‘A CAROGNA FOR PRESIDENT: IL MONDO RIDE DI NOI
E’ VERO, NON C’E’ STATA ALCUNA TRATTATIVA, HA DECISO TUTTO IL FIGLIO DI UN CAMORRISTA
Ha ragione il questore di Roma: “Con gli ultras del Napoli nessuna trattativa”.
Infatti l’altra sera all’Olimpico ha deciso tutto Gennaro De Tommaso, per gli amici Genny ‘a Carogna, figlio di un camorrista, un arresto per droga e vari Daspo all’attivo, troneggiante a cavalcioni sulla grata fra curva e campo, senza trattare con nessuno.
Non è tipo da negoziati, Genny. È un un riformista decisionista che non conosce mediazioni. Non perde neppure tempo a parlare, anche per oggettivi limiti espressivi. Gli basta gesticolare. E poi parlava per lui la scritta sulla t-shirt nera, inneggiante all’ultrà catanese condannato per l’assassinio del commissario Raciti.
Dunque pendevano tutti dalle sue labbra, a parte i Vip in tribuna Monte Mario che fingevano di non vedere.
Oltre ai presidenti e ai patron di Napoli e Fiorentina e agli eterni padroni del calcio e dello sport specializzati da una vita nell’arte dello struzzo, erano riconoscibili la seconda e la quarta carica dello Stato, cioè i presidenti del Senato Piero Grasso e del Consiglio Matteo Renzi, e la presidente dell’Antimafia Rosi Bindi.
Diversamente dagli altri tifosi, rassicurati da versioni edulcorate della sparatoria per evitare altro sangue, sapevano benissimo che in quei minuti, al Policlinico Gemelli, lottava tra la vita e la morte un ragazzo “sparato” da un altro ultrà , per l’occasione romanista.
Sapevano che la partita si giocava soltanto per motivi di ordine pubblico, cioè per scongiurare una seconda e ancor più grave carneficina.
Vedevano — come tutti, in diretta, in mondovisione — che per giocarla occorreva il nullaosta decisivo di Genny e di tutti quelli come lui, capaci di scatenare l’inferno a un cenno convenuto. Vedevano che la Prefettura, la Questura, la Polizia e le autorità sportive, emblemi di uno Stato impotente e inesistente e di un calcio sotto ricatto permanente, avevano affidato all’energumeno l’ordine pubblico e le loro poltrone.
Sentivano le bordate di fischi all’inno nazionale. Assistevano al lancio di razzi e bombe carta sulle forze dell’ordine e sui vigili del fuoco.
Ma a nessuno è venuto in mente di alzarsi e andarsene, di dissociarsi da quello spettacolo indegno e dimostrare all’Italia, o almeno al resto del mondo, che esiste ancora uno Stato e che la classe politica è un filo migliore di Genny ‘a Carogna.
Invece niente, nemmeno un plissè. Un po’ meno a disagio dei calciatori, le “autorità ” confabulavano, ridacchiavano e consultavano nervosamente gli orologi, in attesa spasmodica di godersi lo spettacolo “sportivo”.
Lo statista Grasso, quello che se Napolitano è fuori diventa capo dello Stato, twittava a scarico di coscienza una frase memorabile, degna di Biscardi: chi ha sparato al ragazzo “non è un tifoso, è un delinquente”. Gliele ha cantate chiare.
Poi, a favore di telecamera, dichiarava: “Sono stato più volte in procinto di abbandonare il campo, ma dobbiamo stabilire se i fatti sono legati alla partita o no, e comunque bisogna fare una riflessione perchè questi episodi in futuro non si ripetano. Spesso il malessere sociale trova in queste occasioni il modo per esplodere in violenza senza senso. Non possiamo accettarlo e bisogna reagire. Il messaggio di Papa Francesco avrebbe dovuto far riflettere, ma se le reazioni sono state queste c’è da riflettere”.
Ecco, lui era in procinto, però ora occorre una riflessione e soprattutto una reazione, e poi il malessere sociale, e Papa Francesco. Certo, come no.
Anche Angelino Jolie, presunto ministro dell’Interno, twitta: “Nessuna trattativa tra Stato e ultras. Come Stato, siamo e saremo in grado garantire l’ordine pubblico”.
Il che, detto da uno che non s’è accorto del sequestro di una dissidente e della sua bimba deciso nel suo ufficio mentre lui era chissà dove, è pienamente coerente.
In un paese decente, dopo quelle scene, salterebbero all’istante il prefetto e il questore di Roma, infatti in Italia non accade nulla.
Qui le massime cariche dello Stato legittimano o coprono la trattativa con la mafia, figurarsi con gli ultras.
Poi ci sono le cosiddette autorità sportive, mummificate. L’eterno Giancarlo Abete, presidente Federcalcio, trova che “il calcio è vittima di situazioni che vanno oltre. Siamo pronti a fare la nostra parte per invertire la tendenza, senza se e senza ma. Riflettiamo sull’idea di dare ai club il potere di vietare a vita lo stadio a certi tifosi”.
Ma certo: a cacciarli dagli stadi dovrebbero essere gli stessi club che foraggiano e vezzeggiano tutti i Genny ‘a Carogna con biglietti omaggio e trasferte gratis, essendone ostaggi spesso in preda alla sindrome di Stoccolma. Le classiche volpi a guardia del pollaio.
Mario Pescante, membro del Cio dopo aver presieduto il Coni degli scandali e fatto il deputato e il sottosegretario allo Sport, non trova di meglio che dare la colpa alla Costituzione: “Occorre più severità , ma quando portai la legge in Parlamento nel 2004, la ritirai frettolosamente per la ribellione trasversale, tra chi invocava la Costituzione, la più bella Costituzione del mondo com’è noto, e chi il garantismo, ed ecco i risultati”.
Signori, pietà : tappatevi la bocca e sparite. Non prima, però, di aver tributato il giusto riconoscimento istituzionale a Genny ‘a Carogna.
È vero, ha inneggiato a un assassino, ma l’han fatto anche un ex premier (con Mangano) e decine di agenti del Sap (con gli omicidi di Aldrovandi).
È vero, ha precedenti penali, ma in Parlamento è in buona compagnia.
In più, diversamente da Alfano, è sempre al posto giusto nel momento giusto. E decide, senza inutili concertazioni, da vero uomo del fare.
La nomina a ministro dell’Interno gli spetta di diritto.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply