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“TRUMP, LEI È UN FESSO”: SULLE TV RUSSE VA IN SCENA LA DELEGITTIMAZIONE DEL LEADER USA ATTRAVERSO BARZELLETTE, SBERLEFFI E PERCULATE. E PUTIN APPROVA

Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

LE TV DI MOSCA (CONTROLLATE DAL CREMLINO) MANDANO IN ONDA SFOTTÒ CONTINUI SU TRUMP DESCRITTO COME IN BALIA DI PUTIN E RIDICOLIZZATO CON CONTINUE ALLUSIONI ALLE SUE CAPACITÀ COGNITIVE

A un certo punto, il Gerry Scotti dei propagandisti russi si produce anche nell’imitazione. «Quando dici che “sto pensando” di rifornire l’Ucraina di missili Tomahawk», e qui Vladimir Solovyov cerca di dare alla sua voce un tono simile a quello di Donald Trump, a essere sinceri con risultati rivedibili, «ma poi aggiungi che “prima ne devo parlare con Putin”, non rafforzi
certo la tua posizione».
Com’è quella storia che anche gli orologi rotti almeno per due volte al giorno segnano l’ora giusta? «Se vuoi essere davvero credibile come negoziatore, prima mandi le armi, e dimostri di fare sul serio, poi chiami il tuo oppositore e gli dici “ora parliamo”. Le guerre si decidono con i fatti, non con le parole».
A leggerla così, con le frasi quasi stenografate, sembrerebbe la lamentela di un sostenitore dell’Ucraina deluso dal recente voltafaccia del presidente americano. Invece, è l’analisi di Solovyov, altrimenti soprannominato «La voce del Cremlino» anche a casa sua, il più popolare tra i megafoni televisivi del potere russo.
Ma è il modo in cui la scena si svolge, in diretta su Rossiya-1, che dice molto del contesto. Perché si tratta di una notevole presa per i fondelli di Trump, una serie di sfottò approvati con ampi cenni di assenso da tutti gli ospiti in studio, tra i quali due deputati di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin.
«Signor Trump, lei è un fesso». «Come si permette?» «Mi scusi. Lei è un fesso, ma un incomparabile, eccezionale, inimitabile fesso». «Ah beh, allora è un altro paio di maniche. Premiate subito questo ragazzo!»
La delegittimazione dell’Impero americano comincia a Mosca. Non era mai successo di sentire in prima serata una barzelletta del genere su un presidente straniero. In un Paese dove la deferenza verso il potere costituito è nel codice genetico dei suoi
abitanti, e dove le beffe ai danni dei leader propri e stranieri, amici o nemici, sono sempre state confinate al passaparola, ai tempi della stagnazione brezneviana, e oggi ai meme in poche e ben securizzate chat. E invece.
Altro talk show, questa volta la striscia quotidiana formato famiglia condotta da Olga Skabeeva, altra facezia, da parte di uno degli ospiti in studio. «Budapest. Si incontrano i due presidenti. Trump dice: “Allora, Vladimir, ti prendi Odessa, Kherson, Zaporizhzhya, tutto il Donbass, metti pure l’Alaska nel conto e finisci questa guerra». Putin si alza, stringe la mano a Trump, e dice: «D’accordo, ma tu che cosa mi dai in cambio?» Risate, applausi, arrivederci a domani.
Mosca non crede nemmeno più a Trump. La televisione rappresenta l’anello principale della catena di comando comunicativa del Cremlino. E le perplessità, stiamo usando un gentile eufemismo, che si sentono e leggono sulle capacità cognitive del presidente americano, indicano che questa volta le linee guida sono ben diverse.
È come se dopo la riunione del Nuovo Mondo multipolare a Pechino, l’opinione pubblica russa sentisse di avere varcato il Rubicone. «Trump cercherà di sfruttare la situazione per inserirsi tra Russia e Cina, ma farà un fiasco, perché i rapporti tra Putin e Xi non sono solo di fiducia, ma anche consapevolmente strategici» scrive l’agenzia statale Ria Novosti.
(da agenzie)

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“FORSE DOVEVO MIRARE PIÙ IN BASSO”: LE INTERCETTAZIONI CHE INCASTRANO KEVIN PELLECCHIA, MANUEL FORTUNA E ALESSANDRO BARBERINI, I TRE ULTRAS (DI CUI DUE DI ESTREMA DESTRA) ARRESTATI PER L’ASSALTO AL PULLMAN DEI TIFOSI DEL PISTOIA BASKET, IN CUI È MORTO L’AUTISTA RAFFAELE MARIANELLA, A RIETI

Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

SAREBBERO ALMENO 12 GLI HOOLIGAN CHE HANNO ORGANIZZATO LA SPEDIZIONE PUNITIVA, L’INDAGINE SI ALLARGHERÀ PRESTO AD ALTRI RESPONSABILI

