Aprile 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L’EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE…”
Gran parte del giornalismo italico si può riassumere bene con l’immortale frase dell’immaginifico Gigi Marzullo: “Si faccia una domanda e si dia una risposta”. L’intervista sul “Corriere della Sera” di oggi a Giorgia Meloni, firmata da Paola
Di Caro, entra imperiosamente nella top parade delle marzullate.
La Statista della Garbatella se la suona e se la canta a pagina 2 e 3 del quotidiano diretto (per mancanza di prove) dall’ex giornalista dell’”Unità”, Luciano Fontana, sbattendo a pagina 4 i pezzi sulla notizia del giorno: il blackout che ha “spento” Spagna e Portogallo.
E’ ovvio che sia più rilevante in via Solferino la richiesta della premier di auto intervistarsi, piccatissima di essere stata del tutto ignorata dai media alle esequie papaline: la foto dell’anno resterà quella di Trump e Zelensky in San Pietro, seduti su due sedie, chini uno di fronte all’altro, intenti a sbrogliare il groviglio della guerra russo-ucraina.
Un faccia a faccia nella Casa di Pietro, che in passato non si era mai visto sulla scena politica mondiale, sbocciato a insaputa di Giorgia Meloni, che è stato preceduto dal capannello a quattro di Starmer, Macron e Zelensky con il Caligola della Casa Bianca.
Due immagini straordinarie di inedita “diplomazia funebre” che non potevano non oscurare la foto della Ducetta in gramaglie, francobollata come un carabiniere dalla sua segretaria Patrizia Scurti, in Piazza San Pietro.
Nel vedersi ignorata in casa propria, l’ego espanso dell’Underdog diplomata all’istituto professionale Arrigo Vespucci è esploso e ha richiesto al primo quotidiano italiano due pagine di ‘’riparazione’’, infilandoci pure la foto inedita in cui lei fa la smorfiosa sorridente a un Trump con l’espressione scocciata.
A sottolineare il suo “’A rega’, Io ci sono!”, all’immagine il Corriere aggiunge come dida le sue alate parole: “I rapporti personali tra me e Trump sono molto buoni. Siamo due leader che si rispettano e capiscono, anche quando non solo completamente d’accordo”.
Per rassicurare della propria statura internazionale la Nazione, ha bisogno di farsi chiedere dalla cara Di Caro: “Veniamo al famoso incontro che potrebbe tenersi tra Trump e i vertici europei a Roma. Sono stati fatti passi avanti, ha avuto contatti positivi in questo senso?”
E vai col tango! “Non abbiamo mai dato una data. Ci stiamo lavorando”
solfeggia la Giorgia dei due mondi, “a me interessa portare a casa un accordo vero che serva all’Italia in primo luogo, come all’Europa e agli Usa. Senza fretta, ma ben fatto”.
Alla domanda (si fa per dire): ‘’A Roma o a Bruxelles?”, la Thatcher del Colle Oppio esplode nel rimarcare il suo ruolo di leader: “Se Roma può essere la sede giusta perché il nostro Paese viene visto come amico e in qualche modo come sede sì europea ma non “controparte”, credo che sarà un grande riconoscimento. Ma anche se fosse altrove, a Bruxelles o ovunque — questo sì me lo concedo — qualche merito penso di poter dire che lo avrò avuto comunque”.
E qui il suo ego espanso non ha più pareti: più le decisioni dell’Unione europea, dai dazi all’Ucraina, sono gestite dal quartetto Macron, Sanchez, Tusk con l’aggiunta di Starmer, e più Meloni si gonfia come una rana, tanto un Chiocci e un Vespa si trova sempre ai suoi piedi.
La Statista de noantri non si ricorda più quante volte il dazista Trump le ha sbattuto la porta in faccia alle sue suppliche di un incontro alla Casa Bianca, agognata incoronazione di ‘’pontiere’’ tra Usa e Ue.
E quando “King Donald” ha finalmente concesso il grande onore di riceverla, la sua presenza si è rivelata del tutto irrilevante perché i dazi erano già scappati dalla stalla.
In fondo, tenere il piedino in due staffe è l’unica dote riconosciuta a Bruxelles alla Meloni, un camaleontismo che fa scopa con la megalomania che le fa dire che l’Unione Europea dà un’immagine di “blocco consolidato di burocrazie”.
