Aprile 23rd, 2025 Riccardo Fucile
I SUOI ELETTORI SPERAVANO CHE IL TYCOON COMBATTESSE L’INFLAZIONE E RILANCIASSE LA CRESCITA INDUSTRIALE… E INVECE SI SONO TROVATI NELLA PALTA FINO AL COLLO A CAUSA DEI DAZI IMPOSTI DA “THE DONALD” – AGLI AMERICANI (IL 55%) INTERESSA SOLO DEL LORO PORTAFOGLI
Gli americani hanno eletto Donald Trump nella speranza che combattesse l’inflazione
e rilanciasse la crescita, ma, con l’avvicinarsi del suo centesimo giorno in carica, solo il 37% approva la sua gestione dell’economia, secondo un nuovo sondaggio Reuters/Ipsos.
Il presidente ha iniziato il suo secondo mandato con un programma economico aggressivo, innescando guerre commerciali con l’imposizione di dazi sui principali partner degli Stati Uniti, cercando di fare pressione sulla Federal Reserve affinché si pieghi alla sua volontà e innescando il peggior crollo sui
mercati finanziari Usa dai primi mesi della pandemia di Covid cinque anni fa.
In un sondaggio Reuters/Ipsos condotto subito dopo l’insediamento di Trump, circa il 55% degli intervistati ha affermato che l’inflazione o l’economia in generale avrebbero dovuto essere le priorità nei suoi primi 100 giorni di mandato e solo il 23% ha scelto l’immigrazione.
Tre mesi dopo, tre quarti degli intervistati nell’ultimo sondaggio hanno dichiarato di temere l’arrivo di una recessione e il 56%, incluso un repubblicano su quattro, ha affermato che le mosse di Trump per dare una scossa all’economia sono “troppo caotiche”.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2025 Riccardo Fucile
VOTERANNO 133 CARDINALI, SERVONO 92 PREFERENZE DILAGANO VOCI MALEVOLE SUI PROBLEMI DI SALUTE DEI NOMI PIÙ IN VISTA
Rumors dal pre-Conclave. Si inizia a valutare il peso elettorale dei “papabili”. Il cardinale Matteo Zuppi, spinto dal “partito” di Sant’Egidio, molto ben radicato
nel mondo, avrebbe un pacchetto di 25-30 voti di partenza. Il segretario di Stato Pietro Parolin, in ragione della sua vicinanza a papa Francesco, disporrebbe del gradimento di 15-20 cardinali. La porpora francese Jean-Marc Aveline, 66enne arcivescovo di Marsiglia e presidente della Conferenza Episcopale francese, può contare su un bottino di 25 voti. Il cardinale filippino Luis Antonio Tagle ha nella sua faretra i 20 voti delle eminenze asiatiche.
Alla vigilia dell’elezione pontificia la Chiesa appare quanto mai spaccata tra progressisti e conservatori. Francesco ha nominato cardinali dagli angoli più remoti del pianeta. Il gruppo non è né unanime né compatto.
Cinquantanove provengono dall’Europa (19 dall’Italia), 37 dalle Americhe (16 dal Nord, quattro dal Centro, 17 dal Sud), 20 dall’Asia, 16 dall’Africa, 3 dall’Oceania. Sta per aprirsi un conclave senza reali papabili ma con, almeno, tre “kingmaker”: l’italiano Matteo Maria Zuppi, lo statunitense Timothy Dolan, il filippino Luis Antonio Tagle.
Il primo, abile negoziatore e presidente Cei, ha intrecciato contatti ovunque in
decenni di dialogo per Sant’Egidio e la Santa Sede in scenari di guerra. Può orientare consensi in continuità con Jorge Mario Bergoglio, a favore dell’immigrazione e di un maggior ruolo della donna nella Chiesa.
Invece l’influente arcivescovo di New York, promotore degli ingenti flussi di offerte indirizzati a Roma dai cattolici Usa, è in grado di convogliare le preferenze dell’ala più conservatrice, contraria alle aperture dottrinarie su benedizione delle coppie gay, ruolo delle donne nella Chiesa, riammissione dei divorziati ai sacramenti.
C’è poi il “papa rosso”, come l’antica saggezza romana ha ribattezzato il capo di Propaganda Fide perché veste di rosso come un cardinale ma è potente quanto un papa. Antonio Luis Tagle, ministro vaticano delle missioni, è il referente degli episcopati del sud del mondo ed è un “kingmaker” mediano tra Zuppi e Dolan. Un uomo di Curia, ma che rappresenta il continente asiatico, speranza della Chiesa per boom di vocazioni e partecipazione religiosa.
Sebbene sia considerato un innovatore, ha duramente criticato una proposta di legge sulla salute riproduttiva nelle Filippine e si è espresso con forza contro l’aborto e l’eutanasia, sostenendo che ci sono situazioni in cui i principi morali universali non si applicano, come la comunione per le coppie che convivono senza un matrimonio sacramentale e questioni legate all’omosessualità.
Sullo sfondo correnti contrapposte in un clima da tragedia shakespeariana: nessuno sente soffiare il vento propizio per succedere a un personaggio gigantesco, carismatico e irregolare come Francesco. «Più facile raccogliere voti per altri che esporsi per se stessi», chiosa un diplomatico di lungo corso. Salire al Soglio è un compito da far tremare le vene ai polsi per le questioni lasciate a metà dal Pontefice defunto mentre sulle finanze vaticane grava l’Obolo di San Pietro (cioè la carità al Papa) che langue.
Intanto, tra grandi manovre in pieno svolgimento, dilagano voci malevole e strumentali sui problemi di salute dei nomi più in vista del sacro collegio.
Come già in passato, si attribuiscono l’uso di psicofarmaci e patologie croniche per bruciare ipotesi di successione.
Il pre-conclave si svolge in cene riservate, riunioni discreti a margine delle congregazioni generali nelle quali i cardinali discutono ufficialmente più di temi che di nomi. Ma poi le idee devono camminare sulle gambe delle persone e perciò si lavora a identikit di candidati credibili, potenzialmente in grado di mettere a terra i programmi in discussione ora nei sacri palazzi. La scelta è tra ricalcare i passi del Papa scomparso lunedì o intraprendere una strada diversa.
Oggi servono 92 voti per diventare Pontefice: difficile che un outsider possa coagulare un numero così alto di preferenze.
I signori del Conclave porteranno voti a conservatori come l’ungherese Peter Erdo o il congolese Fridolin Ambongo Besungu oppure a progressisti come il francese Jean-Marc Aveline o il prefetto delle Chiese Orientali, Claudio Gugerotti. Nessun capocordata, però, ha la forza per far prevalere da solo il beneficiario del suo pacchetto di voti, quindi il nuovo Papa uscirà necessariamente da un compromesso o sarà una designazione di garanzia come il segretario di Stato Pietro Parolin
Nel frattempo i cardinali cominciano a conoscersi meglio in vista dell’extra omnes. Ieri la prima congregazione: un’ora e mezzo per i dettagli organizzativi e per il giuramento di riservatezza. Oggi i principi della Chiesa torneranno a riunirsi , ma per entrare nel vivo del confronto ci vorrà qualche giorno: almeno il tempo per fare arrivare a Roma tutti i porporati elettori (cioè under 80) .
(da Dagoreport)
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Aprile 23rd, 2025 Riccardo Fucile
I VOLI PIÙ “ECONOMICI” PER RAGGIUNGERE LA CAPITALE PARTENDO DALL’ARGENTINA HANNO UN PREZZO DI 2600 EURO PER PASSEGGERO …AEROPORTI DI ROMA STIMA UNA CRESCITA DEGLI ARRIVI CHE VA TRA I 15 E I 20 MILA UTENTI IN PIÙ AL GIORNO
I veri disagi, viste le cifre astronomiche dei voli internazionali, saranno quelli dei
fedeli che si metteranno in viaggio verso Roma da tutto il mondo. Quando ieri la Santa Sede ha comunicato che i funerali di Francesco si terranno sabato 26 aprile alle 10, i siti delle compagnie aeree sono esplosi. Fonti di Aeroporti di Roma, la società che gestisce gli scali di Fiumicino e Ciampino, rivelano a Repubblica che fino a sabato «è previsto un incremento che va dai quindici ai ventimila passeggeri».
Numeri che trovano conferma nell’aumento delle tariffe. Per partire dall’Argentina, paese d’origine del Papa, la soluzione più conveniente è lo scalo in Spagna. I voli, operati da Ita Airways, costano non meno di 2.600 euro. Lo
scalo a Francoforte costa almeno 500 euro in più. Il volo diretto di Aerolíneas Argentinas, con partenza da Buenos Aires e arrivo a Fiumicino, lievita fino a 3.800 euro. Cifre fino a tre volte superiori rispetto al normale.
«Venticinque pellegrini brasiliani sono già arrivati in Italia», rivela padre Josimar Baggio, loro connazionale che vive a Roma. «Li ho aiutati a organizzarsi, hanno speso la modica cifra di seimila euro a persona», racconta ridendo.
«Il 65% del traffico Centro Sud-America/Roma raggiunge la destinazione finale attraverso almeno un altro scalo», spiegano ancora da Aeroporti di Roma. A conferma di come chi voglia sobbarcarsi la spesa di un viaggio così costoso sia comunque attento al portafoglio. Un centinaio di fedeli dell’arcidiocesi di Cracovia ha deciso di posticipare il proprio pellegrinaggio ai primi di maggio.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2025 Riccardo Fucile
NEL QUARTIERE PRATI, IL COSTO PER UNA CAMERA D’ALBERGO OSCILLA TRA I 200 E I 2 MILA EURO, PREZZI ALLE STELLE ANCHE VICINO ALLA STAZIONE TERMINI
I fedeli che vogliono partecipare ai funerali di Papa Francesco sabato 26 aprile dovranno mettere in conto una spesa per il soggiorno in una struttura ricettiva che può superare in zona Vaticano i 2.500 euro a notte, e potrebbe salire ancora nei prossimi giorni. Lo afferma il Codacons, che sta monitorando l’andamento
delle tariffe di hotel, case vacanza e b&b.
Nell’area Prati-Vaticano i prezzi degli hotel per la notte del 26 aprile partono oggi da un minimo di circa 200 euro a camera doppia a un massimo di 2.000 euro, a seconda della tipologia della struttura, mentre per un b&b la spesa varia da 143 a 1.012 euro a notte, e arriva a superare i 2.530 euro per un appartamento di livello più prestigioso – spiega il Codacons – Tariffe che risultano più elevate rispetto a quelle praticate la settimana successiva: ad esempio per dormire in hotel in zona Vaticano la notte di sabato 3 maggio la spesa varia da un minimo di 173 euro a un massimo di 780 euro; in appartamento da 169 a 1.643 euro; in b&b da 121 a 812 euro.
Se invece si prenota oggi un pernotto per la notte del 26 aprile in zona della stazione Termini, il costo di una camera in b&b arriva a 487 euro, per un hotel si spendono fino a 1.831 euro, 1.085 euro per un appartamento. Se ci si sposta in zona Aurelio, uno dei quartieri più vicini all’area del Vaticano, una notte in hotel costa il 26 aprile da 100 a 503 euro, in appartamento da 150 a 670 euro, in
b&b da 127 a 211 euro.
“Le tariffe delle strutture ricettive della capitale hanno già subito rialzi con l’avvio del Giubileo, e ci auguriamo che gli operatori del settore non applichino ulteriori aumenti in vista dei funerali del Santo Padre. – afferma il presidente Carlo Rienzi – Continueremo a monitorare i listini del comparto e siamo pronti a denunciare qualsiasi speculazione a danno dei fedeli, i quali possono segnalare alla nostra associazione anomalie e rincari ingiustificati dei prezzi”.
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“TRASCINAVA IL SUO CORPO A REGINA COELI, PER URLARE AL MONDO, CON TUTTA LA SUA FORZA, LA NECESSITÀ DI PRESTARE ATTENZIONE AI DETENUTI”
Aneddoti, incontri, vittorie e sconfitte. E un fiore accompagnato da una lettera che i
detenuti gli hanno affidato per posarlo sulla tomba di Papa Francesco.
Monsignor Benoni Ambarus ricorda tutto del rapporto tra il Papa e la popolazione carceraria. È consapevole dell’impegno profuso dal pontefice: «Fino a pochi giorni fa il Santo Padre trascinava il suo corpo a Regina Coeli, per urlare al mondo, con tutta la sua forza, la necessità di prestare attenzione ai detenuti. Gli ultimi suoi averi li ha donati a loro, 200mila euro dal suo conto personale», dice il Vescovo delegato alla carità e alle carceri.
Che non dimentica neanche il risultato. Amaro. «Nonostante il suo enorme impegno, le istituzioni non hanno fatto nulla per dare anche solo un piccolo segnale. Il mio bilancio non è positivo»
Monsignore, iniziamo dalla fine, l’ultima visita in carcere del Papa.
«È l’immagine che riassume il rapporto tra il Papa e il mondo penitenziario. Pochi giorni fa era a Regina Coeli. Ricordo un uomo stanco, che si trascinava, ma urlava con la sua presenza il bisogno di attenzione ai detenuti. Si è trascinato per loro, fino all’ultimo respiro. Per questo i carcerati in lui vedevano la speranza. Per loro è morto un padre, è il senso della lettera che mi hanno affidato».
Il Papa non è stato ascoltato?
«Le parole, i gesti enormi che ha fatto, le lavande dei piedi, il Giovedì Santo, gli appelli sono stati raccolti poco e tradotti ancor meno in azioni pratiche. Chiedeva di fare di più per ridare dignità alle persone. In occasione di questo Giubileo aveva chiesto uno sforzo.
