“AMERICA IS BACK”: LA POLITICA ESTERA DELLA PRESIDENZA BIDEN
LA PRIORITA’ SARA’ REALIZZARE UN’OPERAZIONE “FIDUCIA” RIALLACCIANDO I RAPPORTI CON L’EUROPA
Il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden ha di fronte a sè poco più di due mesi che lo separano da mercoledì 20 gennaio, quando verrà inaugurato il suo mandato, ma già fin d’ora è possibile delineare i principali orientamenti in politica estera della sua amministrazione, con uno sguardo particolare all’impatto che produrranno in Europa e in Italia.
Per prima cosa il presidente Biden dovrà realizzare un’operazione “fiducia” per ricostruire a tutto campo un solido sistema di relazioni internazionali, a partire dagli alleati storici nell’America, reso traballante dalla breve, ma “intensa” stagione trumpiana.
L’”America First” di trumpiana memoria, sarà sostituito da “America is back”: gli Stati Uniti sono tornati, con la loro forza e la loro credibilità per essere nuovamente protagonisti e leader delle nuove sfide globali attraverso un multilateralismo “evoluto” ed un sistema articolato di alleanze fra le democrazie.
Il primo banco di prova sarà la sfida alla pandemia da coronavirus.
Gli Stati Uniti torneranno a sedersi al tavolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità , non certo come spettatori, ma come protagonisti di una stagione che rafforzi l’organizzazione, faccia dimenticare la gestione dell’etiope Tedror Ghebreyesus, la renda più forte e più indipendente dai condizionamenti esterni a cominciare dalla Cina.
Ma Biden non punterà tutte le sue carte soltanto sull’Oms.
La nuova amministrazione americana promuoverà una grande alleanza scientifica per la bio-difesa, in grado di sconfiggere il Covid-19 ed essere preparata per le sfide future. E tale sfida sarà possibile solo inaugurando una nuova stagione di cooperazione e interdipendenza fra stati, industria privata e laboratori scientifici, intanto fra le due sponde dell’Oceano Atlantico.
L’America nuovamente leader globale non cercherà soltanto di accaparrarsi qualche centinaio di milioni di dosi di vaccino, ma favorirà la cooperazione scientifica pubblica e privata per fare in modo che nei prossimi mesi si possa produrre un vaccino sicuro, efficace, disponibile in grandissime quantità ed a costi contenuti.
Il rilancio delle alleanze storiche (Usa ed Europa) e la costruzione di un nuovo e articolato sistema globale di intese, andrà però riletto attraverso la lente d’ingrandimento della nuova competizione fra “democrazie” e “autocrazie”
Joe Biden, lo ha scritto a chiare lettere di suo pugno sei mesi fa su Foreign Affairs: “The triumph of democracy and liberalism over fascism and autocracy created the free world. But this contest does not just define our past. It will define our future, as well”.
Quindi buone notizie per Europa e Nato: i rapporti transatlantici non saranno più sbeffeggiati e ridotti a un fatto “transazionale”, con l’accusa costante agli alleati europei di contribuire troppo poco al budget della difesa comune e la Nato tornerà ad essere il pilastro fondamentale della politica di sicurezza degli Stati Uniti d’America.
A partire da un rilancio a tutto campo delle relazioni transatlantiche, il presidente Biden cercherà poi di allargarne gli orizzonti per creare un sistema di alleanze con le democrazie dell’Indo-Pacifico in grado di rappresentare un terzo pilastro, accanto a Usa ed Europa, sul quale poggiare una politica di difesa e sicurezza più solida e in grado di affrontare con adeguatezza le nuove sfide poste da Russia e Cina.
Quindi il dialogo sulla sicurezza e la difesa con India, Giappone e Australia (il cosiddetto Quad-Quadrilateral Security Dialogue) potrebbe essere presto istituzionalizzato e ampliato ad altre democrazie dell’Indo-pacifico.
Entro il primo anno del suo mandato, il Presidente Biden si farà promotore di un “Summit delle Democrazie” per costruire un’agenda comune e per far fronte in modo più adeguato alla sfide sempre più assertive delle autocrazie.
Promozione della democrazie e tutela dei diritti umani minacciati saranno nuovamente la stella polare dell’amministrazione statunitense, con un obiettivo chiaro in mente: arginare l’ondata populista e sovranista che ha mutato rapidamente il panorama politico in quasi tutti i continenti.
Come ricorda l’ultimo rapporto di Freedom House, spesso citato dal Presidente Biden: su 41 paesi considerati stabilmente “liberi e democratici” fra il 1985 e il 2015, ben 22 hanno registrato un declino dei propri standard democratici negli ultimi 5 anni.