È un ragazzino e fa parte del gruppo dei dodici ultrà del Sebastiani Rieti, i Bulldog, che ha assaltato con lanci di pietre il pullman che stava riportando a casa i tifosi del Pistoia Basket. Potrebbe finire anche lui, nelle prossime ore, tra gli indagati. Se, come ripetono gli investigatori, l’indagine si allargherà presto ad altri responsabili: sarebbero già altri cinque quelli sui quali sono in corso accertamenti più serrati per verificare un eventuale ruolo nell’agguato.
Sta di fatto che il minorenne è diventato anche un super testimone perché è stato lui a fare, per primo, i nomi dei tre fermati per l’omicidio volontario del secondo autista Raffaele Marianella: Kevin Pellecchia, Manuel Fortuna e Alessandro Barberini, questi ultimi due vicini a ambienti di estrema destra. Ma ha fornito le identità anche degli altri tifosi reatini poi convocati in questura e ascoltati per quasi 24 ore.
La spedizione punitiva è stata organizzata attraverso una chat, la stessa sulla quale sarebbe stata poi commentata la fine tragica della serata di violenza. Una volta a tu per tu con gli investigatori
non ha retto e ha iniziato a fare i nomi. È stato rilasciato poche ore dopo.
Ma a incastrare i dodici ultrà sono stati anche i poliziotti delle due volanti che si trovavano al seguito del pullman, scortato dopo alcune tensioni all’interno e fuori dal PalaSojourner. Poco distante dallo svincolo per Contigliano, i poliziotti avrebbero notato movimenti sospetti e poi, in lontananza, avrebbero visto che il pullman si era fermato e hanno accelerato per comprendere cosa stesse accadendo.
Il gruppo dei dodici ascoltati dalla polizia è destinato comunque ad allargarsi anche perché si stanno cercando le due auto che sono fuggite e le persone che sedevano al loro interno. Al vaglio ci sono le telecamere di videosorveglianza e i cellulari sequestrati nelle ultime ore ai fermati. Un esame per accertare chi ha scagliato la pietra fatale per Marianella è in corso sul sasso recuperato dentro l’autobus. Agli indagati è stato prelevato il dna per una comparazione con eventuali tracce sul masso.
Domani ci sarà sia l’autopsia sul corpo della vittima e molto probabilmente anche la convalida dei fermi dei tre ultrà. Nell’interrogatorio prima del loro fermo hanno sostenuto di «non avere scagliato alcuna pietra» e «io non c’entro con questa storia». Tutte frasi che non scalfiscono «la certezza», si spinge a dire uno degli inquirenti, che i tre siano gli autori dell’omicidio di Marianella.
Ci sarebbero a questo proposito anche alcune intercettazioni, secondo un’indiscrezione del Tg1, che mettono all’angolo uno dei tre fermati. Sono state registrate all’interno della questura nella sala d’attesa, prima degli interrogatori. In una di queste uno dei tre avrebbe detto: «Forse dovevo mirare più in basso». Un’ammissione di colpevolezza a sua insaputa.
(da Repubblica)

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“TUTTI NOI ABBIAMO SBAGLIATO QUALCOSA, IO IN PRIMIS…”: IL MEA CULPA DI SALVINI AL CONSIGLIO FEDERALE DELLA LEGA CHE SI TRASFORMA IN UNA REQUISITORIA NEI CONFRONTI DEL GENERALE VANNACCI ANCORA UNA VOLTA ASSENTE

Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

NEL MIRINO L’ANOMALA COMMISTIONE TRA I “TEAM” VANNACCI E IL PARTITO. E SALVINI CHIEDE CHE IL SUO MOVIMENTO SIA SOLO CULTURALE E NON POLITICO … C’È POI IL NODO LOMBARDIA CHE NESSUNO NEL CARROCCIO VUOLE MOLLARE A FDI. UN’ALTRA GRANA PER SALVINI

Roberto Vannacci assente, Luca Zaia si collega solo all’inizio, Matteo Salvini una volta finito il Consiglio federale esce rintanato nella sua auto blu, e lo stesso fanno gli altri big. Meglio non incappare nei cronisti lì fuori dalla vecchia sede con tutte le tapparelle abbassate.
La novità sta nel fatto che per la prima volta non fa finta che tutto stia andando alla grande, dopo il flop toscano, con la Lega superata anche dalla sinistra radicale.
«Chiaro che quando hai un risultato al di sotto delle aspettative ti devi chiedere perché. Non è colpa della sfortuna o degli elettori. Quindi tutti noi abbiamo sbagliato qualcosa? Si, io in primis…», ammette. E finora non l’aveva mai detto.
Quindi inizia il Consiglio. Che in parte si trasforma in una requisitoria nei confronti del generale, per altro “contumace”: ancora una volta assente. Vannacci è pur sempre vicesegretario federale e dunque si parla dell’anomala commistione tra i suoi “team” e il partito.
«Per quanto mi riguarda è libero di pensarla come vuole su tante
cose, ma deve essere chiaro che la Lega è una sola ed è sempre stato così, è stata la nostra forza da sempre», ha cercato di dire il presidente lombardo Attilio Fontana.
L’indicazione arriva ora da Salvini: confinare le iniziative legate ai “team Vannacci” nel campo culturale, evitando che assumano forma politica. È stato ricordato il precedente di Flavio Tosi e del suo “Faro — Ricostruiamo il Paese”, la fondazione che nel 2015 gli costò l’espulsione dal partito. Una rassicurazione parziale: formalmente il Mondo al contrario si autodefinisce già un’associazione non partitica, anche se ha davanti la dizione “movimento”.
Insomma, l’ambiguità probabilmente resterà fino al prossimo incidente diplomatico. Per non sbagliare, comunque, proprio in queste ore il candidato in Consiglio veneto vannacciano Stefano Valdegamberi ha rinfrescato il suo materiale elettorale: via i riferimenti al Mondo al contrario, dentro il simbolo leghista.
Sullo sfondo, resta poi l’idea dell’area federalista, legata all’idea bossiana di un “sindacato del nord”, di una nuova organizzazione interna duale del partito: due soggetti diversi in stile tedesco Cdu-Csu. Salvini l’ha bollata come invenzione giornalistica, peccato che ne avesse parlato dal palco di Pontida proprio Zaia, seguito da analoghi interventi in linea, da Attilio Fontana a Massimiliano Fedriga, presidente friulano.
«Non ne stiamo discutendo in questo momento — spiega a distanza lo stesso presidente veneto uscente, parlando ad una
iniziativa pubblica elettorale in provincia di Padova — ma Pontida ho semplicemente ricordato che in un momento nel quale diventa sempre più evidente il fatto che il Paese sta prendendo una china federalista, proprio i partiti al loro interno una riflessione federalista la debbano fare. Voglio dire – ha aggiunto – che essere del Pd di Aosta o di Canicattì non è la stessa roba e così vale per tutti».
E anche il suo possibile successore, Alberto Stefani, si è detto favorevole all’idea
C’è poi il nodo Lombardia. Il capogruppo al Senato e segretario del partito lumbard Massimiliano Romeo ha riferito dell’unanimità raggiunta lunedì sera nel direttivo regionale per tenere in quota Lega la candidatura alla presidenza, nonostante la pretesa avanzata dagli alleati di FdI.
Un’ulteriore grana per Salvini, intenzionato a far sbollire gli animi, dato che almeno per trovare un compromesso su questo dossier avrà davanti diversi mesi di tempo.
(da La Repubblica)

