo significativo con l’inizio delle deportazioni di massa degli immigrati e con l’aumento dei dazi sull’economia globale.
L’aumento dell’antiamericanismo è qualcosa di più del semplice anti-Trumpismo? Penso di sì. Si sta intensificando l’ostilità nei confronti dell’entusiasmo dell’America per il suo peso politico e culturale – un fervore che precede di molto Trump e che è guidato tanto dalla padronanza del Paese delle tecnologie più potenti del mondo quanto dalla sua politica. Vivere con l’America è come vivere con adolescenti maleducati che pretendono attenzione costante e pensano di aver risolto i misteri dell’universo.
L’ultima grande esportazione culturale dell’America prima che Trump vincesse le elezioni – il Pensiero woke – ha fatto infuriare persone di destra e di centro con la sua arma delle tensioni culturali. I […] siti di social media – in particolare Facebook e X, ex Twitter – sono sempre più visti come agenti di divisione e di distrazione piuttosto che, come un tempo amavano marchiarsi, creatori di un villaggio globale.
Allo stesso modo, non c’è mai stato un momento peggiore per essere filoamericani. I campioni degli Stati Uniti hanno tradizionalmente difeso la nazione (e scusato i suoi fallimenti) sulla base di tre motivi: in quanto maggiore potenza mondiale, gli Stati Uniti forniscono stabilità e sicurezza; in quanto principale democrazia liberale del mondo, difendono e diffondono la democrazia liberale in tutto il mondo; e sono un motore del capitalismo di libero mercato.
Queste giustificazioni si stanno trasformando in polvere. Gli Stati Uniti stanno diventando una fonte di instabilità globale, soprattutto a causa del comportamento di Trump, ma anche per la crescente abitudine di oscillare tra gli estremi […]. La politica interna dell’America è ora così irregolare da renderla un partner inaffidabile a lungo termine, indipendentemente da chi occupa la Casa Bianca. Sotto Trump, gli Stati Uniti si stanno inchinando al più grande nemico mondiale della democrazia liberale, Putin, e stanno iniettando una massiccia instabilità nei mercati globali.
Durante l’ultima ondata di antiamericanismo sotto Bush, i filoamericani avevano almeno qualcosa per cui combattere: l’idea che gli Stati Uniti stessero rovesciando un feroce dittatore e diffondendo la democrazia in Medio Oriente. Ma per cosa possono combattere oggi? Nessuno al di fuori degli Stati Uniti abbracciano le tariffe di Trump. E nessuno al di fuori dell’asse dell’autocrazia appoggia la sua politica estera, orientata verso gli uomini forti. Persino coloro che si mostrano gentili con Trump, come il primo ministro britannico Keir Starmer, lo fanno a denti stretti.
L’antiamericanismo potrebbe trasformarsi in politica interna europea e internazionale se Trump continuerà con gli atti incendiari delle sue prime sette settimane. Questo sentimento sta già erodendo il sostegno interno dei politici populisti che si sono allineati con lui.
Nigel Farage, leader del Reform Party britannico e uomo che ha fatto leva sulla sua posizione di migliore amico di Trump nel Regno Unito, ha fatto marcia indietro sul suo suggerimento che Zelenskiy fosse “scortese” con Trump e ha denunciato il discorso di Vance sulle trubbe britanniche come “sbagliato, sbagliato, sbagliato”
Il Partito Conservatore canadese, che per due anni ha goduto di un enorme vantaggio nei sondaggi rispetto ai liberali del Primo Ministro Justin Trudeau, ha visto il suo vantaggio evaporare da gennaio, e una vittoria dei conservatori alle elezioni di ottobre non è più una conclusione scontata.
Uno dei motivi per cui le grandi potenze ragionevoli si presentano come difensori benigni dell’ordine globale è quello di evitare che le potenze più piccole si coalizzino contro di loro. L’America di Trump ha deciso di fare il contrario. Le potenze occidentali stanno stringendo alleanze che escludono (o almeno non includono) gli Stati Uniti
L’Unione Europea, in particolare la Germania, sta iniziando a prendere in mano il proprio destino militare dopo decenni di passività. L’UE ha stretto accordi commerciali con l’America Latina e la Malesia e ha stretto vari accordi collaterali con il Canada e la Cina. Alcuni dei suoi alleati considerano gli Stati Uniti, secondo le parole del politologo Michael Beckley, “una superpotenza canaglia, un colosso mercantilista determinato a spremere ogni grammo di ricchezza e potere dal resto del mondo”.
Anche se l’America indebolisce le alleanze che ha coltivato nel secondo dopoguerra, l’asse dell’autocrazia sta facendo il contrario. La Russia e la Cina hanno promesso un’amicizia duratura. Quelle che un tempo venivano chiamate potenze non allineate stanno facendo la fila per entrare nel gruppo BRICS
Gli Stati Uniti non possono più presumere che le altre potenze liberali si schierino automaticamente dalla loro parte per interessi e cultura comuni. Né possono presumere che, alla resa dei conti, le potenze non allineate sceglieranno l’America piuttosto che la Cina.
Il genio dell’antiamericanismo non solo è uscito dalla bottiglia, ma sta causando danni immensi agli interessi a lungo termine del Paese. Anche se Trump dovesse rivelarsi un’aberrazione, come sembra sempre più probabile, ci vorranno molti anni per riconquistare la fiducia del mondo libero.
(da agenzie)