Il “Summit delle Democrazie” potrà anche diventare una struttura permanente come già sognato anni fa da Bronislaw Geremek e da altri leader democratici dei paesi ex comunisti, quando fondarono la “Community of Democracies”, consapevoli dei limiti strutturali del sistema onusiano, bloccato dal diritto di veto delle due grandi autocrazie del pianeta (Cina e Russia) o dall’assurda rotazione dei paesi membri della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite, che vede spesso i più grandi violatori dei diritti umani fondamentali sedere nella Commissione che proprio quei diritti dovrebbe denunciare e proteggere.
Sul Medio Oriente, il Presidente Biden non cambierà la linea del suo predecessore su Israele: l’ambasciata statunitense rimarrà a Gerusalemme e gli Accordi di Abramo saranno ampliati e rafforzati con l’adesione di nuovi paesi dopo gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e il Sudan. La sicurezza di Israele continuerà ad essere dunque una priorità per l’amministrazione americana.
L’impegno militare statunitense nel Grande Medio Oriente per contrastare l’insorgenza jihadista cambierà natura e caratteristiche, adottando quello che potremmo definire il “modello Rojava”, applicato nel nord della Siria in sostegno ai combattenti curdi: poche basi militari permanenti e di ridotta dimensione, un uso sempre maggiore di forze speciali, intelligence e droni, accordi a tutto campo con le forze locali che condividono gli obiettivi di contrasto del jihadismo.
Assisteremo quindi ad un’ulteriore riduzione dei contingenti Usa in Iraq e Afghanistan, insieme ad alcune novità nei confronti di Arabia Saudita e Turchia.
Se il primo viaggio all’estero di Trump era stato proprio a Ryad ad omaggiare la monarchia saudita, la nuova amministrazione Usa non ha perdonato a Mohammed Bin Salman l’orribile uccisione dell’oppositore, e giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi e neppure l’uso spropositato della forza nel conflitto in Yemen.
Dovremmo quindi attenderci una fine del sostegno americano alle operazioni militari a guida saudita nello Yemen ed una maggiore severità nei rapporti con la più grande monarchia del Golfo.
Alla Turchia di Erdogan non verranno più applicati sconti: la svolta islamista e autoritaria del regime e la durissima repressione interna; l’esportazione di instabilità nel Mare Egeo e la costante minaccia a Grecia e Cipro; la spregiudicata azione turca in Siria contro i migliori alleati dell’occidente (i curdi); l’uso delle milizie jihadiste in Azerbaijan contro gli armeni; l’acquisto dei sistemi di difesa antimissile russi S-300 e S-400, rappresentano molte red-line già superate, che rischiano di compromettere la permanenza della Turchia nella Nato e che muteranno l’atteggiamento dell’amministrazione Usa.
Sull’Iran, Biden ripartirà da quanto fatto da Obama, cercando di ricondurre il regime di Teheran ad un tavolo negoziale tentando di negoziare un nuovo “Nuclear Deal”, che questa volta però non potrà essere separato dal tentativo di ridurre in modo strutturale le azioni destabilizzanti dell’Iran nella regione, soprattutto in Libano.
Sulla Cina è possibile prevedere una aumentata assertività americana a tutto campo: tutela della proprietà intellettuale; contrasto all’esportazione del modello cinese a cominciare dal sostegno della Free and Open Pacific Initiative in alternativa alla nuova Via della Seta; denuncia sistemica delle massiccia violazioni dei diritti umani a cominciare da Xinkiang, Tibet e Hong Kong; denuncia del “dumping sociale” (produrre a costi bassissimi grazie all’assenza di diritti sindacali). Ma non sarà una Seconda Guerra Fredda Usa contro Cina: il presidente Biden farà di tutto per coinvolgere l’Europa ed un’ampia coalizione di paesi democratici per contrastare Pechino nella cornice della nuova competizione fra “democrazie” e “autocrazie”.
Nei primissimi giorni del suo mandato, Biden farà rientrare gli Usa nell’Accordi sul Clima di Parigi e riprenderà a partecipare attivamente in tutti i forum globali e multilaterali sulle grandi questioni ambientali, con l’obiettivo di convertire l’economia statunitense a zero emissioni il 2050. Ci sarà dunque un forte protagonismo americano nel settore delle energie rinnovabili, nella produzione di veicoli elettrici, negli investimenti nelle tecnologie pulite.
Infine su 5G e intelligenza artificiale dovremo aspettarci una presidenza Biden estremamente assertiva: “non possiamo permettere che le regole dell’era digitale siano scritte da Cina e Russia”, ha dichiarato Biden recentemente.
Aspettiamoci dunque un forte impegno della nuova amministrazione nella creazione di una una nuova alleanza tecnologica pubblico/privata fra Europa e Usa per lo sviluppo delle tecnologie 5G ed un maggiore impegno nei confronti del “Gafistes”(i GAFA-Google, Amazon, Facebook, Apple), per contrastare fake-news e minacce alla democrazia.
(da “Huffingtonpost”)
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