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IL MIRACOLO DI SANGIULIANO: DOPO LA SPUTTANESCION PER IL CASO BOCCIA, NON SOLO E’ RIUSCITO A OTTENERE IL POSTO DI CORRISPONDENTE RAI A PARIGI MA ORA SI CANDIDA ALLE REGIONALI IN CAMPANIA, COME CAPOLISTA DI FRATELLI D’ITALIA

Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

“NE HO PARLATO CON LA RUSSA E ARIANNA MELONI”… LA SCELTA DI GENNY FA INCAZZARE L’USIGRAI CHE PROTESTA: “L’AZIENDA NON E’ UN TAXI” – LUI RIBATTE: “HO CHIESTO IL PERMESSO ELETTORALE. SE SARÒ ELETTO, ANDRÒ IN ASPETTATIVA: MA AVENDO 63 ANNI POI SCONFINEREBBE NELLA PENSIONE”

È passato un anno, nel frattempo Sangiuliano è rientrato in Rai, corrispondente da Parigi, in mezzo un paio di libri a sua firma – uno su Trump e l’ultimo su Erdogan – e una lenta riabilitazione. Quando è balenata l’idea della sua candidatura al consiglio regionale, è montata subito la polemica, a partire dai suoi colleghi in Rai: “L’azienda non è un taxi”, ha alzato gli scudi Usigrai.
Ora Sangiuliano fa sapere: “Ho fatto tutti gli atti amministrativi con la Rai. Ho chiesto il permesso elettorale, quello che prescrive la legge italiana, previsto per tutti, dipendenti pubblici e privati. Se sarò eletto, andrò in aspettativa: ma avendo 63 anni, la mia eventuale elezione sconfinerebbe nella pensione”.
Gennaro Sangiuliano, sono stati giorni molto tormentati. Da questa terrazza si vede tutta Roma. E può togliersi un peso: si candida?
«Ho accettato l’invito che mi è venuto dai vertici di Fratelli d’Italia: guiderò la lista al Consiglio regionale della Campania».
Glielo ha chiesto qualcuno o c’era un accordo pregresso?
«La cosa ha iniziato a prendere forma la scorsa primavera. Ne ho parlato con persone a me particolarmente amiche: Giovanni Donzelli, Ignazio La Russa e Arianna Meloni. E ne ho discusso anche con il candidato governatore del centrodestra, Edmondo Cirielli, che stimo molto».
Molti, dopo le dimissioni da ministro, pensavano che la sua carriera politica fosse finita. Cerca un riscatto?
«C’è da riprendere un discorso, parlare della qualità della vita di tutti. Non c’è né rivalsa né riscatto. I fatti mi hanno dato ragione: ci sono già verità giudiziarie emerse».
Prima era ministro, poi corrispondente Rai a Parigi. E ora si candida in Regione. Chi glielo fa fare?
«Voglio fare il consigliere della Campania, al servizio dei miei concittadini».
La prima cosa che vorrebbe fare?
«Da ministro avevo già attivato molti interventi per Napoli, tra cui il recupero dell’Albergo dei poveri, uno degli edifici più grandi d’Europa, voluto da Carlo III di Borbone. È abbandonato da anni, ma esiste un progetto finanziato dal ministero con 300 milioni, concordato con il sindaco Gaetano Manfredi, che conosco dai tempi dell’università. Ci stimiamo molto».
L’opposizione e l’Usigrai la attaccheranno per questa sua discesa in campo. È pronto a difendersi ancora?
«Mi sono già difeso citando l’articolo 51 della Costituzione: la partecipazione alla vita politica è un diritto democratico. In Rai ci sono stati molti colleghi che hanno fatto politica: Badaloni, Marrazzo, Giulietti, Ravaglioli, genero di Andreotti… Tutte persone di valore. Forse perché sono di destra non dovrei avere
questo diritto? Ma non voglio fare polemica: ci sono le leggi, e si applicano».
Con Giorgia Meloni c’è stato un momento di freddezza quando è stato costretto a lasciare il ministero. Cosa le ha detto oggi?
«Nessuna freddezza. La premier è talmente impegnata: non abbiamo un rapporto quotidiano, ma ora che ho deciso mi ha detto: “In bocca al lupo, fai le cose per bene”.
Una persona che le è stata vicina in questo anno complicato?
«Tante. Giuseppe Conte e Andrea Orlando, per esempio. Sono avversari politici, ma hanno compreso il lato personale della vicenda. Poi Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri, a cui voglio molto bene. E persino Marco Travaglio è stato solidale».
Le manca il potere che aveva da ministro?
«Assolutamente no. Mi sono curato e ho curato me stesso scrivendo due libri: l’ampliamento della biografia di Trump e poi quella su Erdogan».
Due leader di destra.
«Ma la voglio sorprendere. A Parigi, il politico con cui ho legato di più è Mélenchon: gli ho regalato pure le mie cravatte rosse. Ci troviamo d’accordo sull’analisi critica della globalizzazione».
In Campania potrebbe avere come competitor anche Maria Rosaria Boccia, pronta a correre con Bandecchi. Ha timori?
«Non dico nulla. Ho molta fiducia nella magistratura italiana. Basterà attendere che la giustizia faccia il suo corso».
È in ottimi rapporti con Giuseppe Conte, ma si propone contro il suo candidato: Roberto Fico.
«Con Fico ho parlato a lungo alla cerimonia dello scioglimento del sangue di San Gennaro, ero accanto a lui. Mi ha chiesto: “Allora vieni in Regione?”. Gli ho risposto: “Può darsi…”. “Ma farai il bravo?”. E io: “Sarò la tua medicina amara”. Più parla Fico, più cresce il consenso per Cirielli».
Dopo oltre un anno lontano dalla politica, come è cambiato l’uomo Sangiuliano?
«La politica è uno strumento per raggiungere fini virtuosi. Non distinguo più tra destra e sinistra, ma tra chi ha sentimenti umani e chi non li ha. Inoltre: pur essendo molto rispettoso dello Stato di Israele, ho sofferto profondamente per tutte le vittime di questa barbarie, soprattutto donne e bambini».
L’ultima domanda: Federica Corsini, sua moglie, l’ha perdonata?
«Io amo mia moglie. Ma queste sono vicende private»
(da agenzie)