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IL NO DI MATTARELLA ALL’INCONTRO CON ELON MUSK PER STARLINK: “MA QUANDO MAI…”

Marzo 11th, 2025 Riccardo Fucile

IL GOVERNO MELONI SPACCATO SUI DAZI

«Ma quando mai…». La reazione del Quirinale alla richiesta di Elon Musk di incontrare Sergio Mattarella è piuttosto eloquente. Una visita del magnate «è impossibile». E per un motivo ben preciso: il capo dello Stato non fa incontri per stipulare contratti. Come quello di Starlink, che secondo il padrone di SpaceX servirebbe all’Italia. Ma il governo Meloni non sembra d’accordo. O meglio: la Lega di Matteo Salvini «firmerebbe anche domani», mentre Forza Italia di Antonio Tajani punta a «un’alternativa europea». In mezzo ci sono la premier e il suo partito, che non pare esattamente entusiasta del personaggio. Soprattutto dopo gli attacchi del suo plenipotenziario Andrea Stroppa.
Musk, Starlink e Mattarella
Il Corriere della Sera racconta oggi la reazione del Quirinale alla proposta di Musk. Il quale si è mosso sostenendo che la parola decisiva sull’accordo in fieri spetta proprio a Mattarella, visto che presiede il Consiglio Supremo di Difesa. Anche se in realtà non è così: al capo dello Stato «comandante delle forze armate» spetta un ruolo di «alto coordinamento tra governo e Parlamento al fine di garantire l’unità di indirizzo costituzionale». Può compiere atti di indirizzo, ma non dirigere le scelte. La responsabilità è di Palazzo Chigi. E sul punto Giorgia Meloni pare essere piuttosto chiara. Il dossier, dice, non è prioritario. Anche perché ci sono sistemi satellitari alternativi europei a cui attingere. Tra questi la francese Eutelsat.
Cos’è Starlink
Starlink è una costellazione di satelliti gestita da SpaceX. Permette l’accesso a internet in banda larga a bassa latenza. Nel Ddl Spazio appena approvato alla Camera si ipotizza la gestione di imprese non solo Ue, ma anche Nato, per garantire la comunicazione di apparati dello Stato in caso di emergenza. Chi firmerà il contratto accederà alla riserva di capacità nazionale istituita dal ministero delle Imprese e del Made in Italy. Il tutto dovrà essere autorizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana. Sullo sfondo ci sono i rapporti Italia-Usa e lo scenario internazionale, con la guerra in Ucraina e il piano di riarmo di von der Leyen. Che sarà oggetto del dibattito sull’Ucraina e la difesa europea al Parlamento di Strasburgo.
I dazi di Trump
Ma nella Lega c’è chi insiste. È il caso del senatore Claudio Borghi, che parla oggi in un’intervista al Corriere della Sera. In cui dice che il contratto potrebbe essere merce di scambio per i dazi americani. «Potremmo anche metterla così: noi compriamo non una, ma due volte i servizi di Starlink. Però, discutiamo con gli Usa anche dei dazi». E il problema della sovranità nazionale per il leghista non è decisivo: «Non è che in questo momento i nostri aerei o le nostre navi non funzionino. Per carità, i satelliti sono un assetto strategico. Ma addizionale a quello che abbiamo. E stiamo parlando degli Usa, da sempre nostri alleati. Destinati, io credo, a rimanerlo».
L’uomo di Musk
Le garanzie a Trump, è il ragionamento di Borghi, «le possiamo anche chiedere ma per quale motivo dovremmo fidarci più della Francia che degli Usa? Per gli F35 non abbiamo chiesto particolari garanzie». E la Lega difende anche l’uomo di Musk in Italia Stroppa, che continua a praticare una sorta di lobbismo non necessariamente di aiuto: «Lui è figlio di questi tempi, dobbiamo abituarci a una comunicazione non convenzionale. Che magari è più palese rispetto a certe ipocrisie del passato».
(da agenzie)

