AGGRESSIONE CRIMINALI LIBICI A MARE JONIO, IL CAPOMISSIONE: “ABBIAMO RISCHIATO DI MORIRE”
IL SINDACO DI POZZALLO: “ATTO DI GUERRIGLIA CONTRO NAVE ITALIANA CON UNA MOTOVEDETTA REGALATA DALL’ITALIA AI LIBICI”… LE TESTIMONIANZE E LO SCONCIO SILENZIO DEL GOVERNO
Ancora scossi, terrorizzati, alcuni con addosso ferite, contusioni e segni delle torture ricevute nei lager libici, altri quelle dovute ai colpi di calcio di fucile dei libici. I 58 naufraghi soccorsi dalla Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans mentre la Guardia costiera libica sparava sui rhib sono diretti a Pozzallo.
Le immagini registrate dalle videocamere go-pro che l’equipaggio aveva addosso sono impressionanti.
Si vede un tender della guardia costiera libica arrivare a tutta velocità contro il rhib impegnato nel soccorso, gli spari si sentono distintamente, come le urla dei naufraghi e quelle del team che urla inutilmente: “questa è un’operazione di soccorso, allontanatevi per favore”. Ad un certo punto una raffica sembra raggiungere la lancia direttamente dalla motovedetta.
È incontrovertibilmente una di quelle donate dall’Italia, anzi una delle prime. Si tratta della Fezzan, pattugliatore un tempo patrimonio della Guardia di finanza, oggi fra le più attive nelle intercettazioni in mare, regalata a Tripoli nel 2019.
Castiglione: “A soccorso concluso abbiamo capito di aver rischiato la morte”
“Ho sentito i proiettili arrivare a venti centimetri, forse meno, in mare è niente”, spiega il capomissione Danny Castiglione. Perché la lancia di soccorso non sta ferma, si muove, il motore viene tenuto al minimo, le onde la spostano. “Solo a soccorso concluso abbiamo capito di aver rischiato veramente di morire”, racconta. In mare, spiega, non è stato facile capire cosa sia giusto fare in una situazione di rischio.
“Mentre ci stavano sparando addosso, con gli altri soccorritori ci siamo guardati, e abbiamo capito che non saremmo riusciti a lasciare nessuno indietro. C’era troppa gente in acqua, altri che venivano picchiati sulla prua. Non potevamo lasciarli indietro”.
Dalla prua della motovedetta, i naufraghi approfittavano di ogni momento di distrazione dei carcerieri per lanciarsi in mare. “Nessuno di loro aveva giubbotti di salvataggio – spiega chi era sui rhib – non potevamo andare via e lasciarli lì”.
Vite a rischio grazie a fondi italiani ed europei
A soccorso concluso, neanche tornare verso la Mare Jonio è stato facile. “Più volte ci hanno tagliato la strada, cercando di impedirci di raggiungerla, a un certo punto c’è stato anche un tentativo di abbordaggio”. A mente fredda è arrivata la cognizione di cosa sia successo, il rischio affrontato, la rabbia.
“Sparare sui soccorritori in mare è come sparare su un’ambulanza che interviene quando c’è un incidente e questa è la prima assurdità – dice Castiglione – se poi si pensa che questo succede grazie a mezzi regalati dai governi di Italia e Unione Europea, che finiscono per mettere a rischio la vita di italiani ed europei stessi, tutto diventa surreale”.
Il medico di bordo: “Mi hanno puntato le armi contro”
Dal ponte il resto dell’equipaggio monitorava cosa stesse succedendo, mentre tentava invano di comunicare con la motovedetta libica. “Ero a prua cercando di documentare cosa stesse succedendo. La motovedetta è passata vicinissimo, mi hanno guardata e quando hanno visto la macchina fotografica mi hanno puntato le armi contro – racconta Vanessa, il medico di bordo – mi sono subito buttata a terra. Avevano sparato, non potevo escludere che lo facessero di nuovo”.
L’intera operazione è durata ore. Improvvisamente, raccontano dalla nave, il pattugliatore è andato via, i rhib sono riusciti ad accompagnare i naufraghi a bordo. Infreddoliti, terrorizzati.
Tutti si sono lanciati in acqua, era zuppi, molti avevano bevuto. “Fortunatamente, salvo diverse ustioni da carburante molto serie che dovranno essere trattate in ospedale, non abbiamo avuto emergenze. Tutti hanno addosso segni di tortura”, spiega la dottoressa. Di certo, tutti avranno bisogno di supporto psicologico.
Il sindaco di Pozzallo: “Operazione di guerriglia, il governo intervenga”
“Sono straordinariamente provati – spiega Luca Casarini, fra i fondatori di Mediterranea Saving Humans che ha seguito da terra l’operazione – come spesso accade, nonostante tutte le rassicurazioni, alcuni temono ancora di essere riportati in Libia o in un altro Paese che riservi lo stesso trattamento inumano. Per questo abbiamo chiesto che lo sbarco avvenga nel rispetto delle loro precarie condizioni”.
Il sindaco Roberto Ammatuna si è mosso subito. Sul molo – annuncia – ci sarà un team di psicologi e mediatori che possa assistere i naufraghi, indignato per l’aggressione subita da Mare Jonio, “una vera e propria operazione di guerriglia a danno di persone inermi, oltreché contro un’imbarcazione italiana”.
E tuona “occorre che il Governo Italiano intervenga urgentemente per salvaguardare i nostri connazionali impegnati in operazioni umanitarie e tuteli anche esseri umani indifesi”. Medesimo appello è arrivato ieri dal leader di Sinistra Italiana e deputato di Avs, Nicola Fratoianni, e dall’eurodeputato Pietro Bartolo, ma il governo non ha proferito verbo.
(da agenzie)
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