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BRUTTA ARIA A BUENOS AIRES, CONTINUA LA CRISI POLITICA IN ARGENTINA: PER LA SECONDA VOLTA IN UN MESE, IL TURBO-LIBERISTA JAVIER MILEI SOSPENDE L’APPLICAZIONE DI DUE LEGGI APPROVATE DAL PARLAMENTO CON DUE TERZI DEI VOTI

Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

LE NORME GARANTISCONO IL FINANZIAMENTO ALLE UNIVERSITA’ PUBBLICHE E AL PIU’ GRANDE OSPEDALE PEDIATRICO DEL PAESE (GIA’ IN CRISI A CAUSA DEI TAGLI IMPOSTI DA MILEI)

Prosegue ancora in Argentina il braccio di ferro tra il governo ultraliberista di Javier Milei e il Parlamento dove l’esecutivo è attualmente in netta minoranza. Per la seconda volta in un mese il presidente ha sospeso l’applicazione di due leggi approvate dall’opposizione con una maggioranza di due terzi in entrambe le Camere per superare il veto apposto in precedenza dal capo dello Stato.
Si tratta di due norme che puntano a garantire il finanziamento delle Università pubbliche e del principale ospedale pediatrico del Paese, il Garrahan di Buenos Aires, che da mesi si dichiarano in emergenza per i tagli operati dal governo nel quadro di un rigido programma di austerity .
Secondo quanto si legge sulla Gazzetta Ufficiale (Boletin Oficial) l’applicazione delle leggi promulgate oggi rimane infatti
“in sospeso fintanto che il Congresso della Nazione non individui le fonti di finanziamento”.
Il 22 settembre l’esecutivo aveva promulgato e sospeso l’applicazione di una legge sull’emergenza del settore disabili approvata dal Parlamento nonostante il veto di Milei. L’opposizione ribatte tuttavia che le tre leggi danno facoltà all’esecutivo di modificare assegnazioni del bilancio e che il governo in più occasioni ha favorito altri settori con riduzioni di aliquote, come nel caso dell’eliminazione di ritenute alle esportazioni di grani e oleaginose per circa 1,5 miliardi di dollari.
(da agenzie)

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“OH, BENVENUTO SARKOZY”. IL PRIMO GIORNO IN CELLA DI SARKO’ TRA GLI SFOTTÒ DEI DETENUTI

Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

LA VISITA DELLA MOGLIE, I TAPPI PER LE ORECCHIE E I MAGLIONI PER IL FREDDO: NEI 9 METRI QUADRATI DELLA CELLA UN TELEFONO CON DIECI NUMERI AUTORIZZATI

«Non è il Club Méditerranée», dice in serata l’avvocato Jean-Michel Darrois all’uscita della prigione della Santé, dopo avere fatto visita al suo assistito. «Oggi ha fatto sport, ha cominciato a scrivere il suo libro. Si trova in una cella di nove metri quadrati, c’è un gran rumore tutto il tempo».
L’avvocato aggiunge che Sarkozy ha potuto vedere una prima volta la moglie Carla Bruni, nel pomeriggio, in uno dei tre colloqui di un’ora alla settimana ai quali ha diritto.
«Una prima giornata in prigione è terribile, ma lui l’ha superata», conclude l’avvocato.
Una giornata cominciata alle 9 e 37 del mattino, quando la Renault Espace scura di Nicolas Sarkozy è entrata nella struttura carceraria di Montparnasse, l’unica ancora esistente tra le mura di Parigi. Sovraffollata, la prigione accoglie 1.237 persone quando avrebbe una capacità massima di 657 posti.
L’ex presidente non è ospitato nel settore dei «vulnerabili», che in passato ha ospitato altre celebrità come Bernard Tapie, ma in isolamento, non per maggiore severità nella punizione ma per garantirgli di non venire a contatto con altri prigionieri che potrebbero attentare alla sua sicurezza.
Al suo arrivo, è stato accolto dalle grida — non precisamente benevole — degli altri carcerati, «Oh, benvenuto Sarkozy!», «C’è Sarkozy!». Ha ricevuto il regolamento interno della prigione, e gli è stato ricordato perché si trova in carcere, ovvero per associazione a delinquere nel caso dei finanziamenti libici alla sua campagna elettorale del 2007.
È stato accompagnato nella cella, che ha una toilette con doccia, un angolo cottura, un letto, una piccola scrivania, un piccolo televisore e — proibito il telefonino — una linea telefonica fissa con 10 numeri pre-autorizzati dall’amministrazione penitenziaria, che può ascoltare le conversazioni.
Su consiglio degli avvocati, l’ex presidente si è portato alcuni maglioni contro il freddo e i tappi per le orecchie. La parte più difficile è la notte, perché le guardie soprattutto nella prima fase della detenzione accendono la luce ogni ora per controllare che il prigioniero non abbia tentazioni suicide, e perché la prassi prevede che per tutta la prima notte gli altri detenuti scandiscano il nome del nuovo arrivato. E, già da ministro dell’Interno «legge e ordine», Sarkozy non è mai stato tenero con i pregiudicati.
(da Corriere della Sera)

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LE PAROLE DI BARGOUTI: VOGLIO IL MIO PAESE LIBERO DALL’OCCUPAZIONE

Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

23 ANNI DI DETENZIONE NELLE CARCERI ISRAELIANE

Il nome di Marwan Barghouti è tornato prepotentemente al centro del dibattito internazionale e palestinse. Dopo 23 anni di detenzione nelle carceri israeliane, la sua figura è stata inserita in cima alla lista dei prigionieri palestinesi da liberare in occasione di recenti scambi di ostaggi. Un’ipotesi che Israele ha sempre respinto con fermezza, evidenziando il forte carico politico e simbolico che Marwan Barghouti rappresenta.
L’ex leader di Fatah, condannato a più ergastoli in un processo che lui e i suoi sostenitori definiscono politico, incarna un’inevitabile polarizzazione di giudizio.
C’è chi lo vede come un carismatico leader capace di guidare il popolo palestinese verso l’autodeterminazione e chi, al contrario, lo bolla come un terrorista per le accuse a lui rivolte e le relative condanne arrivate dopo un processo politico nei tribunali israeliani.
L’editoriale del 2002: “Non voglio distruggere Israele, ma liberare il mio Paese”
Per comprendere meglio la visione di Barghouti, è utile ripercorrere le sue stesse parole, risalenti a poco prima del suo arresto nel 2002. In un editoriale pubblicato sul prestigioso Washington Post a metà gennaio di quell’anno, Barghouti si esprimeva con lucidità sulla drammatica situazione dell’epoca e sul suo futuro personale.
Nell’articolo il leader palestinese esprimeva la consapevolezza di poter essere ucciso in un omicidio mirato da parte di Israele, come decine di altri leader palestinesi uccisi nei mesi precedenti.
Il punto centrale del suo messaggio era però politico: il leader di Fatah affermava chiaramente: “Non cerco di distruggere Israele ma solo di porre fine all’occupazione del mio Paese”.
L’occupazione israeliana è dunque il nodo cruciale oggi come ieri.
Le dinamiche del conflitto: un’attualità drammatica
La rilettura di quell’editoriale, a distanza di oltre due decenni, rivela un’inquietante attualità. Le dinamiche relative al “caos” e alla “non volontà di trattare” da parte israeliana, analizzate da Barghouti nel 2002, sembrano persistere. Come evidenziato da recenti analisi sul nostro podcast, pur cambiando gli interpreti politici, la sostanza del conflitto e delle sue problematiche di fondo rimane drammaticamente immutata.
La figura di Marwan Barghouti non è solo quella di un prigioniero politico, ma rappresenta un simbolo vivente delle aspirazioni e delle frustrazioni palestinesi, il cui rilascio rimane un ostacolo insormontabile nei negoziati e la cui ideologia, focalizzata sulla fine dell’occupazione e non sulla distruzione di Israele, merita un’attenzione storica e politica.
(da Fanpage)

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PONTE SULLO STRETTO, MAI COSTRUITA UN’OPERA DI QUESTE DIMENSIONI: I DUBBI SULLA FATTIBILITA’ DEL PROGETTO

Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

INTERVISTA AL PROF MARIO DE MIRANDA, INGEGNERE E PROGETTISTA: “UN PONTE A LUCE UNICA, IN QUELLA POSIZIONE, E’ TOTALMENTE AZZARDATO E SCONSIGLIABILE”