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IL CRIMINALE RUSSO CONTRO PINA PICIERNO: “BESTIA SCHIFOSA, VERGOGNA DELL’UMANITA'”

Marzo 11th, 2025 Riccardo Fucile

CANCELLATA LA SUA APPARIZIONE SU RAI3, IL DIFFUSORE DI BALLE SI E’ SFOGATO SU ROSSIYA TV

Vladimir Solovyev non ha preso benissimo lo stop alla sua partecipazione al programma di Massimo Giletti su Rai3. E ha individuato subito la presunta colpevole. Ovvero l’europarlamentare del Partito Democratico Pina Picierno.
In un intervento su Rossiya Tv Solovyev punta il dito sulla vicepresidente del Parlamento Europeo, sostenendo che con lei è scesa in campo «l’artiglieria pesante». In italiano, Solovyev dice che la bocca di Picierno «puzza di tirannia». Poi aggiunge: «Idiota patentata». Dice che la russofobia in Europa è pazzesca e poi, di nuovo in italiano, «vergogna della razza umana» e «bestia schifosa».
Kelly in Ucraina
Intanto Elon Musk, il first buddy di Donald Trump, ha definito Mark Kelly un «traditore» dopo che il senatore dem ha rivelato e descritto la sua visita in Ucraina in una serie di post condivisi su X. Kelly, veterano della Marina e astronauta in pensione, ha visitato l’Ucraina nel fine settimana per la terza volta da quando la Russia ha invaso il paese.
«Tutti vogliono che questa guerra finisca, ma qualsiasi accordo deve proteggere la sicurezza dell’Ucraina e non può essere un regalo a Putin», ha scritto in uno dei post. Il senatore ha aggiunto che la sospensione degli aiuti militari Usa «ha solo reso più difficile per l’Ucraina la lotta contro la Russia». E che «fermare il trasferimento di queste armi aiuta solo i russi. Donald Trump dice di fidarsi di Putin e sta cercando di farlo sembrare un amico e un bravo ragazzo. Non vedo l’ora di vedere Putin marcire in prigione», ha proseguito.
Musk e il traditore
«Sei un traditore», lo ha attaccato Musk. Kelly ha replicato: «Traditore? Elon, se non capisci che difendere la libertà è un principio fondamentale di ciò che rende grande l’America e ci mantiene al sicuro, forse dovresti lasciar fare a quelli di noi che lo capiscono”
(da agenzie)

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IL CUGINO DI VANCE LO SPUTTANA: “HO COMBATTUTO IN UCRAINA, VOLEVO FIRGLI LA VERITA’ MA LUI NON MI HA MAI RISPOSTO”

Marzo 11th, 2025 Riccardo Fucile

“QUELLO CHE STANNO FACENDO CON TRUMP E’ UN’IMBOSCATA IN MALAFEDE AL POPOLO UCRAINO”

«J.D. è un bravo ragazzo, è intelligente. Quando criticava gli aiuti all’Ucraina mi dicevo che lo faceva per piacere a un certo elettorato, che il gioco della politica funziona così. Ma quello che hanno fatto (lui e Trump, ndr ) a Zelensky è un’imboscata in totale malafede». Nate Vance è il cugino del vicepresidente degli Stati Uniti. I due hanno in comune i nonni: Beverly, la madre di J.D. è sorella del padre di Nate, James. Da ragazzini andavano in vacanza insieme. Poi hanno preso strade molto diverse. J.D. È diventato vicepresidente di Trump. Nate è andato a combattere i russi in Ucraina. «Il fatto che appartengo alla tua famiglia non significa che accetterò che tu faccia uccidere i miei compagni», gli fa sapere adesso in un’intervista pubblicata da Repubblica.
Il soldato e il vicepresidente
«Mi ha deluso. Quando ho sentito J.D. giustificare la diffidenza nei confronti di Zelensky con i “reportage” che ha visto, stavo quasi per soffocare», dice Nate. «Aveva un cugino in prima linea. Avrei potuto raccontargli la verità, senza ipocrisie o interessi personali. Non ha mai cercato di saperne di più», aggiunge. Nate ha cercato molte volte di mettersi in contatto con J.D.: «Ho lasciato molti messaggi al suo ufficio. Non ho mai avuto risposta ». Il texano ha partecipato alle battaglie di Kupiansk, Bakhmut, Avdiivka e Pokrovsk. Poi all’inizio di gennaio ha lasciato il paese: «Restare era diventato complicato. Non potevo rischiare che mi facessero prigioniero ».
Nate Vance
Nate Vance ha servito nei Marines per quattro anni. Poi ha lavorato in un’azienda petrolifera. È repubblicano, amante della caccia e del tiro al bersaglio. Poi nel 2022 il viaggio in Ucraina: «Ho voluto andare a vedere. Per curiosità. E anche per spirito di avventura. Non è bello da dire ma è la verità». Si stabilisce a Leopoli: «Volevo aiutare nella logistica o nel supporto medico. Vedevo la storia scriversi davanti a me, desideravo farne parte». Poi il fronte: Cercavano chiunque sapesse già tenere in mano un’arma. La formazione era elementare. Molti erano giovanissimi, quasi bambini. Era terrificante». Si è unito a Honor, un gruppo di nazionalisti ucraini già in prima linea nel 2014, ai tempi del Maidan. «Alcuni erano ancora bambini. Ma avevano rabbia e forza».
Trump, Vance e Putin
Adesso ha le idee chiare su come finirà: «Donald Trump e mio cugino evidentemente credono di poter ammansire Vladimir Putin. Si sbagliano. I russi non dimenticano il sostegno che abbiamo prestato all’Ucraina. Per Putin siamo soltanto degli utili idioti».
(da agenzie)