Arrivati a questo punto di demenza politica, occorre informare la Nazione tutta che il tanto spaparanzato aiuto italiano all’Ucraina è pari a 2 miliardi e 900 milioni contro i 18 miliardi della Gran Bretagna e i 15 della Francia. Ecco quanto conta e pesa il Bel Paese nel mondo occidentale.
Post Scriptum
Sulla devozione di Giorgia a Papa Francesco, magari ci stava bene una domandina sul pensiero del pontefice argentino in difesa di migranti, detenuti e i 45 mila palestinesi fatti fuori da Netanyahu che Bergoglio definì “genocidio”.
(da Dagoreport)
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Aprile 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL RUOLO DEL SOTTOSEGRETARIO, EX PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE PONTIFICIA ACS, “AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE”
Per Giorgia Meloni, papa Francesco è stata una scoperta. Negli ultimi giorni lo ha
raccontato a tanti: di come la conoscenza diretta del pontefice le abbia fatto superare i pregiudizi che aveva come donna di destra devota al culto di Giovanni Paolo II e alla sapienza conservatrice di Benedetto XVI.
In questi tre anni a Palazzo Chigi, i contatti sono stati frequenti, favoriti da Alfredo Mantovano, colui di cui si può dire quello che si diceva di Giulio Andreotti, che era un italiano in Vaticano, e uomo del Vaticano in Italia.
C’è un filo che in questi giorni porta da Palazzo Chigi al Palazzo Apostolico, dove si ritrovano i cardinali per le congregazioni che portano al conclave. Ed è un filo con cui proprio lui, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, giurista e autorità delegata per i servizi segreti, sta silenziosamente tessendo la sua tela, per conto del governo.
L’interesse della destra per un futuro papa conservatore muove la strategia di sponsorizzazione di Mantovano, attraverso una rete di legami costruiti in anni e che si sono rafforzati grazie al suo ruolo di referente nel governo italiano della Curia e della Segreteria di Stato. E c’è un nome che emerge tra gli altri, nelle confessioni che raccogliamo vicino al sottosegretario: l’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori.
Meloni vuole evitare tifoserie smaccate, ma se le si rivolgesse privatamente la domanda su chi preferirebbe vedere sul soglio di Pietro, con un buon giro di parole risponderebbe molto probabilmente che ci sono sensibilità diverse anche nella Chiesa e avere un papa con qualche affinità in più aiuterebbe.
La scommessa su un papa conservatore non è semplice. Ma che Mantovano si stia muovendo in questa direzione, ce lo confermano diverse fonti di governo. Raccoglie informazioni, dialoga con i cardinali, sonda le intenzioni dei porporati. Un’alleanza saldata con figure di rilievo, come Angelo Bagnasco e Mauro Piacenza, che pur cardinali non elettori, perché ultraottantenni, sono i manovratori delle cordate per la discontinuità, sotto la regia dell’eterno Camillo Ruini.
Come raccontato ieri da Giacomo Galeazzi su questo giornale, è su Betori che scommettono, per riparare quella che definiscono «la confusione teologica e dottrinale» portata dall’uragano Bergoglio in Vaticano.
Betori si è scontrato pubblicamente con Bergoglio sui migranti, ed era segretario generale della Cei quando Ruini era presidente, negli anni delle battaglie contro i governi di centrosinistra. Gli anni in cui lo scontro politico si concentrò per esempio sui Pacs, su come formalizzare i diritti civili per i conviventi non sposati e le coppie omosessuali. Mantovano era allora un senatore semplice di Alleanza Nazionale ma fu uno dei più duri a prendere le difese della Chiesa e dei vescovi contro le accuse di ingerenza manifestate dalla sinistra. Per capire il peso che ha il sottosegretario sulle faccende vaticane va ricordato il ruolo di presidente di Acs, Aiuto alla Chiesa che soffre, carica che poi ha ricoperto proprio il cardinale Piacenza. La fondazione pontificia che
sostiene le comunità cristiane perseguitate nel mondo e che ha sede extraterritoriale a Roma, a palazzo San Calisto, è una realtà che Bergoglio amava molto, sin da quando era arcivescovo di Buenos Aires.
Nel 2016 il papa accolse i vertici di Acs a Santa Marta, per ringraziarli. C’è una foto di quel giorno sul sito: con Bergoglio ci sono il presidente Mantovano e il direttore Alessandro Monteduro, che il sottosegretario ha portato con sé a Palazzo Chigi come capo di gabinetto.
Nel novembre dell’anno dell’incontro con Bergoglio, Acs pubblicò la XIII edizione del rapporto sulla libertà religiosa. In un capitolo dedicato all’Italia, nella lista delle cause dell’aumento dell’intolleranza si elencavano anche le unioni civili, la cosiddetta teoria del gender (definizione in uso alla destra) e la trasformazione sociale della famiglia. A firmare l’introduzione al dossier era Monteduro. Anche lui molto attivo in queste ore.
La speranza che muove Meloni, Mantovano e il suo collaboratore è che in un conclave con fisiologiche divisioni nella composita progressista della Chiesa, una convergenza compatta possa far emergere un conservatore.
O almeno un moderato. Una figura di compromesso, in questo senso, negli auspici di palazzo Chigi è Pietro Parolin, segretario di Stato e presidente del conclave. Figura politica e diplomatica, interfaccia rassicurante per il governo italiano, scelto da Francesco ma non in assoluta continuità con lui, soprattutto per spirito di concertazione. Di sicuro, nella sfida tutta italiana Meloni e Mantovano lo preferiscono al cardinale Matteo Zuppi, il capo dei vescovi, che dopo la morte del papa, entrando in Vaticano, non in un giorno qualsiasi ma il 25 aprile, ha detto: «Ricordiamoci della Liberazione».
(da La Stampa)
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Aprile 29th, 2025 Riccardo Fucile
LA SINISTRA GUARDA CON FAVORE A ZUPPI COME IDEALE FRANCESCO II. MA SAREBBERO BENE ACCOLTI ANCHE PAROLIN O PIZZABALLA
Ha suscitato una certa curiosità la notizia che il presidente francese Macron, a Roma per i funerali del Papa, abbia riunito i cardinali francesi per poi lasciar trasparire sui media il suo discreto appoggio per l’arcivescovo di Marsiglia, Aveline. Anche a Trump viene attribuito parecchio attivismo con i cardinali americani, a cominciare da Dolan: non perché questi sia un candidato verosimile — non lo è — ma in quanto possibile regista di una robusta corrente geopolitica. Non è strano.
Trump sa bene cosa Francesco pensava di lui ed è plausibile che tenti di spendere qualche carta per avere un pontefice meno diffidente. In fondo alla stessa logica obbediva la visita a Roma del vicepresidente Vance, ricevuto con cordialità dal segretario di Stato, Parolin, poche ore prima della scomparsa di Bergoglio, al quale l’ospite americano ha avuto l’opportunità di rivolgersi per qualche minuto. Queste pressioni ricordano alla lontana quelle che un tempo erano prerogative dei grandi sovrani cattolici. Fino al 1904 esisteva una forma di veto che permetteva in casi estremi di bloccare un candidato sgradito.
Ma più dei motivi religiosi pesavano gli equilibri di potenza in Europa. L’eco di quei lontani eventi lo avvertiamo persino oggi. Di Trump, moderna versione in chiave euro-atlantica di quello che fu l’imperatore d’Austria, si è già detto. Nessuno si stupisce se in queste ore il cardinale Dolan sta organizzando una sorta di fronte conservatore e soprattutto filo-occidentale.
Del resto nel Conclave non ci sono russi di cui tener conto: c’è invece una presenza ucraina e il tema non è insignificante. L’altra volta le tattiche nord-americane portarono all’elezione del cardinale Bergoglio — un riformista poi percepito quasi come un rivoluzionario. Stavolta c’è da credere che qualcuno vorrà esser sicuro di non prendere un altro abbaglio. E la Francia? Come detto, Macron ha capito e non da oggi l’importanza della posta in gioco, perciò si sforza di cucire i fili di una strategia opposta a quella trumpiana.
A tal fine pesano anche i suoi eccellenti rapporti con la Comunità di Sant’Egidio. Parigi non è forte a sufficienza per influenzare un gruppo consistente di elettori, specie di fronte a una platea davvero globale come quella voluta dal pontefice deceduto. Tuttavia può contribuire a consolidare un nucleo solido, se riuscisse a creare un’intesa con la forte chiesa tedesca (peraltro divisa al suo interno) e poi a estenderla a qualcuno dei Paesi dell’Est — dalla Polonia ai Baltici — uniti tra l’altro da una linea di dichiarata ostilità alla Russia di Putin. Esclusa, s’intende, l’Ungheria di Orbán, peraltro rappresentata a Roma da un cardinale molto stimato: l’arcivescovo di Budapest, Erdo.
Tuttavia non è chiaro se e come può coalizzarsi un simile fronte centro-europeo; tanto più che la Germania si trova ancora priva del governo Merz, figlio delle recenti elezioni.
In tutto ciò l’Italia conserva una linea di cautela, diremmo quasi di neutralità rispetto alle trattative tra i cardinali. Non è nella tradizione italiana favorire cordate o addirittura riunire le porpore per influenzarle. La storia secolare del Vaticano sul Tevere a qualcosa serve, insieme al distacco degli ultimi pontefici rispetto ai giochi politici romani.
Certo, a destra come a sinistra, si gradirebbe un Papa italiano. E senza dubbio a
sinistra si guarda con favore a Zuppi come ideale Francesco II. Ma sarebbero bene accolti anche Parolin o Pizzaballa. L’Italia si prepara al nuovo pontefice senza scivolare nelle inquietudini e nelle manovre di altri, non abituati ad avere il Papa in casa.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2025 Riccardo Fucile
“TUTTI I BULLI SONO SOLO TIGRI DI CARTA. GLI USA NON RAPPRESENTANO IL MONDO INTERO, IL LORO COMMERCIO RAPPRESENTA MENO DI UN QUINTO DEL TOTALE MONDIALE. QUALCUNO DEVE FARSI AVANTI CON LA TORCIA IN MANO PER ILLUMINARE IL CAMMINO” (QUEL QUALCUNO È LA CINA…)
“La Cina non si inginocchierà”. Macchina della propaganda molto in funzione
ultimamente contro i dazi di Donald Trump. Questa mattina il ministero degli Esteri cinese ha pubblicato un video di due minuti nel quale si ribadisce il concetto che Pechino non cambierà posizione riguardo “all’imposizione sconsiderata dei dazi da parte degli Stati Uniti”, sostenendo che lo fa anche per il bene del resto del mondo che non dovrebbe piegarsi al bullismo americano.
“Avete mai sentito parlare dell’occhio del ciclone?”, domanda la voce narrante all’inizio della clip. “Sembra tranquillo per un attimo, ma in realtà è una trappola mortale. Gli Stati Uniti hanno scatenato una tempesta tariffaria globale e hanno deliberatamente preso di mira la Cina, costringendo le altre nazioni a limitare il commercio con la Cina. Inchinarsi davanti a un prepotente è come bere veleno per placare la sete. La storia ha dimostrato che il compromesso non porta alla clemenza.
Inginocchiarsi porta solo a subire ulteriori prepotenze. La Cina non si inginocchierà, perché sappiamo che difendere noi stessi mantiene viva la possibilità di cooperazione. La Cina non farà marcia indietro, così le voci dei deboli potranno essere ascoltate. Tutti i bulli sono solo tigri di carta. Gli Usa non rappresentano il mondo intero, il loro commercio rappresenta meno di un quinto del totale mondiale. Quando il resto del mondo è unito nella solidarietà,
gli Stati Uniti sono solo una piccola barca alla deriva. Gli imperialisti sono sempre arroganti”.
Per poi concludere : “Qualcuno deve farsi avanti con la torcia in mano per dissipare la nebbia e illuminare il cammino da percorrere. Quando tutte le nazioni si ergono fiere il mondo abbatterà le barriere dell’egemonia. Per la Cina, per il mondo, dobbiamo alzarci e continuare a lottare”.