Il progetto del Ponte sullo Stretto è stato bocciato dalla Corte dei Conti lo scorso 24 settembre, per una serie di criticità emerse sul piano procedurale, tecnico ed economico. I magistrati contabili hanno sottolineato “la necessità di acquisire chiarimenti ed elementi informativi” sulla delibera del Cipess che ha dato il via libera all’infrastruttura, e hanno dato al governo 20 giorni di tempo per rispondere. Il Dipartimento per la Programmazione Economica (DIPE) ha risposto ai chiarimenti richiesti dalla Corte dei conti lo scorso 13 ottobre con una corposa documentazione, e i giudici contabili ora hanno 30 giorni per concludere l’esame.
Il ministro Matteo Salvini è certo che l’opera verrà realizzata. Secondo il vicepremier la bocciatura della Corte dei Conti non è altro che una “fisiologica interlocuzione tra istituzioni”. Vedremo nei prossimi giorni se Salvini avrà ragione, e se i cantieri saranno effettivamente avviati a breve.
Nel frattempo esperti, ingegneri, economisti, continuano a interrogarsi sulla fattibilità dell’infrastruttura: se fosse costruita secondo il progetto attuale, sarebbe il ponte sospeso più lungo del mondo, con una campata unica di 3.300 metri e un costo stimato di 13,53 miliardi. Stiamo parlando di un’opera gigantesca, fuori scala se paragonata ad altri ponti già esistenti. Attualmente il ponte a campata unica più grande del mondo è Çanakkale Bridge, o Ponte dei Dardanelli, in Turchia: in questo caso la campata principale è lunga 2.023 metri.
Il ponte sullo Stretto poi dovrebbe integrare traffico stradale e ferroviario, il che lo rende diverso dagli altri ponti a campata unica già esistenti, in scala ridotta, che come indica il progetto di quello italiano sono realizzati con il ‘Messina type deck’, cioè hanno una struttura con un impalcato sdoppiato in due o tre cassoni paralleli con aperture centrali, con lo scopo di migliorare le prestazioni nei confronti del vento. Solo il New Xihoumen Bridge, che dovrebbe essere ultimato in Cina nel 2026, sarà un ponte stradale e ferroviario sospeso secondo il modello del Messina type deck, come il ponte sullo Stretto. Ma, come dicevamo, è attualmente in costruzione. Nessuno degli altri ponti esistenti presenta una doppia modalità di trasporto, ferroviaria e stradale.
Abbiamo chiesto a Mario de Miranda, ingegnere e progettista di ponti e strutture (che ha curato tra le altre cose l’ingegneria e il progetto di costruzione dello Storebaelt in Danimarca), quali sono gli elementi più problematici del progetto, che rendono incerta e piena di incognite la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Ricordiamo che l’area su cui sorgerà il ponte è una zona ad alto rischio sismico, e la fondazione della torre lato Calabria è posizionata su sistemi di faglie attive, sebbene la società Stretto di Messina abbia negato questa circostanza, che pure si evince dal progetto dell’opera.
Professore, quali sono le principali difficoltà per la realizzazione dell’opera?
Messi da parte tutti i problemi economici e burocratici, dal punto di vista costruttivo, se si prosegue con la soluzione che si è scelta, ovvero il ponte a campata unica, con i due piloni alle estremità e una luce di 3.300 metri, la principale difficoltà è rappresentata dalla grande differenza di scala rispetto ai precedenti, dalla necessità di fare un salto molto più grande rispetto all’esperienza consolidata. Questo comporta delle incognite, cioè problemi che non si conoscono interamente. Il ponte più lungo mai realizzato è quello dei Dardanelli, in Turchia, lungo 2.023 metri, ed è stato costruito in acque abbastanza calme. Ed è tra l’altro un ponte solo stradale, non ferroviario. Se consideriamo soltanto la realizzabilità, parliamo di un’infrastruttura molto più piccola del Ponte sullo Stretto di Messina. Ho curato il progetto di costruzione dello Storebaelt in Danimarca, con una campata di 1634 metri, e conosco il tipo di difficoltà che si incontrano. Già con quelle dimensioni la sensazione era di trovarci abbastanza vicini al limite.
Quali sono le incognite legate alla costruibilità?
Dal punto di vista della pratica ingegneristica, per entrare in uno dei tanti aspetti concreti, la sospensione è formata da quattro cavi, accoppiati a due a due. Costruire una coppia di cavi ravvicinati non è facile, perché possono sbattere molto facilmente per via del vento, che può farli muovere. Si tratta di decine di migliaia di fili da realizzare con la medesima tensione. Un’operazione tecnicamente molto complicata: un cavo raddoppiato come quello di Messina fino ad oggi è stato fatto per un ponte che aveva una lunghezza di 1300 metri, il ponte Giovanni da Verrazzano. Questa volta dovremmo fare quindi un salto di due volte e mezzo. Poi ci sono altri aspetti dovuti alla difficoltà di montaggio, causata dalle onde e dalle correnti.
Lei potrebbe dire con certezza che questi problemi non potrebbero essere risolti?
No, non posso affermarlo con certezza. Ma non posso dire con certezza che potrebbero essere risolti in quella scala. La cautela mi porterebbe a fare scelte diverse, visto che stiamo parlando dell’opera più grande che l’uomo realizzerebbe, in termini di dimensioni.
In ogni caso l’opera sarebbe appoggiata su una faglia attiva, circostanza che è stata negata dalla Stretto di Messina. È sicuro costruire un ponte in queste condizioni?
Per quanto riguarda la faglia, potrebbe esserci già un problema in fase di costruzione, se la faglia fosse effettivamente attiva, come è stato indicato nei disegni. Il problema di sicurezza c’è sicuramente in caso di sismi che potrebbero mettere di nuovo in movimento quella faglia. Nel disegno di progetto n. PB_0010, si vede chiaramente la presenza di una faglia sotto il pilone lato Calabria (linea rossa) definita ‘certa’ nel disegno stesso, in cui la freccia rossa indica il movimento, e qualificata come ‘attiva’ neldisegno numero AMW_3010 che mostra chiaramente che l’area in cui cade la faglia e la fondazione del pilone lato Calabria è definita area di faglie attive. Questa è un’immagine che grida vendetta, è qualcosa che fa paura. Quella linea rossa è una superficie di scivolamento, è una frattura. E tutta quella zona di terreno, in base a quanto mostra il disegno di
progetto, rischia di slittare per effetto del peso del pilone. Va anche ricordato che le stesse Linee Guida della Protezione Civile vietano le costruzioni in prossimità di faglie attive.
Non ci sono situazioni simili nel mondo, cioè piloni collocati su una faglia?
No, nessun ponte si trova su una faglia in questo modo. A volte si trovano delle faglie, lontano dai piloni, a una distanza ad esempio di 500 metri, ma non sotto ai piloni. Mi è capitato di controllare il progetto di un ponte in una zona sismica dove in teoria avrebbero potuto esserci delle faglie, e ho fatto fare delle analisi per essere certo che non vi fossero faglie in prossimità dei piloni. Sfortunatamente le abbiamo trovate e di conseguenza il progetto è stato cambiato ed il pilone
riposizionato.
Perché allora in questo caso la Stretto di Messina contesta la presenza della faglia?
Forse non se ne erano accorti nelle fasi iniziali di progettazione, non saprei. Ma da ingegnere posso dire che si tratta di una questione preoccupante, anche perché la faglia nel disegno èstata
indicata, ed è indicata tra l’altro anche nelle mappe dell’ente pubblico ISPRA. Non abbiamo alcuna prova contraria che smentisca tutto ciò.
Lei ha detto che l’impalcato ‘Messina type’ potrebbe essere una buona soluzione dal punto di vista del comportamento del vento. Ci spiega di cosa si tratta?