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SONDAGGIO GHISLERI: LA GUERRA MONDIALE SPAVENTA 4 ITALIANI SU 10, DI TRUMP NON SI FIDA IL 58,4% DEGLI ITALIANI

Marzo 11th, 2025 Riccardo Fucile

SOLO IL 9% E’ PER LE NOSTRE TRUPPE A KIEV, MA SE CI VANNO GLI ALTRI VA BENE: E’ LA SOLITA ITALIETTA DEI VILI

Oggi l’intensità e la frequenza delle crisi internazionali fanno percepire agli italiani una minaccia più vicina e concreta di un conflitto su larga scala in grado di evolvere e ampliarsi fino a coinvolgere l’Europa intera compreso il nostro Paese. Il 42,2% degli italiani, infatti, sente vivo il pericolo di giungere a una possibile terza guerra mondiale. Questo è quanto emerge da un sondaggio di Euromedia Research presentato giovedì scorso nella trasmissione Porta a Porta di RaiUno, dove il 47,5% della gente ritiene che siano minacciati i confini dell’intera Europa. La paura di una guerra “globale” è alimentata da diversi fattori che si intrecciano in un particolare contesto storico, con nuovi assetti geopolitici e importanti dinamiche mediatiche internazionali che ripropongono in loop le varie dichiarazioni, spesso provocatorie e allarmistiche, dei leader dei diversi Paesi di tutto il mondo.
C’è da dire che anche le posizioni dei partiti italiani e dei loro leader, spesso in conflitto e in contraddizione, portano a cambiamenti di posizione o a dichiarazioni ambigue che non aiutano a sedare i dubbi e i timori degli elettori. Tutti questi elementi contribuiscono a creare un senso diffuso di insicurezza e confusione tra la gente, amplificato da crisi internazionali e dalla percezione di un mondo sempre più instabile. Tra i più giovani questa paura coinvolge l’85,4% del target. Il popolo italiano percepisce come minacciosi i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, perché, pur non coinvolgendo direttamente l’Italia, si sviluppano in aree relativamente vicine.
L’instabilità nel Mediterraneo, soprattutto con le tensioni tra Israele e Palestina e le crisi migratorie che coinvolgono fortemente il Nord Africa, rafforzano questa sensazione di insicurezza. L’opinione pubblica nazionale boccia in toto la diplomazia europea con il 60,8% dei giudizi negativi – e il 95,1% nel target tra i 18-24 anni – ; solo gli elettori di Forza Italia si dimostrano i più indulgenti nei confronti della Ue promuovendola con il 59,2% dei consensi. Questa situazione di sfiducia sembra trovare le sue ragioni anche nel parere diffuso che l’attuale istituzione europea non sia in grado di creare e gestire un grande esercito di interforze per una difesa comune e autonoma dalla Nato (55,7%), dato che trova conferma e si rafforza in un mese crescendo di quasi 6 punti percentuali. Eppure il 53,2% dei cittadini desidererebbe un esercito europeo – forse senza i nostri soldati -; anche se inviare contingenti militari italiani in Ucraina non piace alla maggioranza della gente (59,8%). Emerge un timido 9,7% che sarebbe favorevole in ogni caso all’invio di nostre truppe; e un 20,8% che sarebbe disponibile solo se l’intervento fosse gestito sotto l’egida dell’Onu e quindi come forze di pace o Un Peacekeeping.
In questo stato vacillante delle cose, la figura di Donald Trump al posto di sedare le paure e i timori, sembra minare la stabilità globale. Il suo approccio unilaterale alle relazioni internazionali, il disinteresse per le istituzioni intergovernative, la sua visione isolazionista e imperialista sta portando alla luce più l’uomo di affari che lo statista, dimostrando che gli Usa non desiderano alleati, ma sviluppare i propri – legittimi? – interessi. La comunicazione compulsiva del presidente americano punta più sulle emozioni facendo leva principalmente sulla paura, sulla rabbia e sull’orgoglio nazionale. Nei suoi primi 50 giorni di mandato ha già minato la stabilità globale offrendo segnali spesso discordanti. La sua retorica divisiva delle sue politiche nazionaliste sono percepite dalla maggioranza degli italiani come segni di un’America che si allontana dal suo ruolo guida che aveva storicamente ricoperto nel mondo.
Il 58,4% degli italiani non si fida di Donald Trump. I giudizi pienamente positivi arrivano dagli elettori dei partiti di centro destra, mentre la stragrande maggioranza dei partiti delle opposizioni si schiera sulle valutazioni negative. In tutto questo i media giocano un ruolo chiave nel diffondere e talvolta amplificare la confusione e la paura della guerra. Titoli allarmistici sulle parole dei capi di Stato, scenari apocalittici e l’ampia copertura di eventi bellici hanno creato nella gente la percezione di un costante senso di emergenza. I social media, poi, con tutti gli artifici del caso e i fake, contribuiscono a diffondere rapidamente notizie e speculazioni, spesso senza un adeguato filtro critico.
La visione di Donald Trump rispetto ai pesi politici di Paesi come ad esempio la Russia di Putin, confonde gli italiani, che sicuramente gradiscono la spinta per creare il più rapidamente possibile un accordo definitivo di pace tra Russia e Ucraina (42,3%), tuttavia non ne apprezzano a pieno le modalità e le richieste messe in campo.
Il suo approccio comunicativo ha trovato terreno fertile per consolidare il consenso e mantenere alta l’attenzione del suo elettorato, ma nel lungo periodo The Donald rischia di generare disorientamento e sfiducia soprattutto tra i suoi elettori più moderati, anche perché l’uso continuo di annunci esplosivi e dichiarazioni forti può diventare ripetitivo e meno efficace nel tempo. La sua vera sfida sarà capire fino a che punto questa strategia possa essere sostenibile senza compromettere la credibilità e la stabilitità delle istituzioni e della forza economica made in Usa.
(da lastampa.it)

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IL SOVRANISTA RUSSO SALVINI E’ UNA SCHEGGIA IMPAZZITA

Marzo 11th, 2025 Riccardo Fucile

CON MELONI RAPPORTO AI MINIMI STORICI, A PALAZZO CHIGI TIMORI PER UN PAPEETE 2.0

Un moto perpetuo di parole, proposte, post. Matteo Salvini è come una scheggia incontrollabile, che fa sorgere un dubbio: qual è la direzione? C’è chi – nell’inner circle del vicepremier –dice che l’obiettivo sia fare un’Afd alla leghista, magari con la manina di Elon Musk, e c’è chi sostiene che punta a spostare a destra la coalizione, beneficiando del vento conservatore. A danno di Giorgia Meloni, costretta a fare da equilibrista, tra alleanze geopolitiche e tutela dell’interesse nazionale.
Un ponte per Mosca
Di sicuro l’ultima idea di Salvini ha rappresentato l’ennesimo colpo di scena di un’escalation di colpi di scena: l’appello a riprendere i rapporti con la Russia. «Non ho il cellulare di Putin. Ma bisognerà riannodare rapporti commerciali, culturali, economici, energetici Bisogna riannodare i rapporti con la Russia», ha detto il leader della Lega che del resto verso il leader del Cremlino vanta una vecchia infatuazione.
Certo, tutto dovrà avvenire «alla fine del conflitto», ha precisato. Ma resta la disponibilità a fare di nuovo scambi con Mosca, finora un tabù tra le forze politiche italiane. Ancora di più in una maggioranza a trazione filo-Ucraina: Giorgia Meloni ha sempre ribadito il sostegno a Kiev, anche al costo di entrare in frizione con l’amico, o almeno così viene presentato, Donald Trump. Antonio Tajani, nonostante la vecchia amicizia di Silvio Berlusconi con Putin, ha sempre tenuto saldo il partito in una posizione pro-Zelensky.
Per non farsi mancare niente, poi ha provato a perorare la causa di Musk per una visita al Quirinale, con lo scopo di incontrare Sergio Mattarella: «Sarebbe un incontro stimolante». Difficile orientarsi in mezzo a una sventagliata di provocazioni come l’intervento sull’agenda del capo dello Stato.
Da palazzo Chigi le mosse di Salvini sono guardate con un mix di stupore e sospetto. Si torna al quesito di partenza: fin dove vuole spingersi? La presidente del Consiglio, in privato, aveva chiesto cautela ai vicepremier sulle dichiarazioni relative alla politica estera. Ancora di più in materia di riarmo europeo. Salvini, per tutta risposta, ha ripreso l’offensiva martellante contro le armi, scendendo in piazza.
I rapporti con Meloni, che erano migliorati dopo le tossine accumulate in passato, virano di nuovo verso il negativo. Tanto che la premier ha replicato con uno sgarbo: ha sposato la causa di FI sulle tasse. Quindi, la priorità è il taglio delle tasse al ceto medio, per ora niente rottamazione delle cartelle come chiesto dai leghisti.
Papeete bis