Ma non c’è stata una traduzione completa dei suoi appelli. Come sullo sconto della pena. Una grande tristezza ha avvolto i detenuti quando si sono resi conto che le istituzioni non hanno fatto nulla, neanche un piccolo segnale: un mese, due mesi, magari non per tutti i reati. Come dire: “Te li abboniamo perché
crediamo nella tua capacità di rimetterti in piedi”».
In questo senso l’apertura della Porta Santa a Rebibbia, la seconda dopo quella di San Pietro, che significato ha?
«È la cifra del pontificato. Era un modo per riaccendere la luce sul mondo dei detenuti. Per loro significa speranza, presenza, rispetto. Di questo sono grato anche al dottor Giovanni Russo (ex presidente del Dap, ndr). Senza di lui non ci saremmo riusciti».
Come avete continuato il cammino del Santo Padre?
«Abbiamo trasformato la Porta Santa di Rebibbia in un lievito di animazione pastorale. Due volte al mese circa cinquanta persone entrano in carcere per celebrare insieme ai detenuti. Ma un penitenziario non è uno zoo. Occorre prima capire la forza di questo gesto.
Quindi c’è una preparazione sulla realtà del carcere, a cura dei sacerdoti, delle suore, dei volontari, degli stessi detenuti. Subito dopo la celebrazione c’è un altro incontro sul senso dell’evento vissuto, ma anche sul come rimboccarsi le
maniche. La Porta Santa sta accendendo la luce».
Un gesto lontano dai riflettori che il Papa ha fatto per i detenuti?
«Quando ho chiesto un contributo, mi ha detto che le finanze erano terminate. Poi ha aggiunto: “Non preoccuparti, ho qualcosa nel mio conto”. Ha inviato 200 mila euro di tasca sua. Ora, con il testamento, vengo a sapere che verrà seppellito grazie a un benefattore. Perché lui ha donato tutto se stesso agli ultimi».
(da agenzie)
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Aprile 23rd, 2025 Riccardo Fucile
I CINQUE GIORNI PROCLAMATI PER FRANCESCO SONO UN RECORD: PER GIOVANNI PAOLO II CE NE FURONO SOLO TRE (PER “L’EMERITO” RATZINGER NEANCHE UNO) … IL CLAMOROSO… AUTOGOL DI MUSUMECI CHE HA INVOCATO UNA “SOBRIETÀ” PER LE CELEBRAZIONI DEL 25 APRILE: MA CHE VUOL DIRE? E CHI DECIDE COSA SIA “SOBRIO”? SARÀ PROIBITO SVENTOLARE BANDIERE ED ESPORRE STRISCIONI?
Che la festa di Liberazione dal nazifascismo non sia una ricorrenza cara alla destra, è noto anche ai bambini. Tant’è che Giorgia Meloni, pur di sfuggire alle celebrazioni, proprio la mattina del 25 aprile sarebbe dovuta volare in Uzbekistan: una visita di Stato che le avrebbe permesso di sottrarsi — assente giustificata — alle polemiche che la inseguono ogni anno.
A maggior ragione stavolta, nell’ 80esimo della vittoria della Resistenza sugli occupanti tedeschi che sancì la fine della guerra. La morte del Papa le ha fatto annullare tutto.
Senza tuttavia riuscire nell’intento, tradito dalle dichiarazioni di uno dei suoi ministri più ortodossi, di scoraggiare le manifestazioni in programma per dopodomani: «Tutte le cerimonie sono consentite naturalmente », concede l’ex missino Nello Musumeci al termine del Cdm che ha deliberato 5 giorni di lutto nazionale, «tenuto conto del contesto e quindi — la chiosa urticante — con la sobrietà che la circostanza impone».
Una formula che ha subito provocato la reazione delle opposizioni — «parole assurde, strampalate, offensive» — e riacceso lo scontro politico
«Musumeci ha perso un’occasione per tacere: il 25 aprile non è una festa in discoteca o un happy hour», attacca il verde Angelo Bonelli. «C’è poco da fare, è più forte di loro: l’allergia alla liberazione dal fascismo e dal nazismo traspare da chi in questo momento occupa Palazzo Chigi», rincara Nicola Fratoianni, co-leader di Avs: «Voler sminuire il valore di ciò che rappresenta quel giorno, utilizzando peraltro la scomparsa di una straordinaria personalità come papa Francesco, non può passare sotto silenzio».
