A CHI GIOVA L’INSTABILITÀ DENTRO I GRILLINI? A MOSCA, CHE PUNTA A FAR SCRICCHIOLARE IL GOVERNO ITALIANO: L’AMBASCIATORE SERGEI RAZOV NON LO NASCONDE
CONTE È DIVENTATO UNA PEDINA DI PUTIN: SFIDUCIANDO LUIGI DI MAIO PORTEREBBE ACQUA AL MULINO DELLA STRATEGIA DEL CREMLINO
I Cinque Stelle si spaccano, il governo italiano scricchiola, la Russia esulta. L’ambasciatore Sergei Razov non lo nasconde. Parlare di Italia che si divide invita la crisi di governo.
Il professionista diplomatico Razov non può dirlo apertis verbis – rischierebbe l’espulsione; l’agente moscovita Razov manovra per incoraggiarla. La resa dei conti all’interno del M5S, che maturava da tempo e accelera sulla scia dei risultati elettorali, rivela una spinta finale di regia russa.
A Mosca non stanno a cuore gli acrobatici equilibri pentastellati. L’obiettivo è il governo di Mario Draghi, spina nel fianco internazionale. Il ruolo del presidente del Consiglio a Kiev è stato determinante.
Altrettanto importante il contributo che darà ai cruciali appuntamenti di fine mese: Consiglio Europeo del 23-24 giugno, G7 del 26-28 a Schloss Elmau, vertice Nato di Madrid del 29-30. Bisogna azzopparlo prima.
Sfiduciando Luigi Di Maio, divenuto insieme a Draghi asse portante della linea europea e atlantica tenuta dall’Italia sulla guerra ucraina, Giuseppe Conte e il Consiglio nazionale M5S portano acqua al mulino della strategia di Mosca per far fallire i tre critici vertici di fine mese.
La scacchiera è molto più larga dell’Italia; Sergei Razov ne è solo una pedina. Egli punta a fare di Roma l’anello debole della catena europea, il mezzo è la crisi di governo, con la complicità volontaria o meno delle forze politiche italiane pronte a disertare l’unità nazionale.
La leva principale del grande gioco russo a tutto campo è il ricatto del gas. Il taglio delle forniture ha colpito repentinamente Italia, Germania, Francia mentre era in corso la visita dei rispettivi tre leader a Kiev.
Si è aggiunto ieri l’annuncio di Gazprom della sospensione temporanea dal 21 al 28 giugno «per manutenzione programmata» di Turkish Stream, che rifornisce Turchia e Paesi dell’Europa sudorientale. Il primo è stato motivato dalla mancanza di pezzi di ricambio alla manutenzione, che però evidentemente ci sono per i gasdotti del Turkish Stream. Le coincidenze sono spiegazioni in attesa di essere date.
Qui le spiegazioni non vanno cercate molto lontano. L’una nel Consiglio europeo, l’altra nel vertice Nato di fine mese. L’Ue avrà sul tavolo il riconoscimento dello status di candidato all’Ucraina (e alla Moldova) promesso a Zelensky da Macron, Scholz, Draghi e confermato da Ursula von der Leyen. Richiede l’approvazione di tutti i 27 Paesi dell’Ue.
La Russia non ha che da prendersela con sé stessa, e col suo presidente. Il 23 febbraio, nessuno a Bruxelles pensava seriamente a Kiev come candidato Ue; la grande maggioranza di finlandesi e svedesi non aveva alcuna intenzione di entrare nella Nato.
Poi venne la guerra di Putin e tutto cambiò. Adesso Mosca, a parole, fa buon viso a cattivo gioco. In realtà vuole impedire l’una e l’altra decisione. Entrambe vanno prese per consenso; basta un Paese contrario a bloccarle sia al Consiglio europeo che al vertice di Madrid. La Russia è quindi alla ricerca di qualche “veto”.
A questo scopo sta sfoderando tutte le armi di pressione politica e economica di cui dispone, a cominciare dal ricatto energetico. Che Mosca stessa – che ha bisogno di vendere quanto noi di acquistare – non può permettersi a lungo salvo commettere un suicidio economico.
Ma a fini intimidazione va benissimo per un paio di settimane. Ci attendono dieci giorni di forcing russo. La posta in gioco è alta. Riuscendo a far bloccare l’una e/o l’altra decisione Putin otterrebbe una grossa vittoria politica. E la credibilità dell’Ue e/o della Nato andrebbe a farsi benedire. È un braccio di ferro, misto a bluff russo, che l’Europa e l’Occidente non possono permettersi di perdere
(da “La Stampa”)
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