In questo clima i meloniani di stretta osservanza ricordano che il segretario della Lega è pur sempre l’uomo del Papeete, il leader capace di far saltare il governo Conte quando era lui a dare le carte. Il timore di un bis non è del tutto escluso, benché nei ragionamenti politici da Transatlantico, alla Camera, c’è una constatazione: la strategia di Salvini finora non ha smosso i sondaggi
I leghisti sono inchiodati intorno all’8 per cento, al massimo all’8,5. Sempre nettamente dietro a Forza Italia che è molto meno mediatica. Insomma, è il discorso che circola dalle parti di FdI, se il leghista dovesse tirare troppo la corsa, ne pagherebbe le conseguenze. Le elezioni sono più un pericolo che un’opportunità.
Con il contropiede sulla Russia, finora Salvini ha scritto solo l’ennesimo capitolo dell’opera di smarcamento del mainstream della maggioranza, che pure predica prudenza sull’Ucraina e più in generale con Bruxelles. Il leader della Lega, insomma, continua ad agitarsi su ogni spazio politico possibile. Colpo dopo colpo, ha un solo intento: dimostrare la propria diversità rispetto agli alleati. Ma l’ossessione vera è Forza Italia. Ancora ieri Salvini ha bacchettato il collega vicepremier Tajani: «Rispetto le idee del collega degli Esteri, ritengo che chi ostinatamente da anni sta usando toni bellici, parlo del presidente francese, debba prestare più attenzione».
La battaglia con i forzisti si gioca su un altro territorio, quello dei satelliti. Salvini insiste nel dire che darebbe «anche domani» il servizio a Starlink di Musk, ma a fare da controcanto c’è Raffaele Nevi, portavoce di FI e interprete del pensiero di Tajani: «Conosciamo bene la posizione di Salvini. Ma occorre valutare bene e al meglio tutti gli aspetti della vicenda. Deve essere una scelta nel mero interesse nazionale e che dia garanzie al Paese».
Eppure la linea della polemica non dispiace al leader della Lega, anzi ne esce ringalluzzito. Per questo ha rilanciato il «no ai militari italiani in Ucraina» e ridato spazio a uno degli interpreti del radicalismo salviniano, il senatore Claudio Borghi che su Macron ha associato il sostantivo “matto”: «Scherzare con guerra, missili e cose di questo tipo per riguadagnare consensi in patria è oggettivamente un po’ da matti». Ma la follia di questi tempi è un po’ ovunque.
(da editorialedomani.it)

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EDUCAZIONE PUTINIANA: DALL’INIZIO DELL’INVASIONE DI MOSCA IN UCRAINA LE SCUOLE RUSSE SONO STATE “MILITARIZZATE”, GLI INSEGNANTI NON POSSONO AVERE OPINIONI LORO E DEVONO SEGUIRE LE DIRETTIVE IMPOSTE DAL CREMLINO

Marzo 11th, 2025 Riccardo Fucile

PUTIN STA INDOTTRINANDO GENERAZIONI DI GIOVANI SOLDATI. GLI STUDENTI SONO OBBLIGATI AD ASSISTERE ALL’ALZABANDIERA, A ESERCITARSI A STRISCIARE A TERRA COI FUCILI IN MANO E A INDOSSARE MASCHERE ANTIGAS – GLI INSEGNANTI CHE SI RIBELLANO SONO COSTRETTI A SCAPPARE ALL’ESTERO PER NON ESSERE AMMAZZATI