Ironico il segretario di +Europa Riccardo Magi: « Forse Musumeci è abituato alla sobrietà di Salvini, che fino a ieri indossava magliette anti-Bergoglio con scritto “Il mio Papa è Benedetto”, nostalgiche di Ratzinger ».
Fatto sta che pure l’Anpi, infastidita per il consiglio non richiesto, ha confermato tutte le iniziative in calendario, precisando che «si svolgeranno ovviamente in piena civiltà, senso di responsabilità e nel dovuto rispetto della giornata di lutto». E così accadrà nelle principali città chiamate, come da tradizione, a festeggiare la Liberazione.
(da La repubblica)
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Aprile 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“SPERO CHE LE PORTE CHE PAPA FRANCESCO HA APERTO NON SI CHIUDANO E CHE I PROCESSI POSSANO ESSERE PORTATI AVANTI CON CORAGGIO”
“Padre, padre, mi sono appena svegliata e vedo che è morto Papa Francesco, tanto ci
ha aiutato, tanto ha fatto per noi”. E’ il pianto disperato di Camilla (nome di fantasia), lunedì mattina, di una delle trans che ha trovato accoglienza presso la parrocchia di Torvajanica, sul litorale romano. Don Andrea Conocchia ha appena reso omaggio alla salma di Papa Francesco esposta in basilica. Mostra all’ANSA i video e fa ascoltare alcuni dei vocali che gli sono arrivati lunedì mattina. Le sue amiche e parrocchiane trans “sono sconcertate e ora hanno paura di essere abbandonate”, dice.
“Venerdì voglio tornare con loro a San Pietro per un ultimo saluto al Papa che ci ha voluto bene”. Don Andrea e un gruppo di transessuali quasi ogni mercoledì mattina erano in Vaticano per l’udienza generale di Papa Francesco. Lui trovava un momento per salutare tutti e a don Conocchia, impegnato nella pastorale Lgbt, il Papa ha sempre detto: “Vai avanti, vai avanti”.
Poi con qualcuna delle ragazze Francesco ha cominciato una corrispondenza: loro scrivevano, il Papa rispondeva. Loro portavano le loro specialità culinarie, Francesco ringraziava. Il parroco della Beata Vergine Immacolata, una piccola chiesa di Torvaianica da cui si vede il mare, dice: “Avevo sperato quando l’ho visto domenica, speravo che con la stagione buona lui si sarebbe inventato qualcosa e che saremmo tornati a poterlo vivere nelle udienze generali del mercoledì. Lunedì è stata una giornata di grande dolore e profonda tristezza”. “Piango”.
“E’ da lunedì che penso a tutte quelle persone che il Papa ha aiutato dalla pandemia nella parrocchia di Torvajanica hanno perso un riferimento, hanno
perso una sicurezza, una persona che gli ha dato tanto riconoscimento e aiuto materiale attraverso l’Elemosineria. Sono smarrite. Spero che venerdì possiamo salutarlo insieme con le ragazze transessuali e qualche amico omosessuale. Ma spero soprattutto che le porte che il Papa ha aperto non si chiudano e che i processi possano essere portati avanti con coraggio e profezia”
(da La Repubblica)
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Aprile 23rd, 2025 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL GIOVANE CAPPELLANO DELLA ONG MEDITERRANEA: “L’ESEMPIO PIU’ GRANDE DI PAPA FRANCESCO: AMARE VERAMENTE”
Don Mattia Ferrari è stato tra i giovani sacerdoti più vicini a Papa Francesco, soprattutto negli ultimi anni, grazie al suo impegno accanto ai migranti ed ai rifugiati. Collaborando con Mediterranea Saving Humans e con Refugees in Libya, Don Mattia ha aiutato a far conoscere meglio al Papa la realtà dei lager libici e le attività di soccorso e salvataggio in mare da parte del mondo della società civile. I suoi incontri con Papa Francesco, sempre popolati di attivisti, dai migranti e quelli che si battono per il diritto all’abitare, sono sempre stati molto intensi.
Bergoglio ha dato benedizioni in videochiamata a chi soffriva nei lager libici, con il corpo consumato dalle torture, ha accolto in Vaticano chi è riuscito ad arrivare in Italia ed ha raccontato le violenze subite. Con Don Mattia proviamo a tracciare anche uno sguardo su quello che sarà il futuro della Chiesa dopo 12 anni di pontificato di Papa Francesco che ha preso una direzione molto precisa e netta verso i bisogni degli ultimi.
Cosa ci ha insegnato Papa Francesco? Qual è la sua eredita, il lasciato che consegna a tutti?