Dal punto di vista della stabilità aerodinamica, il Messina type deck è una buona soluzione, per il rivolere il problema del vento. Si tratta di un impalcato sdoppiato in due o tre cassoni paralleli con aperture centrali, con una forma rastremata. Il primo esempio al mondo con due cassoni sdoppiati è stato realizzato in Italia nel 1973 a Firenze, nel ponte all’Indiano sull’Arno, su progetto di Fabrizio de Miranda. Il vento ad alte velocità, su sezioni di impalcato di tipo tradizionale, può portare a fenomeni di instabilità, come il flutter. Nei confronti del flutter questo tipo di impalcato è effettivamente più stabile, rispetto ad altri impalcati ad unico cassone. Può però diventare un problema perché un impalcato così svuotato e alleggerito è anche molto flessibile. Dovendo sostenere anche il peso dei treni, il rischio è che sia troppo snello. Con il passaggio di due treni, la deformazione, l’abbassamento dell’impalcato per effetto dei carico dei due treni, è di oltre 10 metri e mezzo, cioè l’altezza di una casa di tre piani. Senza neanche considerare il peso dei camion.
Ci sono cinque ponti al mondo che sono stati realizzati con il Messina Type deck. Si tratta però di ponti soltanto stradali, che non sono sottoposti ai carichi più elevati che avrebbe il ponte sullo Stretto, è corretto?
Sì, i ponti ferroviari hanno delle esigenze differenti rispetto ai ponti stradali, devono essere più rigidi, perché devono garantire delle deformazioni minori: una macchina può anche passare un ponte che si deforma, può attraversare degli avvallamenti. Il treno invece deve correre su un binario di ferro, e infatti per i ponti ferroviari i limiti di deformazioni sono molto più stringenti di quelli dei ponti stradali. Per un ponte ferroviario si ammette una deformazione unitaria di 1 su 600: significa che se avessi una lunghezza di 600 metri accetterei una deformazione di un metro. Ma in questo caso la deformazione che si svilupperebbe su una lunghezza di 1600 metri, la lunghezza di deformazione dell’impalcato al passaggio di un treno, con un avvallamento di 10 metri e mezzo, che sarebbe pari a 1 su 150 ossia quattro volte di più del limite classico di 1 su 600.
Non può essere un modello il New Xihoumen Bridge, che sarà il primo grande ponte stradale e ferroviario sospeso a utilizzare il Messina Type Deck?
Oltre al fatto che è ancora in costruzione, il New Xihoumen Bridge non è un ponte sospeso puro, è irrigidito da stralli. Il ponte sospeso, dotato solo di cavi flessibili che gli forniscono rigidezza, è molto flessibile. Questo ponte che stanno costruendo in Cina invece è un ponte più rigido del ponte sullo Stretto di
Messina. E poi gli altri ponti con il Messina Type Deck, cioè il ponte di San Francisco, lo Xihoumen Bridge, il ponte di Stonecutters a Hong Kong, il ponte Yi Sun-sin, il Çanakkale Bridge in Turchia, noto in Italia come ponte dei Dardanelli, sono tutte infrastrutture con luci – la distanza tra i piloni – molto minori rispetto a quella ipotizzata per il ponte sullo Stretto. Con una luce di 3300 metri avrebbe una luce più grande di otto volte il ponte di San Francisco (430 metri), più del doppio di quello che si sta costruendo in Cina. Per cui questi paragoni non possono certo essere presi come una conferma di fattibilità di quello sullo Stretto.
Secondo le stime, il ponte sullo Stretto potrebbe sopportare terremoti di magnitudo pari o inferiori a magnitudo 7.1 ed essere percorribile anche quando soffiano venti fino a 150 km/h. È plausibile secondo lei?
Per quanto riguarda il sisma, il problema che è stato posto è che in Italia abbiamo avuto a L’Aquila e ad Amatrice dei sismi che – pur essendo quell’area classificata di analoga sismicità rispetto all’area di Messina, e pur essendosi manifestati sismi di intensità più bassa (Magnitudo 6-6.5) di quello di Messina del 1908, che è stato appunto di magnitudo 7.1 – hanno fatto registrare in quelle zone delle accelerazioni a terra più elevate di quelle che si stanno considerando nel progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Questo dovrebbe indurre quantomeno a verificare con attenzione che non siano state fatte delle sottostime del rischio sismico,
tenendo conto appunto dei terremoti dell’Aquila e di Amatrice.
E per quanto riguarda il vento?
Mentre per quando riguarda il vento, purtroppo le prove in galleria del vento finora effettuate non sono tali da garantire con certezza che non ci saranno problemi, perché i test fatti con il ponte carico hanno dimostrato che la velocità alla quale si verifica il flutter (lo svolazzamento) è più bassa di quella richiesta dalle specifiche di progetto. L’impalcato come dicevamo è molto aerodinamico, quindi funziona bene, sicuramente senza carichi, senza traffico. Se però sull’impalcato mettiamo dei treni o dei camion, il profilo aerodinamico peggiora. Le prove in galleria del vento hanno dimostrato che in quella condizione esiste instabilità per flutter, già a velocità minori da quelle previste nel progetto. Per quanto riguarda i cavi portanti, i cavi accoppiati, le prove in galleria del vento hanno dimostrato che anche loro sono instabili (il fenomeno si chiama galloping) e in questo momento non c’è una soluzione progettata. Così come le prove sulle torri le hanno trovate instabili con la necessità di individuare un sistema di mitigazione delle oscillazioni eccessive, non semplice in considerazione della grande massa delle torri e delle loro grandi dimensioni, sistema ancora non progettato né testato con esito soddisfacente. Nel progetto definitivo si specifica che una soluzione verrà trovata nel progetto esecutivo. Ma che senso ha andare avanti con espropri e demolizioni, senza certezze, sperando di trovare unasoluzione in futuro?
Lei professore in definitiva è contrario alla realizzazione dell’opera?
Da parte mia non c’è alcuna preclusione preconcetta alla realizzazione di un ponte sullo Stretto, non sono un No Ponte, pur con tutto il rispetto e la simpatia per gli amici No Ponte. Ma secondo me un ponte a luce unica, in quella posizione, è totalmente azzardato e sconsigliabile. Invece penso che un ponte a tre luci, con due piloni in alveo, una campata meno lunga, come quella dei ponti già esistenti, una volta verificata la sua condivisione nel territorio, sarebbe una soluzione tecnica fattibile dal punto di vista delle dimensioni, più economica e sostenibile in termini di rapporto costi-benefici. Un ponte a tre luci potrebbe essere collocato non dove è stato posizionato il ponte a luce unica secondo il progetto: non andrebbe collocato sulla faglia Cannitello, andrebbe spostato fuori dalle faglie, più vicino ai centri abitati di Messina e Villa San Giovanni. Sarebbe più logico anche dal punto di vista trasportistico. Inoltre, due piloni in mare eviterebbero di collocare due piloni sulle spiagge. Sarebbero insomma opere che si confronterebbero con la dimensione dello Stretto e non con la dimensione delle zone antropizzate. Erano stati avanzati progetti di questo tipo, di ponti con piloni nello Stretto, quando nel 1970 era stato bandito un concorso di idee per l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina, ed erano anche stati giudicati fattibili. Le profondità in
quel tratto di mare sono accettabili, a quelle profondità in giro per il mondo sono state già realizzate delle fondazioni.
E non dimentichiamo che a Settembre 2021 il Gruppo di Lavoro del Ministero dei Trasporti incaricato dello studio dell’attraversamento aveva evidenziato possibili criticità nel ponte e luce unica e aveva confermato che il ponte a tre luci era una possibile alternativa potenzialmente conveniente, ed aveva suggerito di confrontare le varie alternative, incluso la soluzione di attraversamento dinamico ottimizzato, prima di prendere una decisione.