Parlano tre insegnanti che si sono ribellati alle direttive: “Le scuole sono state militarizzate per plasmare generazioni di automi”. Un eterogeneo battaglione partecipa all’alzabandiera nel cortile imbiancato. I volti imberbi e i sorrisi furbetti s’irrigidiscono appena, lo sguardo fisso sul tricolore bianco-blu-rosso che sfarfalla nel vento.
Dopo l’inno, a passo di marcia, l’acerba squadriglia entra ordinatamente in classe e si dispone tra i banchi. L’educazione putiniana in tempo di Operazione militare speciale comincia così, ogni lunedì, in tutte le scuole, per ogni grado ed età. All’insegna di patria e bandiera. Punta a formare soldati, non cittadini. “Zombifica”, come dicono i russi, le giovani menti sin dall’asilo.
«L’indottrinamento patriottico c’era sempre stato. A scuola arrivavano linee guida su come parlare di Aleksej Navalny o della Crimea. Ma dopo l’inizio della guerra ci hanno detto che noi insegnanti “non potevamo avere opinioni nostre”. Agli studenti dovevamo dire che “la Russia combatte in Ucraina per liberare ancora una volta l’Europa dai nazisti”». Kamran Manafly, 31 anni, parla a Repubblica da Seattle.
Fino al marzo 2022 insegnava Geografia nella scuola medio-superiore n. 498 di Mosca. È stato licenziato dopo essersi ribellato agli ordini dall’alto pubblicando su Instagram la foto di una sua protesta pacifista e il post: «Non voglio essere un megafono della propaganda». Quando ha cercato di recuperare i suoi effetti personali, una guardia lo ha aggredito, i colleghi lo hanno ignorato e la preside ha minacciato di farlo incarcerare. Perciò è fuggito negli Usa.
«Adesso è ancora peggio. L’istruzione è stretta in una morsa totalitaria. Le autorità usano le scuole per costruire un mondo a loro immagine». Una testimonianza rara. Secondo Novaja Gazeta , quasi 200 mila docenti si sono dimessi soltanto nel primo anno di conflitto. Chi resta e non obbedisce, paga.
L’ong Ovd-info che assiste i prigionieri politici ha seguito 148 casi di insegnanti perseguitati, tutti iniziati con la delazione di sovietica memoria: denunce di colleghi, allievi o genitori. Circa 130 sono stati processati, 23 nel penale, 4 sono stati incarcerati. Molti sono stati licenziati e alcuni sono emigrati, ma quasi tutti si rifiutano di parlare.
Da quando nel febbraio 2022 Vladimir Putin ha ordinato l’ingresso in Ucraina dei suoi tank marchiati con la lettera “Z”, il Cremlino ha militarizzato drasticamente l’istruzione per consolidare la sua narrazione e addestrare le generazioni future a combattere. La prima novità, già nel settembre 2022, è stata l’introduzione, ogni lunedì, dell’alzabandiera seguito dalle “Conversazioni su cose importanti”: lezioni su valori familiari tradizionali, memoria storica, amore per la patria fino a difenderla con le armi o la vita.
L’anno dopo il governo ha lanciato nuovi programmi scolastici unificati. I manuali di storia sono stati aggiornati con capitoli intitolati “Neonazismo ucraino”, “Lotta all’Occidente”, “Nuove regioni”. La propaganda è diventata parte istituzionale del curriculum di studi. Dallo scorso settembre è stato reintrodotto il corso sovietico di addestramento militare di base
Insegnano come maneggiare una granata o un Kalashnikov. Le ore dedicate al lavaggio del cervello, secondo i calcoli di Agentsvo , saranno il 12 per cento del totale, più di ciascuna altra materia obbligatoria. Una militarizzazione sul modello nordcoreano.
Vani i tentativi di ribellarsi. «Insegnare scienze politiche vuol dire spiegare che cos’è la società civile, la democrazia, lo stato di diritto. Gli studenti mi chiedevano se per caso non mi rendessi conto che la realtà russa era diversa», ci racconta dalla Germania Raushan Valiullin, 41 anni, ex docente alle medie-superiori ed ex sindacalista di Naberezhne Chelny, Tatarstan. È stato licenziato nel settembre 2022 dopo essersi rifiutato di acconsentire all’installazione di una videocamera in classe.
«Ho lasciato la Russia. Non potevo lavorare in una scuola militarizzata, né vivere in un clima di paura costante, controllo totale e persecuzione della parola». Le scuole sono tenute anche a organizzare vari eventi patriottici, tutti collegati in un modo o nell’altro al conflitto in Ucraina, su cui offrono uno squarcio video e foto sul social VKontakte.
I bambini vengono allineati a forma di “Z”, cuciono reti mimetiche e maglioni, realizzano barelle e candele da trincea, scrivono lettere o raccolgono fondi da spedire al fronte. Ovunque si organizzano i giochi di guerra Zarnitsa con tanto di droni. I Piccoli Soldati di Putin si dicono orgogliosi del loro Paese e della sua storia. Si esercitano a strisciare coi fucili addosso o a indossare maschere antigas. A Simferopoli, Crimea annessa, una bimba gareggia a smontare e rimontare un Kalashnikov. Impiega 45 secondi.
«La scuola è diventata il primo anello della catena di propaganda», ci dice da Varsavia Denis Grekov, 48 anni, ex professore di Pensiero critico presso la facoltà di Arti liberali, oggi soppressa, dell’Accademia presidenziale di economia nazionale e pubblica amministrazione di Mosca. È esiliato nel maggio 2022 dopo essere stato licenziato. Una collega lo aveva denunciato per un post.
(da agenzie)