Lui fondamentalmente ci lascia il Vangelo, ci ha insegnato ad amare veramente,
questo è quello che lui ha fatto per tutta la vita e per tutto il pontificato. Ci lascia questo grande insegnamento: cosa significa amare veramente. Ci lascia la considerazione della fraternità universale non come un ideale astratto, come un’utopia, ma come un sogno che può diventare carne.
Bergoglio è stato un Papa che metteva le mani nelle questioni sociali, un Papa “del fare”, si può definire un modello diverso rispetto ad altri pontefici?
Non so se sia stato diverso, ognuno porta i suoi accenti e il suo carisma, ma in realtà la Chiesa anche prima di lui è intervenuta sulle questioni sociali. Lui ha portato chiaramente la sua grande capacità e il suo carisma, lui ha portato avanti qualcosa che già c’era, non ha introdotto delle novità. Ha portato un accento ulteriore sulle questioni sociali, questo sì.
Lo hai incontrato moltissime volte, soprattutto con i migranti, cosa è stato per te Papa Francesco?
Per me è stato veramente come un padre e un fratello maggiore. Anche a me ha insegnato ad amare veramente e ad amare con coraggio. Quando dicono che il Papa era scomodo, direi che sul piano personale era scomodo anche per me, perché pure io sento la tentazione dell’indifferenza, dell’individualismo. Ogni volta che parlavamo vinceva la mia tentazione di voltarmi dall’altra parte. Certe volte gli segnalavo delle situazioni in cui era difficile andare avanti, per aiutare delle persone, e invece lui è stato veramente scomodo per la mia coscienza, perché lui insisteva sempre ad andare avanti e a farlo amando veramente le persone.
Con te ha fatto le videochiamate nei lager libici
È stato un amico di Mediterranea Saving Humans, in una relazione che non era fine a se stessa, ma una relazione protesa verso le persone in Libia. Gli abbiamo fornito materiali, relazioni, ma lui ci ha fornito la forza di amare. In certe situazioni io glielo dicevo che era difficile fare di più, andare avanti, invece lui insisteva, sempre, e non solo con le parole, lui ha dato l’esempio. Quelle videochiamate erano un esempio. Per questo è stato scomodo perché spronava a fare di più.
Nel corso del suo pontificato è cambiata anche la rappresentazione della Chiesa,
oggi ci sono tanti cardinali che arrivano dal Terzo Mondo, nella Chiesa del futuro i paesi più poveri avranno molta più voce?
Il processo era già iniziato con Giovanni XXIII, che istituì il primo cardinale africano. Chiaramente la Chiesa è sempre più presente in quei paesi ed è importante che non sia eurocentrica ma sia veramente mondiale, anche perché è il compito che gli ha dato Gesù, che non ha certo detto che la Chiesa doveva essere eurocentrica ma costruttrice di una fraternità universale. È un processo fondamentale perché non si può costruire una fraternità universale se c’è una parte del mondo che ha una centralità. Lui ha aiutato molto l’Europa a guardare al resto del mondo come fratelli.
Lui organizzava tanti incontri ecumenici, in questi incontri anche gli attuali cardinali hanno avuto modo di conoscersi, Papa Francesco si è impegnato a far conoscere tra loro quelli che entreranno in conclave?
Il mondo è grande, ma lui ha fatto tanto con i sinodi, ma è un processo che non dobbiamo guardare come qualcosa di compiuto, c’è ancora tanto da fare nel mondo. Lui ci lascia mentre c’è la terza guerra mondiale a pezzi, segno che la fraternità universale tutt’ora è rotta, lui ha fatto molto per ricucirla, ma ci lascia un compito importante a tutti noi e alla Chiesa, quello di fare di più, fare tanti passi verso la fraternità. Lo scenario mondiale come è noto è assolutamente cupo.
Come si raccoglie il testimone? La Chiesa sarà in grado di proseguire il percorso di Francesco?
Sarà in grado di farlo perché lui non ci ha lasciato solo un insegnamento a parole, ma ci ha lasciato un insegnamento fatto con i gesti. Lui non si è limitato a predicare, ma ha dato carne in prima persona a quello che predicava, ci ha tracciato una strada fatta di parole e gesti, di opere e di un modo di stare al mondo.
E questa strada è irreversibile?
Sì è irreversibile anche perché in tutte le cose che ha fatto non si è inventato nulla, ha fatto quello che diceva il Vangelo. La strada è assolutamente irreversibile. Una delle riprove è che tante realtà sociali non hanno costruito
solo un rapporto con il Papa, ma prima ancora che un rapporto con lui c’è stato il rapporto con i vescovi. È anche nei vescovi il suo testimone, il fatto stesso che tantissimi vescovi, direi parecchie decine di vescovi, hanno accompagnato ad esempio Mediterranea, rappresenta il fatto che ci credono davvero. Questa immagine che vedeva il Papa avanti e determinato e i vescovi titubanti che frenano nella realtà è totalmente smentita. È un’immagine mediatica distorta. Tanti vescovi si sono mossi prima ancora del Papa.
Si discute molto del conclave e della possibilità che la Chiesa possa prendere una strada diversa, è un timore giustificato?
Questo timore non c’è, la riprova sta proprio nei vescovi come dicevo. Se avessimo sperimentato un episcopato che non voleva certe aperture ai movimenti ma che si era mosso perché lo aveva fatto il Papa, allora magari questo timore potrebbe esserci oggi, ma non è stato così. C’è stato un episcopato convinto di quell’impostazione, fatto di vescovi che credono nel Vangelo e che lo praticano, che chiaramente sono poi stati sostenuti dal Papa ma che si sono mossi prima del suo incoraggiamento.
Molti vedono il conclave con gli occhi di una partita politica
Le istituzioni civili sono sacrosante, ma funzionano in un modo in cui a volte succede che si alternano maggioranze, si fa e si disfa, ma perché le istituzioni civili si occupano di altro. Per quella che è la natura della Chiesa, quando tu hai quello che ha fatto Papa Francesco è assolutamente irreversibile, per natura e prosecuzione della Chiesa, non si torna indietro. Chi fa certi ragionamenti non conosce la Chiesa e non conosce il vangelo, chi li conosce sa che invece è irreversibile. Nessuna, tra le persone che sono state chiamate a essere i pastori della Chiesa, ha intenzione di cancellare questi processi. Percepisco anche io in giro questa paura, questa preoccupazione, ma posso dire che è una paura che si fonda sul fatto che non si conosce fino in fondo la Chiesa ed il Vangelo. Da uomo di Chiesa posso dire che possiamo essere ottimisti sul fatto che questi processi siano irreversibili. Poi chiaramente ognuno ha il suo carisma ed i suoi accenti, ma che la sostanza sia irreversibile e nessuno la voglia cambiare, possiamo assicurare.
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Aprile 23rd, 2025 Riccardo Fucile
IL “WALL STREET JOURNAL”: “LA SVEZIA PRODUCE SOTTOMARINI, CARRI ARMATI E AEREI DA COMBATTIMENTO SUPERSONICI. LA NORVEGIA POSSIEDE CAPACITÀ DI SORVEGLIANZA MARITTIMA E DI COMBATTIMENTO NELL’ARTICO. LA FINLANDIA HA UNO DEI PIÙ GRANDI ESERCITI PERMANENTI. E LE FORZE SPECIALI DANESI HANNO DECENNI DI ESPERIENZA IN AFGHANISTAN E IRAQ”
Per molto tempo, i paesi nordici sono stati più noti per i loro sforzi di pace e la vita
accogliente che per il militarismo. Ora stanno abbandonando questa immagine. I paesi nordici sono emersi come modello per la difesa dell’Europa. Stanno guidando gli sforzi per invertire decenni di riduzioni militari per contrastare sia l’aggressione russa che le incerte garanzie di sicurezza offerte dalla Casa Bianca di Trump.
I quattro principali paesi nordici sono tra i principali donatori europei di aiuti militari all’Ucraina in rapporto alla popolazione e hanno adottato misure per inaugurare una nuova architettura di sicurezza regionale meno dipendente dagli Stati Uniti.
Qualsiasi paese nordico avrebbe difficoltà a tenere testa militarmente alla Russia da solo. Ma insieme, i paesi nordici hanno un’economia grande quanto quella del Messico e quasi quanto quella della Russia. Dopo l’adesione della Svezia e della Finlandia alla NATO, hanno messo in comune alcune delle loro forze.
La Svezia vanta un’industria della difesa avanzata che produce sottomarini, carri armati e aerei da combattimento supersonici. La Norvegia possiede capacità di sorveglianza marittima e di combattimento nell’Artico. La Finlandia ha uno dei più grandi eserciti permanenti e delle più grandi forze di artiglieria pro capite in Europa.
E le forze speciali danesi hanno decenni di esperienza nell’impiego in alcune delle zone più pericolose dell’Afghanistan e dell’Iraq per combattere le guerre americane. (Il quinto paese nordico, l’Islanda, non ha un esercito permanente né un’industria della difesa).
“Si tratta di un raggruppamento regionale con il potenziale economico e le risorse per sviluppare una base industriale e difensiva completamente integrata come quella tedesca, ma con una percezione delle minacce e una volontà politica completamente diverse”, ha affermato Eric Ciaramella, senior fellow del programma Russia ed Eurasia presso il think tank Carnegie Endowment for International Peace ed ex analista senior dell’intelligence statunitense.