(da La Repubblica)
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Aprile 29th, 2025 Riccardo Fucile
“I CEO DI SILICON VALLEY FINIRANNO PER PENTIRSI, CREDEVANO CHE TRUMP AVREBBE OFFERTO LORO QUALCOSA DI MIGLIORE PERCHÉ È OSSESSIONATO DALLE CRYPTOVALUTE O PERCHÉ CI SONO MUSK E PETER THIEL”
«Incompetenti». La ripete più volte Michael Wolff questa parola nel corso di una lunga chiacchierata con La Stampa. Giornalista e scrittore, una conoscenza con pochi uguali dei meandri in cui si snoda la galassia di Trump, Wolff con il suo Fire and Fury scalò classifiche di vendite e dibattiti ai tempi della prima Amministrazione; l’ultimo All of Nothing racconta la campagna elettorale del ritorno del tycoon newyorchese.
Michael Wolff, cento giorni di Trump. Giudizio a bruciapelo…
«Incredibile manifestazione di evidente incompetenza, disorganizzazione, caos che lascerà distruzione e non genererà nessun risultato, nessuna realizzazione degli obiettivi, anche se non mi sembra chiaro quali questi fossero».
Potremmo anche finirla qui. Ma l’Amministrazione, ovviamente, dice che Trump ha mantenuto le promesse ed esalta tre mesi di decisioni rapide e nette. Molti osservatori, compresi navigati reporter politici sono rimasti sorpresi dalla
furia dei primi tre mesi. E lei?
«Questa analisi è errata. Perché parte dal presupposto che ci sia un piano. Che può essere rispettato o meno, ma esiste. Io invece penso non esista nessun programma, nessun piano da realizzare».
Cosa allora ha in mente Trump?
«Ci sono degli obiettivi generici, c’è la vendetta, c’è la voglia di terrorizzare i liberal. Ma se mi chiede quale è il piano per l’Ucraina, qual è quello per l’immigrazione, beh non ci sono, si va a tentoni».
Perché?
«Torniamo alla parola di cui sopra, incompetenti. Chi è al governo adesso non ha la benché minima idea di come si governano le cose, non ha esperienza manageriale. Qualcuno si era illuso che Trump avrebbe imparato dagli errori del primo mandato. Non vedo nessun segno in questa direzione».
«I suoi interessi sono spostare su di sé l’attenzione. Vuole ogni titolo di giornale, ogni immagine puntata su di sé, non importa il contenuto».
In questi cento giorni sono emersi nuovi personaggi in posti chiave. Cosa ne pensa?
«Incompetenti e ossessionati da qualcosa».
Parlando di tariffe, Peter Navarro è stato la forza trainante nei primi cento giorni…
«Favoloso trascorrere del tempo con lui, resti a bocca aperta, non riesco nemmeno a descrivere come è ascoltarlo. Guida l’intera politica commerciale».
Stephen Miller, l’architetto delle deportazioni e della politica migratoria…
«Chiaramente ha uno “spectrum disorder”, ma dentro questa Amministrazione essere ossessionati da qualcosa è un vantaggio. E lui ha l’ossessione degli immigrati illegali, qualche volta ottiene risultati ma il più delle volte di breve durata».
Cito dal suo libro: “Cosa c’è di sbagliato in quest’uomo?
«Sì, È Trump che parla di Musk».
Siamo nell’ottobre 2024. Quale rapporto oggi dopo tre mesi in cui Musk e Doge
hanno guidato le politiche di tagli della spesa federale?
«Musk è diventato una sorta di intrattenitore per Trump. Elon è un generatore di titoli sui giornali e di attenzione da parte dei media. E questo a Trump piace. Ma Elon se ne andrà, il Doge sparirà e anche lui seguirà lo stesso destino che accomuna tutti i plot, le trame – in senso cinematografico – di Trump: inizierà un nuovo episodio della saga senza di lui perché Trump pensa tutto in termini di reality show».
I ceo di Silicon Valley stanno con Trump. Perché? E resteranno?
«Opportunismo puro. Credevano che i democratici avrebbero imbrigliato le loro aziende, creato un clima negativo per il loro business e sono stati portati a credere che Trump avrebbe offerto loro qualcosa di migliore perché Donald ora è ossessionato dalle cryptovalute o perché ci sono Musk e Peter Thiel. Finiranno per pentirsi. Sono stati anche loro vittime di un’ubriacatura».
Quale?
«Quella della notte elettorale, si sono illusi tutti che Trump sarebbe stato diverso, che la sua seconda presidenza sarebbe stata nuova. Un totale flop nella lettura della realtà».
La luna di miele è finita anche secondo i sondaggi. Pure sull’immigrazione Donald Trump non convince più la maggioranza degli americani. Perché?
«Il Paese era con lui, non c’è ombra di dubbio. Ma come su altri temi ora ha perso popolarità per lo stato confusionale e di paura disseminata. Sta prevalendo l’interrogativo su cosa succederà».
Ma perché questa inversione?
«La ragione fondamentale è che Donald non sa veramente cosa sta facendo».
Sulle tariffe crede abbia un’idea più precisa?
«No. Attenzione però. Alla Casa Bianca ci sono molte persone rispettabili e ragionevoli. Con loro parlo spesso e – non posso dirle i nomi – confessano timori molto profondi».
Su cosa?
«La recessione. Ma non solo. Temono un conflitto fra Russia e Nato, hanno
paura di una nuova crisi sanitaria e del degrado dei servizi pubblici. E sono tutte cose serie».
(da La Stampa)
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Aprile 29th, 2025 Riccardo Fucile
DATI ISTAT: NON BASTA IL RECUPERO DELL’ULTIMO TRIMESTRE PER CHIUDERE IL GAP APERTO DALL’IPERINFLAZIONE
Sembra un gioco di squadra studiato a tavolino, ma è la coincidenza del calendario di
pubblicazioni dell’Istat a offrire subito una sponda all’allarme sui salari troppo bassi rilanciato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Mentre il Capo dello Stato scandisce che i salari sono “una grande questione per l’Italia” e, in soldoni, “tante famiglie non reggono il costo della vita”, l’Istituto
nazionale di statistica quantifica quanto la recente spirale di aumento dei prezzi abbia messo ko il potere d’acquisto degli italiani. Lo fa calcolando che le retribuzioni fissate nero su bianco dai contratti di lavoro, in termini reali, a marzo “sono ancora inferiori di circa l’otto per cento rispetto a quelle di gennaio 2021”.
I recuperi che si sono visti negli ultimi mesi sono ancora parziali, dunque. La corsa dei prezzi scatenata dal post-Covid e dalla successiva guerra in Ucraina ha lasciato un segno ancora ben visibile. “Un gap a dir poco vergognoso”, secondo il presidente dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona, che arriva a chiedere il ripristino di una scala mobile.
Pochi esultano per il fatto che la retribuzione oraria media nel periodo gennaio-marzo sia cresciuta del 3,9% rispetto al 2024. O che l’indice delle retribuzioni contrattuali sia salito del 4% tra il marzo scorso e quello del 2024. “In termini reali – commenta l’Istituto – si osserva un ulteriore recupero rispetto alla perdita di potere d’acquisto che si è verificata nel biennio 2022-2023, che tuttavia rimane ancora ampia: per il totale economia, le retribuzioni contrattuali reali di marzo 2025 sono ancora inferiori di circa l’otto per cento rispetto a quelle di gennaio 2021”.
Quel che preoccupa è che il recupero pare già battere in testa, quando l’obiettivo del “pareggio” rimane ancora lontano. Non più tardi della scorsa settimana, la Bce – che osserva da vicino le dinamiche dei salari nell’ambito del mandato di tenere sotto controllo i prezzi – notava che la spinta alla crescita delle buste paga si sta già attenuando, soprattutto per il venire meno delle componenti una tantum che l’anno scorso avevano dato un po’ di respiro ai budget familiari.
Tornando all’Istat, tra i vari settori si registrano perdite di potere d’acquisto inferiori alla media in agricoltura e nell’industria, mentre situazioni più sfavorevoli si registrano nei settori dei servizi privati e della pubblica amministrazione. Grazie ai rinnovi registrati nei primi tre mesi dell’anno, alla fine di marzo, solo tre dipendenti su dieci nel settore privato sono ancora in
attesa del rinnovo del Ccnl.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL PESANTE RITARDO DELLA MESSA A TERRA DEL RECOVERY: A FINE MARZO I PAGAMENTI ERANO FERMI A QUOTA 63,3 MILIARDI SUI 194 DISPONIBILI. DI 11 MILA PROGETTI NON SI CONOSCE LO STATO DEI LAVORI E 876 ANCORA NON SONO STATI AVVIATI
Il Pnrr non accelera, anzi. Complessivamente a fronte dei 194,415 miliardi di euro disponibili, stando all’aggiornamento dei dati pubblicato dal governo sulla piattaforma ReGis, la spesa dichiarata al 28 febbraio è pari a 65,724 miliardi di euro, il 33,81% del totale. Rispetto al 31 ottobre, quando la spesa era attestata a quota 58,604 miliardi l’avanzamento insomma è minimo.