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LA RISCOSSA DEI BRITANNICI DI FRONTE ALLE FOLLIE TRUMPIANE: STARMER PARE UN CHURCHILL DEL XXI SECOLO, E ANCHE RE CARLO È DIVENTATO UN GIGANTE

Marzo 11th, 2025 Riccardo Fucile

IL GRAN MESSAGGIO DEL SOVRANO PER LA GIORNATA DEL COMMONWEALTH: “DOBBIAMO UNIRCI IN TEMPI DI INCERTEZZA”, IN MOLTI CI HANNO LETTO UN MONITO ALLE INTEMPERANZE DI TRUMP CHE VORREBBE INCORPORARE IL CANADA

Quando dieci giorni fa Donald Trump ha accettato con piacere l’invito di re Carlo a compiere una seconda visita di stato nel Regno Unito, recapitatogli personalmente dal premier britannico Keir Starmer durante un incontro alla Casa Bianca, il presidente americano forse non si rendeva conto che il sovrano non siede soltanto sul trono del proprio Paese: presiede anche il Commonwealth, l’associazione che riunisce una sessantina di ex-colonie del British Empire
Una dozzina delle quali, tra cui Canada, Australia e Nuova Zelanda, sono monarchie costituzionali, con Carlo come Capo di Stato. A ricordarglielo provvede il messaggio che il re rivolgerà domani ai governi e ai popoli dell’ex-Impero britannico, in occasione della Giornata del Commonwealth, il cui testo è stato anticipato da Buckingham Palace: un invito a unirsi “in tempi di incertezza”, in uno spirito di reciproco “sostegno e amicizia”. In apparenza, niente di polemico.
Ma con il tipico understatement inglese, ovvero l’arte di attenuare dichiarazioni la cui sostanza è in realtà più rilevante, quello di Carlo sembra un monito alle intemperanze di Trump nei confronti di uno dei più importanti membri dell’associazione: il vicino di casa settentrionale degli Stati Uniti, che il capo della Casa Bianca ha detto di volere incorporare, facendone il 51esimo Stato Usa, e contro cui ha intrapreso una guerra commerciale.
Come sottolinea la Bbc, questa settimana il re ha avuto un colloquio a Londra con il primo ministro uscente canadese Justin Trudeau, il quale ha usato l’occasione per affermare: “Oggi niente sembra più importante ai canadesi che difendere la propria sovranità e indipendenza come nazione”. Con il tatto di cui è capace la diplomazia britannica, insomma, la casa reale ha dato l’impressione di esprimere solidarietà a un Paese con cui ha legami secolari e di cui Carlo è formalmente a capo.
Un modo implicito di rammentare a Trump che, quando minaccia di prendersi il Canada, mette a rischio anche le relazioni con il Regno Unito.
L’aggressività del presidente americano ha rilanciato nei sondaggi i liberali, il partito di Trudeau, in vista delle elezioni che si devono tenere entro il 20 ottobre prossimo. Pochi mesi fa, quando Trudeau, in calo di popolarità, ha annunciato le dimissioni, sembrava scontato che l’opposizione conservatrice sarebbe tornata al potere. Adesso non è più tanto sicuro, lo stesso Trudeau ha riguadagnato consensi e il suo successore alla guida dei liberali, Mark Carney stando alle previsioni sul risultato delle primarie, atteso per stamani, che diventa automaticamente premier a interim fino alle elezioni, ha una chance di venire confermato nell’incarico quando si andrà alle urne
Trump ha cominciato a rendersi conto di tutto questo quando questa settimana ha visto le foto del caloroso incontro fra Carlo e Trudeau. Sommato alle foto dell’altrettanto caloroso colloquio fra il re e il presidente ucraino Zelensky […] il comportamento del sovrano avrebbe irritato il presidente americano: “Non è più così contento dell’invito arrivato dalla casa reale”, riferiscono fonti diplomatiche al Mail on Sunday.
Al momento è improbabile che Trump ci ripensi, ma è possibile che a questo punto non abbia fretta di andare a Londra
(da agenzie)

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