Oggi, la visione nordica condivisa della Russia come una grave minaccia futura ha avvicinato questi paesi più che mai nella storia moderna. Una recente valutazione dei servizi segreti danesi ha affermato che la Russia potrebbe iniziare una guerra su vasta scala contro uno o più paesi europei della NATO entro tre-cinque anni, un’opinione che trova più eco nei paesi baltici che nelle altre capitali occidentali.
“I paesi nordici hanno una politica di sicurezza unificata per la prima volta dal 1400, quando fu fondata l’Unione di Kalmar”, ha affermato Jens Stoltenberg, ex segretario generale della NATO e attuale ministro delle finanze norvegese. ‘Hanno riconosciuto l’importanza di approfondire la loro cooperazione militare in un modo che non si vedeva da diversi secoli’.
I paesi nordici hanno unito le loro forze aeree, istituendo nel 2023 un comando aereo congiunto nordico. L’anno scorso hanno definito una visione per la difesa comune fino al 2030 nell’ambito della Cooperazione nordica per la difesa, o Nordefco
Senza dubbio, i paesi nordici stanno compensando decenni di disarmo seguiti alla fine della Guerra Fredda. La necessità di riarmarsi è cresciuta con il declino della fiducia dell’Europa negli Stati Uniti come alleato affidabile sotto la presidenza Trump.
In nessun luogo questa consapevolezza è più forte che a Copenaghen, in prima linea nel confronto europeo con Trump dopo che questi ha minacciato di annettere la Groenlandia, territorio danese. La protezione danese dell’isola artica, grande tre volte il Texas, si basa in gran parte su sette navi obsolete, così prive di armi e sensori da poter essere a malapena considerate navi da guerra, e su una dozzina di soldati d’élite trainati da cani su slitte.
La Finlandia ha una delle forze armate più grandi d’Europa in rapporto al numero di abitanti. È in grado di mobilitare 280.000 soldati in poche settimane e quasi un finlandese su sei, ovvero circa 900.000 persone, è riservista. I rifugi sotterranei sparsi in tutto il Paese possono ospitare all’incirca il resto della popolazione. La Finlandia sta ora valutando la possibilità di ritirarsi dalla Convenzione di Ottawa, che vieta le mine antiuomo.
La Svezia è un motore dell’innovazione militare. I caccia JAS 39 Gripen, progettati per operare su piste corte e contrastare gli aerei russi, hanno partecipato per la prima volta a una missione di sorveglianza della NATO nel mese di marzo. Il Stridsvagn 122 svedese è uno dei carri armati più avanzati al mondo e il suo CV90 è uno dei migliori veicoli da combattimento della fanteria.
Sia la Finlandia che la Svezia hanno la coscrizione obbligatoria. In Svezia, il servizio militare è neutro dal punto di vista del genere e altamente selettivo, il che lo rende un’attività d’élite. Mentre altri paesi europei faticano ad aumentare i propri effettivi, le forze armate svedesi rifiutano migliaia di giovani ogni anno.
La Norvegia, a lungo criticata per la sua spesa insufficiente nonostante disponga del più grande fondo sovrano al mondo, pari a 1,5 trilioni di dollari, e nonostante i profitti derivanti dall’aumento dei prezzi dell’energia causato dalla guerra in Ucraina, ha recentemente annunciato il raddoppio del suo sostegno a Kiev, che supererà gli 8 miliardi di dollari nel 2025.
“È un riconoscimento del fatto che dobbiamo fare di più per sostenere l’Ucraina, ma anche che abbiamo bisogno di una ripartizione più equa degli
oneri tra i paesi della NATO”, ha detto Stoltenberg.
In futuro, le strade dei Paesi nordici potrebbero divergere. Ad esempio, mentre la Danimarca e la Svezia sono disposte a contribuire con truppe a una forza di pace dopo un cessate il fuoco in Ucraina, la Finlandia, con i suoi 830 miglia di confine con la Russia, preferirebbe probabilmente mantenere i soldati a casa.
Per ora, un blocco nordico unito potrebbe servire da modello per altri gruppi di nazioni, come quelli che si affacciano sul Mar Nero, ha affermato Matti Pesu, ricercatore senior presso l’Istituto finlandese per gli affari internazionali. Il modello può anche fungere da polizza assicurativa per il futuro, se l’alleanza transatlantica dovesse disintegrarsi sotto Trump, ha affermato. “È un potenziale piano B se la NATO non funziona”, ha affermato Pesu.
(da agenzie)
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