I pagamenti Pnrr effettuati al 31 marzo 2025, ovvero a poco più di un anno dalla fine del piano finanziato attraverso il Recovery fund, sono invece pari a 64,371 miliardi contro i 57,503 del 13 dicembre 2024.
«Questi numeri smentiscono la propaganda del governo sull’attuazione del Pnrr: si registra un pesantissimo ritardo nell’andamento della spesa, con il forte il rischio che falliscano o vengano riorientati alcuni interventi previsti originariamente dal Piano» denuncia il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari.
Stando all’analisi dell’Area politiche per lo sviluppo della Cgil nazionale, i progetti censiti sono 284.066, prevedono fondi Pnrr per 157,389 miliardi di euro e mobilitano risorse comprensive di altre fonti di finanziamento pari a 212,657 miliardi di euro.
Di poco meno di 11 mila progetti le amministrazioni competenti non hanno indicato la fase dell’iter di attuazione e di 876 non è stata avviata alcuna fase. Le procedure di gara bandite con Codice Identificativo di gara al 31 marzo 2025 sono in totale 184.266 per un valore, comprensivo di tutte le forme di finanziamento, di quasi 153 miliardi di euro. L’importo complessivo delle aggiudicazioni è di circa 111 miliardi. Oltre 131 mila gare sono state assegnate mediante affidamento diretto.
«Ora c’è il rischio che gli interventi originari falliscano o che vengano riorientati» sostiene Ferrari citando a conferma di questa ipotesi «il recente annuncio della presidente del Consiglio di voler utilizzare 14 miliardi del Pnrr (più 11 miliardi dei Fondi di Coesione) per l’ennesima ondata di incentivi alle imprese, senza vincoli e senza alcuna strategia”
Per Ferrari «la conseguenza più probabile è che in questo modo si crei una provvista economica utilizzabile per le politiche di riarmo. In Italia, tenuto conto delle risorse del Pnrr ancora da ricevere (attualmente oltre 72 miliardi), tale “tesoretto” potrebbe assumere dimensioni imponenti
Come Cgil – conclude il segretario confederale – siamo fermamente contrari all’ipotesi di finanziare, anche attraverso questa via, una conversione de
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Aprile 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL FUTURO CANCELLIERE, FRIEDRICH MERZ: “DI FRONTE ALLA CRESCENTE MINACCIA, LA GERMANIA E L’EUROPA DEVONO RAFFORZARE LA LORO CAPACITÀ DI DIFESA”
Dalla parole ai fatti. Il governo tedesco dopo aver annunciato all’inizio di marzo
l’intenzione di massicci investimenti nella difesa a debito, passa ai fatti. E da Bruxelles […] arriva la conferma. «Possiamo confermare che la Germania ha richiesto l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale per il periodo 2025-2028», è «un’importante misura complementare per consentire una maggiore spesa nazionale per la difesa, mantenendo al contempo la sostenibilità fiscale», ha dichiarato un portavoce del ministero delle Finanze tedesco.
Già alla Conferenza per la sicurezza di Monaco a metà febbraio la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen aveva annunciato la possibilità per i Paesi dell’Unione di attivare la cosiddetta “clausola di salvaguardia” per aumentare le spese militari degli Stati membri.
Il cancelliere in pectore Friedrich Merz, che con ogni probabilità sarà nominato cancelliere il prossimo 6 maggio, aveva dichiarato che «di fronte alla crescente situazione di minaccia la Germania e l’Europa devono compiere velocemente tutti gli sforzi per rafforzare la capacità di difesa del Paese e del continente».
Ora questi passi decisi sulla carta stanno diventando fatti. Il ministro della Difesa del precedente governo tedesco, il socialdemocratico Boris Pistorius, dovrebbe rimanere ministro anche nel prossimo governo. Questo per garantire continuità. L’ufficialità della scelta tuttavia arriverà solo nei prossimi giorni, quando saranno resi noti anche i nomi dei ministri scelti dall’Spd, mentre la Cdu e Csu hanno già fatto sapere i nomi dei loro ministri.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2025 Riccardo Fucile
ESISTONO VARIE TIPOLOGIE DEI CANI DA RIPORTO
A sinistra si tende a pensare che i giornalisti/opinionisti di destra siano tutti impreparati e improponibili: non è vero, o è vero solo in parte. Esistono varie tipologie. Ecco una parziale e tutt’altro che esaustiva carrellata di 50 sfumature di meloniani.
Sechismo. Branca del pensiero che, di fatto, rinuncia al pensiero stesso per difendere sempre e comunque la Meloni. Discutere con un sechista è del tutto inutile, perché lui – appunto – non pensa ma tifa. Non argomenta ma celebra (o insulta). Il sechismo è uno dei punti più bassi del melonismo, e proprio per questo (somigliando nel profondo al melonismo stesso) va bene per qualsiasi talk-show: quelli di destra se ne servono per dare spazio ai peana a caso, quelli di sinistra per dimostrare quanto a destra il pensiero sia oltremodo evanescente.
Bocchinismo. Variante più incarognita e compiaciuta del sechismo. Il bocchinista (con rispetto parlando) si vanta del suo essere sgradevole, schierato e malamente curvaiolo. Il giornalismo dovrebbe essere cane da guardia della democrazia azzannando il potere, ma il bocchinista rovescia con sadismo tale precetto, divenendo zelante cane da riporto del potere contro qualsivoglia contrappeso democratico.
Sallustismo. Deriva moscia, caricaturale, abbrutita e sommamente vuota dei “pensieri” precedenti. Il sallustista vorrebbe avere argomenti ma non ne ha, vorrebbe avere visibilità ma per carità, vorrebbe avere credibilità ma ciao core. Una prece.
Belpietrismo. La sfumatura più puntata e preparata del giornalismo di destra italiano. Spesso sopra le righe, provocatorio, teo-con, (ahilui) no-vax e maramaldo, deliberatamente scorretto e puntualmente opposto a qualsivoglia afflato woke, il belpietrista – così come la sua versione più giovanile borgonovista – ha un grande pregio che manca alle altre correnti destrorse: è preparato. Spacca il capello in quattro (anche quando sa di avere torto marcio). Non si fa prendere quasi mai in castagna. Conosce l’italiano e, di solito, ha pure una dialettica degna. Per tutti questi motivi, quando li si trova in tivù dall’altra parte della barricata, non si prova mai quella odiosa sensazione di parlare da soli o con un fiancheggiatore cieco (quando non entrambe le cose). Detta ancora più dritta, con tanto di iperbole: Tra un Belpietro e un Sallusti, o un Borgonovo e un Sechi, passa la stessa differenza che intercorre tra Wagner e Marcella Bella.
Giordanismo. Per tanti versi simile al belpietrista, aggiunge a ciò una propensione teatrale e gigiona nell’approccio televisivo (soprattutto quando conduce). È munito di autocritica e, come il belpietrista, ha molte idiosincrasie: tra queste, i renziani e i professionisti dell’antifascismo di facciata.
Crucianista. Categoria a se stante. Il crucianista è unicamente interessato al far parlare di sé, e in questo (soprattutto in radio) è bravissimo. La politica gli interessa solo in funzione del poter allargare la sua fama. Furbino, bastian contrario per interesse, scaltro come pochi, abilissimo nel trollare i media e il prossimo. Se potesse, parlerebbe solo di feticismo, sadomaso e Only fans. E a pensarci bene sarebbe meglio per tutti.
Fusanismo. Il lettore si stupirà nel vedere citata una categoria così marginale e irrilevante. Il motivo è semplice: da sempre esiste un equivoco, vuoto e insopportabile “centrosinistrume” così respingente da far venir quasi voglia di rivalutare Crosetto. Le giuggiole appartenenti al morituro fusanismo hanno vissuto la loro età dell’oro col renzismo, negli anni tragici dal 2014 al 2016, e nonostante il trapasso politico del loro Sire sono ancora lì a tifare Rignano, spalando sterco a casaccio su grillini e sinistra radicale.
(da ilfattoquotidiano.it)
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