(da Fanpage)

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IL VIROLOGO BASSETTI E LE MINACCE DEI NO VAX

Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DELL’INFETTIVOLOGO: “MI AUGURANO LA MORTE, I RESPONSABILI SONO I POLITICI E I GIORNALISTI”

«Vengo minacciato come Ranucci, ma stavolta «non a vuoto» con le bombe». È Matteo Bassetti a prendere la via dei social per denunciare le ripetute minacce che, da infettivologo che si è messo alla vetrina durante l’era Covid, subisce ogni giorno dai no vax. Il parallelismo, tracciato da lui e da un’utente in una minaccia scritta su X, è proprio con il giornalista Sigfrido Ranucci, vittima la sera di domenica di un attentato a base di bombe carta che ha distrutto una sua auto parcheggiata davanti a casa. «Qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire basta».
La denuncia di Bassetti: «Cattivi maestri responsabili»
«Ecco il clima d’odio messo in piedi dai no vax di casa nostra», scrive su X il noto medico. «Vengo minacciato «non a vuoto» con le bombe. È evidente la responsabilità di cattivi maestri che manipolano le menti bacate», aggiunge snocciolando una dopo l’altra le categorie che soggiaciono all’etichetta i “cattivi maestri”: «Politici, giornalisti, influencer, ecc».
Allegato alla denuncia lo screenshot di un messaggio, o meglio di una minaccia, che Bassetti stesso avrebbe ricevuto nelle ultime ore tra i commenti di un suo post. «Bassetti coniglio di regime, schiavo di Big Pharma come Burioni», si legge. «Si sente Dio, ma quando qualche bomba comincerà a scoppiare (non a vuoto come a casa di Ranucci) capirà molte cose…».
(da agenzie)

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